Autoritarismo e totalitarismo

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da GABRIELE COHN*

Considerazioni da un saggio di Fabio Konder Comparato

Fabio Konder Comparato pubblicato sul sito la terra è rotonda [https://dpp.cce.myftpupload.com/o-estado-totalitario/] un testo notevole, “Lo Stato totalitario”, che è quasi una sintesi delle sue idee politiche (che, nel suo caso, significa anche etica) e che merita dibattito.

Un importante preliminare nell'analisi di Comparato è la distinzione tra stato totalitario e stato autoritario. Questi termini hanno attraversato numerosi significati e pratiche nel Novecento, al punto che il primo Stato che si è proclamato custode della totalità nazionale, l'Italia fascista di Mussolini, non è stato totalitario nel senso stretto del termine, mentre la Germania nazionalsocialista, alias Nazista, visceralmente totalitario, si presentava come autoritario.

Ma la questione centrale, per Comparato, non sta nel carattere formale di questa distinzione, invocata solo in via preliminare, per dare consistenza alle idee. La domanda di fondo, non espressa in questi termini, è: in nome di cosa il fenomeno totalitario, così legato al Novecento, può restare ombra qui e ora, insieme all'esplicita persistenza di regimi autoritari?

Comparato non si occupa in questo testo di risposte molto esaurienti, come la dimensione totalitaria della forma contemporanea del capitalismo e la sua espressione nel cosiddetto neoliberismo. “Ciò che caratterizza il totalitarismo è il fatto della distruzione, ad opera del potere pubblico, delle strutture mentali e istituzionali di un intero popolo, con il contestuale tentativo di ricostruire, da questa terra devastata, nuove mentalità e istituzioni”, scrive. .

Questa è una definizione molto precisa e di ampio respiro, che associa strutture “mentali” e “istituzionali”. In questa prospettiva, ad esempio, l'applicazione del “trattamento d'urto” (termine orribile, lo apprezzerebbe Goebbels) nell'ex Unione Sovietica per promuovere la ricostruzione totale di quella società serve da esempio di azione totalitaria (peraltro, un compito condannato al fallimento, perché il capitalismo è bravo a distruggere e pessimo a costruire).

La linea di fondo è come ciò sia possibile, cosa genera un tale ordine politico e lo sostiene. È in discussione il fondamento di questo fenomeno nel modo stesso in cui le società moderne sono organizzate e modellano modi di pensare, sentire e, soprattutto, vivere il mondo per costituire i complessi simbolici che conferiscono carattere (ethos) specifici a ciascuno con i rispettivi criteri di valutazione (etica) e ad essi associare forme di socialità (usanze) e i relativi criteri di valutazione (morale).

Un passaggio del suo articolo è fondamentale nella sua argomentazione. Si sostiene che la storia non si ripeta (è inutile invocare l'impero romano, con grande disappunto di Mussolini). Lo stesso argomento utilizzato per confutare la ripetizione storica è valido per prevedere lo stato futuro del mondo o di parte di esso (con la differenza decisiva che si può intervenire su ciò che deve ancora venire, e questo è certamente ciò che conta per Comparato). Il passaggio rilevante è il seguente. “La storia non si ripete, per la buona ragione che la memoria collettiva, come la memoria individuale, non è mera riproduzione di esperienze precedenti, ma accumulazione incessante di nuove esperienze, che si fondono progressivamente in un tutto complesso, in perenne evoluzione. La ripetizione di stati mentali passati è una mera regressione patologica.

Formulazione notevole, da conservare per almeno tre motivi. Primo, perché sottolinea il ruolo decisivo di esperienza (vale a dire, dall'apprendimento continuo di incorporare i risultati delle azioni passate) al posto di considerazioni strettamente istituzionali. Poi, perché, pur non esplorandolo, pone il problema della possibilità e delle modalità di regressione storico (cioè l'esatto opposto dell'esperienza). Infine, perché dà la giusta importanza al tema della memoria, collettivo e individuale, aprendo lo spazio per una relazione tra entrambi. Nel suo insieme è rilevante perché apre la strada alla dimensione propriamente sociale (inclusa la cultura) invece di restringere l'attenzione agli aspetti politici ed economici del fenomeno, che ovviamente sono importanti.

Il totalitarismo è un fenomeno singolare in quanto già annuncia Comparato nel suo testo. Implica non il congelamento dell'esperienza passata (e presente), ma l'esplicitazione compulsiva di certi tratti. Il totalitarismo è perversamente selettivo. Né soddisfa le condizioni per produrre qualcosa di nuovo, sono frammenti del passato che si amalgamano, senza dar luogo all'irruzione del nuovo capace di spezzare la continuità che si sforza di stabilire con pretese rivoluzionarie.

Perché il motivo più grande del totalitarismo, una volta installato, è la continuità, la permanenza, il regno dei mille anni del nazismo. In questo abbiamo un'altra importante differenza rispetto al fascismo autoritario, che cerca, a suo modo, l'innovazione. (E, per inciso, anche in relazione al comunismo, dalle sue versioni più “utopistiche” a quelle più “pragmatiche” come Stalin, che non considera la “purificazione” integrale di una società per renderla permanente, ma un processo continuo di perfezionamento verso la remota perfezione).

Qual è, in fondo, la condizione generativa del regime totalitario? Comparato cerca una prima risposta in Hannah Arendt, che trova nell'imperialismo europeo e nell'antisemitismo ottocentesco. Non lo trova soddisfacente, tuttavia, poiché non va abbastanza in profondità. Quanto a lui, troverà la risposta nella disgregazione, nel periodo post-rinascimentale, dell'universo etico coeso che si era sostenuto fin dall'antichità classica. È in questo che si troverebbe un “sistema etico armonioso di regolazione della vita umana”.

Tuttavia, Comparato non si sofferma sulla caratterizzazione e sulla ricerca della genesi del fenomeno. Quanto alla genesi, se l'analisi di Hannah Arendt è insufficiente, anche il suo approfondimento da parte di Comparato lascia troppi punti di dubbio, a cominciare dalla discrepanza tra l'ampiezza del processo storico considerato e la puntualità dell'effettiva presenza del fenomeno, oltre all'imbarazzo che può causare l'enfasi sul “sistema armonico”.

Ciò che è essenziale, tuttavia, è che questo trattamento molto personale dell'argomento trasversali alla gamma di questioni inquietanti coinvolte. Questo dimostra come gli Stati Uniti, da impero in declino, si pongano sistematicamente ai margini della legalità, in un momento in cui la presenza di un Trump al fianco di figure come il suo imitatore nel Sud solleva la questione di come il totalitarismo sia stato reinstallato in una nuova forma. Permette, ad esempio, di rivedere in modo originale la frequente previsione di una possibile nuova forma di quel regime, sostituendo ormai al grande leader la figura spersonalizzata dell'“algoritmo”. Domande inquietanti e provocatorie, buone per il dibattito.

* Gabriel Cohn È Professore Emerito presso FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Weber, Francoforte (Argento vivo).

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