da JOSÉ GERALDO COUTO*
Commento al nuovo film di Paul Verhoeven
Paul Verhoeven è tornato al cinema con Benedetta, dramma storico ispirato alla vita di una suora che sosteneva di comunicare con Gesù e fu accusata di stregoneria nell'Italia del XVII secolo. Nel marketing e nella stampa, in parte a causa del direttore di Robocop, showgirls e Istinto selvaggio, le parole “polemica”, “controversia”, “scandalo” sono apparse in qualche modo automaticamente.
Se la relazione erotica di Benedetta con un'altra suora fa ancora scandalo, a più di due secoli dalla pubblicazione di un romanzo del genere i religiosi, di Denis Diderot (splendidamente girato da Jacques Rivette nel 1966 e rifilmato da Guillaume Nicloux nel 2013), questo dice più sulla regressione morale del nostro tempo che sul fatto storico in sé o sul film che lo ricrea fittiziamente.
Pertanto, l'interesse di Benedetta, ma nel modo in cui Verhoeven usa questa storia per esplorare questioni più sottili e perenni, come i rapporti tra fede e desiderio, estasi mistica e isteria, devozione e libido, potere secolare e potere religioso. Tra la carne e lo spirito, insomma.
La storia, raccontata nel libro atti impuri (1986), di Judith C. Brown, inizia negli ultimi anni del Cinquecento, quando i ricchi genitori di Benedetta Carlini (Elena Plonka/Virginie Efira) la internano come novizia, ancora bambina, in un convento del piccolo comune di Pescia, in Toscana. La prima scena, ancora in cammino verso il convento, introduce già il tema del miracolo: la famiglia viene aggredita dai briganti e un uccello defeca nell'occhio di uno di loro, presumibilmente per un intervento della Vergine, invocata dal piccolo Benedetta.
Verranno altri prodigi, ma l'astuzia di Verhoeven consiste nel lasciarli sempre sulla dubbia frontiera tra miracolo e bufala, spiegazione materiale e intervento divino. Più importante, a mio avviso, della veridicità dei fenomeni è l'osservazione del comportamento umano di fronte ad essi, sia dal punto di vista individuale, psicologico e collettivo: la mentalità prevalente all'epoca, gli interessi politici, l'indistinzione tra la Chiesa e il potere politico.
Non è il caso di anticipare qui una trama in cui accade di tutto: possessione (reale o fittizia), peste, suicidio, martirio sul rogo, resurrezione (o catalessi), rapporti lesbici e una misteriosa cometa che aleggia sulla città. Alcune di queste cose sono documentate, altre sono state inventate o modificate per effetto letterario, drammatico o estetico. Dopo tanto tempo, nel dubbio stampa la legenda, come diceva un personaggio di John Ford.
Ciò che conta è verificare quanto l'estasi mistica sia vicina al godimento sessuale (o alla sua repressione), e che la santa e la strega siano due facce della stessa figura, a seconda degli interessi sociali e politici che la circondano. L'esempio più famoso è quello di Giovanna d'Arco, bruciata sul rogo come eretica all'età di 19 anni e canonizzata secoli dopo. Una ragazza segnata dal fenomeno della trance mistica e colta nel mezzo della Guerra dei Cent'anni tra inglesi e francesi.
Em Benedetta, lo status della protagonista di santa o strega segue un movimento pendolare, si sposta al variare della correlazione delle forze nell'intricato gioco politico all'interno della Chiesa, coinvolgendo la badessa del convento (la straordinaria Charlotte Rampling), il prete di Pescia (Olivier Rabourdin) e il Nunzio di Firenze (Lambert Wilson).
La vicinanza tra santità e sesso, o tra spirituale e carnale, è suggerita nel primo giorno di convento della piccola Benedetta: quando una statua della Vergine a grandezza naturale cade (miracolosamente?) sulla ragazza, questa succhia un impulso di Maria seno. E la sua prima relazione lesbica inizia con la compagna di cella Bartolomea (Daphne Patakia) che le palpa il seno per sentire "il grande cuore" che Gesù ha messo dentro Benedetta.
Tutta questa dialettica santità/sesso è sintetizzata in un mirabile oggetto: una statuina lignea della Vergine Maria sulla cui base la vivace Bartolomea scolpisce un pene. Non a caso questo ambivalente manufatto sarà parte essenziale del processo di Benedetta.
Verhoeven mette in scena questo dramma dalle molteplici implicazioni (morali, politiche, religiose) con formidabile sicurezza. Fidati dei tuoi mezzi. È mirabile, ad esempio, nella scena dell'ingresso di Benedetta in convento, il passaggio dalla realtà solare, luminosa e colorata dell'esterno al chiaroscuro della pittura barocca, quasi monocroma, che comincia a prevalere tra le mura.
Parallelamente a questo drastico cambio di luci si svolge la trattativa tra il padre di Benedetta e la badessa del convento, un crudo affare finanziario che svela la triste condizione della donna in quel momento e allontana ogni idea di vocazione o di fede.
Allo stesso modo, il regista non teme l'umorismo e il ridicolo quando rappresenta le visioni del protagonista, scene stravaganti che suggeriscono un misto di Indiana Jones e Monty Python. Sono quasi intermezzi comico-avventurosi nel corso del dramma, con un'iconografia vicina alle commedie popolari e alle rappresentazioni infantili dell'universo religioso, ma anche ai film storici di intrattenimento (dalle epopee mitologiche della produzione B a spaghetti western).
Al di fuori delle visioni di Benedetta, il mondo è molto più oscuro e il dramma cresce di tensione, suspense e violenza fino a raggiungere un climax letteralmente apocalittico. Ma, per quanto seri gli argomenti affrontati, per quanto crudeli siano le scene descritte, Verhoeven sembra divertirsi, dicendoci tutto il tempo: questo è il cinema, questa continua illusione, questo rapimento dei sensi. Come una trance collettiva in un tempio profano.
* José Geraldo Couto è un critico cinematografico. Autore, tra gli altri libri, di André Breton (brasiliese).
Originariamente pubblicato su BLOG CINEMATOGRAFICO
Riferimento
Benedetta
Francia, 2021, 127 minuti.
Regia: Paul Verhoeven.
Sceneggiatura: David Birke e Paul Verhoeven.
Interpreti: Virginie Efira, Elena Plonka, Charlotte Rampling, Olivier Rabourdin, Lambert Wilson.