Brasile, paese del futuro

Immagine: Marcio Costa
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da REMY J. FONTANA*

Tracciare il nazismo dall'autobiografia di Stefan Zweig e le sue risonanze nel Brasile di oggi

Stefan Zweig, uno dei più importanti scrittori (biografo, saggista, romanziere, librettista, drammaturgo, sceneggiatore) della prima metà del Novecento, è stato un osservatore privilegiato e una delle tante vittime dei terribili eventi del periodo: due guerre mondiali, pandemia, crisi economica del 29, ascesa del nazifascismo, esuli, tra tanti eventi sfortunati. La squisita descrizione di ciò di cui fu testimone, attraverso un'esperienza diretta di quegli orrori, costituisce un insieme di conoscenze, e di allerta, che si prestano a conferire, per analogie e approssimazioni, intelligibilità e rilevanza ai processi regressivi e dirompenti in corso, inclusi e purtroppo nel nostro Paese.

Brasile, paese del futuro

Più conosciuto, o semplicemente conosciuto da molti come l'autore dell'espressione “Brasile, paese del futuro”, titolo del suo libro del 1941, che per l'insieme della sua notevole opera letteraria, o per il fatto che andò in esilio in Brasile, dove tragicamente finì la sua vita, insieme alla moglie Lotte, nel 1942, quando visse per 5 mesi a Petrópolis[I]. Per inciso, la suddetta espressione è così diffusa, è penetrata così profondamente nella coscienza collettiva di generazioni, prestandosi a svariate interpretazioni, dal significato originario che l'autore le ha prestato, come promessa di un radioso futuro per il Paese fino, in successive decenni, ha prevalso una comprensione scettica, in qualche modo irrimediabilmente cinica o ironica di un futuro poco promettente che in realtà non arriva mai. Non riesce mai a superare le sue strutture arcaiche, i suoi difetti ancestrali, le sue ferite sociali, il suo ripetuto status di avanguardia dell'arretratezza. Nella sintesi inversa di Millôr, il Paese ha ancora un enorme passato davanti a sé.

I suoi scritti sul Brasile hanno generato intense polemiche, hanno ricevuto forti critiche per aver ritratto il paese in modo un po' vanaglorioso, circostanza aggravata dalla validità dell'Estado Novo, che ad alcuni sembrava ricevere dall'autore, con quest'opera, un tacito avallo. In presenza di censura, come spesso accade nelle situazioni autoritarie, c'è una sorta di sovrapposizione e fusione tra le nozioni di paese, stato, regime e governo nella percezione di molti, il che implica che parlare bene o male di una di queste istanze alla fine si riverbera negli altri.

Tuttavia, l'entusiasmo di Zweig per il Brasile è anteriore all'Estado Novo, poiché aveva attraversato il paese nel 1936, durante un soggiorno di 12 giorni tra Rio, San Paolo e Santos, diretto a Buenos Aires, dove si stava recando, come onorato ospite, per partecipare al Congresso dell'International PEN Club. In effetti, era affascinato da entrambi i paesi, a maggior ragione dal Brasile, è vero, vuoi per la cordiale accoglienza dei suoi interlocutori, vuoi per le amenità degli incontri con intellettuali e scrittori, vuoi per quello che poteva vedere di questi paesi del “nuovo mondo”, soprattutto per il contrasto tra la pace che regnava in loro in quel momento e il rullo di tamburi di guerra che si sentiva nella loro Europa.

D'altra parte, è irragionevole immaginare che un autore così sofisticato, di tale proiezione internazionale, con un'opera vasta e riconosciuta necessiti di adulare un dittatore in servizio in un paese periferico, scrivendo un pamphlet occasionale, a nome di chi sa cosa, compromettendo la sua reputazione. È più ragionevole supporre che, a prescindere dai pregi o difetti contenuti nel libro, ciò abbia a che fare solo con il suo legittimo entusiasmo per il Brasile, con l'impatto che gli aveva provocato, sia per le sue caratteristiche, sia per opposizione alla sua vecchia Europa, in un momento particolarmente triste, l'ascesa dei nazisti e lo scoppio della guerra.

Proveniente da New York in viaggio verso il Sud America, questo viaggio permetterà allo scrittore anche di ampliare la sua visione del e del mondo, le sue dinamiche, la sua storia, il suo futuro. Si rende conto, e qui delinea una critica all'eurocentrismo così indurito dagli abitanti del vecchio mondo, che dovrebbero “non pensare più solo alle dimensioni dell'Europa, ma anche del resto del mondo – non seppellirsi più in un passato morente, ma partecipare alla sua rinascita”. Il Brasile gli è apparso come uno dei luogo privilegiato, dove “(…) l'uomo non era separato dall'uomo da assurde teorie di sangue e di origine, lì si poteva ancora … vivere in pace, c'era spazio per il futuro in abbondanza incommensurabile…”.

È un fatto che nel suo libro sul Brasile questa fascinazione sembra talvolta scivolare nel semplicismo, in una leggera apprensione per le radici storiche e le contraddizioni sociali qui imperanti, ma nella prefazione l'autore non manca di fare delle riserve, segnalando le insufficienze nella ricerca e necessità di una maggiore esperienza per produrre un ritratto più pertinente di ciò che ha visto e compreso del paese. Lui scrive, “Non è possibile per me spendere conclusioni definitive, previsioni e profezie sul futuro economico, finanziario e politico del Brasile”, tra le altre riparazioni e avvertimenti.

La serietà e la coerenza dei suoi scritti è attestata anche in un passo della sua autobiografia, che sembra piuttosto un'indicazione del suo metodo: “Ogni prolissità, ogni indulgenza, tutto ciò che è vagamente elogiativo (sic), indefinito, poco chiaro, tutto ciò che indugia inutilmente in un romanzo, una biografia, un dibattito intellettuale, mi irrita. Solo un libro in cui ogni pagina mantiene il ritmo e rapisce il lettore fino all'ultima pagina mi dà piena gioia. (...). Necessariamente [questo atteggiamento] Ho dovuto trasferirmi dalla lettura delle opere altrui alla scrittura delle mie, educandomi a una cura speciale”.

Le critiche al libro finirono per attenuare il fatto dell'ampia diffusione del paese che promuoveva, essendo stato tradotto in quasi 10 lingue contemporaneamente. E, per l'autore, rattristato dalla negativa accoglienza critica, un elemento in più per approfondire la sua depressione. Sebbene non si possa stimare quanto questo lo abbia colpito, è plausibile supporre che abbia contribuito al suo suicidio sei mesi dopo.

La relativa mancanza di conoscenza del lavoro di Zweig tra noi è stata mitigata, soprattutto dall'impegno di Alberto Dines, che ha coordinato la pubblicazione di quasi una dozzina di titoli dell'autore a Zahar, e dalla sua dedizione come fondatore e presidente di Casa Stefan Zweig, inaugurato nel 2012 a Petrópolis, con lo scopo di onorare e preservare la memoria dello scrittore austriaco. Secondo Dines, scrivendo nel 2014, c'è stato un “(…) rinascita, vera e propria 'zweigmania' globale (…)”, che considerava meno come una riabilitazione che come un culto mondano, quasi riducendo l'autore a un personaggio dei suoi stessi romanzi, piuttosto considerandolo in alcuni suoi attributi essenziali.

Chi sa qualcosa della sua traiettoria sa che quello che gli mancava di meno erano gli attributi, notevoli, e le tribolazioni, drammatiche. Entrambi sono ben documentati e commentati in varie pubblicazioni e, in particolare sulle loro avversità, afflizioni e tormenti, nella loro autobiografia, oggetto di alcune considerazioni che seguono.

Zweig e Marai

Permettetemi prima di fare un piccolo parallelo, dovuto ad alcune intriganti somiglianze tra l'austriaco Stefan Zweig (1881-1942) e l'ungherese Sándor Márai (1900-1989). Entrambi autori di copiosa opera, sudditi dell'impero austro-ungarico, che videro scomparire nel 1918 a seguito della sconfitta nella prima guerra.

Nel periodo tra le due guerre, Zweig era già diventato uno scrittore di grande successo in tutta Europa, uno dei più letti e tradotti in diverse lingue, tra cui il russo, la cui edizione completa delle sue opere aveva una prefazione di Máximo Górki. Dal 1930 Zweig fece pubblicare alcune opere in Brasile e lettori fino al decennio successivo; sommersa da tempo, rilanciata a partire dagli anni '1980.

Sándor Márai, di vent'anni più giovane, scriveva principalmente nella sua lingua, cosa che ne rendeva più difficile la diffusione, venendo “riscoperto” solo in Occidente, con edizioni in inglese e francese negli anni '1990; il suo primo lavoro uscito in Brasile, Le braci, è un'edizione del 1999 di Companhia das Letras (una preziosa raccomandazione datami da Fábio Konder Comparato, nel 2004). Di una dozzina di titoli pubblicati da Cia. das Letras vale la pena evidenziare il sorprendente Verdetto a Canudos, notevole descrizione dell'episodio, da parte di un autore che non era mai stato in Brasile, ma che rimase affascinato dalla lettura dei “Sertões” in versione inglese '' (...) si appropriò dell'essenziale per dare un taglio alla significato profondo della comunità di Canudos”, come osservava Milton Hatoum, nella piega di copertina dell'edizione del 2001. O come dice lo stesso Márai, “Un giorno ho cominciato a scrivere di quello che credevo fosse stato lasciato 'fuori' dal libro di Euclides da Cunha – era stato lasciato fuori, ma 'poteva anche essere così'”.

Due degli autori più importanti della prima metà del 'XNUMX; vissute due guerre, esiliate, semidimenticate, soccorse e infine sgozzate da perenne angoscia, si tolsero la vita. Date queste traiettorie, è alquanto sorprendente che un autore come Zweig, così strettamente imparentato con i suoi coetanei in quel periodo, non abbia avuto contatti con Márai; questo è quanto si deduce dalla sua autobiografia, nella quale non si fa menzione dell'ungherese.

Ma torniamo a Stefan Zweig. La circostanza di aver letto negli ultimi anni alcune sue opere, ne ha apprezzato lo stile raffinato, l'astuzia della ricerca, la perspicacia delle sue osservazioni e la profondità con cui coglie e disegna il profilo psicologico dei personaggi, da un lato, e dall'altro la riscoperta della sua opera, sono stati stimoli più che sufficienti per imparare da se stesso qualcosa sull'autore.

Mentre la motivazione a recensire la sua autobiografia era dovuta, oltre al fascino per la sua scrittura e la sua traiettoria, alla sua narrazione di periodi di crisi sociale, esplosioni belliche, tensioni e conflitti nella società, le cui matrici strutturali, tipizzazione degli attori, i suoi mezzi di azione e conseguenze drammatiche, sia nel destino dei popoli, sia nel degrado delle istituzioni o nella rovina delle nazioni, suggeriscono sinistre analogie con il nostro tempo e, in particolare per quanto riguarda la coreografia fascista, con il nostro stesso paese nel suo momento bolsonarista.

Umanista, cosmopolita, pacifista

Nella vita e nell'opera di Stefan Zweig si intrecciano indissolubilmente situazioni estreme, drammatiche come due guerre, l'esilio in diversi paesi, l'esilio di se stesso e dei suoi libri; uno studioso che ha avuto come amici e interlocutori una pletora delle figure più espressive nel campo delle arti, della letteratura e della musica, in particolare[Ii].

Umanista, pacifista, europeista, Zweig credeva nella forza delle idee, nella creazione artistica, in particolare nella letteratura, nella raffinatezza culturale come mezzo privilegiato di comprensione tra i popoli, di riconciliazione tra le nazioni[Iii], in un momento in cui l'intolleranza, la xenofobia e il nazionalismo estremo stavano per proiettarsi al centro del potere di alcune nazioni, conducendole, e con esse tutte le altre, all'ecatombe delle guerre mondiali.

Questo orientamento morale basato sull'estetica non lo ha portato a un maggiore impegno politico, sebbene abbia vissuto e sofferto direttamente e drammaticamente gli impatti dell'inasprimento dei conflitti che si sono verificati. Questo atteggiamento, evitando ogni attivismo che denunciasse la barbarie che dilagava, essendo già un personaggio di primo piano nel mondo delle lettere e la cui voce poteva amplificare quella di tanti altri nella resistenza al bellicismo e al nazismo, veniva di volta in volta preteso.

Pur evitando di schierarsi direttamente o di pronunciarsi inequivocabilmente contro la barbarie (che infastidiva particolarmente il suo amico di decenni Romain Rolland), non mancò di descriverla in tutto il suo squallore, truculenza e aberrazioni. Ancora in Austria e nei suoi vagabondaggi per l'Europa alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale, si sforzò tuttavia di esorcizzare queste minacce con la delicatezza di un raffinato letterato, credendo che gli sarebbe bastato il valore morale di una cultura raffinata e umanista , o almeno poteva contenere gli aspetti più spaventosi di ciò che sarebbe successo. Credulità incoerente e aspettative illusorie com'era, dolorosamente e disperatamente, realizzando.

Il suo atteggiamento umanista-pacifista, articolato attorno a una natura quasi sacrale dell'arte e della letteratura, che di fronte a tale realtà potremmo forse designare come “morale del pronto soccorso”, si rivelò, quindi, insufficiente. Ha risposto a queste richieste e alla realtà a cui si riferivano, con crescente angoscia, disperazione e depressione che alla fine lo avrebbero portato a porre fine alla propria vita.

In ogni caso, sebbene il suo pacifismo non si esprimesse con un'azione propriamente politica, si sforzò di promuoverlo nell'ambito della sua professione. In alcune opere, in particolare nella sua autobiografia, è molto enfatico nel descrivere i contesti bellici che si stavano delineando, evidenziando le oscillazioni diplomatiche, l'incoerenza e l'inerzia dei governanti, la crudeltà e il cinismo dei fabbricanti di munizioni, la disattenzione o la perplessità delle persone comuni. Descrive anche, da quanto annota con crescente inquietudine, le prime scaramucce delle bande naziste, alla loro nascita a Monaco, come si comportarono con disinvoltura di fronte alla condiscendenza incredula di tanti che non individuavano un pericolo immediato, oppure addirittura un rischio per la democrazia, o ancor più una minaccia mortale per la stessa civiltà.

Si basa su ciò che riferisce sul contesto dell'emergere dei nazisti, su come stavano definendo i contorni della loro natura, la loro origine, componendo la loro identità come personalità, gruppo, leadership e movimento, e d'altra parte, su come sono stati visti, con indifferenza, con una simpatia quasi solidale di alcuni, o con timori e timori quasi senza resistenza da parte di altri, è che arriviamo a conoscere e comprendere il fenomeno che presto annienterebbe la democrazia, distruggerebbe ragione, deridere i valori civilizzatori, scatenare la guerra.

Nazismo e bolsonarismo[Iv]: contesti e approcci

Una cautela/riserva di fondo quando si intraprende un confronto tra tempi diversi, contesti culturali, regimi politici diversi, scala degli eventi, è una procedura di elementare prudenza. Ma prendendo queste precauzioni, è possibile stabilire somiglianze di processi, comportamenti tipici di attori rilevanti, impatti sui destini personali o su società e paesi.

In questo senso, propongo una sorta di copione per rendere conto del contesto dell'emergenza, delle pratiche e dei processi che hanno modellato e configurato il fascismo, vale a dire la sua versione tedesca, il nazismo, come appaiono in questo libro di memorie di Zweig. Attraverso indicazioni ed indicatori caratterizzanti il ​​fenomeno, si raccordano le citazioni dell'autore, lasciando al lettore possibili approssimazioni con gli eventi, i fatti, le azioni e gli avvenimenti che sempre più colorano il panorama sociopolitico della contemporaneità del nostro Paese, a partire dalla prima metà degli anni 2010, con particolare e brutale incidenza dal processo elettorale che portò Bolsonaro al governo federale.

Due momenti, due paesi, due regimi e altre differenze non inficiano né attenuano la percezione che nel piano storico a lungo termine ci troviamo di fronte a movimenti che circoscrivono il destino dei popoli con l'impronta della tragedia. Al centro dell'Europa nazista, con una situazione completamente configurata che si svolge in una guerra totale; qui, in un momento in cui ci sono ancora tentativi, avanzamenti graduali, esperimenti e prove un po' disorganizzate, ma ancora preoccupanti per i loro possibili effetti disgregatori e nefaste conseguenze, sia a livello di regime politico, sia in termini di politica, cultura azione e molti altri che abbracciano la vita nella società.

C'è, quindi, qui da noi e altrove, qualcosa come un aggiornamento di questi processi di autoritarismo, rispettando i predetti avvertimenti riguardo a contesto, scala e regimi politici.

Come sappiamo, il fascismo precede il nazismo, anche se come fenomeno politico, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, tendiamo ad associarli per designare idee, movimenti, partiti, leader o regimi politici di destra, totalitari. Se dovessimo datare la sua nascita, almeno come dichiarato esplicitamente, come notato da Robert Paxton, il movimento iniziò domenica mattina, 23 marzo 1919, in un comizio convocato dai seguaci di Benito Mussolini a Milano, “per dichiarare guerra al socialismo . ”.

Da allora corrode le democrazie e provoca caos e distruzione a diverse latitudini e ricompare qua e là, nei paesi avanzati e arretrati, intrecciandosi con le cause o come danno collaterale delle successive crisi del capitalismo, fino ad arrivare ai giorni nostri con la figure famigerate del buffone -mor, Trump, e del suo seguace caricaturale e rozzo, ma non per questo meno dannoso, Bolsonaro, tra gli altri portati dalla crescente marea globale dell'estrema destra.

È vero che queste deprecabili figure appartengono a questa sinistra tradizione autoritaria, ma ciò non esime dall'elaborazione di un'analisi più accurata per svelarle nelle loro peculiarità, aggiornandole, sfumandole e specificando eventuali analogie con la matrice del fenomeno. Si tratta di un compito di vasta portata che non può essere intrapreso qui.

Nell'ambito di queste considerazioni, posso solo, dal testo di Zweig, fare una panoramica dell'atmosfera, dei contesti e dei tratti che hanno plasmato il nazismo originario, e come possiamo esplorare somiglianze formali, ma anche reali equivalenze e risonanze socio-storiche con e sulla nostra preoccupante situazione degli ultimi anni.

Nazismo/fascismo – elementi caratterizzanti

Gli studiosi sono prodighi nell'elencare caratteristiche del nazifascismo, ma vi sono tratti consensuali, come quelli che seguono, raccolti direttamente e testualmente dal libro di Zweig. Per ogni elemento identificativo che elenco, con eventuali brevi descrizioni, seguono le citazioni corrispondenti:

1 – Incredulità e disinteresse per l'insorgenza del fenomeno

La maggior parte, compresi politici, giornalisti e intellettuali nei Paesi dove il nazifascismo divenne una dura realtà, esitava a riconoscerne i segni, si opponeva a dargli importanza o potere politico, confidando nell'espressività della sua cultura e delle sue tradizioni, nella solidità delle istituzioni, nella la capacità di governanti responsabili della nazione, la cui popolazione riteneva che la loro libertà ei diritti garantiti dalla Costituzione fossero garantiti.

È una legge ineludibile della storia che vieta ai contemporanei di identificare immediatamente i grandi movimenti che determinano la loro epoca.

[Di fronte alla rinascita di Hitler, pochi anni dopo il fallimento colpo di stato del 1923, nel bel mezzo di un'ondata ascendente di insoddisfazione],

(…) ancora non ci rendevamo conto del pericolo. I pochi scrittori che si sono davvero presi la briga di leggere il libro di Hitler hanno preso in giro lo stile pomposo della sua prosa piuttosto che occuparsi del suo programma.

Invece di ammonire, i grandi giornali democratici rassicuravano ogni giorno i loro lettori dicendo che quel movimento, che in realtà solo con grande fatica finanziava la sua enorme agitazione con risorse dell'industria pesante e debiti audaci, sarebbe inevitabilmente crollato domani o dopodomani. .

(...) Devo confessare che, nel 1933 e ancora nel 1934, noi in Germania e in Austria non credevamo un centesimo o un millesimo che fosse possibile quello che sarebbe scoppiato poche settimane dopo.

Alla vigilia dell'invasione dell'Austria da parte di Hitler, Zweig, già autoesiliato a Londra, fa visita per l'ultima volta alla madre a Vienna. Quando accenna alla sua preoccupazione con i suoi amici di fronte a tale imminenza, lo prendono in giro.

Ma tutti quelli con cui ho parlato a Vienna erano sinceramente indifferenti. Si invitavano a riunioni in smoking o frac (senza immaginare che presto avrebbero indossato le uniformi dei prigionieri dei campi di concentramento)...

2 – Rapporti di classe e politici squalificati. L'ascensione sociale delle masse è percepita come una minaccia. La piccola borghesia risentita.

I leader fascisti sono gusci del basso clero politico, che i borghesi colti lasciano entrare nei loro salotti solo quando ne hanno bisogno per schiacciare i socialisti, tendono ad essere feccia della classe medio-bassa, mentalmente instabili e con precedenti penali. La sua più grande motivazione e obiettivo è eliminare la sinistra.

L'industria pesante fu sollevata dalla paura dei bolscevichi e vide in Hitler l'uomo al potere che aveva segretamente finanziato; e nello stesso tempo tutta la piccola borghesia impoverita, alla quale aveva promesso (…) la “rottura della schiavitù degli interessi”, tirò un sospiro di sollievo e di entusiasmo.

Leader abile e populista, (…) si è appropriato di questo malcontento e di questa preoccupazione. (...), ha trascinato con sé l'intera piccola borghesia e la classe media insoddisfatta, la cui invidia per i ricchi era molto inferiore alla paura di cadere dalla borghesia al proletariato. Era esattamente lo stesso pauroso strato che in seguito Adolf Hitler raccolse intorno a sé.

3 – Il veleno dell'odio e la volontà di annientamento

«L'odio tra un paese e l'altro, tra un popolo e l'altro, tra un tavolo e l'altro non ci assaliva ancora ogni giorno dai titoli dei giornali, non separava ancora gente da gente (...); quella nozione di gregge, di mera massa, non era ancora così disgustosamente potente nella vita pubblica (...); la tolleranza era ancora lodata come forza etica e non, come oggi, disprezzata come debolezza”.

4 – Volgarizzazione e brutalizzazione della politica

Era un potere nuovo che voleva dominare (…), un potere che amava e aveva bisogno della violenza e per il quale tutti gli ideali che seguivamo e vivevamo – pace, umanità, conciliazione – erano debolezze antiquate.

5 – Identificazione dei nemici. Capro espiatorio come causa unificante

Le masse sono mobilitate in una frenesia patriottica per eliminare minacce o percepite come tali: minoranze etniche, razziali, comuniste, marxiste, socialiste, ecc.

Dopo alcune avanzate e posizioni conquistate dai nazisti:

(...) la brutalità non ha più bisogno di travestimenti morali; non servivano più da pretesti ipocriti come lo sterminio politico dei “marxisti (…)”.

  1. Naturalizzazione di mostruosità e barbarie. Gran parte della popolazione accetta “le cose come sono”. "Metodo"

(...) in tutta la sua spregiudicata tecnica di inganno, ha evitato di rivelare tutto il radicalismo dei suoi obiettivi prima di abituare il mondo. (…) il suo metodo: una dose alla volta e dopo ogni dose una pausa. Sempre solo una pillola e poi aspetta un po' per controllare se non era troppo forte, se la coscienza del mondo tollerava quella dose.

7 – Perplessità di fronte alle battute d'arresto

 (…) quanto poco sapevano che la vita può essere eccesso e tensione, una continua sorpresa ed essere fuori da ogni parametro; Quanto poco, nel loro commovente liberalismo e ottimismo, immaginavano che ogni giorno che spunta davanti alla finestra potesse distruggere le nostre vite.

8 – Bugie, come mezzo per manipolare e mobilitare le masse. Nel suo schietto pragmatismo, la verità è ciò che serve al suo scopo per nutrire gli accoliti e incitare la massa dei suoi sostenitori.

(…) da quando Hitler fece della menzogna naturale e dell'antiumanesimo una legge (…).

Il popolo veniva continuamente ingannato dicendo che Hitler voleva solo attirare i tedeschi dai territori confinanti con la Germania, che sarebbero poi stati soddisfatti e, in segno di gratitudine, avrebbero estirpato il bolscevismo; questa esca ha funzionato meravigliosamente.

In più parti del libro sono molte le citazioni che caratterizzano i nazifascisti, componendo un quadro di orrori, di cui riconosciamo qui e ora i contorni o le sagome nella nostra stessa realtà:

– praticare una politica antipolitica, privilegiando l'unità della nazione al di sopra delle distinzioni di classe; pregiudizi radicati sul dibattito ideologico; e correre sulla ragione;

– un appello al patriottismo, il cui significato è meglio colto dalla “filiaca canonica” di Samuel Johnson come l'ultimo rifugio dei farabutti;

– la supremazia militare, anche nelle posizioni civili, indica una dittatura militare;

– sessismo, maschilismo, omofobia;

– religione e governo intrecciati in una retorica manipolatrice;

– interessi di grandi gruppi economici tutelati e promossi; diritti e interessi del mondo del lavoro annullati, limitati o degradati;

– disprezzo, intimidazione e persecuzione del mondo intellettuale e artistico, ostilità alla scienza e all'università;

– ossessione per il crimine e la punizione, per la legislazione repressiva abusiva, per l'offesa alle libertà e ai diritti civili;

– clientelismo e corruzione dilagante;

– alle idee preferisce i miti; non pensano, o se lo fanno, è meno con il cervello che con il sangue o il fegato;

– vedersi come crociati contro un vecchio ordine decaduto, che vogliono rigenerarlo, o come creatori di un nuovo ordine più puro;

– rimescolare la distribuzione delle correnti ideologiche, intenzionate a rendere indistinte le posizioni di sinistra e di destra nello spettro politico;

– lanciare una guerra culturale contro la democrazia ei diritti umani;

– quando l'agenda liberale trova difficoltà ad essere attuata, il ricorso al fascismo appare come il carta jolly, il carattere jolly, ma nella sequenza il carta ottenere solo il selvatico, la ferocia;

– contiene un progetto di genocidio.

Ogni approssimazione di questi tratti fascisti con la situazione brasiliana degli ultimi anni è qui esplicitamente suggerita.

continua a sperare

Nemmeno nelle loro notti più buie hanno sognato quanto possa diventare pericoloso l'uomo, né quanta forza abbia per superare i pericoli e superare le prove.

La consapevolezza che ci troviamo in questa situazione proto-fascista o para-fascista, o quando entriamo nel fascismo, dovrebbe allertarci sui suoi possibili incrementi e, in questo caso, su una resistenza militante, se il nostro impegno è per la democrazia, i diritti e civiltà.

Come ci ricorda Zweig, commentando i tentativi di Chamberlain di negoziare con Hitler per evitare la guerra; Non sono andato a Monaco per lottare per la pace, ma per chiederla. I tuoi tentativi di pacificazione e “prova e riprova” miseramente fallito. Il suo messaggio ottimista di qualche giorno prima”Pace per il nostro tempo”, si estinse nei giorni successivi con il trionfo del nuovo amoralità consapevole e cinica dei nazisti.

Nel nostro caso non abbiamo alternativa se non quella contenuta, in epigrafe, nell'autobiografia di Zweig, tratta da Shakespeare, Cymbaline: “È urgente affrontare il tempo che ci cerca”.

Questa citazione potrebbe integrarsi con un'altra, dello stesso autore, se fossimo più decisi ad affrontare l'ex capitano e la pletora di disavventure già sufficienti per privarlo di un potere che lo inquina eticamente e legalmente quotidianamente: “Sofoul un cielo limpido senza tempesta” [“Un cielo così tetro può essere chiarito solo da una tempesta” (Shakespeare, Vita e morte di re Giovanni).

*Remy J.Fontana, sociologo, è professore in pensione presso l'Università Federale di Santa Catarina (UFSC).

 

Riferimenti


Stefano Zweig, Autobiografia: Il mondo di ieri: Memorie di un europeo. Rio: Zahar, 2014.

  1. cena, Stefan Zweig nella terra del futuro - la biografia di un libro. Fiume: 2009.
  2. Cena, Morte in paradiso - La tragedia di Stefan Zweig.Rio: 1981.

Stefano Zweig, Brasile, paese del futuro. Rio: Editora Guanabara, 1941.

Sylvio Indietro Nicholas Oneill, – Lost, gli ultimi giorni di Stefan Zweig in Brasile. Tour bilingue. Rio: Imago, 2007.

Sylvio Backfilm Zweig perduto.

Case editrici Zweig in Brasile dagli anni '1930, Ed. Guanabara, Delta (opere complete), Nova Fronteira, Zahar.

 

note:


[I]Ha vissuto in Brasile per 15 mesi, dal 21 agosto 1940 fino al suicidio del 23 febbraio 1942.

[Ii] Tra amici, interlocutori e rapporti con una certa vicinanza, possiamo citare: Theodor Herzl, Paul Valéry, Rodin, Romain Rolland, Thomas Mann, James Joyce, S. Freud, Richard Strauss, A. Toscanini, Ravel, Bartók, M.Górki, Lunatcharski, Salvador Dalí, Bernard Shaw, HGWells, Rainer Maria Rilke, Hugo von Hofmannsthal, Arthur Schnitzler, B. Croce, Pirandello, Anatole France, Walther Rathenau, Conde Keyserling, A. Gide.

[Iii] Non è casuale la sua osservazione che “l'arte di solito raggiunge il suo apice quando diventa una questione vitale per un intero popolo”.

[Iv] Solo per comodità di espressione possiamo nominare “bolsonarismo” come corrente politica; è ancora lontana dall'acquisire abbastanza densità per farlo, ancor meno per ricevere l'impronta di un concetto di analisi politica. Nelle condizioni attuali, tuttavia, non è più un'espressione diffusa di settori della società, in quanto ha già prodotto risultati elettorali significativi e raggiunto posizioni di potere. Mentre il capo del movimento ha poca coerenza programmatica, energia politica creativa o vibrante retorica, la sua ottusa volgarità politica e oscenità trovano una risonanza preoccupante. Se, nonostante queste carenze e incoerenze, una tale figura e ciò che rappresenta continua a portare avanti la sua agenda regressiva, avremo davvero seri problemi davanti. Ciò che viene esposto in questi miei commenti, basati su Zweig, è, da un lato, una scommessa di resistenza effettiva e vittoriosa di fronte a tali possibilità, e dall'altro, come evidenziato nel testo, un chiaro monito che il peggio è in agguato, affidandosi alla disattenzione di alcuni e alla passività di altri, per coprire il processo politico di orrori e aberrazioni, i cui contorni sono già chiaramente definiti davanti a noi.

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