Arte e lavoro: la scoperta di Cézanne

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da LUIZ RENATO MARTIN*

Decisioni artistiche di fronte alla nuova divisione del lavoro

 

Preambolo o preistoria della “belle époque”

Nel processo di riorganizzazione sociale per la produzione di beni, consolidatosi in Francia per tutto l'Ottocento, ebbe un ruolo di corollario l'eccidio del Comune, avvenuto durante la Settimana di sangue (21-28.05.1871 maggio XNUMX). Ha completato l'attuazione di un nuovo ordine di lavoro, avviato – ma non ancora concluso – da precedenti provvedimenti.

Le riforme urbane dei vent'anni precedenti avevano trasformato il volto di Parigi. La città era stata deliberatamente ristrutturata e sequestrata dal popolo, che ne aveva fatto un centro rivoluzionario quasi permanente, per i precedenti sessant'anni (1789-1848).

Non era solo una conquista territoriale. Oltre che politico – togliere la gente dal centro di Parigi –, l'obiettivo dell'operazione era direttamente economico e, in questo progetto, vincente, per le imprese: pur a costo di gravi danni sociali, pose le basi per una vasta ristrutturazione produttiva.

Come ha mostrato lo studio di Walter Benjamin sulle riforme di Parigi,[I] la mega-ristrutturazione della capitale – intrapresa come strategia di guerra e di ricolonizzazione del centro nevralgico del territorio nazionale – ha demolito i quartieri popolari. Asportò così i principali centri urbani dall'unità casa-laboratorio, cioè dal legame vitale che riuniva sotto un unico tetto abitazioni e mezzi di lavoro di un nutrito contingente di operai artigiani francesi. Privati ​​dei loro mezzi, i maestri artigiani e le loro squadre si trovarono convertiti in “liberi lavoratori” fornitori di lavoro-merce, vale a dire la forza lavoro spersonalizzata e astratta necessaria per l'espansione capitalista.

La vasta chirurgia urbanistica, oltre a sancire il dominio della città da parte degli affari e la sua trasformazione da parte della speculazione, funzionò anche come un tempo. recinzioni in Inghilterra. Questi, come sappiamo, destituendo i vecchi contadini, togliendo loro i possedimenti delle terre ancestrali dove vivevano, realizzarono molto più di un saccheggio o di un atto di concentrazione della ricchezza: produssero un enorme contingente di esseri destinati al salario o al “libero lavoro ”., riuscendo così a fabbricare sul suolo inglese la forza lavoro necessaria per la cosiddetta Rivoluzione Industriale.

In Francia, in ritardo di fronte all'industrializzazione, e con una resistenza popolare alimentata dal ricordo dei vari episodi rivoluzionari dal 1789, le riforme urbanistiche a Parigi incontrarono un'intensa opposizione. Al termine del secondo decennio di riforme modernizzanti – elitarie e fortemente impopolari – imposte da Napoleone III (1808-73), il discredito del regime, aggravato dalla sconfitta militare contro i prussiani, sfociò nella spontanea insurrezione popolare del Comune .

 

La breve alba della Comune

La rivolta dei lavoratori parigini fu infatti il ​​culmine e la svolta di un lungo processo, aggravato e accelerato nei sei mesi precedenti da episodi di rovesciamento, che si susseguirono e si accumularono, portando alla caduta del regime, a cascata: la sconfitta di Sedan (01.09.1870); la cattura e l'esposizione dell'imperatore da parte delle truppe d'invasione; la fuga da Parigi del nuovo governo; l'abbandono della capitale alle truppe prussiane. Precipitò così, consecutivamente, la caduta del II Impero e dell'ordine borghese. tutte breve - almeno, così sembrava comunioni per poche settimane. Il 28 marzo 1871 ebbe luogo la proclamazione di uno Stato operaio rivoluzionario, sostenuto dall'Internazionale.[Ii] La risposta immediata della Comune da parte della borghesia, sistemata a Versailles, fu la guerra civile.

Insomma, le riforme di Parigi non sono bastate per attuare il nuovo ordine. Infatti, oltre ad avere un'economia abituata alla tradizione di eccellenze artigiane e basata su una rete di piccole proprietà rurali familiari (generate dalla Rivoluzione Francese e successivamente rafforzate dalla politica bonapartista), occorreva molto di più in una nazione politicizzata e incline alle rivoluzioni: sterminare la resistenza ed estinguere la memoria della forza popolare - senza la quale non ci sarebbe alcuna sostituzione del modo artigianale, industrializzazione e modernizzazione capitalista possibile nel paese. In effetti, è successo nel modo più sanguinoso.

 

il massacro

Nel corso della Settimana di sangue in cui le truppe di Versailles annientarono i superstiti della Comune, vennero massacrati, secondo diverse stime, dai trenta ai quarantamila prigionieri, tra cui donne e bambini, sommariamente giustiziati. A quel punto, i dati ufficiali attestavano che 36.309 prigionieri erano passati attraverso i consigli di guerra. Quanti in realtà?

Prosper-Olivier Lissagaray (1838-1901), storico contemporaneo che annoverò Manet (1832-83) tra i suoi ascoltatori, riportato alla fine del capitolo sulla repressione nel suo libro Storia del Comune del 1871 (1876/1896): “Le stragi di massa durarono dal 28 maggio ai primi giorni di giugno e le esecuzioni sommarie fino alla metà di quell'ultimo mese. Per molto tempo nel Bois de Boulogne si sono svolti misteriosi drammi. Il numero esatto delle vittime della sanguinosa settimana non sarà noto. Il capo della giustizia militare ha confessato diciassettemila esecuzioni. Il Consiglio municipale di Parigi ha pagato per la sepoltura di diciassettemila cadaveri; ma un gran numero di persone fu ucciso o incenerito fuori Parigi; non è esagerato dire ventimila, cifra ammessa dai funzionari”.[Iii]

 

lavoro senza volto

Oltre alla riconquista di Parigi e al ripristino della “Santa Alleanza” tra borghesia, “ultras” (sostenitori della Vecchio regime), bonapartisti e invasori prussiani, l'episodio servì anche come culmine del processo di radicale modernizzazione del mondo del lavoro, secondo il nuovo ordine del capitale. Significava anche l'eliminazione del lavoro qualificato, come modalità produttiva estensiva e soggetto politico. Si concludeva, infine, l'asfissia letale dell'artigiano-operaio, come categoria sociale autonoma, e la sua oggettivazione o metamorfosi in un essere astratto e senza volto, mero fornitore di energia metabolica.[Iv]

Sul piano del lavoro, la scomparsa dell'artigiano come soggetto di un'esperienza di lavoro – in parte autorganizzata – ha portato a generalizzare la scissione stratificata della soggettività produttiva in due ambiti, ormai irriducibilmente polarizzati: quello del lavoro intellettuale e quello del lavoro manuale.

 

Il posto della pittura nella nuova divisione sociale del lavoro

Dopo la tragica fine dell'esperienza della Comune, che coinvolse direttamente alcuni artisti influenti – come Courbet (1819-77), Manet e Degas (1834-1917), catturati dalle truppe di Versailles e sul punto di pagare con la vita per il loro coinvolgimento con i ribelli –, anche il mondo della pittura accusò poi, sia pure in altri termini simbolici, la fine di un'epoca e l'ingresso in un nuovo ordine storico. In essa si spegneva il posto preminente della pittura – come pratica di eccellenza – che era nata e vissuta come risultato emblematico, esemplare e sofisticato dell'eccellenza dell'artigianato.

Per certi ambienti di vigorosi pittori – e consapevoli dei valori tradizionali, sia intellettuali che manuali del mestiere, ma anche del nuovo momento storico –, la diseredazione della pittura dal luogo unico che le era stata (per più di cinque secoli) ne ha chiesto la rifondazione e la reinvenzione.

La generazione pittorica post-Manet è stata forse la prima a nascere interamente dalle conseguenze della disgiunzione tra lavoro intellettuale e lavoro corporeo – disgiunzione che ha dato origine e si è concretizzata in una inedita riflessione pittorica sul tema del lavoro, con concrete conseguenze consustanziate in nuovi processi pittorici, sviluppati in diverse direzioni.

In questo senso, il presente lavoro intende dare un concreto contenuto storico alla frase – tra consolatoria e ironica – di Baudelaire (1821-1867), da Bruxelles, in una lettera a Manet (11.5.1865). Quest'ultimo, allora giovane pittore, sarebbe ancora da considerare, secondo Baudelaire, “le premier dans la décrepitude de votre art [il primo nella decrepitezza della tua arte]”.[V]

In questo caso, forma e contenuto della decrepitezza avevano a che fare – questa è l'ipotesi – con il superamento del lavoro artigianale a favore della nuova divisione del lavoro, guidata – nel nuovo ordine capitalistico in via di industrializzazione – dalla eccentricità irriducibile tra il lavoro intellettuale e il bracciale.

 

La scoperta di Cézanne

In altre parole, si è verificato un passaggio storicamente decisivo tra la suddetta frase, di Baudelaire, e un'altra frase che – sebbene molto fraintesa – è arrivata a costituire anch'essa una pietra miliare. Quindi Cézanne (1839-1906) avrebbe detto al suo interlocutore dell'epoca, lo scrittore simbolista Émile Bernard (1868-1941), con le parole di quest'ultimo, approssimativamente quanto segue: “Je suis trop vieux, je n'ai pas réalisé et je ne réaliserai pas maintenant. Je reste le primitif de la voie que j'ai découverte [Sono troppo vecchio; Non l'ho fatto, e ora non lo farò. Rimango il primitivo del cammino che ho scoperto]”.[Vi]

Cosa ha scoperto Cézanne? La sua scoperta – contrariamente a quanto l'ingenuo ascolto di Bernard (suo interlocutore) faceva credere, ipotizzando un'autogiustificazione psicologica da parte del pittore – aveva a che fare con la trasformazione dell'ordine generale dei processi di lavoro e con le conseguenze che ciò comportava per il dipinto.

Velocissima o lentissima – comunque sempre frammentata – la pittura d'ora in avanti non avrebbe più il ritmo e l'integrità dell'unione metabolica tra azione intellettuale e corporale, propria del lavoro dell'artigiano. Proprio per questo Cézanne ha adottato, sul piano della sua opera pittorica, alcuni accorgimenti strutturanti – dettagliati e discussi in seguito.

Ma la risposta di Cézanne – anche se la più rilevante in quel momento nelle arti visive per il grado di consapevolezza coinvolto e per le conclusioni tratte dalla domanda, non è stata l'unica. Infatti, di fronte alla vasta scossa sismica provocata dalla tragica riorganizzazione in stampi post-artigianali, del lavoro per il capitale, anche altri pittori, oltre a Cézanne, hanno risposto – se non alla domanda, all'insieme dei fatti, addirittura se inconsapevolmente – forgiando strategie diverse (in breve, gli “ismi” modernisti).

È il confronto e l'analisi dei casi spiccatamente emblematici in tal senso che verrà svolto di seguito, al fine di discernere meglio le tendenze storiche oggettive sottese alle diverse correnti artistiche, a partire dalla loro posizione e risposta allo scisma - di fatto colossale e di ampio respiro. – posto dalla ristrutturazione dell'organizzazione sociale del lavoro (Nel frattempo, come si vedrà in seguito, infatti, il percorso in questione annunciato da Cézanne è stato effettivamente e pienamente sviluppato dal costruttivismo russo – senza nulla togliere ad esperienze intermedie come Cubismo).

 

Pratica come criterio

Negli ultimi decenni dell'Ottocento, dopo l'avvento ufficiale dell'Impressionismo, suggellato dalla mostra del 1874 e dalle successive esposizioni di questo movimento, si svilupparono diverse tendenze ed esperienze artistiche individuali. La riproposizione dei disegni del realismo, dopo il loro aggiornamento da parte di Manet,[Vii] comprendeva certamente – tra le altre importanti esperienze artistiche – l'impressionismo, ma anche le opere post-impressioniste di Cézanne, Van Gogh (1853-90) e altri, nel corso non solo degli anni Settanta dell'Ottocento, ma dei decenni successivi.

Tuttavia, il quadro complessivo era complesso e non è possibile considerare tali sviluppi esclusivamente alla luce del realismo, così come non è possibile prenderlo né come tendenza unica né come egemonica. Altri valori e correnti estetici entrarono in scena e iniziarono a dividere il campo delle avanguardie con il realismo.

Spiccarono il simbolismo, comprese forme rinnovate di classicismo, l'ideologia opticalista – rivendicata da impressionisti e simbolisti –, il formalismo in generale, come tendenza estetica e storiografica – in questo caso, legata alla dottrina della “visualità pura”, di K. Fiedler (1841-95) ed altri –, senza dimenticare i rimandi laterali a forme extraeuropee, cosiddette “primitive”.

I nuovi discorsi si intrecciano e compongono l'eterogeneità dell'orizzonte generale delle idee del periodo, contestando la genesi e il controllo delle esperienze artistiche moderne. Da allora, come nella disputa sull'opera di Manet, le indagini artistiche più avanzate, come quelle di Cézanne, di Van Gogh e del cubismo, sono diventate inscindibili da scontri dottrinali e ideologici, e hanno dato luogo a interpretazioni assai divergenti. In un tale quadro storico, con le arti che restano soggette alla circolazione mercantile, d'ora in poi il criterio concreto ed effettivo di distinzione diverrà sempre più pratica, considerata in termini materialistici e storici.

* Luiz Renato Martins è professore-consulente di PPG in Storia economica (FFLCH-USP) e Arti visive (ECA-USP). Autore, tra gli altri libri, di La cospirazione dell'arte moderna (Haymarket/HMBS).

Estratto dalla sezione iniziale della versione originale (in portoghese) del cap. 9, “La pittura come forma-opera”, dal libro La Conspiration de l'Art Moderne et Other Essais, edizione e introduzione François Albera, traduzione di Baptiste Grasset, Losanna, Infolio (2023, proc. FAPESP 18/26469-9).

 

note:


[I] Cfr. W. Benjamin, “Paris, capitale du XIX siècle/ Exposé (1939)”, in idem, Écrits Français, introduzione e note di Jean-Maurice Monnoyer, Parigi, Gallimard/ Folio Essais, 2003, pp. 373-400; si veda anche Michael Löwy, «La ville, lieu stratégique de l'affrontement des classes. Insurrezioni, barricate et haussmannisation de Paris dans le Lavoro passeggero di Walter Benjamin», in Philippe Simay (a cura di), Capitali della modernità. Walter Benjamin et la Ville. Parigi, Éclat, Philosophie imaginaire, 2005, p. 19-36.

[Ii] La cosiddetta I Internazionale (Associação Internacional dos Trabalhadores, 1864) esisteva già da sette anni quando il Consiglio della Comune fu proclamato il 28 marzo 1871 – con il sostegno dell'associazione, anche se senza un rapporto diretto con essa.

[Iii] Cfr. POLVERE. LISSAGARAY, Storia del Comune del 1871, avant-propos di Jean Maitron, Parigi, La Découverte/ Poche, 2007, p. 383.

[Iv] Georges Soria, dopo aver citato fonti che menzionano fino a 35 esecuzioni, presenta in Grande Storia del Comune, un dato ufficiale molto significativo per comprendere l'impulso dei fatti in questione per l'andamento della nuova divisione del lavoro. Tra le elezioni di febbraio e quelle del 2 luglio 1871, le statistiche registrano a Parigi un calo di centomila elettori maschi. Un sondaggio ufficiale successivamente condotto da tre consiglieri municipali sul problema del lavoro affrontato dall'industria e dal commercio a Parigi, ha indicato la scomparsa di un quarto del numero dei lavoratori della città. Un altro significativo documento ufficiale, citato da Soria, indica le diverse e numerose professioni degli “individui arrestati” dal governo di Versailles, sopravvissuti alle stragi di maggio e giugno, per essere poi processati. Agli atti, accanto a professioni ancora oggi esistenti (108 architetti; 15 avvocati; 163 macellai; 123 fornai), diversi esercitanti di altri mestieri, oggi praticamente eliminati dall'industrializzazione: 34 armaioli; 5 bilanciatori; 3 bende; 14 esploratori d'oro; 528 maestri gioiellieri; 47 maestri di giocattoli; 191 lavanderie; 73 maestri di maglieria; 39 master di pulsanti; 67 bronzer; 7 birrai; 119 muratori; 89 quinquelheiros; 9 ricamatrici, 87 pennelli; 16 brunitori ecc. Va notato che l'elenco dei mestieri qui citato comprende solo quelle professioni le cui denominazioni iniziano con le lettere a e b (in francese). Vedi G. Soria, Grande Storia del Comune, vol. 5, Parigi, Robert Laffont/Livre Club Diderot, 1971, pp. 47-50.

[V] Scrivendo all'amico, Manet esprime la sua perplessità per gli insulti nei confronti del Olimpia (1863, Parigi, Musée d'Orsay) e un caravaggesco Cristo insulto (1865, Chicago, The Art Institute of Chicago). Cfr. Charles BAUDELAIRE, “A Edouard Manet”, in C. BAUDELAIRE, Au-Delà du Romanticisme/ Écrits sur l'Art, Parigi, Flammarion, 1998, pres. M. Draguet, p. 302.

[Vi] Cfr. E. BERNARD, “Souvenirs sur Paul Cézanne” (Mercure dalla Francia), In Conversazioni con Cézanne, ed. critica presentata da PM Doran, Paris, Macula, 1978, p. 73. Si veda anche, a questo proposito, Richard SHIFF, Cézanne e la fine dell'impressionismo / Uno studio sulla teoria, la tecnica e la valutazione critica dell'arte moderna, Chicago, The University of Chicago Press, 1986, n. 36 a pag. 295; vedi anche È. BERNARDO, “Paul Cézanne”, l'ovest, NO. 6, luglio 1904, p. 25, apud R. SHIFF, idem; E. BERNARD, “La tecnica di Paul Cézanne”, L'amore dell'arte 1 (dicembre 1920), pp. 275, 278, apud R. SHIFF, idem. Un'osservazione di Jean Pascal riassume l'immagine di Cézanne come primitiva: "Evidentemente Cézanne, che conserva le sue cattive maniere (imbarazzo) ingenuo dei primitivi, non ha effetto (n'a pas realisé) le loro visioni”. Cfr. Jean Pascal, Le Salon d'Automne nel 1904 (Parigi, 1904), p. 11, apud R. SHIFF, idem.

[Vii] Vedi TJ CLARK, La pittura della vita moderna/Parigi nell'arte di Manet e dei suoi seguaci, Princeton, Princeton University Press, 1989; idem, “Preliminari ad un possibile trattamento di Olimpia nel 1865”, in Francis FRASCINA e Charles HARRISON, Arte moderna e modernismo: un'antologia critica, New York, Icon Editions/Harper and Row, 1987, pp. 259-73. Sull'annessione postuma di Manet all'impressionismo, vedi Michael FRIED, Modernismo di Manet o, Il volto della pittura negli anni Sessanta dell'Ottocento, Chicago e Londra, The University of Chicago Press, 1996; sul realismo di Manet, vedi anche, in questo volume, i testi precedenti e idem, Manet / Imprenditrice, pranzo al parco e bar, Rio de Janeiro, Zahar, 2007, pp. 17-75.

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