da THIAGO R. ROCHA*
Il ritorno sociale, politico, economico, tecnologico e di civiltà che le università danno alla società brasiliana è incalcolabile
Negli ultimi anni, in mezzo al palinsesto quotidiano di assurdità con cui ci siamo abituati a vivere nel Brasile contemporaneo, l'educazione, purtroppo, ha avuto un grande risalto, facendoci affrontare sempre discussioni stagionali su due temi centrali: dalla fine alla All'inizio dell'anno, il taglio record dei finanziamenti rispetto all'anno precedente e, pochi mesi dopo, le lamentele sul rischio di chiusura degli atenei per – appunto – mancanza di fondi.
Ma ci sono sempre, ovviamente, gli eventi “straordinari” che riflettono la suddetta mancanza di fondi e rivelano quanto il progetto di distruzione, il “bestiame della barbarie”, avanzi a pieno ritmo. L'ultima è venuta alla luce la scorsa settimana con il “outage” dei server CNPq che ha messo offline la piattaforma Lattes ei cui dati non sappiamo ancora se potranno essere recuperati. Questi eventi, per quanto gravi siano, rappresentano solo la punta dell'iceberg visibile. Il fenomeno in sé non è nuovo in Brasile, ma il livello di accelerazione del degrado sembra esserlo.
Il progetto di distruggere l'università pubblica nel nostro Paese – e, di conseguenza, le condizioni per fare scienza – viene da lontano e ha sempre operato, in generale, da due grandi fronti di attacco: quello neoliberista, che ci accompagna di più fortemente dalla fine del secolo scorso, ma che si era raffreddata durante i governi del PT per tornare prepotentemente con Temer; e quello ideologico, che, pur con il suo storico “va e viene”, acquista una forza mai vista prima con l'elezione di Jair Bolsonaro. In entrambi i casi, come in quasi tutti gli altri argomenti, Temer rappresenta solo un ponte per Bolsonaro, più o meno come una mossa provata in una partita di pallavolo, in cui si alza la misura per il partner da tagliare.
Tuttavia, proprio perché questi due fronti di attacco normalmente vanno insieme e si completano, questa definizione finisce per essere alquanto imprecisa, poiché, oltre a non trattare cose separate, il pretesto neoliberista non è meno ideologico del livello “ideologico”. corretto. Se vogliamo essere più precisi, quindi, occorre riorganizzare e rinominare queste categorie, includendo anche un'altra questione, che apparentemente contraddice le due citate, ma è ciò che alla fine crea una connessione tra i due fronti e li trasforma in una cosa sola, fornendo il salto che va dal risentimento alla negazione assoluta. In questo caso, riformulando il problema, avremmo:
(1) L'ideologia neoliberista, che ha sempre visto l'investimento nell'istruzione come una spesa inutile e non si è mai rassegnata al fatto che il Brasile è uno dei pochi paesi in cui resiste ancora un'istruzione superiore completamente gratuita; 2) l'ideologia patrimoniale di basi razziste e classiste, ancorata soprattutto alla cultura del privilegio che non accetta spazi aperti per altri strati della società; 3) l'apice dell'ideologia neofascista, che utilizza il risentimento generato dai suddetti confronti con il patrimonialismo per portare alle ultime conseguenze la nuda e cruda barbarie come politica dello Stato, con l'università come principale capro espiatorio.
I tre strati sono intimamente connessi e sono sfaccettature inscindibili di uno stesso problema, che è il tentativo di massimo controllo della società e delle sue risorse da parte dell'élite, che comporta necessariamente la distruzione del pensiero critico e si materializza, a un livello forse mai visto prima, sotto l'attuale governo.
Nel caso del primo fronte di attacco, è sempre stato presente nella nostra storia, ma prende un grande respiro nel terzo quarto del Novecento, con le sperimentazioni ultraneoliberiste in particolare in America Latina. Discutendo in questo senso del ruolo della dittatura militare, che spesso viene spacciata per fondata su un progetto di sviluppo della nazione, ma che, oltre alle ricadute politiche e sociali che ben conosciamo, è stata quella che ha iniziato ad aprirsi il Paese come laboratorio di “Ragazzi di Chicago”, distoglierebbe l'attenzione dal testo.
Tuttavia, andando dritti qui alle contraddizioni essenziali e già facendo un confronto tra le politiche educative nella dittatura e nella post-dittatura, possiamo dire: da un lato, i militari hanno cercato di distruggere tutto ciò che si avvicinava a un minimo di pensiero critico mentre allo stesso tempo costruiva alcune università; e, d'altra parte, il periodo post-dittatura ci ha riportato l'(idea di) democrazia pur consacrando l'ideologia neoliberista come indiscutibile modello economico del paese – il che ci dà l'impressione che forse abbiamo sempre un prezzo da pagare per le cose ci succedono cose belle. Del resto, chi non ricorda le grandi “donazioni” di beni pubblici (sotto la nomenclatura di “privatizzazioni modernizzanti”) dell'era FHC, compreso il progetto di consegnare le università ai ficcanaso?
Passando al secondo fronte di attacco, ancorato al consueto patrimonialismo e all'ideologia esclusivista dell'élite e del ceto medio che aspira ad essere elitario, l'università comincia ad essere un vero e proprio “problema” per queste classi quando, soprattutto al fine del decennio Negli anni '1990 il governo federale, sempre con FHC, iniziò a discutere di politiche pubbliche per democratizzare, in una certa misura, l'accesso alle università che essi stessi cercavano di distruggere, culminate, poi, fortunatamente, in ben definite programmi di quote razziali e socioeconomiche prese attuati efficacemente nei governi del PT. Qui il rancore dell'élite nei confronti delle università comincia a entrare in una fase preoccupante, soprattutto perché si tratta di un governo di sinistra che apre le università a chi, si suppone, non dovrebbe mai avere il diritto di metterci piede.
Fino ad allora gli argomenti di demoralizzazione dell'università, pur esistendo già a frotte, non erano così diffusi, ad eccezione di certe caricature che venivano fatte sui corsi di scienze umane in generale e sui militanti di sinistra nello specifico. Ma la situazione raggiunge il livello di mancanza di controllo anche nel periodo post 2014 e con tutto il movimento attorno al golpe del 2016, basato sul pretesto più che cinico della “scuola senza partito”. Questa è stata la fase finale della “transizione”, per così dire, che ha aperto la strada allo scenario che ha portato Jair Bolsonaro alla Presidenza della Repubblica, con il compito, tra gli altri, di distruggere il “comunismo”, che, secondo lui e i suoi seguaci, è concepito all'interno dell'università pubblica per essere diffuso al resto della popolazione - il termine "comunismo" è qui, evidentemente, l'ombrello usato per caratterizzare tutto ciò che si oppone alla barbarie assoluta.
In un certo senso, la “preoccupazione” che tiene addormentata un'élite con tendenze neofasciste e consumata dall'odio ha senso nel punto successivo: l'università funziona, infatti, come una sorta di muro di contenimento per le idee meschine e autoritarie che difende, così come la scuola stessa dovrebbe, fin dall'infanzia, formare individui capaci di “schivarsi”, o addirittura di “decontaminarsi”, queste idee che non hanno mai smesso di circolare nella società, soprattutto nell'ambiente di socializzazione primario che è la famiglia.
E se, in questo senso, per l'élite l'università è un covo di “sinistra”, è perché, in una spiegazione semplice e diretta, ma sufficientemente precisa, più gli individui studiano, più comprendono il funzionamento della società in cui vivono e più cominciano a produrre conoscenza su queste scoperte, più tendono ad allontanarsi da quella concezione reazionaria del mondo che una buona parte dell'élite difende: cioè, più a questi individui piace la democrazia e tutto che prevede, come proposta di una maggiore uguaglianza tra le persone; insomma, più si identificano con idee di sinistra.
Non a caso, dunque, entrando di fatto nel terzo fronte di attacco – il più virulento di tutti, il punto finale di questo processo di abbrutimento –, il risentimento per la democratizzazione dell'accesso si è trasformato in un odio ben più ampio e profondo, che ha portato alla difesa esplicita della distruzione dell'università. A quel punto, questo non poteva essere altro che un luogo di puro fermento e spaccio di droga, dove le aule servivano solo da palcoscenico per le orge, tanto che tutti i frequentatori dell'università, quasi nessuno escluso, venivano bollati come grandi pervertiti il cui unico fine era quello di vita è quello di distruggere l'integrità morale della tradizionale famiglia brasiliana. Tutto questo, nonostante l'università continui ad essere frequentata in gran parte da quella borghesia molto arrabbiata che sicuramente non ha mai visto, negli atenei dove i suoi iscritti hanno sempre studiato, traccia di nessuno di questi deliri. Ma la realtà, in quel momento, era diventata anche un accessorio poco importante e persino indesiderato.
Il problema, del resto, è che, essendo l'università pubblica a produrre praticamente tutto il sapere d'avanguardia che circola nel Paese, la pandemia ha portato la situazione al limite dell'assurdo, in un momento in cui i cavalieri di la morte e l'ignoranza si sono sentite in dovere di gettare una volta per tutte nella spazzatura non solo le università, ma tutto il sapere scientifico che solo lì può essere prodotto, compresi, in questo caso, proprio gli ambiti di ricerca storicamente risparmiati e che lo stesso capitalismo ha voluto lasciare intatte (le aree delle scienze esatte, della salute, delle tecnologie, ecc.), in quanto sono quelle che continuano a guadagnare molti soldi.
Da un lato, sì, la pandemia è tornata utile al progetto di distruzione delle università, basato sul tradizionale pretesto della mancanza di budget (fronte di attacco numero 1) che ha cercato di coprire un po' lo slancio neofascista di quelli attualmente al potere (impegnato soprattutto ad attaccare il fronte numero 3). Tanto che ad agosto 2019, nel cuore della notte – e, non a caso, il problema se ne accorse solo all'inizio dell'anno successivo, quando il provvedimento entrò in vigore –, il MEC varò l'Ordinanza 1.469, che vietava, da gennaio 2020, illegalmente e incostituzionalmente, l'assunzione di qualsiasi dipendente da parte delle istituzioni educative federali.
L'argomento era quello di distruggere solo temporaneamente l'autonomia finanziaria delle università, mentre all'inizio dell'anno non è stata approvata la legge di bilancio; ma le bugie si sono accumulate e la cosa si è rivelata interminabile: una volta firmata la legge, il problema è diventato una questione di rispetto di certi limiti di bilancio; poi hanno inventato che le università dipendessero da un'autorizzazione di posti vacanti da parte del MEC; infine, quando avvenne il tanto atteso “rilascio” dei posti vacanti, la bomba cadde in grembo ai presidi: da quel momento in poi avrebbero potuto anche assumere, ma a patto che accettassero di correre il rischio di rispondere di un reato di responsabilità. Ad oggi, la maggior parte degli approvati non è certo ancora stata assunta. E io, che sono entrato in carica nel marzo 2020, sono qui solo per raccontare questa storia grazie al coraggio del rettore dell'UFPA, Emmanuel Tourinho, di affrontare questi attacchi assurdi.
Ma, tornando al discorso relativo alla pandemia, la verità è che, d'altra parte, essa ha finito anche per aprire in modo molto esplicito l'importanza delle università e mettere a nudo il nefasto progetto di società che intende annichilire ogni produzione di conoscenza attendibile. Oggi, qualcuno minimamente impegnato con i dati della realtà ha ancora dubbi sul fatto che l'unico risultato possibile di questo sforzo sia la brutale disuguaglianza, la morte e la distruzione?
Il problema dietro a tutto questo è che, cercando di distruggere una parte della società – “l'università di sinistra” o qualsiasi altra immagine stereotipata che si fa di chi lotta per un Paese migliore –, si apre la porta alla distruzione di un l'intera società. , più o meno come un cancro le cui metastasi si diffondono rapidamente, intensamente e in modo casuale. Questo è il rischio di intraprendere il fascismo con l'obiettivo apparentemente “strategico” di eliminare coloro che anche a me non piacciono, pensando che il fascismo possa essere controllato o mantenuto nell'ambiente ristretto che mi piace. Questo va completamente contro la logica distruttiva del fascismo, che è iniziare a eliminare tutto ciò che trovi lungo la strada, fino ad arrivare al punto di eliminare te stesso, quando non c'è più niente da distruggere.
L'immagine poetica di ciò, già molto diffusa, ce la offre magistralmente Brecht nella sua poesia “Bisogna agire”: le persone cominciarono ad essere “portate via”, una per una, ma l'io lirico no cura perché si sentiva al sicuro dal fatto che non era uno di loro, fino a quando arrivò il suo momento e non era rimasto nessuno che potesse prendersi cura di lui.
Oggi, con la negazione assoluta di ogni conoscenza scientifica da parte di chi ci governa – che si è rivelata sempre più solo un pretesto in più per guadagnare tanti soldi a costo della nostra vita –, una parte non trascurabile di medici, per citare un esempio scandaloso, coloro che si credevano totalmente immuni alla distruzione fascista, si sentono probabilmente, nel caso di coloro che rimangono ancora legati all'essenza scientifica della loro professione, come l'io lirico di Brecht.
Così si sente anche l'élite dei golpisti occasionalmente pentiti – certi settori dei media, del mercato, i tradizionali partiti di destra –, che hanno intrapreso il bolsonarismo in modo “strategico” per distruggere una volta per tutte la sinistra e appropriarsi dei beni pubblici all. , ma finì per essere investito a metà e gettato nello stesso pacchetto dei "di sinistra" che odiano così tanto. Oggi, se non difendiamo la barbarie, non c'è verso, siamo tutti “comunisti”, in questo Brasile in trance dove ci stanno solo due tipi di persone: quelli che collaborano con il regime (anche se da sopra il muro) e quelli che gli resistono e lo combattono.
In mezzo a tutta questa catastrofe sociale, politica, economica, di civiltà e sanitaria, sono l'università pubblica brasiliana e gli istituti di ricerca (anche pubblici) che, in larga misura, nonostante tutti gli attacchi, sono riusciti a tenere la "barra". di questa tragedia che purtroppo potrebbe essere molto più grande, così come potrebbe essere molto più piccola se le università e le altre istituzioni funzionassero come dovrebbero funzionare.
Il ritorno sociale, politico, economico, tecnologico e di civiltà che le università danno alla società brasiliana è incalcolabile, ed è per questo che, oggi più che mai, dobbiamo preservarlo e difenderlo fino alle ultime conseguenze, ma sempre con tutte le cure affinché non cadiamo in un'altra trappola di truffatori"leggera”, difensori del fronte d'attacco numero 1, che sono in gran parte responsabili di trovarci in questo buco apparentemente senza fine.
Pertanto, per difendere questo patrimonio che rappresenta uno dei principali pilastri della democrazia nel nostro Paese – cosa che la lotta alla pandemia dimostra molto bene – non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che, se non è possibile ricostruire la democrazia senza mettendo l'università al suo posto, questo processo non potrà mai essere condotto dalla seconda via della destra – sotto lo pseudonimo di “terza via” o “centro” –, la cui unica differenza rispetto ai fascisti è il fatto di usare più “discreto” e di presentarsi in un outfit più “profumato”.
* Thiago R.Rocha è giornalista e professore a Facoltà di lingue straniere moderne (Falem) presso l'UFPA.