da JOSÉ MANUEL DE SACADURA ROCHA*
Il mondo è lì ed è un incubo. Ma non deve necessariamente essere la cosa peggiore che il capitalismo ha da offrirci, la morte
La democrazia offre poco nel capitalismo avanzato: quando prende piede il feticcio del consumo, troppo è sempre troppo poco. Ne consegue che la maggioranza della popolazione distingue tra coloro che sono voraci e coloro che fanno di tutto per esserlo. Tutta la destra ha i suoi voti. Più la società dei consumi avanza, più gli elettori votano, quindi non sorprende che la destra sia al suo apice e il suo estremismo risalti.
Ma Hannah Arendt (Il sistema totalitario) scoprì qualcosa che lo pesò fino alla tomba: la “marmaglia”,[I] Coloro che vivono fuori, nei ghetti, sono così disperati da credere nelle grasse falsità della morte dei loro aguzzini, e li aiutano a crescere credendo che un giorno anche loro lasceranno il gruppo ristretto per partecipare al banchetto dei voraci.
La democrazia borghese neoliberista è allo stadio del semplice inganno: solo il potere interessa ai voraci e a coloro che sono misuratamente ingannati, e quindi sono le ideologie di destra più estremiste ad avere successo. Alexis de Tocqueville (Democrazia in America) prevedeva che più le società dei consumi fossero cresciute, più la politica sarebbe stata deprecata. La politica, in questo caso, è pragmatica e perde interesse poiché i voraci divorano tutto, compresi i cervelli dei moderati nei ghetti (cfr. il mito greco di Erysichthon, citato da Anselm Jappe in la società autofagica).
Non esiste la fine delle ideologie, esiste l’occupazione dello spazio da parte dell’egemonia ideologica delle minoranze, come diceva Hannah Arendt. E il resto lo accetta voracemente. Quanto alla capacità di pensare questo, scompare nella litania secondo cui il potere è per pochi o che bisogna allontanarsene (cfr il detto popolare “chi può comandare, obbedisce a chi ha buon senso”). Ciò su cui Theodor Adorno richiama l'attenzione è la necessità di usare la razionalità per convincersi che ciò che è positivo ha già un proprietario; la negazione di ciò che la democrazia liberale borghese propone è la negazione dell’inganno – basta, in fondo, essere pragmatici con la realtà che ci circonda (dialettica negativa).
Ma certo: o lottiamo per uscire dai ghetti, meglio di come siamo entrati, oppure usciamo dalla “marmaglia” ad ogni costo, illusi dalla voracità feticizzata del mercato. La sinistra “più sintonizzata” non lotta per il potere, combatte per la libertà; non si batte per lo Stato, le leggi, i diritti, si batte per un’altra società, per un mondo dove il potere è comune e condiviso.
Vogliamo il potere di trasformare la società e di parteciparvi con giustizia e dignità. Il potere qui è l'autonomia di essere presenti in politica come libera associazione di tutti gli uomini comuni liberi. L’attuale democrazia sta soffocando con le fasi finali dell’avanzamento delle società di mercato. L’umanità del saper fare e del potere avanza (John Holloway: Cambia il mondo senza prendere il potere). C’è molta ideologia e potere in questo!
Le nostre azioni causano spaccature e cambiano il mondo. Scegliere il giusto non fa altro che peggiorare i problemi, ma accelera altre proposte: sì, ci sono le ideologie, perché un’altra società è possibile. In John Holloway ci sono alcune ragioni per cui dobbiamo stare di fronte alla persistenza del capitalismo: il mercato come relazione sociale dominante, la cultura del fare capitalista in noi stessi, la diffusa insistenza di istanze di valore e di vita guidate dal denaro[Ii] (John Holloway: Capitalismo fessurativo). Da essi si osserva però che non esiste immobilismo o quietismo, ma azione nella prassi rivoluzionaria, ma in termini non ortodossi per la sinistra classica, che qui viene didatticamente sintetizzata in sei idee che mi sembrano fondamentali:
(i) Non possiamo dire che il Stato sociale non esiste più, almeno quando si tratta di feticci consumistici e di denaro. Dire che la democrazia nel modello liberale borghese si esaurisce in termini di politica (rapporto sociale generale) non significa che essa non funzioni per il consumo e la reificazione del consumo (rapporto sociale specifico).
Questa osservazione è importante perché dobbiamo pensare a queste bipolarità del capitalismo, poiché è in esse che una parte significativa delle azioni che causano crepe sono rese dialetticamente percorribili, ad es. ad esempio: l’“imprenditorialità” è sia un tentativo del capitale di consentire la sua riproduzione mercantile, sia il sintomo e la dimostrazione dell’esaurimento del lavoro di fabbrica di massa, che sottrae al lavoro astratto un contingente di disoccupati e precari.
(ii) Mentre il “valore” si espande, presupponendo le direttive del lavoro astratto o le esigenze della generalità della produzione di merci, in ogni caso operiamo ancora cognitivamente in sintonia con i suoi aforismi, narrazioni e apparati monetari (comprare, pagare, finanziare, risparmiare , valorizzare, accumulare, vendere [con profitto], cartolarizzare, reinvestire).
E sarà così ancora per molto tempo, anche dopo che la nostra vita sarà diventata comunitaria e la nostra organizzazione politica sarà diventata autonomista, finché, per generazioni, non adempiremo alla nostra punizione dell’eredità capitalista. Accanto alle lotte oggettive e immediate, malgrado queste trasformazioni immediatamente possibili che dividono il capitalismo, non solo nelle sue contraddizioni più sensibili, la lotta per l'etica e la dignità cognitiva sarà quindi l'ultima e la più dura battaglia del socialismo in termini di formazione dell'uomo collettivo. (anche al di là delle forme giuridiche [penali] e filosofico-religiose [mistificanti]).
Il “valore” abbraccia tutto e tutti; Dobbiamo combattere tutto questo da dentro di noi. Ecco perché tutte le “crepe” sono essenziali. Nella misura in cui il “valore” abbraccia la totalità delle relazioni sociali, la socialità capitalista deve essere combattuta in tutti gli ambiti della totalità sociale, o in tutte le sue forme riproduttive, dalla produzione alla Cultura, dagli scambi alle arti, nella politica così come nella vita sociale. filosofia, diritto e religione. Si tratta quindi meno di un'interpretazione della lotta per “prendere posizione” attribuita a Gramsci, che della posizione intrinseca del nostro materialismo dialettico.
(iii) A livello filosofico, bisogna separare i “diritti dalla condizione umana”[Iii] dei “diritti umani” – questi sono stati formalizzati in modo borghese e ora queste bandiere sono in gran parte adattabili alle dinamiche del capitale. Questo non è pacifismo, né quietismo nel senso di inoperabilità politica: “inoperabilità pacifista” è ciò che lo Stato borghese opera, in fondo, come mero formalismo dei diritti, poiché la norma giuridica detiene la proprietà dell’umanesimo solo sulla base della riproduzione di capitale.
In effetti, il potere comunitario scopre presto che l’“umano” non è transazionale, che non c’è libertà e dignità quando è sottoposto a un “contratto”, e che nell’ambito del “valore”, ciò che è presupposto è la disuguaglianza (non l’uguaglianza [giuridico formale]) e il “giusto particolare” (mai il “giusto totale”), difeso da Aristotele (Etica nicomachea).
(iv) Siamo eredi della lotta di classe e di parte, della lotta per il potere, ma non deve necessariamente essere solo la presa del potere statale, o, almeno, non esattamente come nel materialismo storico dialettico per il pensiero marxista occidentale. Dobbiamo ritornare all’“associazione autonomista” (non individualista – la comune è una realtà tra gruppi umani). La lotta per il potere statale, per poi apportare cambiamenti, è ancora la strada che il capitale vuole e sa affrontare – questa lotta per la “rivoluzione” è fondamentale, ma non basta (del resto è quello che abbiamo sempre fatto, dobbiamo riconoscere, in alcuni casi con successo, in altri deplorevolmente).
Ma, fondamentalmente, il pericolo più grande non viene dal nemico esterno, ma dall’amico seduto accanto a noi: ricordo Marx che diceva che: “Non possiamo associarci con persone che dicono apertamente che i lavoratori sono troppo ignoranti per liberarsi e devono essere liberato dall’alto”. (Critiche al programma Gotha). Molto più tardi si disse che in realtà coloro che subiscono direttamente e immediatamente l’oppressione del capitalismo sono più preparati a comprendere certe spiegazioni teoriche del marxismo (e La capitale).[Iv]
(v) L’autonomismo nella teoria marxista – all’interno del “mutuo sostegno” (Piotr Kropotkin) –, che risale a molto tempo fa, all’“operaismo cognitivo” di John Holloway (ce ne sono altri), non è contro le lotte operaie ed escluso dalle lotte borghesi “democrazia”, contro il suo apparato di potere, ma afferma che in questo momento possiamo fare la differenza nel nostro modo di organizzare le pratiche quotidiane, negando la “negazione della vita” che esiste lì: contro il lavoro che ci dà esplora, contro l’astratto lavoro, contro le specializzazioni e la frammentazione, per l'ecologia, contro la guerra, per il cooperativismo e la libera associazione dei lavoratori, precari, disoccupati ed esclusi in genere.
Non è vero che la massa – o la “folla” nel caso di Hardt e Negri[V] – non hanno volto; Questa non è la vera domanda, la questione è cosa facciamo, cosa possiamo fare, come, facendo, possiamo affrontare il capitalismo e smettere di sottomettere la nostra volontà al potere di fare rispetto al nostro fare. Nel nostro grido, chi conta meno della dignità dello scopo!
(vi) E poi, sì, combattiamo tutta la “spazzatura” che la destra estremista – alleata dei proprietari di capitali e delle persone voraci che orbitano intorno a loro – utilizza, narrazioni falso, negazionisti e fascisti. Non bisogna aspettare la “rivoluzione” che deriva da “più potere”, né aspettare a “coscienza” delle masse: gli smantellamenti del capitalismo autofagico stanno operando con una tale portata di distruzione (Jerôme Baschet: Addio al capitalismo), che gli individui si stanno assumendo il potere di organizzarsi autonomamente, associandosi a lavori di autogestione.
Dal salariato che smette di fare gli straordinari per tornare a casa presto e giocare con i figli, o quando nascono associazioni in città per promuovere gli orti familiari, o prendersi cura delle piazze di quartiere, ai movimenti di sciopero per migliori salari o condizioni di lavoro, o lavoro. quando i lavoratori si uniscono per prendersi cura della fabbrica in bancarotta che è stata disattivata, provochiamo spaccature e crepe che sfidano e si oppongono profondamente al capitalismo.
Il mondo è lì ed è un incubo. Ma non deve necessariamente essere la cosa peggiore che il capitalismo ha da offrirci, la morte. Ovunque possiamo cambiare e causare crepe nel capitalismo intensificando le sue contraddizioni o speculando radicalmente sulle forme distruttive che impone alla nostra esistenza. Naturalmente aboliamo tutto doxas. Nel movimento zapatista si dice che, in questo processo, “la strada si fa camminando”.
* José Manuel de Sacadura Rocha Ha un dottorato in Educazione, Arte e Storia Culturale presso la Mackenzie University. Autore, tra gli altri libri, di Sociologia giuridica: fondamenti e confini (GEN/Forense). [https://amzn.to/491S8Fh].
note:
[I] L’espressione “marmaglia” appare con enfasi in Hannah Arendt: Il sistema totalitario: capp. alle pagine. 163, 209 e 417; Pubblicazioni Dom Chisciotte, Lisbona, 1978. [Origini del totalitarismo (Cia. De Bolso, 2013)].
[Ii] Il “denaro” è spiegato in modo esaustivo nel terzo libro della trilogia di John Holloway: Speranza in tempi senza speranza (Speranza in tempi senza speranza: Plutone Press, 2022). Gli altri due libri sono, nell'ordine: Mcambiare il mondo senza prendere il potere (Viramundo, 2003) e Capitalismo fessurativo (Editore Brasile, 2013).
[Iii] I “diritti della condizione umana” o legge naturale, separata e autonoma furono difesi da autori pre-illuministi, come Hugo Grócio (1583-1645), seguito da Samuel Pufendorf (1632-1694), o più incisivamente, da Jean Domat (1625-1696). Successivamente abbiamo trovato l’idea di “diritti innati” nel diritto naturale, soprattutto tra i contrattualisti, come John Locke (1632-1704), Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) o Cesare Beccaria (1738-1794). Infatti, sulla base del contrattualismo dei filosofi illuministi, i diritti della persona, quindi innati, irrevocabili, universali e non negoziabili, furono sistematicamente incorporati nel diritto positivo, e successivamente sanciti nel libretto della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dell’ONU. (UDHR), il 10 dicembre 1948. In quanto tale, il giuspositivismo, come filosofia principale del diritto liberale borghese, ritiene che la formalizzazione normativa (forma giuridica) sia sufficiente per sancire i diritti della persona umana, quando ciò è di fatto impossibile nel campo della produzione capitalistica, che ne realizza la sussunzione, in sostanza, attraverso l’assunzione ineguale di forza lavoro, attraverso il dinamismo del lavoro astratto, disumano e di sfruttamento, necessario alla produzione di “valore”, o, in altre parole, l’estorsione del plusvalore nel processo di produzione dei beni in cui viene prodotto il capitale. Vedi Rocha, José Manuel de Sacadura: Fondamenti di filosofia del diritto, Salvador: Editora Juspodivm, 2020; Schioppa, Antonio Padoa: Storia del diritto in Europa, San Paolo: Editora WMF Martins Fontes, 2014.
[Iv] Vedi Louis Althusser: leggere il Capitale. In Marx, Carlo. La capitale. v.1. San Paolo: Editora Boitempo, 2013.
[V] Hardt, Michael & Negri, Antonio. Imperio. 11 ed. San Paolo: editore discografico, 2001.
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