da MAURO JUNIOR GRIGGI*
Più che un’eredità di pratiche passate, il razzismo si presenta come un fenomeno dinamico, capace di adattarsi a nuove configurazioni di potere e di produzione.
1.
Discutere della realtà della schiavitù, anche se avvolta da tabù, implica, infatti, svelare le maschere del neoliberismo, di fronte al confronto con la dittatura del capitale. Potrebbe essere questo un modo per superare le cicatrici storiche? Anche alla luce di uno scenario di dominio, la ricerca di sotterfugi che permettano il collasso di questa tradizione imperiale e di questa superiorità etica si manifesta, paradossalmente, come un tentativo di trasgredire tali vincoli.
La confluenza tra la costruzione e la persistenza di un sistema di esclusione, durato quasi quattro secoli, perpetua, nel XXI secolo, un dibattito peculiare e anti-meritocratico. Quando si considera il razzismo come un sistema di oppressione, è indelebile riconoscere la profondità delle sue radici nei rapporti di produzione e di potere che strutturano la società moderna. Questi tratti delineanti e sommersi costituiscono il substrato per il mantenimento di questo sistema oppressivo.
Dal punto di vista del materialismo storico-dialettico di Karl Marx, tale struttura non è naturale o eterna, ma il risultato di un processo storico che accompagna il consolidamento del modo di produzione capitalistico, il fulcro dell'oggi. Quando analizziamo l’emergere e il mantenimento del razzismo da questa prospettiva, diventa possibile comprendere come i rapporti di classe, l’accumulazione di ricchezza e lo sfruttamento economico siano inseparabili dalla razzializzazione e dal reazionarismo.
Il razzismo moderno emerge come una giustificazione ideologica per lo sfruttamento delle popolazioni africane e indigene nel sistema coloniale che un tempo dominava le masse e reprimeva le nazioni. Dal XVI secolo in poi, il nascente capitalismo dipese da pratiche come la tratta degli schiavi e il lavoro forzato, fondamentali per l’accumulazione primitiva del capitale, come sottolineato da Karl Marx in La capitale.
La razzializzazione, in questo contesto, non è solo un sottoprodotto, ma uno strumento per legittimare tale sfruttamento. Con il consolidamento del capitalismo industriale e, successivamente, del neoliberismo, il razzismo ha cominciato ad operare in modo più sofisticato, adattandosi a nuove forme di sfruttamento e dominio invisibili. La precarietà del lavoro, la segregazione urbana e la violenza statale contro i corpi razzializzati esemplificano come il sistema razziale continui a funzionare nel capitalismo contemporaneo.
Em Il rovescio della pelle, Jeferson Tenório espone questa dinamica raccontando la vita di un uomo di colore segnato dalla violenza strutturale e dall'esclusione. L'opera evidenzia come il razzismo non sia solo una questione individuale, ma un fenomeno sistemico che condiziona le possibilità di esistenza e di resistenza. Il protagonista, attraverso le sue esperienze, rivela come il colore della pelle diventi un indicatore sociale che definisce chi è meritevole di diritti e chi è destinato all'emarginazione. I movimenti neri in tutto il mondo hanno storicamente affrontato queste strutture, dalle rivolte dei quilombola alle lotte contemporanee per l’uguaglianza razziale e la giustizia.
L’ipocrisia delle élite e la fragilità delle istituzioni brasiliane costituiscono un ritratto fedele di un sistema coloniale e imperialista che mutilava i corpi in nome della narrativa della superiorità dell’“uomo bianco”. Questa situazione, unita all’identitarismo, maschera un passato di barbarie e di dominio, delineandolo in modo strutturato nel secolo attuale, attraverso teorie e ideologie meritocratiche che perpetuano l’emarginazione di popoli ed etnie oppresse da secoli.
2.
La condizione colonialista ha giocato un ruolo cruciale nella genesi e nella perpetuazione del razzismo. Nel corso dei secoli, il processo di colonizzazione, guidato principalmente dalle potenze europee, si è strutturato non solo come impresa economica, ma anche come pratica ideologica che giustificava lo sfruttamento e la sottomissione dei popoli. In questo senso, il razzismo può essere inteso come una sovrastruttura ideologica che riflette e sostiene una base materiale di sfruttamento economico.
Questo approccio ritiene che le idee e i valori di una società siano profondamente radicati nelle sue condizioni materiali di produzione e riproduzione sociale. Pertanto, il razzismo non è un pregiudizio isolato, ma uno strumento essenziale per il consolidamento del sistema capitalista globale ai suoi inizi. Il traffico transatlantico di africani, ad esempio, è stato fondamentale nell’accumulazione primitiva di capitale, disumanizzando i popoli non europei come strumento per massimizzare i profitti e, allo stesso tempo, fornendo giustificazioni ideologiche per il mantenimento di tali pratiche.
Nel saggio viene presentata un’ipotesi che problematizza questo scenario Critica della ragione dualistica, di Francisco de Oliveira, che sottolinea come la compressione salariale trasferisca i guadagni derivanti dall’aumento del plusvalore al polo di accumulazione, e non al consumo. Francisco de Oliveira sostiene che il reddito delle classi medie nasce dalle esigenze tecnico-istituzionali della struttura industriale globale e non da pregiudizi di classe o di colore. Tuttavia, è possibile sostenere che, sebbene l’accumulazione di capitale appaia neutra rispetto al colore della pelle, il capitalismo accumula significati mercantili che guidano direttamente le integrazioni sociali e, indirettamente, le condizioni di vita degli individui.
Al centro di questa determinazione economica, l’orientamento razziale emerge come una costruzione storica, anche se multiforme e parzialmente autonoma rispetto alle condizioni materiali della produzione. In questo contesto, lo sfruttamento eccessivo del lavoro degli organismi razzializzati era una strategia per compensare le perdite delle borghesie dominanti nei loro rapporti di dipendenza. Infine, opere come quelle di Machado de Assis e Jeferson Tenório fungono da testimonianze e denunce di queste dinamiche, rivelando disuguaglianze e promuovendo riflessioni sulla trasformazione sociale. Il razzismo, imponendo dolore e sofferenza basati su teorie pseudoscientifiche, non solo perpetua una mentalità retrograda e conservatrice, ma mantiene anche l’attuale sistema di schiavitù e di credenze repressive.
3.
Un altro punto fattuale da considerare nel mantenimento del razzismo contemporaneo è l'azione concisa dell'apparato ideologico dello Stato. Questi dispositivi, che includono istituzioni come i media, il sistema educativo, la religione e l’apparato legale, sono responsabili della diffusione e del consolidamento di alcune ideologie che rafforzano il dominio dei gruppi sociali sugli altri. Nel contesto del razzismo, questi meccanismi agiscono per naturalizzare la subordinazione razziale, trasformandola in una “verità” sociale apparentemente indiscutibile.
Questo frammento sociale è essenziale nella teoria dell'esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, in particolare nella sua concezione di libertà e responsabilità, che offre una prospettiva profonda su come le ideologie sostengono il razzismo e sono fondamentali per l'identità. Per Jean-Paul Sartre l'essere umano è condannato alla libertà, cioè la condizione umana è segnata dalla possibilità di scegliere, agire e definirsi in base alle proprie scelte. Tuttavia, nel contesto socio-interrelazionale, tale libertà è limitata dalle condizioni storiche, sociali e culturali in cui l’individuo è inserito.
Nel caso del sistema strutturale del razzismo, queste condizioni storiche si manifestano attraverso apparati ideologici che impongono una visione del mondo che distorce in modo assorbito la libertà e la dignità degli esseri umani, la condizione di uguaglianza in termini sociali, politici ed esistenziali, Jean -Paul Sartre sostiene in dettaglio che la società crea una “macchina di significato” che impone identità e valori agli individui.
In questo senso, la struttura ideologica dello Stato non solo modella la coscienza degli individui, ma li spinge anche a conformarsi a norme sociali che svalutano certe esistenze, come quelle dei neri. Il razzismo, quindi, può essere visto come una forma di alienazione esistenziale, in cui l’individuo viene ridotto a uno stereotipo razziale, negandogli la sua soggettività e l’autentica libertà, facendo dell’oppressione una costruzione sociale che comporta l’oggettivazione degli altri.
All’interno di questa realtà materiale, il soggetto razzista “guarda” l’altro non come un essere libero e unico, ma come un oggetto determinato dalla sua razza. Questo processo di oggettivazione impedisce all'altro di realizzarsi come soggetto, limitando la sua libertà. Istituzioni come il sistema educativo e i media rafforzano questa oggettivazione perpetuando visioni distorte e disumanizzanti delle popolazioni emarginate.
Aprendo una parentesi in questo contesto, per le azioni dei governi autoritari basati sul cosiddetto “mito delle democrazie razziali”, ma, quando si analizza che gli uomini bianchi, all’interno di questo sistema di dominio sociale, mai e non sono dominati, assegnano il L’esistenza di questa pratica considerata in termini contemporanei di Razzismo Inverso, cancella dalla storia un passato di sofferenza, segregazione e apartheid. Possiamo chiamare questa democrazia?
Credo che questa risposta sia già pronta nella situazione attuale, quindi le azioni europee e colonialiste dei governi mantengono, oggi, questa stupida realtà del razzismo. Pertanto, Jean-Paul Sartre non solo teorizza l'emergere di un movimento inesorabile, ma indica anche la possibilità di trasformazione. La libertà, pur condizionata, non viene mai del tutto annullata. L’individuo ha sempre la capacità di trascendere i limiti imposti da questi dispositivi ideologici, sebbene ciò richieda uno sforzo continuo e collettivo.
La lotta al razzismo, quindi, non è solo una lotta contro le istituzioni esterne, ma anche una lotta per la ricostruzione della soggettività stessa e l’affermazione della libertà umana nella sua pienezza. Questa trasformazione richiede la rottura con i valori che la società ha imposto, riconoscendo, come ci insegna Jean-Paul Sartre, che “l’uomo fa se stesso”, e che ciò è possibile solo quando l’oggettivazione degli altri è imposta dal razzismo.
Lo Stato, perpetuando l’oggettivazione e la negazione della libertà altrui, contribuisce al mantenimento di un sistema che limita la possibilità di un’esistenza autentica e piena per coloro che sono razzialmente emarginati. Superare il razzismo, in questo senso, richiede una trasformazione radicale delle condizioni materiali e ideologiche che modellano le nostre percezioni e pratiche sociali.
Detto questo, quando si osserva il razzismo come un ingranaggio essenziale nel funzionamento delle strutture capitaliste, diventa evidente la complessità delle sue ramificazioni sociali, economiche e culturali. Più che un’eredità di pratiche passate, si presenta come un fenomeno dinamico, capace di adattarsi a nuove configurazioni di potere e produzione. La sua persistenza non è solo un riflesso del conservatorismo storico, ma una componente attiva nel mantenimento delle disuguaglianze strutturali, rafforzando sia le relazioni di sfruttamento sia i meccanismi simbolici che naturalizzano queste gerarchie.
Detto questo, qualsiasi tentativo di trasformazione sociale deve andare oltre le soluzioni palliative e affrontare le condizioni materiali e ideologiche che perpetuano questa logica oppressiva, riconoscendo che la lotta contro il razzismo è anche una lotta per ridefinire le basi che sostengono le relazioni di potere e la produzione contemporanea.
*Mauro Junior Griggi È tecnico informatico presso l'Istituto Federale del Mato Grosso – Unità di Rondonópolis.
Riferimenti
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