Le lampade giapponesi della Liberty

Immagine: Thamires Costa
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da ANTÔNIO SEVERIANO*

Le lampade non sono equivalenti simbolici della violenza colonizzatrice materializzata nella rappresentazione del bandeirante Borba Gato

In tempi di egemonia della visione liberale unilaterale, qualsiasi prospettiva universalista nel campo di lotta dei popoli di tutto il mondo rimane minata. È stata questa concezione che ha sedimentato la costruzione delle politiche socialiste e comuniste negli ultimi secoli, dall’organizzazione attorno al lavoro in Europa e nelle Americhe alle lotte di liberazione coloniale in Asia, in Oriente e nel continente africano.

Questa solidarietà fu di fondamentale importanza per le vittorie ottenute nelle loro organizzazioni e nelle esplosioni popolari. Conosciamo bene la storia dello scenario internazionale delle guerre di liberazione delle ex colonie che sfociarono in rivolte popolari con l'aiuto di militanti, intellettuali e organizzazioni di massa di altri continenti. Questo, per non parlare della partecipazione attiva di militanti stranieri nel territorio devastato dal conflitto.

Le direzioni intraprese dai movimenti sociali negli ultimi decenni seguono paradigmi diversi da quelli citati. Ne vediamo l’emergenza teorica e i suoi equivalenti pratici presi dalle correnti culturaliste nelle loro espressioni liberali, soprattutto nel campo della critica culturale egocentrica attorno alle identità regressive, che consideriamo qui come motori ed espressioni entusiastiche astoriche e, a volte, mistificate. . alla concezione della cultura.

In parole povere, possiamo dimostrare questa realtà nel campo della militanza liberale nera attraverso prodotti culturali come il recente Afropunk,[I] che aveva come motto la regalità africana (il contesto sociale, la temporalità storica, il ruolo dispotico di queste monarchie non sono importanti per loro) e un riferimento generale alle mitologie africane.

È importante sottolineare che artisti e intellettuali rinomati nel campo del movimento nero sono entusiasti di tali iniziative, considerandole come politiche di resistenza a ciò che intendono come discendenza nera. Varrebbe la pena discutere il carattere feticistico, mistificante e ideologico di tali posizioni individuali e di gruppo, molto più vicine alla politica e all’economia liberali attraverso la reificazione di questi tratti come merci.

In questo modo permangono differenze politiche e culturali tra africani e afrobrasiliani che affermano di essere discendenti diretti di questi senza applicare le necessarie mediazioni che esprimano qualsiasi collegamento di questo tipo con questo volontarismo originario. In mezzo a tutto questo dibattito, ciò che è di fondamentale importanza è osservare se queste pratiche dialogano e riflettono i bisogni delle persone periferiche (da un punto di vista relazionale e senza trascurare le differenze di ogni genere e la specificità del razzismo) in una prospettiva dialettica. tra il nero e il bianco. Crediamo che quelle pratiche politiche e culturali non riflettano la mentalità di questa popolazione.

Alla gente non interessano riparazioni storiche simboliche volontarie che sono disconnesse dalla loro realtà eterogenea. La periferia è quella che sa meglio che il razzismo è un problema non solo per i neri, ma anche per i vicini della comunità, per i fratelli nella Chiesa, per i fratelli adottivi, dal punto di vista della “miscela” di razza mista imposta su di loro. familiare e che rispecchia nella sua totalità l'ambiente circostante; in una parola, è un problema di fratellanza.

Qualcosa di diverso dalla posizione individualista con un background narcisistico alla ricerca di preminenza e rivendicazioni di appartenenza attraverso interpretazioni errate del significato di acculturazione e persino di colonizzazione in termini politici ed estetici – ricordiamo che l’estetica non è sempre politica.

Nel mese della Coscienza Nera, un'azione realizzata dalla città di San Paolo attraverso la provocazione delle rivendicazioni di settori del movimento nero ha sollevato un dibattito pubblico fondamentalmente intorno alla pratica di riparazione storica della memoria dei neri nel quartiere Liberdade. Lì fu richiesta la rimozione delle famose lampade giapponesi sparse per le vie centrali del quartiere di Rua dos Aflitos, a causa dell'esistenza della Capela dos Aflitos e dei resti del Cimitero ivi installato a metà del XVII secolo, destinato ai la sepoltura di persone schiavizzate ed emarginate.

Prima di proseguire con una breve analisi di quanto accaduto, è opportuno presentare “l’altra parte” coinvolta nella questione. L’immigrazione giapponese in Brasile all’inizio del XX secolo fu dovuta non tanto al volontariato da parte di questi immigrati quanto alla necessità di una fuga disperata per sopravvivere. Sfortunatamente per quei primi immigrati, qui trovarono miseria e sfruttamento organizzato delle pratiche di schiavitù da parte dell’élite di San Paolo del “quattordicesimo secolo”.

In effetti, non è mai troppo ricordare quei settori delle classi sociali di origine asiatica che qui sono cresciuti economicamente, condividendo in una certa misura uno status con settori più tradizionali dell’élite di San Paolo, la cui origine sociale viene da un miserabile Giappone. e un Brasile che li ha accolti sulla base dell’eredità violenta delle pratiche coloniali, inclusa la dimensione razziale (bisogna approfondire le ragioni del fenomeno dello sbiancamento proposto dalle élite del Paese e i suoi risultati altrettanto razzisti nei confronti dei popoli asiatici). Sarebbe tangenziale al testo, pur pertinente, affrontare il problema etnico discriminatorio che colpisce la popolazione cinese in Brasile.

Pali e totem

Il movimento per la riparazione storica guadagnerebbe molto nell’esprimere solidarietà se, nell’esempio concreto, potesse unire i suoi simboli non tanto in nome della memoria giapponese quanto come lezione politica di grandezza morale da parte del popolo nero rappresentato - sia detto – da parte di questi settori istituzionalizzati. Sarebbe, senza ombra di dubbio, un esempio di orgoglio e di demarcazione politica nella dimensione più ampia dell’unione attorno ad una memoria comune. Immagina metaforicamente che i bellissimi totem yoruba illuminati da tali lampade giapponesi siano un'espressione di unità, che è anche un sentimento da condividere tra le persone.

Dire che noi neri non dovremmo fare una cosa del genere, perché vedremmo cancellare ancora una volta la nostra cultura, è una posizione piena di risentimento; il suo superamento potrebbe avvenire proprio nei termini sopra indicati. Con assoluta certezza, una proposta come questa si ribellerebbe al movimento forgiato dalle teorie post-strutturaliste e culturaliste lungo le linee già menzionate. Acculturazione, cancellazione, memoria sarebbero alcuni dei concetti che mobilitano discorsi opposti, che certamente indicherebbero la dimensione colonizzatrice attraverso una semiotica presente nell’immagine della simbiosi tra quei simboli.

Indubbiamente emergerebbero anche dichiarazioni che metterebbero in luce l’immensa differenza tra la storia di sofferenza e la realtà attuale dei neri rispetto agli altri popoli portati qui, differenze reali da considerare inequivocabilmente. Non si tratta però di gradazioni di sfruttamento e di violenza, ma di principi di solidarietà e di costruzione di legami di unione e appartenenza alternativi alla legge astratta dell’ideologia dell’Unità Nazionale.[Ii]

Non siamo interessati ai poli, all’estetica e alle loro rappresentazioni, ma alla politica che guida tali azioni di riparazione e memoria. Senza un vero dialogo con la popolazione, senza la sensibilità e la rinuncia a concezioni colonizzatrici precostituite, a volte contraddittorie, restiamo molto lontani dalla costruzione di una politica universalista di unione tra i popoli sfruttati e le vittime di ogni tipo di discriminazione la nostra storia.

Senza dubbio, queste lampade non sono equivalenti simbolici della violenza colonizzatrice materializzata nella rappresentazione del bandeirante Borba Gato.[Iii] Ecco un punto chiave: rimuoviamo solo i simboli dai nemici. Tutto ciò per dire che il percorso verso la costruzione di una solidarietà politica tra le persone della diaspora passa anche attraverso il problema della rappresentanza, in ultima analisi istituzionalizzata attraverso le loro rappresentanze in atteggiamenti che rafforzano la stessa logica di disaggregazione forgiata dal sistema capitalista.

Antonio Severiano è BAcharel, legale e funzionario pubblico nello stato di Pernambuco.

note:


[I] https://www.uol.com.br/toca/noticias/2024/10/21/palcos-do-afropunk-bahia-terao-realezas-africanas-como-tema.htm

[Ii] In parole povere, un’ideologia forgiata nella costruzione del nostro repubblicanesimo e che è servita a rafforzare i rapporti di potere e di superiorità tra le élite e il popolo.

[Iii] Visualizza su: https://brasil.elpais.com/brasil/2021-07-24/estatua-do-borba-gato-simbolo-da-escravidao-em-sao-paulo-e-incendiada-por-ativistas.html


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