da MARIANA BARRETO*
Commento al libro della sociologa Gisèle Sapiro
Il nuovo libro di Gisèle Sapiro Peut-on dissocier l'œuvre de l'auteur? parte da una questione non nuova e che rimanda alle nozioni di autore e opera, costruzioni sociali che acquistano significati particolari con l'emergere moderno della figura dell'autore. Nozioni che variavano nel corso della storia e all'interno delle culture. La creazione della responsabilità penale dell'autore, nel XVI secolo, così come della proprietà intellettuale nel XVIII secolo, inasprirono notevolmente il rapporto tra l'autore e la sua opera, accentuando l'individualizzazione del “carattere d'autore”, stabilendo, come Foucault osserva, “questa categoria fondamentale della critica, 'l'uomo e l'opera'” (Foucault, 2001, p. 266).
Nel XXI secolo la discussione sugli intimi legami tra l'autore e la sua opera ha assunto nuovi contorni, pur rimanendo debitrice di profonde e antiche convinzioni collettive. Se l'autore macchia la sua opera con una condotta riprovevole, privata o pubblica, le concezioni che lo rendono unico acquistano forza nei dibattiti che si instaurano. Le polemiche sollevate creano costrizioni, polemiche amplificate dai media e dai social network, per i quali, ugualmente, il creatore è, invariabilmente, qualcuno che si esprime a proprio nome, un essere isolato, demiurgo della creazione letteraria e/o artistica.
Reati di molestie, pedofilia, insulti, affiliazioni e sostegno a regimi fascisti, spesso espressi nelle opere stesse, dichiarazioni razziste, xenofobe, antisemite, sessiste sono alcuni degli atti che innescano il dibattito, spesso compromesso da reazioni tipo pamphlet, a volte rivelando posizioni autoritarie che tendono a respingere, squalificare argomentazioni razionali sulle questioni. Per questi motivi, l'autore invita a esaminare gli argomenti del confuso dibattito, al fine di chiarirli, offrendo elementi in grado di consentire a ciascun lettore di posizionarsi in questa arena, districandosi dalle confusioni e dalle malafede discorsive che, molte volte , si impongono come un modo per screditare chiunque possa sembrare un avversario.
Nella prima parte del libro si svolge la discussione sulle forme di identificazione tra l'autore e la sua opera. Essa è concepita da un triplice rapporto tra metonimia, somiglianza e causalità interna (intenzionalità) che, se a prima vista rafforza la credenza nell'intimo legame tra l'uno e l'altro, ad uno sguardo acuto non resiste al confronto con le strategie di degli autori stessi, degli intermediari culturali e della ricezione delle opere. In quanto forme di identificazione, metonimia, somiglianza e causalità interna sono argomenti che legittimano la tutela formale e istituzionale dell'opera (il diritto d'autore, per esempio), prestigio disonorato dai movimenti di produzione e circolazione propri e dei loro creatori.
La relazione metonimica è stabilita dall'identificazione del nome dell'autore che designa l'insieme della sua opera, una produzione presumibilmente coerente inscritta in un più ampio progetto preveggente. Tuttavia, i movimenti di circolazione e di appropriazione mettono in discussione questa coerenza a causa di due realtà che emergono quando le opere diventano pubbliche: i limiti del loro perimetro e la coesione della loro unità. Il nome dell'autore funziona bene per designare ciascuna delle sue opere, però, quando si sceglie una e non un'altra per questa, cioè quando la scelta diventa selettiva, cambia il perimetro che dava coesione all'opera nel suo insieme. Una situazione che si osserva quando l'opera viene suddivisa in periodi, fasi, generi, rendendo non intercambiabili due descrizioni dello stesso autore (p. 45), o anche quando l'autore nega, rifiuta di riconoscere come propria opera.
Il rapporto di somiglianza tra l'autore e l'opera si riferisce alla persona, che non si verifica nel rapporto metonimico. La convinzione collettiva nella responsabilità morale dell'autore è così forte che la prova più forte per questo illuso, oltrepassando i confini del campo della produzione culturale, risiede forse nella sua istituzionalizzazione, espressa nella normativa sul diritto d'autore, tra gli altri reati imputati ad autori, creatori, ecc.
L'opera sarebbe un'emanazione diretta della persona dell'autore, presumibilmente stretti rapporti interni e psicologici tra entrambi. Un'altra prova di ciò sarebbe nell'opera di finzionalizzazione (nelle sue forme allegoriche, metaforiche, scritti autobiografici, ecc.), una forma che favorisce la creazione di uno spazio relazionale complesso dove i legami tra la personalità dell'autore, la sua biografia e i suoi valori sono mascherati dall'opera di finzione (p. 56-57). Tuttavia, queste strategie di scrittura aprono spazi di interpretazione che solo l'uso di elementi esterni all'opera può spiegare. Ecco un primo contributo che la sociologia presenta per decifrare le incongruenze delle certezze: proponendosi nelle sue analisi di non separare l'opera dall'autore, li confronta nei loro vincoli identificativi.
Il rapporto di intenzionalità, a sua volta, li identifica, dato che l'azione appare guidata da libere intenzioni, senza determinazioni, come un “progetto” immutato e lineare. L'intenzionalità socialmente e culturalmente disancorata di questa prospettiva si scontra con gli effetti della relativa autonomia dell'opera, e il momento della ricezione ne costituisce l'esempio migliore. In questo processo, è plausibile che la morale dell'opera sia in questione, senza che quella del suo autore sia messa in discussione. Va quindi messa in discussione l'importanza di discutere la violenza simbolica che le opere rischiano di perpetuare, le loro condizioni di produzione e accoglienza (p. 88). Altrimenti si creano opposizioni fittizie tra “cose simili e false somiglianze tra cose diverse” (Bourdieu, 2009, p. 34), a dispetto degli autori e delle opere stesse.
Pertanto, la prima parte del libro viene sintetizzata da Sapiro nel modo seguente: le tre relazioni di identificazione che portano laici credenze collettive, come accennato in precedenza, si trasformano in strategie di differenziazione, mettendo in scacco il secondo gruppo di argomenti che anima le polemiche nel dibattito pubblico attuale, cioè quello che difende l'indissolubilità tra morale dell'autore e morale dell'opera. Il rapporto identificativo tra l'uno e l'altro è messo in discussione dai processi di circolazione delle opere e degli autori nelle loro tre tipologie: nella metonimia l'identificazione diventa differenziazione per le instabilità del perimetro dell'opera e della sua coerenza interna; nella somiglianza morale, attraverso il gioco interpretativo tra autore, narratore ei loro personaggi, che è appunto il luogo delle strategie dell'autore e delle strategie artistiche; nell'intenzionalità (causalità interna), negli effetti dell'opera, nella sua relativa autonomia dal creatore quando diventa pubblica, nel suo processo di ricezione.
La seconda parte del libro è dedicata all'esame di casi emblematici di autori, creatori e al confronto pubblico sulle responsabilità delle loro azioni e delle loro creazioni., L'autore si sofferma sul modo in cui si collocano gli argomenti che muovono le polemiche attorno agli eventi. Analiticamente li divide in due gruppi di fenomeni: condotta privata riprovevole, reati di stupro, pedofilia e omicidio, e posizioni ideologiche riprovevoli, istigazione all'odio razziale, antisemitismo, adesione a regimi fascisti, ecc.
Chi interviene pubblicamente, sia che giustifichi le proprie posizioni con principi morali, politici o estetici, lo fa rivelando la propria adesione ai principi identificativi discussi nella prima parte, senza poter ancora distinguere tra rappresentazione e apologia dell'odio o della discriminazione. Circostanzialmente, pratiche e strategie accusatorie o difensive portano alla perpetuazione della violenza fisica e simbolica che sospettano di attaccare o punire.
Come accennato, una volta entrati nel dibattito pubblico, i fatti che hanno interessato l'autore e/o la sua opera, quando la moralità dell'uno e dell'altro erano sconvolti, convergono in due tipi di reazioni agli eventi: il primo si basa sulla concezione singolarizzante dell'autore, cioè, sostiene la separazione tra l'autore e la sua opera, con l'argomento che le opere sono autonome e, quindi, devono essere apprezzate per se stesse, indipendentemente dalla morale del loro autore.
La seconda, poi, afferma il contrario: l'opera è inseparabile dalla moralità dell'autore. Autonomo o no, il lavoro può essere censurato? Nella prospettiva radicale della “cancel culture”, che sta emergendo negli Stati Uniti, sì: non solo l'opera ma il suo autore può essere respinto. Due reazioni che illuminano le tipologie: le contestazioni francesi al Cesare attribuite a Polanski non esigevano la sua censura, ma esigevano un dibattito pubblico sui suoi delitti, sulla sua vile condotta; e, secondo esempio, il New York Times chiede se sia il caso di censurare Gauguin, durante una mostra, a Londra, dei ritratti del pittore francese accusato di abusi sui minori (p. 13 e 14). Questi sono gli argomenti coinvolti in questi due gruppi di risposte che circolano da un paese all'altro, dando forme specifiche alle controversie.
Lo scopo di questo breve saggio è quello di esaminare alcuni sviluppi nelle argomentazioni dei sostenitori delle due posizioni estreme. Una volta delineati, vengono sintetizzati in due costruzioni idealtipiche, forse generalizzabili: la posizione “esteta”, ampiamente accettata in Francia, ad esempio, e la posizione più radicale di “cultura della cancellazione”, intensamente ribadita negli Stati Uniti. In altre parole, un insieme di argomentazioni appare segnato da un certo universalismo; e l'altro, per una certa presa di posizione moralistica, frutto di sensibilità esacerbate e di un'alta soglia di intolleranza giustificata dalla storia delle lotte contro il razzismo istituzionale nel Paese.
Se il libro non ha pretese prescrittive, la posizione del “sociologo specializzato nello studio degli universi culturali” è chiara. Si tratta di perfezionare un punto di vista intermediario che non neghi il rapporto tra moralità dell'autore e moralità dell'opera, ma che giudichi le opere in modo relativamente autonomo, cioè secondo criteri specifici nel campo della produzione culturale, purché, per qualsivoglia ragione, non contengano incitamento all'odio contro persone o gruppi, né apologia della violenza fisica o simbolica (p. 20). Ecco perché la sua risposta alla domanda posta nel titolo del saggio è contemporaneamente “sì” e no”.
Solo perché? Poiché l'identificazione tra l'opera e l'autore non è mai completa, l'opera gli sfugge. È autonomo nel processo stesso di produzione, la sua esistenza è il risultato di un lavoro collettivo implicito nell'esistenza di una serie di intermediari culturali. Allo stesso modo la trasgredisce una seconda volta, nei processi di accoglienza, attraverso le forme di appropriazione, che possono essere contraddittorie tra loro e tra le intenzioni dell'autore. Quando circolano lo fanno in tempi e spazi diversi, se tolti dai loro contesti produttivi possono servire interessi che ancora una volta sfuggono all'autore.
Inoltre, se l'accoglienza è legata a un mutamento temporale degli “orizzonti delle aspettative”, può rivelare in un altro momento visioni del mondo pregiudizievoli, discriminatorie, precedentemente tollerate e inaccettabili. Sono caratteristiche delle forme di ricezione, delle “operazioni di lettura” (Bourdieu, 2009, p. 31), che contribuiscono a evidenziare la relativa autonomia delle opere. Si veda l'esempio di Heidegger, gli sforzi a lungo intrapresi per giudicare in modo assoluto l'autonomia delle sue opere, svincolandole dalle connessioni politiche fasciste del filosofo, e le polemiche nell'avvio del suo Cahiers Neri, portatori dell'eufemizzazione del loro razzismo antisemita. La sua esclusione non basterebbe, poiché lo solleverebbe anche dalla «responsabilità per le conseguenze della chiamata alla responsabilità» (p. 166), debitore che è di quanto ha prodotto. Proprio per questo la risposta è duplice.
Perché no? Perché l'opera porta tracce della visione del mondo dell'autore, delle sue disposizioni etico-politiche, siano esse metamorfosate o sublimate dal suo mestiere. Le responsabilità al riguardo devono essere assunte, compresi gli effetti che sfuggono loro, sia che l'autore abbia successo o meno nella sua carriera. È importante analizzarlo anche nella sua evoluzione, in relazione alle strategie dell'autore e alle strategie di creazione di fronte alle trasformazioni del campo della produzione culturale in cui si inscrive, e che finisce per dargli senso.
Soprattutto a questo punto, le scienze umane hanno l'importante ruolo di portare avanti le discussioni, al di là di quanto già pratica la sociologia, e di non convergere con gli approcci delle opere, distinguendole dalle biografie e dagli impegni dei loro autori. I tempi nuovi richiedono il superamento dei confini che rimangono tra le posizioni degli esegeti autorizzati e quelle degli autori che difendono un approccio storico-sociale alle opere. Il momento richiede una combinazione di sforzi per svolgere un essenziale “lavoro di anamnesi”, un esame delle opere sia all'interno che all'esterno.
Ciò avrebbe implicazioni anche per il futuro delle discipline umanistiche. Secondo Sapiro, solo loro sono in grado di fare la storia sociale dell'"inconscio epistemico" delle produzioni che, pur avendo superato la "prova dei posteri", necessitano di essere riesumate per togliere loro ogni possibilità di alimentare costruzioni di nuove canoni nazionalisti, razzisti e xenofobi (p. 229-230).
Sopprimerli, “cancellare” gli autori, è ignorare la relativa autonomia delle opere, è precisamente rifiutarsi di soppesare il posto dei canoni, è sublimare le loro fabbricazioni nazionali e internazionali, cioè ignorare la meccanismi che le muovono, gli stessi che hanno escluso e continuano ad escludere le donne e le minoranze per motivi legati alla loro persona e non al loro lavoro. Poiché non sono negati, così come scienziati, intermediari culturali, editori, critici, traduttori, ecc., hanno un ruolo singolare nell'esercizio delle loro responsabilità in questo lavoro di rilettura, rivalutazione e aggiornamento delle norme.
Infine, la discussione ci porta a osservare che i casi, la cui notorietà internazionale era innegabile, possono essere associati a movimenti nordamericani, #MeToo e “ccultura degli angeli”, i due che invitano a sopprimere autori, creatori e le loro opere sessiste e razziste. Il potere di internazionalizzazione di queste lotte, così come la posizione culturale dominante degli Stati Uniti, non dovrebbero impedire il dibattito pubblico sulle condizioni di produzione di opere intellettuali o artistiche. Assimilare la censura, assumendo una posizione encomiabile e “bonaria”, equivarrebbe a eliminare la fecondità del dibattito stesso in un momento in cui “la sua esistenza è vitale per l'opera di sensibilizzazione sui temi sociali del creato e, più in generale, , di riflessività collettiva sulle forme di violenza simbolica che si esercitano nelle nostre società» (p. 19).
In sintesi, Gisèle Sapiro lavora su due questioni qui condensate: possiamo separare l'opera dall'autore? Possiamo e non possiamo. La doppia risposta rende difficile formulare la seguente domanda, ma non la invalida: si può sopprimere autore e/o opera? No, a condizione che ci sia una distinzione tra apologia e rappresentazione. Anche per questo la restrizione non deve vanificare il dibattito pubblico, poiché è questo, animato da movimenti femministi, antirazzisti o antirazzisti o contro ogni tipo di discriminazione e incitamento all'odio nei confronti delle popolazioni, che può sensibilizzare sui problemi che sono ancora nascosti, al fine di provocare l'innalzamento dei livelli di tolleranza in ogni periodo storico.
Per comprendere le argomentazioni sollevate dalla forma che assumono le polemiche tra noi brasiliani, resta da riflettere su come rispondiamo ad esse: diamo la colpa ai nostri autori, creatori e artisti, sopprimiamo le loro opere, oppure ne discutiamo e li chiamiamo a assumersi le conseguenze delle proprie responsabilità e complicità? Il materiale per avviare il dibattito non manca.
*Mariana Barretto è pProfessore presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università Federale del Ceará (UFC).
Originariamente pubblicato sulla rivista Sociologia e antropologia, volo. 11o. 3, settembre-dicembre 2021.
Riferimento
Gisele Sapiro. Peut-on dissocier l'œuvre de l'auteur? Parigi, Seuil, 2020, 238 pagine.
Bibliografia
Bourdieu, P. (2009), “Le condizioni sociali della circolazione internazionale delle idee”. In: Sapiro, G. (a destra). L'espace intellectuel en Europe. Dalla formazione degli Stati-nazioni alla mondializzazione xixe-xxie secolo. Parigi, La Découverte, pp. 27-39.
Foucault, M. (2001), “Che cos'è un autore?”. In: Detto e scritto: QuestoTica – letteratura e pittura, musica e cinema. Rio de Janeiro, Università Forense, vol. iii, pp. 264-298.
Sapiro, G. (2020), Peut-on dissocier l'œuvre de l'auteur? Parigi, Seuil, 238p.
Nota
[1] In tal senso, Peut-on dissocier l'œuvre de l'auteur? continua la discussione che l'autore fa in altre opere, ma in particolare in Des mot qui tuent, pubblicato anch'esso nella seconda metà del 2020, in cui tratta del processo di empowerment dell'autore in relazione alla morale pubblica, prendendo ad oggetto il giudizio sulle responsabilità degli intellettuali che collaborarono all'occupazione tedesca in Francia tra il 1944 -1945. Sia in un'opera che nell'altra, la questione della responsabilità dell'autore è legata al suo processo di autonomizzazione, soprattutto in relazione alla morale pubblica. Sapiro, G. (2020), Des mot qui tuent. La responsabilità dell'intelletto in tempo di crisi (1944-1945). Essais-Punti. Parigi, Seuil.