Aura ed estetica della guerra in Walter Benjamin

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da FERNÌ PESSOA RAMOS*

L'"estetica della guerra" di Benjamin non è solo una cupa diagnosi del fascismo, ma uno specchio inquietante della nostra epoca, dove la riproducibilità tecnica della violenza è normalizzata nei flussi digitali. Se un tempo l'aura emanava dalla distanza del sacro, oggi sfuma nell'istantaneità dello spettacolo bellico, dove la contemplazione della distruzione si confonde con il consumo.

1.

Per Walter Benjamin si possono individuare tre fasi nella composizione dell’aura, quando il suo pensiero si avvicina al sequenzialismo tipico dello storicismo del materialismo dialettico.[I]

Essi corrispondono, in primo luogo, all'aura come emanazione della cosa o dell'essere nell'arte mitologica o religiosa; poi, all'aura del periodo borghese, alla bella apparenza in cui l'arte si libera dalla rappresentazione della divinità e del rito, chiudendo su di sé l'alone della presenza estetica nella distanza che apporta l'unità dell'involucro; e al terzo momento, quando la questione dell'arte di massa occupa il proscenio dell'aura, diluendo l'emanazione della cosa nel dispositivo tecnico della riproducibilità, presto ripreso dalla merce.

È in quest’ultima fase che avviene l’appassimento dell’esperienza e lo sfilacciamento dell’aura, attraverso il “disincanto” che tanto affascina il pensiero contemporaneo.

In generale, le analisi più semplici della riproducibilità tecnologica dell'immagine in Walter Benjamin tendono a concentrarsi su quest'ultimo aspetto (come rarefazione offerta dal nuovo medium), tralasciando l'intensità di ciò che rende l'immanenza nella figurazione dell'inquadratura del mondo un'istanza che tende positivamente l'aura.

Tensione che afferma l'oscillazione della figura attraverso la virtualità insita, ad esempio, nell'intensità ancorata alla moltiplicazione dell'immagine di morte e distruzione, così come si costituisce nella continua accelerazione della riproducibilità delle nuove tecnologie digitali. In realtà, nella visione di Benjamin, l'oggetto artistico raggiunge ciò che nelle masse chiede consolazione.

Emergono alienati dalla precedente prossimità, persi nella reificazione dell'aura, precedentemente incastonati nella vuota bellezza dell'apparenza. Il godimento della penetrazione, attraverso la modalità estetica, nell'involucro dell'unità trascendentale dell'essere, è meramente un feticcio.

Nella terza fase della dialettica materialistica (quella dell'aura sfilacciata dalla merce), il concetto di Jogo descrive la modalità di godimento appropriata all'esperienza dello shock e del godimento disattento.

Questo godimento è qualcosa che lo spessore dell'aura perduta nega, sebbene nella sua modalità povera di godimento-gioco, o modalità reificata, possa essere positivamente esaltato nell'arte d'avanguardia (Walter Benjamin analizza i surrealisti in questa luce, ad esempio). C'è un movimento di attrazione e repulsione nell'aura che deriva dalla sua espulsione dall'universo sociale delle masse.

Ciò include sia la funzione diretta nella realizzazione del valore attraverso il feticcio della merce (carattere negativo) sia l'impossibilità dell'aura nell'esperienza fugace del gioco e dello shock (carattere affermativo), archetipo del godimento estetico innovativo. L'arte di massa ignora, o è indifferente, all'unicità che l'aura trasuda, se non nella critica della sua ricreazione come feticcio.

2.

La nuova arte di massa, quindi, porta con sé elementi dislocati e incentrati su questioni classiche dell'estetica (come l'emergere della somiglianza e la fenomenologia della bellezza), oppure declina nel recupero dell'imitazione, altro tema ricorrente che oggi tocca un'opera d'arte la cui perduta originalità è la misura del suo status di riproduzione.

La questione del gioco come componente artistica si pone anche nello spazio dell'"indebolimento tecnologico", un concetto centrale nella filosofia di Walter Benjamin. Il godimento di un'opera d'arte da parte delle masse attraverso gli affetti del gioco, in contrapposizione alla contemplazione (e quindi all'assorbimento nell'aura), può apparire negativamente come una reificazione impoverente dell'esperienza finalizzata alla realizzazione di valore.

C'è però anche il lato positivo dell'elemento ludico del corpo, che può essere attivamente utilizzato nell'avanguardia, rompendo con le esigenze dell'estetica romantica (Walter Benjamin è in polemica con i colleghi della futura Scuola di Francoforte su questa positività del godimento della luce).

La determinazione negativa è insita nel gioco, e ne determina gli affetti dominanti nel gioco infantile, come nel videogioco attuale, ad esempio, o nella suspense del montaggio parallelo – nucleo centrale del linguaggio cinematografico classico. Si manifesta nel modo di rinviare un piacere che si innesca nel godimento del rischio imminente, immediatamente compensato, o meno, nella sua risoluzione.

La serie sospesa in parallelismi simultanei, tipica dell'angoscia dell'indeterminatezza temporale, si esalta come piacere mimetico, corrispondendo così in prossimità agli affetti del gioco. Quando l'opera d'arte inizia a gravitare più fortemente attorno a questo affetto, provoca critica e straniamento.

Walter Benjamin tentenna su questo punto, recuperando il gioco del corpo come godimento peculiare dell'arte moderna, ma lo dimentica presto e fa apparire all'orizzonte il sole della reificazione e gli affetti catturati dallo spettacolo fascista si inseriscono lì, in procedure di esaltazione.

Il meccanismo affettivo del gioco attorno all'ansia è tipico delle controversie sportive (emergenti ai suoi tempi) o degli strumenti di scommesse e aste (che Walter Benjamin amava frequentare), ma è centrale anche nella strutturazione della narrazione cinematografica classica, dalle origini ai giorni nostri.

Il montaggio parallelo (il 'frattanto' del modo cinematografico) è forse la principale composizione narrativa sviluppata dalla storia del cinema, essendo peculiare di quest'arte [anche se non esclusiva, come già notava Sergej Ejzenštejn in Dickens, Griffith e noi (Eisenstein, 1990)]. Il montaggio parallelo ha il suo effetto caratteristico nella sospensione di un piacere rimandato dall'angoscia, strutturato nella simultaneità della conseguenza narrativa.

In tal modo, espande, in ripetuta simultaneità, l'indeterminatezza dell'azione per ottenere l'effetto catartico della ricompensa finale della risoluzione attraverso l'incontro, o il riconoscimento. La questione del gioco appare criticamente in diversi scritti della generazione di Walter Benjamin, sebbene occasionalmente si apra, come abbiamo accennato, ai suoi effetti positivi nell'arte d'avanguardia moderna.

Troviamo un certo scandalo nell'espansione, nell'arte di massa, dello spazio che comincia ad avere questo tipo di sottile piacere mimetico, in contrapposizione al godimento più ricco di un dipinto o di un ascolto musicale attento.

3.

L'ultima tesi di L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (il saggio è strutturato in tesi, o capitoli), è intitolato, nella prima versione del testo, "Estetica della guerra" (Benjamin, 2013: 128). In esso, Walter Benjamin radicalizza fino all'estremo la sua visione della manipolazione dell'aura da parte della cultura di massa del fascismo.

È il punto di convergenza in cui il feticcio dell'aura estinta e il godimento disattento (quando catturato dai meccanismi dell'esaltazione collettiva) si sovrappongono. Si crea un asse compensatorio per la vita alienata che si inserisce nell'assorbimento sociale ("snervamento") della tecnologia capitalista sostituita dall'opera d'arte. L'effetto della trance fascista emerge come esempio.

Con l'inasprirsi del quadro politico durante gli anni Trenta, la spettacolarizzazione della politica divenne un elemento centrale nella composizione che Walter Benjamin definì "estetica della guerra" o, più precisamente, "apoteosi della guerra nel fascismo" (Benjamin, 1930: 2013), approfondendo la sua analisi in questa direzione: "Tutti gli sforzi di estetizzare la politica culminano in un punto. Quel punto è la guerra" (Benjamin, 97: 2013).

Dopo aver citato ampiamente il manifesto del futurista fascista italiano Filippo Marinetti, che invoca un'estetica in cui "la guerra è bella" ("questo manifesto ha il vantaggio della chiarezza", ci dice Walter Benjamin con amara ironia - il termine "estetica della guerra" viene da Marinetti), Walter Benjamin sembra ritirarsi, nella sua tesi, in un punto oscuro.

In esso, la guerra emerge come la forma ultima di liberazione tecnologica attraverso lo sterminio, una valvola di sfogo per relazioni sociali retrograde di fronte a forze produttive sempre più avanzate, istituite dal capitale per liberare valore. Con l'evoluzione tecnologica delle forze produttive bloccata dalla "distribuzione della proprietà", la guerra funge da via di fuga dalla pressione per la "liberazione innaturale di queste forze" (Benjamin, 2013: 98).

Il fatto che la guerra sia stata una valvola di sfogo per questa epidemia “dimostra” che “la società non era abbastanza matura per trasformare la tecnologia nel suo organo” (“per indebolirla”) (Benjamin, 2013: 98).

Si tratta di un'analisi che lascia tracce anche nell'ultimo testo di Benjamin, Sul concetto di storia, scritto nei primi anni Quaranta, sotto l'influenza reale (e non solo allegorica) di una maschera antigas appesa al muro del suo appartamento (un oggetto, a quanto pare, non raro a Parigi all'epoca). Walter Benjamin scrive che la maschera nella sua stanza appariva come "un inquietante doppio di quei teschi con cui i monaci eruditi decoravano la loro cella" (Eiland; Jennings, 1940: 2014).

Organo specifico della tecnologia della morte, o da essa derivato, la maschera antigas mostra l'organicità della tecnologia della morte per il valore, nella trasformazione di quella che egli chiama la "seconda tecnica", ora operante sulla natura con la fine della morte. La sua forma sociale è quella dell'emergere degli affetti nella modalità di esaltata sottomissione del fascismo, ora necessaria per trasformare il valore in strumento di armamento.

Lo sviluppo tecnologico appare distorto, incurante, o addirittura esigente, dell'eliminazione del corpo-vita nelle nuove tecnologie della morte che aderiscono in modo impeccabile al circuito delle merci.

4.

Secondo Walter Benjamin, c'è un punto cieco nell'"illuminazione" profana che pervade l'aura. A essa si sovrappongono strati della nuova indebolimento tecnologico del mondo moderno. Questo indebolimento, quando si esercita nell'incontro con la tecnologia della modernità, è chiamato "seconda tecnologia".

La prima tecnologia nasce dall'incontro diretto della tecnica con la natura, per plasmarla in risultati pragmatici. Walter Benjamin definisce la prima tecnologia all'interno del piano dell'apparenza rituale, guidata dal "sacrilegio una volta per tutte" o "irreparabile" (Benjamin, 2013: 65).

Si riferisce all'azione che dilata l'istante attraverso la tecnica, ancora bloccata nel flusso della durata, e che interagisce con il divenire della natura in un'interferenza tecnologica funzionale di primo grado. La seconda tecnologia estrapola questa istanza attraverso la dimensione del gioco e la possibilità di ripetizione infinita della prova, stabilendo ciò che viene sinteticamente definito come "una volta non è mai" o "procedure di prova" (Benjamin, 2013: 65).

La manipolazione della nuova individuazione – un modo di esistere, attraverso l'esperienza, in nuovi oggetti tecnologici (come l'immagine-telecamera e il suo apparato meccanico) – consente il progressivo distacco della seconda tecnologia dalla natura. Questo distacco si inaugura nella radicale indeterminatezza dell'agenzia nel gioco e nella successione casuale della prova, liberata dal vincolo del corso e della circostanza nella necessità.

L'idea delle due tecnologie (prima e seconda) è forte e mantiene legami con i testi giovanili sul ruolo del linguaggio come Del linguaggio in generale e del linguaggio dell'uomo (Benjamin, 2011), anche se nelle formulazioni della maturità si avverte il dialogo più incalzante con il materialismo dialettico.

Anche la seconda tecnologia appare in una formulazione che la collega alla rivoluzione socialista, fondando la libertà non reificata del lavoro su quella che chiama, derivandone, una “seconda natura” liberata.

Al centro si colloca la questione della riproducibilità tecnica, concetto che comprende l’asse principale degli sviluppi in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. È la riproduzione meccanica moltiplicata dalla seconda tecnologia che tende il cinema verso l'esperienza rarefatta e il godimento disattento che L'opera d'arte descrive.

5.

L'“autoalienazione” dell'umanità raggiunge il suo grado estremo nell'“Estetica della guerra” e Walter Benjamin la vivrà con maggiore prossimità, subendone gli effetti sulla propria pelle. Estrapolata verso la morte, la mediazione della seconda tecnologia acquisisce il potere di permeare la società in tutti i suoi pori, compresi quelli in cui il genio mimetico si snerva come una sorta di Leviatano onnipresente.

Così nasce l'oggetto centrale del saggio nella mimesi, ovvero nella scena dell'inquadratura della modalità filmica. L'opera d'arteWalter Benjamin si accorge con sorpresa che «diventa possibile sperimentare il proprio annientamento come un godimento estetico di prim’ordine» (Benjamin, 2013: 99), nell’intensità originaria della ripresa moltiplicata e ora macabramente goduta.

Il piacere estetico nella contemplazione della morte e dell'autoannientamento (Benjamin lo paragona, malinconicamente, al piacere nella contemplazione dell'umanità da parte degli dei dell'Olimpo) è una frase premonitrice che, dall'inverno del 1940, si avvicina alla nostra contemporaneità, apparentemente anche senza il timore della barbarie della morte e della guerra totale.

La necropolitica come derivazione estrema della biopolitica foucaultiana (Mbembe, 2018) si ritrova oggi, per così dire, tecnologicamente snervata nei circuiti della macchina-telecamera dello scatto che proliferano sui social network, sprigionando, nell'emergere del dispositivo reflex delle telecamere moltiplicate, effetti simili allo spettacolo fascista, solo ormai su scala planetaria.

Nel nostro tempo, o epoca (l’“epoca della riproducibilità tecnologica”), troviamo la ripercussione di questa denigrata auto-contemplazione dell’umanità, permeata dall’orrore dell’armamento moltiplicato e dello sterminio umano e materiale, che sembra essere naturale alla pianificazione nella realizzazione del valore (come il regista tedesco Harum Farocki presenta prescientemente nel documentario Immagini del mondo e iscrizioni di guerra/ 1987).

L'ormai onnipresente rappresentazione sonora-visiva del meccanismo-telecamera, nella sua riproducibilità illimitata sui social network, costituisce questa serie. Le inquadrature emergono cariche di una vera e propria estetica di annientamento da parte della guerra, ormai comune o "qualunque". Sono cariche di indifferenza o esaltazione da parte di affetti di massa, aggregati come modalità di individuazione nella riproduzione tecnologica del meccanismo "nervoso" in ogni corpo, in ogni mano e attraverso le reti.

L'aura snervata dall'individuazione tecnologica è soggetta all'esperienza dell'"insorgenza della tecnica che esige in materiale umano" ciò che le è stato negato dal percorso dello sviluppo sociale. Ed è qui che Walter Benjamin individua, con una delle sue frasi taglienti, l'ultimo baluardo dell'aura estinta nel mondo della riproducibilità tecnologica dell'immagine-macchina fotografica: "e nella guerra chimica, essa (la guerra imperialista) ha un nuovo mezzo per estirpare l'aura" (Benjamin, 2013: 99).

Qual è il significato dell'ultima tesi di L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica quando indica la tecnologia bellica come la merce definitiva che estirpa l'aura? Oltre a illustrare la svolta definitiva del suo pensiero di fronte all'orrore fascista, questi improvvisi salti nel metodo di Benjamin, con cui condensa le formulazioni in figure allegoriche, sono come fulmini costanti in un cielo azzurro cangiante (il saturnino, lungo Benjamin, ora, nel 1940, deve guardare in alto). Essi presentano, insieme all'estinzione dell'aura, la radicalizzazione dell'idea di reificazione che cessa di ruotare attorno al lavoro per la vita, perché ora è guerra, e si realizza in questo scena d'avanguardia della necropolitica. È il valore della morte nel tipo più ignobile di divisione sociale del lavoro, quello dello sterminio mediante apparati chimico-tecnologici.

Esponente della realizzazione del valore attraverso la riproducibilità della merce, la guerra imperialista compone, per Walter Benjamin, uno scenario in cui l’aura (la sua amata aura) viene definitivamente spenta e descritta attraverso un termine sovradeterminato come “estirpare”.

Non più la fine della bella apparenza romantica spostata verso il valore (secondo stadio 'borghese' dell'aura); non più lo svuotamento delle emanazioni delle icone e dei miti delle origini; non più l'aura della "meraviglia", così benjaminiana, con la micrologia delle cose nell'inconscio ottico; né il godimento disattento del gioco come merce culturale; ma, ora, un'aura perforata, che fa scoppiare una volta per tutte, attraverso il valore della morte, l'involucro del suo involucro di cosa in sé immanente.

È una sorta di punto fermo nelle oscillazioni che attraversano l'opera di Walter Benjamin (Hansen, 2008), come attrazione e repulsione attorno alla nozione di aura. Da lì (dalla morte) essa, l'aura, non torna più, nemmeno al piacere dell'autoannientamento, perché è già, fin d'ora, attraversata dalla miscela dell'arma chimica che l'ha dissolta, dalla vita.

Qui l'emanazione auratica della prossimità attraverso la distanza non può più ancorarsi al limite della vecchia separazione attraverso la quale credeva ancora di potersi lanciare. fuori città dell'arte. Essa finisce per soccombere alla propria alterità, assoluta perché non più raggiungibile viva.

6.

Potendo agire attraverso la terra bruciata, il capitale nella sua nuova svolta qualitativa di massima accelerazione liberata senza freni, si conforma a ciò che è stato chiamato Brutalismo (Mbembe, 2021). In questa forma, l'estrema unzione, applicata naturalmente al cadavere, risponde sicuramente alla logica del valore.

Progetti immobiliari costruiti su campi di sterminio, città fantasma completamente distrutte dalle rovine, strade di macerie e cemento contorto, scheletri di edifici a Gaza, Iraq, Siria, Ucraina, stanno diffondendo sul web una nuova immagine della tipologia di macchina fotografica reflex.

L'accumulo sfrenato di rifiuti di cemento e ferro, la moltiplicazione dei rifiuti ambientali, dei detriti chimici, delle sostanze plastiche che ricoprono gli oceani, sono incongruenze nella proliferazione tecnologica dell'abbondanza a questo ritmo frenetico, sostituita dalla necessità determinata da un modo di produzione comunitario e distributivo.

Il piacere, o l'indifferenza, per la distruzione provocata dalla guerra si inserisce come una richiesta di rinnovamento della merce che si accumula rapidamente come spazzatura. La trasformazione in valore sembra ancora richiedere corpi viventi, ma, proliferando attraverso l'imitazione virtuale, diventano sempre più superflui. La novità è la possibilità di generare valore lungo le linee dell'esperienza della morte e il fatto che questa posizione sia la più produttiva per la nuova biopolitica.

A "noncuranza“Il modo in cui l’estrema destra e altri settori della società affrontano la banalizzazione della morte e della distruzione nelle guerre del XXI secolo (o nella pandemia), mostra chiaramente l’orizzonte del valore nelle forme del capitalismo avanzato o nelle sue derivazioni oligarchiche.

Alla fine della sua vita, quando scrisse l'Estetica della guerra come sua tesi finale, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter Benjamin prevede il respiro caldo di quello che sarebbe stato il pavimento della fabbrica nelle catene di montaggio industriali allestite attorno ai campi di concentramento nazisti. Oggi, la Palestina, e in particolare il territorio di Gaza, serve da base, da tipo, per l'emergere di questi territori chiusi in cui la morte e la fucilazione di esseri umani (ricordi di Bacurau/2019) vengono rilasciati.

Emerge (con un pizzico di ironia storica) un nuovo tipo di campo di sterminio, che serve la ragione del valore nella modalità dell'annientamento, attraverso cui la riproduzione delle merci stabilisce il suo attuale stadio tecnologico.

*Fernao Pessoa Ramos è professore ordinario presso l'Istituto d'Arte dell'UNICAMP. Autore, tra gli altri libri, di La Fotocamera (Papiro). [https://amzn.to/43yKnWf]

Riferimenti


Benjamin, Walter. (2011). Del linguaggio in generale e del linguaggio dell'uomo.In: Scritti sul mito e il linguaggio (1915-1921). Organizzazione: Gagnebin, Jeanne Marie. Traduzione: Susana Kampff Lages e Ernani Chaves. New York: Routledge.

 Benjamin, Walter. (2013). L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Traduzione: Gabriel Valladão Silva. Organizzazione, prefazione e note: Seligmann-Silva, Márcio. Porto Alegre: L&PM.

Eiland, Howard; Jennings, Michael W. (2014). Walter Benjamin: una vita critica. Cambridge: Harvard University Press.

Eisenstein, Sergei. (1990). Dickens, Griffith e noi. In: La forma del film. Traduzione Teresa Ottoni. Rio de Janeiro: Zahar.

Hansen, Miriam Bratu. (2008). L'aura di Benjamin. Indagine critica, v. 34, n. 2, pagg. 336-375.

Mbembe, Achille. (2018). Necropolitica: biopotere, sovranità, stato di eccezione, politica della morte. Traduzione: Renata Santini. New York: N-1 Editions.

Mbembe, Achille. (2021). Brutalismo. Traduzione di Sebastian Nascimento. New York: N-1 Editions.

Nota


[I] Questo articolo può essere letto come continuazione di “Walter Benjamin e la cosmologia di Blanqui”, pubblicato sul sito web La Terra è rotonda. Disponibile all’indirizzo https://aterraeredonda.com.br/walter-benjamin-e-a-cosmologia-de-blanqui/


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