da LUIZ RENATO MARTIN*
Paradigma tradizionale dell’eccellenza artigianale, come ha risposto la pittura all’astrazione del lavoro inerente alla modernizzazione capitalista?
La pittura come metodo di produzione
Paradigma tradizionale dell’eccellenza artigianale, come ha risposto la pittura all’astrazione del lavoro inerente alla modernizzazione capitalista? Come sistematizzare in questo senso le risposte strategiche sviluppate nel corso dell'espansione critica e produttiva dell'arte moderna, come specifica modalità di negatività di fronte alle dinamiche storico-sociali?
Inoltre, quali risposte specifiche sono emerse nelle arti visive durante il periodo storico decisivo per l’arte moderna, vale a dire il ciclo che collega le opere di Manet (1832-1883), sviluppatesi in gran parte sotto l’impatto di due grandi genocidi: in primo luogo, quello del giugno 1848, e poi quello della Settimana di sangue, che suggellò la fine della Comune, nel maggio 1871 – fino alla riflessione terminale di Rothko (1903-1970) (la cui opera fu, a sua volta, in larga misura, in il corso dell’espansione capitalistica innescato dalla Seconda Guerra Mondiale)?
O, ancora, per portare un altro ordine di riferimenti, quali erano – dal punto di vista delle lotte in nome del lavoro – le risposte possibili nell'arco di tempo situato tra due sconfitte decisive dal punto di vista operaio, quelle del 1848 e del 1968? (Sconfitte di dimensione internazionale e con ampio impatto sul loro confronto storico con il capitale.)
Insomma, come la pittura moderna (nelle sue distinte tendenze e varianti) si è posizionata, nel ciclo in questione, rispetto alle due classi fondamentali, cioè rispetto agli sconfitti, da un lato, e alla vasta egemonia dei capitale, dall'altro ?
Contro la mummificazione
Su un altro livello e in altri termini, ciò che si è realizzato nel corso di tale processo è stata la fine del ciclo dell'autonomia estetica come nozione correlata a quella della libertà del soggetto dell'esperienza estetica (un tempo vista come una dimensione trascendentale e potenzialmente disinteressata). esempio). In questo nuovo quadro, per resistere alla vertiginosa accelerazione della barbarie generata dal nuovo ciclo del capitalismo post-1968, è essenziale esaminare i fattori di eteronomia sovraindividuale che, se non hanno il controllo su tutta la produzione, di fatto esercitano egemonia sulla circolazione.
Le opere artistiche contemporanee di resistenza e di critica hanno introdotto (dopo il 1968) un nuovo insieme di premesse e criteri. Tra gli altri, il superamento dell’idea di opera e di autorialità, nonché dell’obiettivo generale della “de-estetizzazione”. Nel tardo capitalismo, alcune opere - come quelli di Hans Haacke (1936), KP Brehmer (1938-1997), Harun Farocki (1944-2014), Martha Rosler (1943), Allan Sekula (1951-2013) e altri, per riferirsi esclusivamente a quelli generati nel economie centrali - ha stabilito i criteri del realismo critico che oggi sfidano la mummificazione neoliberista dell’arte, derivante dalla sua annessione al sistema internazionale di produzione delle merci.
Schema e domande della formazione
Torniamo alle soglie del processo formativo dell'arte moderna. Esisteva un'arte moderna restaurativa e conservatrice come la modernizzazione in cui è stata prodotta? Indubbiamente si sono verificati casi di questo tipo, ma, per un’indagine sintetica sulla formazione generale del modernismo, la cosa più ragionevole è assumere l’ipotesi, alla luce delle opere decisive che hanno generato paradigmi critici per il successivo corso dell’arte moderna, che queste erano forme costituite di lotta e resistenza simbolica.
In questo senso, il contenuto antitetico e negativo dell’arte moderna, di fronte alla modernizzazione, ha storicamente prevalso sia nella sua formazione che nella produzione delle sue opere paradigmatiche. Prendiamo quindi il discorso dal lato critico e secondo la premessa della negatività essenziale dell’arte moderna, considerando quindi gli aspetti “aulici” e “turbolari” come eccezionali e soprattutto emblematici dell’arte barocca, del periodo assolutista – contro quale l'origine dell'arte moderna. Così, infatti, Diderot (1713-1784) concepì la separazione storica al momento della sua Saggi sulla pittura (Saggi sulla pittura, 1765),[I] cioè molto prima che Delacroix (1798-1863) e Baudelaire (1821-1867) lanciassero il termine arte moderna.
A tal fine, la determinazione dell’arte moderna – come processo di resistenza e riflessione critica – richiede un riferimento antitetico al processo generale di modernizzazione. L’arte moderna si è sviluppata dialetticamente attraverso e contro tale modalità di riproduzione del capitale. Pertanto, se non si adotta un approccio ampio – che copra le condizioni fondamentali e i limiti storici dell’arte moderna legati al processo economico e storico-sociale di modernizzazione – le indagini e i risultati risulteranno sempre imprecisi e arbitrari. Questo era esattamente il problema che si presentava nei tentativi formalisti di stabilire un sistema generale dell'arte moderna basato su una presunta evoluzione delle forme, derivata da presunte leggi interne alle arti.
In Francia, capitale riconosciuta, si potrebbe dire, dell’arte moderna, la modernizzazione come processo e discorso ha avuto come pietra angolare il famoso “2 dicembre” – l’auto-colpo di stato armato del 1851 da parte del presidente Louis-Napoleon (1808-1873). Il terreno era stato preparato dal massacro del giugno 1848, perpetrato dalle forze armate borghesi contro le classi operaie parigine.[Ii]
Dalle esecuzioni di massa del giugno 1848 alle Tuileries, nei due decenni successivi si sviluppò la violenza di classe, che si tradusse nell'espropriazione delle case e dei laboratori degli operai. O, per essere più precisi nelle implicazioni: si trattò di una mega operazione immobiliare armata attraverso pratiche di accumulazione primitiva, simili a quelle dei processi coloniali in vigore nel ciclo imperialista degli anni successivi, dal 1871 al 1914, sotto la nome diffuso (negli ambienti borghesi) della belle époque.
Infatti, l’origine cruenta della modernizzazione come rivoluzione “conservatore-restauratrice” (o “rivoluzione passiva”, nel senso di Gramsci [1891-1937])[Iii] venne ratificato con la macchinazione del II Impero, concretizzatasi nell'incoronazione dello stesso condottiero di Napoleone III il 2 dicembre 1852, esattamente nel primo anniversario dell'autogolpe – e, non a caso, anche data commemorativa dell'incoronazione di Napoleone I (1769-1821) nel 1804.
Prima, infatti, il regime orleanista – la cosiddetta Monarchia di Luglio (1830-48), di Luís-Felipe de Orleans (1773-1850) – consisteva in un’alleanza tra la borghesia finanziaria e le forze dell’Ancien Régime. La Francia era allora tecnologicamente indietro rispetto all’Inghilterra e persino alla Germania – che, a partire dal 1840, era stata teatro di un’industrializzazione accelerata e di sforzi di unificazione politica (consumati nel 1871, con la fondazione del II Reich, sotto l’egemonia della Prussia). In questo contesto, è stato solo sotto l’egida del sansimonismo e del neo-bonapartismo – cioè di una modernizzazione borghese dello Stato – che la Francia ha potuto entrare effettivamente in un processo di industrializzazione e di modernizzazione economica accelerata.
In questo modo, la risposta pittorica di Édouard Manet come espressione realistica – unita a tracce di romanticismo e legata all'opposizione repubblicana radicale – si costituì in opposizione alla tarda modernizzazione di Parigi, guidata dal programma di riforma urbana (1852-70) del barone Hausmann (1809-1891),[Iv] che operò – per sloggiare le classi popolari dal centro della capitale – utilizzando tecniche di blietzkrieg e di delocalizzazione etnica, di stampo coloniale, coronate dal genocidio dei comunardi, nel maggio 1871.
Fu allora che l’arte moderna, in quanto antitesi dialettica della modernizzazione, si espanse come processo estetico, pratico e critico. Oltre a Édouard Manet, questo processo comprende i suoi predecessori nella pittura: David (1748-1825), Géricault (1791-1824) e altri, senza dimenticare i contributi di pensatori del secolo precedente, tra cui Rousseau (1712-1778) e Diderot , che preparò la Rivoluzione francese e la transizione estetica al ciclo dell'arte repubblicana rivoluzionaria, che Charles Baudelaire individuò come l'origine dell'arte moderna.[V]
Insomma, l'arte moderna nasce tra le file della piccola borghesia radicalizzata della Prima Repubblica francese rivoluzionaria e matura, nella prospettiva di Baudelaire, come progetto e risposta critica ai trionfi delle controrivoluzioni lanciate nel corso del XIX secolo. Forti della coscienza politica, ma anche del progresso tecnico, le frazioni repubblicane e risolutamente antimonarchiche della piccola borghesia forgiarono l'arte moderna come arma critica, affilata nelle satire quotidiane, sui giornali, di Daumier (1808-1879), contro la ordinamento dei privilegi statali, restaurato e aggiornato in altri termini nel regime censuario repubblicano, dai nuovi signori del denaro.
In questo modo, l’arte moderna divenne una strategia di resistenza e un’espressione anticapitalista, cercando di incorporare, in un modo o nell’altro, le speranze seminate dal movimento rivoluzionario dei sans-culottes nel 1792-94, movimento che fu seguito da diverse insurrezioni di lavoratori, innescando una lunga guerra civile, durata circa 80 anni fino alla Comune. Complessivamente, questo processo cominciò con la prima rivoluzione, nel 1789, e si sviluppò in successivi scontri sanguinosi e infruttuosi, nel secolo successivo, con le forze borghesi, nel 1830, 1831-34, 1848, 1871, ecc., per restare soli in gli episodi maggiori e nel caso emblematico della Francia – dove l’arte moderna emerge e si costituisce come un nuovo paradigma, che implica la ridefinizione dei termini dell’esperienza estetica e della funzione storica e sociale dell’arte, ormai ristrutturata, non più come palazzo discorso, ma come una forma di negatività.
Produzione, circolazione e realismo transizionale (Manet)
La reinvenzione del realismo da parte di Manet avviene con lo spostamento del focus dalla rappresentazione stereometrica, cioè dalla disposizione dei volumi in profondità, a quella della temporalità insita nel punto di vista del soggetto.[Vi] In questo senso, la pittura di Manet fu definita come un discorso sensoriale (indipendente dal disegno e dalla composizione) e come espressione del carattere transitorio e fugace della “vita moderna”, manifestando il primato della “sensazione”, come proposto da Charles Baudelaire. .
La rappresentazione dell'atto, divenuta uno dei motivi prioritari nella pittura di Manet e motivo di molte delle sue innovazioni stilistiche, gli fece attribuire alla sensazione, come focus operativo e mediazione tra il corpo e il gesto, un elemento fondamentale e decisivo nella plastica. produzione. Per questo motivo, la considerazione riflessiva dell'attività soggettiva spontanea, combinata con la prospettiva realistica del suo orizzonte sociale, lo ha portato a stabilire l'esposizione del modo in cui viene prodotta la pittura come forma effettiva della verità, che implicava la critica radicale della contemplazione. (vale a dire, feticismo) in un ordine sociale strutturato in base alla forma della merce.
In questo senso l’esposizione del processo pittorico e la considerazione dell’istantaneità del suo lavoro (una sorta di anticipazione del “lavori in corso” e, quindi, dell’incompiutezza che di lì a poco diventerebbe, come conquista critica, uno dei tratti distintivi della pittura a seguire), sebbene già realizzati nella tradizione manierista e barocca, assunsero un significato inedito nella nuova situazione storica . Così e nello stesso senso critico (in relazione alla contemplazione), la spiegazione del processo pittorico a scapito di ogni armonia, verosimiglianza e simmetria diventa un programma centrale e un parametro della pratica pittorica. Questo è esattamente ciò che accade nelle opere di Cézanne, Van Gogh (1853-90) e di altri della generazione immediatamente successiva a Édouard Manet e allo sterminio della Comune.
Tali sviluppi consolidarono una nuova modalità realista, intensificata di riflesso dalla critica della forma merce e della città vetrina. Spiegando la verità del proprio processo, tale realismo mirava ad aprire visivamente l'accesso critico della coscienza al mondo in rapida trasformazione. In questo modo, la nuova pittura ha cercato di esporre in termini concreti (e in spregio ai valori mercantili) le tracce del lavoro date dall'intervento corporeo e dalla materialità delle pratiche pittoriche, come fondamenti di una riflessione fenomenica posta in reciproca determinazione con i mezzi e processi di rappresentazione (su schermo o su carta).
Controastrazione (Cézanne e Van Gogh): tracce della Comune
In questi termini, il giudizio storico e il vettore di critica della forma merce proposto dalla pittura di Manet, Van Gogh e Cézanne rispondevano alla spersonalizzazione e all'astrazione del lavoro, inerenti alla liquidazione del modo di lavorare e alla forza sociale del lavoro. artigiani, dopo il Comune. Le sue opere, rivelando tracce dell’inventiva dell’opera – e, in modo correlato, affermando l’autenticità dell’artigianato pittorico –, hanno cercato di sintetizzare la resistenza e la dimensione irriducibile dell’opera viva, traducendone gli effetti di verità in termini eminentemente artigianali.
Insomma, Van Gogh e Cézanne, in modi diversi, miravano a costituire un'antitesi all'uniformità e all'astrazione dell'opera. In questo senso, ciò che Manet aveva forgiato sulle orme di Baudelaire, nel mezzo di tale processo, era la capacità di descrivere in termini nuovi – tragici, ma allo stesso tempo raffreddati dall’ironia – l’inesorabilità del nuovo ordine sociale governato dalle relazioni di mercato. , che già hanno plasmato il loro tempo.
Di fronte alla liquidazione del lavoro artigianale, Van Gogh ha scelto di reinvestire la sua pratica con un’ambizione totalizzante configurandola come esempio pratico della proposizione filosofica, dell’atto del lavoro, come forza comune e sovrana di trasformazione universale. Allo stesso tempo, Cézanne valorizzava l’integrità e l’autonomia dell’atto estetico come paradigma del lavoro vivente emancipato, affermando il corso autonomo della costruzione pittorica, indipendentemente dalla composizione, cioè da ogni simmetria e proporzionalità.
Nonostante la radicalità e l’inventiva di tali sforzi, durante questo processo si è cristallizzata una crisi storica nel potere narrativo della pittura. Per dirla in breve, la crisi si è fatta più acuta nella riduzione della portata semantica del segno pittorico – di estrazione artigianale –, o anche nella sua neutralizzazione e imprecisione rispetto ad altre forme discorsive, a base industriale e dotate di elevata riproducibilità ( la litografia, la fotografia, il giornale, il cinema).
Insomma, ciò che oggettivamente si realizzava in questo modo, malgrado la grandezza degli sforzi dei suddetti pittori, era il processo di dissoluzione e svuotamento del potere semantico della pittura, portando come contraffazione la reificazione e la feticizzazione delle sue basi artigianali.
Così, alla fine – e malgrado tutto ciò che si è visto, in termini di resistenza e invenzione, riguardo al regime delle pennellate e della distribuzione dei colori –, lo svuotamento delle pratiche artistiche artigianali non è stato altro che provvisorio e temporaneamente bloccato o, nonostante tutto, ritardato. il radicalismo utilizzato in tutta la riflessione critica sulle opere degli autori in questione (Manet e seguenti).
Radicalità, certamente, inerente alla situazione poetica, transitoria e singolare; e riflessione critica, in questo caso, fondata sulla pratica produttiva intesa come espressione diretta del lavoro abitativo autonomo. In definitiva, proprio come il comunioni, che ha lanciato “l’assalto al cielo”, la strategia di titanica resistenza assunta dalle opere degli autori in questione non può modificare lo sfondo oggettivo e storico delle cose. Sorge allora la domanda: come sostenere la pratica manuale della pittura e la validità del suo significato di fronte alle esperienze sociali e soggettive nel corso della trasformazione accelerata dall'industrializzazione?
Dotata di tradizione storica e riflessività, la pittura cercò di mantenersi in primo piano, accanto ad altri dispositivi simbolico-narrativi dati dalle mediazioni tecniche (litografia, foto, ecc.). Tuttavia, la ritirata strategica di Cézanne, Van Gogh, Gauguin e altri – lasciando i siti ad alta densità e i terreni di lavoro per roccaforti non urbane o con bassa densità demografica ed economica (a differenza di Manet e Degas, formati nella generazione precedente) – è era anche, di per sé, indicativo delle crescenti difficoltà della pittura assediata e messa alle strette come pratica artigianale, di fronte all’avanzata incessante della modernizzazione.
Il cubismo di fronte alla distruzione umana
Le sfide della crisi affrontata dalla pratica della pittura dopo il massacro della Comune richiedevano risposte urgenti. Già alle porte del grande conflitto bellico interimperialista e consapevole dell’anacronismo storico del lavoro artigianale come esperienza metabolica organica e concreta, il cubismo, a sua volta, rispondeva all’astrazione dell’atto produttivo come nuovo principio di realtà; e così, in tali circostanze, disarticolò l'atto produttivo pittorico e lo divise in parti, per ricombinarle.
La libertà e la verità del processo artigianale, precedentemente oggettivate dalle nuove tecniche poetiche post-impressioniste, scompaiono quindi dall'orizzonte dei cubisti. D’altra parte, i cubisti osservavano, come sintomo generale, la segmentazione dei corpi e l’ineluttabile evidenza della loro oggettivazione secondo la logica seriale che riorganizzava il lavoro come merce segmentata e serializzata nel nuovo ordine produttivo.
Secondo l’evidenza, il corpo non era più riunificabile né pensabile, nell’ambito del capitalismo, come organismo o unità integrata. (In effetti, l’impatto della divisione capitalistica del corpo, così come la fine dell’unità immaginaria dell’essere umano, accompagnarono, ben oltre il cubismo, l’opera di Picasso [1881-1973]; questa certezza costituì addirittura il nodo vitale , si potrebbe dire, dell'epica tragica che permea tutta la sua opera, prescindendo dal succedersi delle fasi e degli stili.)
Insomma, come hanno giustamente notato Giulio Carlo Argan (1909-1992) e Pierre Francastel (1900-1970),[Vii] Alla rilevanza storica dell’opera astratta, i cubisti rispondono rifondando il realismo in termini nuovi. Lo hanno fatto attraverso una riflessione sulle pratiche produttive che delineava criticamente la possibilità di una produzione di massa, cioè libera, in questo caso, da ogni determinazione eteronoma.
Si tratta certamente, dal punto di vista degli artisti, di una rivelazione delle nuove forze produttive della pittura e della scultura, rinnovate alla luce di alcune modalità del lavoro astratto e seriale. In questo senso – e oltre ad una nuova inflessione oggettivamente materialista secondo i parametri del realismo – il proliferare delle opere cubiste, imponendosi oltre i limiti riconosciuti del giudizio di gusto, ha rivelato la potenza di espansione della nuova condizione e la corrispondente concezione poetica. Si può dire che l'affermazione di Baudelaire sulla natura mutevole del piacere estetico[Viii] ha trovato la sua materializzazione in questi termini.
Insomma, viste le evidenze, si è assodato il riconoscimento della frammentazione storica del corpo. E la risposta critica sintetica al fatto, come alla relativa stratificazione del presente storico, è stata allora la reinvenzione e l'autonomia dei partiti. Il processo critico ha rinvigorito le capacità specifiche di queste parti e ha portato al riscatto estetico di materiali precedentemente privi di valore riconosciuto.
Su queste basi si fonda l'esemplarità del collage e della costruzione-scultura.[Ix] In quanto nuove pratiche, improvvisate in base alle circostanze, entrambe divennero, all'epoca, armi e modalità di lotta critica. Nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale, tali opere riecheggiavano anche il progetto della rivoluzione operaia nata da donne e uomini dilaniati e dilaniati dalla povertà, dalle guerre imperialiste e da atroci condizioni di sfruttamento. In questo modo, mentre frammenti, legioni e moltitudini si fondevano in un collage umano – in un certo senso, in una sorta di torrente o eruzione di frazioni di materiali diversi –, dando origine a una nuova umanità, rinvigorita attraverso la Rivoluzione come fattore moltiplicativo.
Dialettica cubista
Il cubismo pose così fine all’eliminazione della dualità tra i cosiddetti esercizi estetici contemplativi e altre attività produttive considerate interessate, come il lavoro umano. Superando i limiti del paradigma contemplativo, fondato sul giudizio disinteressato, il cubismo ha generato direttamente linguaggi utilitaristici razionali finalizzati alla produzione capitalistica (il razionalismo architettonico di Le Corbusier [1887-1965], quello del Bauhaus [1919-33] ecc. ).
Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, lo sviluppo critico più radicalizzato dell’analisi cubista, avvenuto nel pieno della Rivoluzione d’Ottobre: il costruttivismo analitico, chiamato anche, dagli stessi artisti, “costruttivismo di laboratorio”. Si tratta, in ogni caso, di un fenomeno estraneo alla tendenza dominante nei paesi occidentali, e che richiede un esame separato e con altri criteri.[X]
Rapporti di scambio: altra natura, altra morfologia
Tuttavia, prima di influenzare l’arte russa e generare paradigmi per l’architettura, il laboratorio cubista aveva già generato altre forme di lavoro, con criteri, di fronte alla tradizione artistica europea, inediti e decisivi. Esame dei disegni preparatori di Picasso - indagato nel dottorato straordinariamente acuto di Pepe Karmel[Xi] – ha reso evidente il contenuto critico e realistico (in senso non naturalista) del cubismo come reinvenzione del modo di lavorare nelle arti. In questi termini, il cubismo costituiva una disposizione fondamentalmente antitetica e critica, si potrebbe dire, adeguata a un realismo aggiornato di fronte al nuovo ordine economico stabilito dalla produzione di massa, al mercato globalizzato dall’imperialismo e alla relativa modernizzazione dei modi di vita.
In questo senso implicava un apprezzamento del lavoro e un'intelligenza del modo di produzione, in contrapposizione al valore feticistico dell'unità e dell'autenticità dell'immagine. Infatti, nell'ambiente storico allora (proprio come in occasione delle riforme urbane di Parigi nel Secondo Impero) emerse una nuova fisionomia urbana, plasmata dall'esaltazione dell'immagine inerente al Marketing – convertito in forza motrice dell’immaginario individuale e collettivo e, in modo correlato, anche rappresentazione generale dell’esperienza sociale. In questo modo, ma in altri termini, i parametri della percezione sociale (indistinti, per molti) risultavano fondamentalmente dall'astrazione della produzione, tradotta nella naturalizzazione dei rapporti monetizzati o di scambio.
In sintesi e per concludere questo argomento, di fronte a questa situazione, il cubismo ha risposto strategicamente all’istituzionalizzazione dell’ordine dello scambio come seconda natura e, così facendo, ha rivisitato il corpo umano, ma non più come un organismo. Né (come avevano fatto Manet, Van Gogh e Cézanne) sotto forma di atti di originalità e autenticità nell’opera. Al contrario, scelse di considerare il lavoro come articolazione impersonale di discontinuità e ricostruì criticamente la morfologia dei processi attraverso operazioni di scambio di parti (descritte in dettaglio nella già citata indagine di Karmel).
*Luiz Renato Martins è professore-consulente di PPG in Visual Arts (ECA-USP). Autore, tra gli altri libri, di La cospirazione dell'arte moderna (Haymamercato/HMBS).
* Prima parte del cap. 14, “Economia politica dell'arte moderna II: equilibrio, modalità d'uso, lezioni”, dalla versione originale (in portoghese) del libro La Conspiration de l'Art Moderne et Autres Essais, edizione e introduzione di François Albera, traduzione di Baptiste Grasset, Parigi, edizioni Amsterdam (2024, primo semestre, proc. FAPESP 18/ 26469-9). Sono grato per il lavoro di preparazione dell'originale di Gustavo Motta, Maitê Fanchini e Rodrigo de Almeida, e di revisione da parte di Regina Araki.
note:
[I] Dennis Diderot, Essais sur la Peinture pour Faire Suite au Salon de 1765. Lavori, tomo IV Estetica – teatro (ed. établie par Laurent Versini, Parigi, Robert Laffont, 1996, pp. 467-516). Vedi anche Giulio Carlo Argan, “Manet e la pittura italiana”, in Da Hogarth a Picasso. L'arte moderna in Europa, Milano, Feltrinelli, 1983, p. 341; vedi anche LR MARTINS, “La cospirazione dell’arte moderna”, in idem, Rivoluzioni: poesia dell'incompiuto, 1789-1848, vol. 1, San Paolo, Ideeas Baratas/ Sundermann, 2014, pp. 27-44.
[Ii] Sul massacro come spartiacque e pietra miliare di un nuovo stato di relazioni in quel momento, vedi Jean-Paul SARTRE, L'idiota della famiglia, Parigi, Gallimard, 1971, vol. III, pag. 32, apud Dolf OEHLER, “Art-Névrose”, in Terreni vulcanici, trad. Samuel Titan Jr. et al., San Paolo, Cosac & Naify, 2004, p. 37; “Art-Névrose/ Soziopsychoanalyse einer gescheiterten Revolution bei Flaubert und Baudelaire”, in accenti, N. 27, Monaco, Carl Hanser Verlag, 1980, pp. 113-130 (non consultato). Vedi anche, dello stesso autore, Le Spleen Contre l'Oubli. Giugno 1848. Baudelaire, Flaubert, Heine, Herzen, Marx, Parigi, Edizioni Payot, 1996. Il Vecchio Mondo scende all'inferno, trad. José Marcos Macedo, San Paolo, Cia. das Letras, 1999.
[Iii] Si veda Peter THOMAS, “La modernità come 'rivoluzione passiva': Gramsci e i concetti fondamentali del materialismo storico”, in Giornale della Canadian Historical Association/Revue de la Société Historique du Canada, vol. 17, n.2, 2006, pp. 61-78, disponibile su http://id.erudit.org/iderudit/016590ar; DOI: 10.7202/016590ar.
[Iv] Cfr. Walter Benjamin, “Paris, capitale du XIX siècle/ Exposé (1939)”, in idem, Écrits Français, introduzione e note di Jean-Maurice Monnoyer, Parigi, Gallimard/Folio Essais, 2003, pp. 373-400; vedi anche TJ CLARK, “La vista da Notre Dame”, in idem, La pittura della vita moderna/Parigi nell'arte di Manet e dei suoi seguaci (1984), New Jersey, Princeton, University Press, 1989, pp. 23-78; Modern Life Painting/Parigi nell'arte di Manet e dei suoi seguaci (1984), trad. José Geraldo Couto, San Paolo, Editora Schwarcz, Companhia das Letras, 2004, pp. 59-127; vedi anche Michael Löwy, “La ville, lieu stratégique de l'affrontement desclasss: insurrections, barricades et haussmannisation de Paris dans le Lavoro passeggero di Walter Benjamin”, dans Philippe SIMAY (a cura di), Capitali della modernità. Walter Benjamin e la città, Parigi, Éditions de l'Éclat, 2005, pp. 19-36. “La città, luogo strategico del confronto di classe: insurrezioni, barricate e la Haussmannizzazione di Parigi in Biglietti di Walter Benjamin”, in rivista Rive Gauche / Saggi marxisti, San Paolo, n.o 8, pag. 59-75, nov. 2006.
[V] Cfr. Charles BAUDELAIRE, “Le Musée classique du Bazar Bonne Nouvelle”, in idem, Opere complete, testo, testo e annotazione di C. Pichois, Parigi, Pléiade/Gallimard, 2002, vol. II, pag. 408-10. Pubblicato in Il Corsaro-Satana, nel 21.01.1846 - risale al 53° anniversario dell'esecuzione di Luigi XVI. Vedi anche il capitolo 1, “La cospirazione dell’arte moderna”, e il capitolo 3, “Marat, di David: fotogiornalismo”, in LR MARTINS, Rivoluzioni: poesia dell'incompiuto, 1789-1848, vol. 1, San Paolo, Ideias Baratas/ Sundermann, 2014, rispettivamente, pp. 27-44 e 65-82.
[Vi] Vedi il capitolo 7, “Scene parigine”, in questo volume; pubblicato in la terra è rotonda, sob o mesmo título, em 08.05.2022 (disponível em https://dpp.cce.myftpupload.com/cenas-parisienses/); ver também L.R. MARTINS, “A reinvenção do realismo como arte do instante”, in Art & Essay/ Rivista del Programma Post-Laurea in Arti Visive EBA – UFRJ, anno VIII, nº 8, 2001, pp. 102-11; vedi idem, Manet: una donna d'affari, un pranzo al parco e un bar, Rio de Janeiro, Zahar, 2007.
[Vii] Vedi capitolo 11, “Da un pranzo sull'erba ai ponti di Pietrogrado (appunti da un seminario di Madrid): regicidio e storia dialettica dell'arte moderna”, in questo volume; pubblicato in La Terra è rotonda, dal titolo “Regicidio e arte moderna”, in quattro parti, rispettivamente il 19.03.2023/XNUMX/XNUMX (disponibile online https://dpp.cce.myftpupload.com/o-regicidio-e-a-arte-moderna/), 18.05.2023, 25.06.2023, 24.07.2023 (disponível in https://dpp.cce.myftpupload.com/o-regicidio-e-a-arte-moderna-parte-final/). Ver também L.R. MARTINS, “Cubismo: o realismo como verdade da produção (capítulo 3)”, in idem, La produzione…, operazione. cit., pp. 160-223.
[Viii] “Il piacere che ricaviamo dalla rappresentazione del dono deriva non solo dalla bellezza di cui può essere rivestito, ma anche dalla sua qualità essenziale di dono (Il piacere che i nostri ritiri della rappresentazione del presente non siano solo della bellezza, non può essere riveduto, ma anche della qualità essenziale del presente)”. Cfr. Charles BAUDELAIRE, Il Peintre de la Vie Moderne, idem,Ascoltare…, operazione. cit., vol. II, pag. 684.
[Ix] Vedere Pepe KARMEL, “Beyond the 'Guitar': Painting, Drawing and Construction, 1912-14”, in Elizabeth COWLING e John GOLDING, Picasso: scultore/pittore, per esempio. gatto. (Londra, Tate Gallery, 16.02 – 08.05.1994), Londra, Tate Gallery, 1994, pp. 188-97.
[X] Vedi capitolo 11, “Di un pranzo sull'erba…”, op. cit., in questo volume; pubblicato in La Terra è rotonda, dal titolo “Regicidio e arte moderna”, in quattro parti, rispettivamente il 19.03.2023/XNUMX/XNUMX (disponibile online https://dpp.cce.myftpupload.com/o-regicidio-e-a-arte-moderna/), 18.05.2023, 25.06.2023, 24.07.2023 (disponível in https://dpp.cce.myftpupload.com/o-regicidio-e-a-arte-moderna-parte-final/).
[Xi] Vedi Pepe KARMEL, Il laboratorio di Picasso: il ruolo dei suoi disegni nello sviluppo del cubismo, 1910-14, tesi di dottorato, Institute of Fine Arts, New York University, New York, maggio 1993; vedi anche, idem, Picasso e l'invenzione del cubismo, New Haven, Yale University Press, 2003.
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