da GABRIELE COHN*
Commento al libro tributo al militante e teorico marxista
Parlando del suo vecchio amico Michael Löwy, nel libro a lui dedicato, Roberto Schwarz sottolinea, in un passaggio particolarmente espressivo della sua bella testimonianza, il singolare connubio che fin da giovane segnò la condotta di vita del “grande uomo”, come scherza: “un assetto insolito, in cui dovere, fantasia e rivoluzione sembrano stranamente non opporsi, ma collaborare”. Con ciò, offre il motto per leggere questa serie di saggi, in cui colleghi e amici si riuniscono per esaminare, con simpatia critica, una traiettoria davvero unica. brasiliano-europeo, surrealista-socialista, romantico-rivoluzionario, disciplinato-libertario, ateo-religioso; l'elenco dei contrasti potrebbe continuare a lungo – purché non si perda mai di vista il fatto che i termini contrastanti devono sempre comparire insieme, e inscindibilmente, in un'alchimia il cui segreto Michael sembra essere l'unico detentore.
Ho parlato di alchimia, e questo mi porta dritto al termine che molti dei collaboratori del libro identificano come quello che meglio esprime l'orientamento del pensiero di Michael quando lascia spazio alla sua infaticabile curiosità socio-politica-storico-culturale ( che ha già prodotto decine di libri e innumerevoli articoli, la maggior parte tradotti in 25 lingue – niente male, per uno che di certo disprezza il discorso della “produttività”): l'idea delle “affinità elettive”.
Tralasciando le fonti di questa idea nel pensiero di Löwy (nella sua mente la cosa va certamente al di là di Max Weber), vale la pena notare che il carattere fine e duttile della nozione di affinità elettive (quando permette di sfuggire all'instaurarsi di lega rigide linee causali, a favore dell'attenzione alle reciproche risonanze tra orientamenti di pensiero e comportamenti che seguono un proprio percorso) non poteva non affascinare un autore sempre alla ricerca delle forme più sottili e comprensive (nel senso di stabilire relazioni tra complessi di significati e non punto a punto) all'interno della società.
Quale società? Il brasiliano? Questa o quella entità europea? L'americano, in senso lato? La risposta è: ognuno nel suo momento, come rappresentante di qualcosa che lo trascende e che si proietta all'orizzonte come possibilità incompiuta da evocare sempre come tale: la vera società, la libera associazione di uomini e donne liberi. Utopia, dunque, come indica già il titolo del libro, che gioca con questo contrappunto di particolarità e universalizzazione possibile quando si parla delle “utopie di Michael Löwy”. Ma questo paradosso ambulante non guarda solo l'orizzonte, con la posa di Platone nel quadro di Raffaello. Se occupasse un piccolo posto in quel dipinto (e se fosse stato a Roma in quel momento, avrebbe potuto essere trovato nello studio del pittore, a intervistarlo), probabilmente Michele starebbe guardando con occhio sprezzante gli atteggiamenti di Platone, e anche di Aristotele, così rigidamente opposto.
La complessa tipologia di personaggi sviluppatasi nei ghetti ebraici dell'Europa centro-orientale comprende una figura, quella del uomo dell'aria, quella creatura che fluttua nell'aria, nell'atmosfera rarefatta delle sue idee e fantasie, utopiche forse. Se fosse possibile costruire un uomo dell'aria con i piedi ben piantati sul terreno della storia presente, ci avvicineremmo alla somiglianza di Michael Löwy, quell'ateo cosmopolita impregnato fino al midollo del meglio che l'ebraismo ha offerto al mondo.
Ma, in fondo, cosa fa quest'uomo oltre a tessere utopie con i fili del suo “marxismo insubordinato” (come dice anche il titolo del libro)? In primo luogo, non iniziò, contrariamente a quanto potrebbe suggerire il suo lavoro successivo, lungo il percorso di una trattazione sofisticata dei temi della sociologia della conoscenza (che include l'analisi dei movimenti culturali e politici), ma con un articolo, una miscela caratteristica di modestia e audacia. , at Rivista Brasiliana di Caio Prado Júnior, sull'ideologia dei dirigenti sindacali.
C'è il suo primo lavoro sul campo, svolto da un militante impegnato, forse ispirato dal suo contatto con il sociologo Azis Simão, un pioniere della zona. Prima di allora, aveva già dato prova dell'attenzione del vero militante alle varie dimensioni delle lotte sociali che lo circondavano, essendo uno di coloro che più fortemente incoraggiarono Florestan Fernandes a impegnarsi in quella che finì per segnare la traiettoria del maestro: la grande campagna in difesa del pubblico scolastico, minacciato dalle forze retrograde che Paulo Duarte combatteva anche sulla rivista anhembi.
Tutto ciò ha certamente contribuito a questa miscela unica di ricercatore esigente (del resto, dai grandi autori del Novecento ai semplici cittadini, nessuno sa quanti ne abbia già intervistati, né quante biblioteche e archivi abbia visitato per insolite e compiti ingegnosi, come il riesame delle fonti di Max. Weber nell'elaborazione della sua opera su etica religiosa e capitalismo) con il volo dell'immaginazione e l'approfondimento teorico al momento opportuno.
Attraverso i diciannove testi del libro, inclusa la prefazione di Leonardo Boff, viene rivelata la diversità del lavoro di Löwy. In essi si discute dai dilemmi della condizione sociale dell'intellettuale al rapporto di Michael con grandi figure del marxismo europeo, come fa Olgária Matos nel caso di Walter Benjamin e Maria Elisa Cevasco nell'interlocutore di Raymond Williams di Löwy – tra l'altro , Marcelo Ridenti ricorda di non essersi mai soffermato sui pensatori brasiliani e poco su quelli latinoamericani, e collega questo alla conquista di una posizione accademica di rilievo in Francia, sfuggendo alla condizione subalterna di specialista in cose esotiche –, passando per la sua presenza in Brasile Marxismo e America Latina e per l'attenzione ai nuovi rapporti che si sono instaurati nel corso del secolo tra movimenti rivoluzionari e movimenti religiosi. Sarebbe inutile anche suggerire un'esposizione di tutti questi contributi. È meglio raccogliere qua e là alcuni temi, che permettano di illustrarne la diversità e la ricchezza.
Nell'esaminare la questione dell'inserimento sociale degli intellettuali, Wolfgang Leo Maar, che in questo gruppo ben rappresenta la posizione marxista più severa sebbene flessibile al momento opportuno, utilizza in passaggi centrali della sua argomentazione il concetto di possibilità oggettiva, ripreso da Löwy nella stirpe di Weber -Lukacs-Goldmann e che svolge nel suo pensiero un ruolo forse complementare a quello delle affinità elettive. Lo stesso concetto è presente in diversi altri saggi, a testimonianza della sua importanza, come accade quando Alfredo Bosi lo utilizza proprio per ricostruire il tema della Teologia della liberazione e situare il dialogo di Michele con esso. È come se, nel suo insieme, puntasse a una robusta concezione dell'utopia, che coinvolge l'intricato gioco tra quei due concetti e, così facendo, dà contenuto anche all'idea altrettanto centrale di critica – non una critica qualunque , ma il rivoluzionario, che dimostra i limiti dello stato di cose prevalente per cambiarlo.
È chiaro che il problema della realizzazione storica del socialismo permea in una certa misura l'insieme dei testi. Soprattutto, come ci si aspetterebbe, nel saggio di Isabel Loureiro sulla grande eroina di Michael, Rosa Luxemburgo (suo riferimento fin dai tempi della Lega Socialista Indipendente, con Hermínio Sacchetta). In questo contesto emerge un altro tema a lui caro, quello dell'alternativa storica socialismo o barbarie. Sebbene questa interpretazione non si ritrovi in questi termini in Isabel, credo sia plausibile affermare che, per Rosa, l'imminenza da lei intesa come inesorabile della crisi finale del capitalismo non significava (contrariamente a chi vede in lei mera “economismo”) la soluzione senza più che il problema storico posto dalla reale possibilità della barbarie.
È importante qui che sia proprio la crisi del capitalismo senza una soluzione socialista che costituisce la barbarie – e che proprio per questo diventa imperativa la costruzione immediata di un'alternativa socialista rivoluzionaria. Ma, fa notare Isabel, nella sua fase attuale il capitalismo, pur non essendo in crisi aperta, secerne barbarie da tutti i pori. Michael non è disattento a questo, come dimostrano le sue ripetute e differenziate incursioni nella ricerca delle possibilità contemporanee di costituire forme di società non capitaliste, compresa la sua posizione sul problema ambientale planetario. Diversi contributi del libro alludono, da diverse angolazioni, a questa ricerca di modalità contemporanee per dare un contenuto concreto al confronto con il capitalismo.
Ricorrendo a una metafora usata da Michael con riferimento alla situazione del pittore – che si vede più ampia dal punto di vista più alto, e che, storicamente, il punto più alto è quello del proletariato – Flávio Aguiar gli rende elegante omaggio, sottolineando il pittore più del gazebo (che accoglie anche i miopi). Afferma che “Löwy ha percepito e accolto, nel suo pensiero, la forza innovativa di questo incontro tra una teologia liberata dai suoi vincoli opprimenti (...) e le strade aperte dalle nuove strade percorse dal pensiero libertario, rivoluzionario o trasformativo (. ..). Solo i grandi pittori sono capaci di intuizioni tanto fertili quanto belle”. La scelta sicura del punto di vista, il rigore nel bersaglio, l'intuizione feconda e bella. Ecco un bel ritratto di Michael Löwy.
* Gabriel Cohn è professore emerito presso FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Weber, Francoforte (Argento vivo).
Originariamente pubblicato sulla rivista Studi Avanzati, v. 22, n.o. 62, gennaio-aprile 2008.
Riferimento
Ivana Jinkings e João Alexandre Pechanski (org.). Le utopie di Michael Löwy. Riflessioni su un marxista insubordinato. San Paolo, Boitempo, 2007.