Brasile, che ore sono?

Immagine: Atena
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da VITOR MORAIS GRAZIANI*

L'orologio in Brasile indica che il tempo è per la barbarie, il consenso o la rivoluzione

 

“Il Brasile avrà successo perché lo voglio io” (Caetano Veloso).

 

1.

L'anno scorso, mentre gli abitanti di questa terra brasiliana morivano a singhiozzo e ci siamo trovati intrappolati di fronte alla necessità di chiedere misure di restrizione più severe per l'epidemia che stavamo affrontando, oltre a un vaccino, che potesse alleviare l'agonia , la bolla sinistra di Twitter ha deciso di far rivivere (senza mai essere morta) una figura chiave della nostra storia. Parlo di Maria da Conceição Tavares. Per mesi alla volta, quando si passa attraverso il alimentare Da quel social network mi imbattevo in brevi video di interviste e lezioni dell'economista portoghese fuggito dal salazarismo e stabilitosi in Brasile dagli anni '1950.[I]

Per molto tempo ho provato a pensare al significato che c'era dietro, in fondo era un fenomeno al di là delle reti intellettuali, poiché in altre reti: i social network, tra persone della mia età che sembravano sognare in tempi di nichilismo. Nel bel mezzo della "rivoluzione neoliberista", che ha istituito, secondo Pierre Dardot e Christian Laval, un cambiamento di mentalità,[Ii] ampliato nel caso brasiliano con l'ascesa dello spirito imprenditoriale durante gli anni di Lulista, rivolto contro lo stregone sotto forma di "bolsonarismo",[Iii] che senso ha rivendicare Maria da Conceição Tavares, uno dei nomi di punta del nazional-sviluppismo colpito dal 1964?

Credo che ci siano altri due fattori immediati: il primo, un futuro da parte delle nuove generazioni attorno alle idee cristallizzate in azioni per superare il sottosviluppo, dibattito chiuso da decenni tra la maggior parte degli economisti; la seconda, una spinta alla discussione accesa (cerco di evitare l'idea di “radicalizzazione”, ma se il lettore preferisce così, atteniamoci), caratteristica fondamentale delle affermazioni dell'economista e di un'epoca in cui la l'emancipazione del popolo è stata sognata dal brasiliano.

 

2.

Non intendo, con questo saggio, analizzare gli anni di acuta crisi sistemica che il Brasile ha dovuto affrontare (almeno dal 2013? Almeno dal 2016? Almeno dal 2018? Almeno dal 2020?). Quello che voglio, soprattutto, è stabilire un'analisi del rapporto, che nel nostro caso è dialettico, tra passato e futuro, per provare a spiegare questa eco di un passato evolutivo proprio nel momento del suo ultraventesimo giorno massa. In generale, come può il nostro passato influenzare il nostro futuro? Del resto si sapeva da tempo che il Paese del futuro, a cui alludeva Stefan Zweig in un libro-manifesto – per il Paese e per la vita, del resto era la sua vita a rischiare quando scriveva esso, con la possibilità di estradizione nella Germania nazista –, non solo non ebbe successo, ma realizzò il suo ideale in chiave opposta: siamo infatti in prima linea nel mondo, ma in ciò che riguarda la sua distruzione (“Brasilianazione").[Iv]

Quindi, come non fare tabula rasa del passato? La cultura politica ufficiale ormai consolidata, basata sulla considerazione dell'avversario come un nemico (qualsiasi eco con la teoria del nemico interno non sarà una mera coincidenza), e a sua volta sulla conseguente smobilitazione morale di quest'ultimo, non lascia dubbi su questo punto. Il passato evolutivo non ha più senso nel presente. Se è così, allora da dove trarre ispirazione? Francisco Alambert, in un saggio in cui analizza ogni decennio quella che chiamava “la reinvenzione della Modern Art Week” del 1922, ci ricorda qualcosa che Luiz Recamán aveva già sottolineato nel 2001 e che va ricordato: “senza un classico storia – che ha fatto rivivere in Europa uno stile fascista classicizzante nostalgico dei grandi imperi – noi siamo stati la materia prima stessa della modernità”.[V]

Ancora una volta appare qui l'idea del paese come avanguardia unica al mondo; però, vediamo: è proprio la nostra assenza di un passato “classico” che ci spinge all'urgenza della modernità, qualcosa di completamente opposto a quello che c'è oggi. Quello che vediamo, camuffato da una commedia ideologica di riappropriazione del passato schiavista, coloniale e persino imperiale, ma soprattutto schiavista (leggi: violento e moderno), è molto più una spinta ad annullare le illusioni evolutiste che a ricostruire di quel passato. Dopo tutto, la storia non si ripete come una tragedia.

Tornando alla domanda, cosa può insegnarci il nostro passato? E qui mi riferisco, è necessario dirlo, a un passato preciso: quello dell'inserimento del Brasile moderno, sviluppato, nel concerto delle nazioni – letto in termini cronologici: dal 1930 al 1964, più la sopravvivenza, a destra, di la dittatura civile-militare. Bene allora. In un'intervista del 2020 con il programma Ruota viva, Caetano Veloso, figura chiave per comprendere il pasticcio ormai instaurato, ha commentato che questo periodo sarebbe il risultato dell'“incontro di tre tristi razze” (il riferimento, a sua volta, è al Tristes tropicos, di Lévi-Strauss).[Vi]

La posizione di Caetano è curiosa e allo stesso tempo importante, perché mette in luce una certa incredulità – caratteristica fondamentale dell'opera del Santamarense – rispetto alle potenzialità di emancipazione del Paese in quegli anni d'oro del capitalismo di stampo brasiliano. Sebbene sia difficile accettare che il bianco abbia una certa tristezza nelle sue azioni di sfruttamento, è innegabile che la sua fusione con il nero e gli indigeni, che sono stati distrutti da loro e quasi cancellati dalla mappa dalla cosa più oscura del nostro passato, è carico con dei dispiaceri.

Si scopre che questo processo, che ha caratterizzato buona parte della nostra storia, era pieno delle sue sottigliezze. Un buon esempio di ciò può essere identificato nella musica di Heitor Villa-Lobos, specialmente nella sua Choros nº 10 – “Rasga o Coração”, 1926: lì si incontrano le tre razze costitutive del paese e l'esito non potrebbe essere meno interessante. Al compositore bianco e alla struttura sinfonica europea con un suono appreso dai chorões degli anni '1910 si uniscono le melodie indigene dei Pareci (“Jakatá kamarajá / Tayapó kamarajá…”) al choro “Iara”, di Anacleto de Medeiros, testo di Passione Catulo da Cearense dal titolo “Rasga o Coração”, rappresentativa della fusione delle razze in un unico segno redentore per sfociare in una forma sincopata, erede della moderna samba (rappresentante delle popolazioni afro-discendenti) e… autoritaria[Vii]!

E qui, una piccola escursione. Samba moderna, anch'essa frutto della “mescolanza” tra le tre razze costitutive del paese, ma esercitata da agenti esclusi dalla società[Viii], almeno nella sua produzione (spesso collettiva), si trovò sconvolto da quella che José Miguel Wisnik chiamava una certa “pedagogia autoritaria” nell'opera dei compositori classici moderni, il cui primo esempio sarebbe proprio Villa-Lobos (che, dovrebbe essere ricordato, ha partecipato alla Settimana del 22)[Ix]: una spinta di parti di questi a tutelare la cultura popolare, che verrebbe contro lo Stato Varguista, anch'esso autoritario.

In altre parole, del resto, “la zona di fraternizzazione” tra le mitologiche tre razze costitutive del paese, idea propugnata da Gilberto Freyre,[X] sarebbe, in fondo e per amore di verità, basato sulla rimozione delle caratteristiche strutturanti di ciascuno (soprattutto nero-africano e indigeno) per lasciare il posto a qualcosa di nuovo, essenzialmente brasiliano, a scapito dell'effetto civilizzante di l'uomo bianco, cosa apertamente esemplificata nella citata opera di Villa-Lobos.

Modernità esclusa? Unificarsi per poter continuare a esistere? Il fatto è che sono domande completamente opposte a quello che c'è oggi: questo passato, il passato della modernità autoritaria, ma che è anche il passato di Maria da Conceição Tavares, Vargas, Juscelino e Jango, avrebbe poco senso. Come fraternizzare le differenze, caratteristica cruciale di quel Brasile, se oggi l'imperativo è, essenzialmente, distruttivo, dirigersi verso una guerra civile, per tornare a Dardot e Laval[Xi]? Come mi aveva predetto il sociologo Rafael Carneiro Vasques alla luce dei recenti avvenimenti: “Il Brasile di Gilberto Freyre è morto”.[Xii] Finì, divenne un cadavere in putrefazione.

 

3.

Tornando alla domanda che ci muove qui, perché, in fondo, tornare a Maria da Conceição Tavares in questo momento? E, tuttavia, cosa ci offre il passato brasiliano (e anche qui ripeto che mi occupo del periodo 1930 – 1964) come entità che mobilita i cuori e le menti in vista di trasformare il futuro? Ebbene, Conceição Tavares è noto, come già accennato, per aver creduto, fino a un certo punto, nella possibilità di inserire il Brasile nel corteo dei Paesi sviluppati. Si scopre che “era un paese, sottosviluppato, sottosviluppato” (il riferimento è al Canzone del sottosviluppo, di Carlos Lyra) e il desiderio è rimasto lungo la strada.

È vero, però, che ciò non le ha impedito di proporre soluzioni alla situazione che, anche se non comportavano più sviluppismo, in senso stretto, potrebbe promuovere la giustizia sociale, come la tassazione delle grandi fortune, una misura impensabile in qualsiasi governo che abbia in corsa l'ex governatore tucano Geraldo Alckmin. Allora, in fondo, in che cosa può aiutarci Maria da Conceição Tavares, riformista per eccellenza, in relazione alla nostra questione?

Penso che per rispondere alla domanda sia necessaria un'escursione nel significato dell'idea di storia. In un testo seminale e già diffuso, “Sul concetto di storia”, Walter Benjamin condivide un eloquente pessimismo rivoluzionario. Senza voler commentare parte per parte un testo così noto come questo, mi limito a segnalare due elementi: l'idea dei vinti e il modo in cui la morte, e i morti, compaiono nella sua scrittura. Venuto alla luce postumo, dopo il suo suicidio sui Pirenei, temendo una possibile estradizione nella Germania nazista, “Sul concetto di storia” funziona, secondo Michel Löwy, come il “testamento” di Benjamin.[Xiii], motivo per cui sotto la scritta aleggia una certa aria apocalittica e millenaria, oltre che di manifesto.

I passaggi più noti delle Tesi, quelli numerati sei, sette, otto e nove, presentano un complesso rapporto tra passato e futuro. Presentando l'idea di "Storia dei vincitori" nella settima tesi, Benjamin sottolinea il fatto, a lui inevitabile, che il passato conosciuto dalla storiografia avversa al materialismo storico si identifica con lo spirito dei vincitori, un'idea sotto la quale si costruisce la magnifica metafora del “corteo trionfale” dei vincitori (il peschereccio di Paulo Freire?).

È interessante notare il fatto che, lì, e anche nelle altre tesi di questo set, Benjamin ci offra degli indizi alla domanda: cosa può offrire il passato come agente di trasformazione del futuro? L'idea di “sfiorare la storia controcorrente” può essere un buon modo per comprendere la risposta dell'autore alla domanda qui proposta, per cui è necessario invertire la chiave: concentrarsi sulla costruzione di un vero “stato di eccezione” ” (Paulo Arantes ha letto questa nozione come uno “stato di emergenza”) dalle spoglie di un passato, più che frammentario, cancellato dal corteo dei vincitori.

Ma, in fondo, nell'esperienza brasiliana, da dove viene questo? Sempre pensando al periodo 1930-1964, mi sembra che ci sia una netta confusione tra vinti e vincitori, in un tentativo di effettiva conciliazione, forse anche pensando all'emergere di una “coscienza di classe”, più profonda che nel anni del pax lulista. Un buon esempio di ciò, un classico dello Stato Varguista, sarebbe la soluzione data da Getúlio alla crisi stabilita quando l'allora ministro del lavoro João Goulart annunciò un aumento del 100% del salario minimo, provocando un putiferio nell'élite udenista: Jango ha licenziato, accontentando i vincitori; risulta che l'aumento promesso fu concesso anche ai vinti.

Tornando all'idea citata di Luiz Recamán, senza un passato classico, eravamo la modernità stessa allo stato grezzo. Che Benjamin guardi con preoccupazione a questa modernità, in quanto sinonimo dell'evoluzione del capitalismo, non lascia dubbi: in bilico tra il vantaggio dei vincitori o dei vinti, i primi beneficerebbero sempre della maggiore sciocchezza della cosa. Quindi cosa resta? È quindi importante ricordare un altro saggio dell'autore ora sorvolato, ovvero “Esperienza e povertà”, scritto nel 1933, anno dell'intronizzazione del nazismo in Germania.

Lì Benjamin propone l'opposizione tra due barbarie: certamente, la barbarie come la conosciamo nel suo significato originario, cioè negativo, frutto di una continua povertà di esperienza, prodotto proprio del dispiegarsi di questa modernità; ma anche i “nuovi barbari” (Brecht, Klee, ecc.): coloro che “aspirano a un mondo in cui possano mostrare la loro povertà esteriore e interiore in modo così puro e chiaro che ne possa derivare qualcosa di decente”[Xiv].

Ecco, come nell'idea dell'“angelo della storia” di tesi, il passato dei vincitori viene quasi fatto tabula rasa in nome di un altro divenire, che rompe con questa secolare spoliazione. I nuovi barbari cercherebbero nell'urgenza del presente di costruire una possibilità di cambiamento radicale con l'ordine costituito, in modo che questo passato di vincitori non servisse loro. Ora, mi sembra che la risposta alla domanda che qui ci mobilita sarebbe, in altre parole, reinventare il passato per inventare il futuro. Ma attenzione: non si tratta di reinventare un passato qualsiasi, ma quello che è sempre stato cancellato dal corteo dei vincitori. Ai perdenti, il potenziamento dei loro corpi e delle loro menti per sconfiggere i vincitori.

Primo Levi, vittima del nazifascismo, figura centrale per aiutarci a fronteggiare l'ormai consolidata barbarie negativa, nel suo poema Canto dei morti invano, ha due versi illuminanti su questa idea del passato. Riferendosi a quelli uccisi nei campi di concentramento, predice: “Siamo invincibili perché siamo sconfitti / Invulnerabili perché siamo già estinti”.[Xv] Se qualcosa si può dire per commentare questo brano di Levi, credo sia l'intrinseco scollamento tra loro e la profetica affermazione di Benjamin secondo cui nemmeno i morti saranno al sicuro se il nemico - in quel momento il nazifascismo - rimarrà vittorioso[Xvi].

Di qui l'urgenza di convocare i morti per costruire messianicamente il futuro, visto che proprio perché vincessero, avrebbero avuto il potere di redenzione nel Giudizio Universale, quando sarebbero riemersi e, potenziati, sarebbero stati gli unici capaci di sconfiggere le armi dei vincitori.[Xvii] La storia di Benjamin sarebbe, in altre parole, la storia di coloro che caddero sul campo di battaglia; la storia di chi, sconfitto, persiste, attraverso di noi, vivo, nel non rendersi conto di questa condizione di perdenti e rimane presente, permeando e ossessionando l'immaginario dei vincitori, così che, se il passato ufficiale rimane solo la tabula rasa, a questo passato, rimane la spinta per la sua trasformazione nel futuro.

Ma torniamo al Brasile e alla confusione tra vinti e vincitori nel periodo 1930-1964, l'epoca dello spirito di Maria da Conceição Tavares. Negli anni Novanta, tracciando una breve genealogia del secolo, Roberto Schwarz nel saggio “Fine secolo” attestava il fallimento degli ideali nazional-sviluppisti di quegli anni d'oro brasiliani: lo sviluppo sarebbe diventato un'idea per la quale non c'era più soldi; Il Brasile è rimasto nella condizione di partner minore, cioè sottosviluppato, nel concerto delle nazioni.[Xviii] È stata la condizione periferica del capitalismo che si è riaffermata. Allora come non intendere il periodo 1930 – 1964 come un periodo in cui, illuso, sembrava materializzarsi tra noi il futuro, la certezza della bellezza di questo futuro? Non a caso, dunque, oggi si rivendica Maria da Conceição Tavares: è questo spirito temporale che torna a bussare alla porta, invincibile perché sconfitto, che ostinatamente non esce di scena nemmeno oggi, quando questo insieme di idee è considerato antiquario.

Quindi, dopo tutto, qual è il significato della storia in Brasile? Un cubano ha deciso di esprimere la sua opinione, pensando all'idea dell'America Latina. E un brasiliano – e non un brasiliano qualsiasi – ha deciso di tradurre. E un altro brasiliano – con una voce unica – ha deciso di cantare. parlo di Canzone per l'unità latinoamericana, di Pablo Milanés, che Chico Buarque ha adattato in portoghese e registrato da Milton Nascimento Clube da Esquina 2 (1978). Mi riferisco infatti ai seguenti versi di questa canzone, diventata virale nel 2018, quando è trapelato un audio attribuito al giornalista Chico Pinheiro che commentava l'arresto dell'ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva: “La storia è un'auto felice / Pieno di gente allegra / Chi calpesta indifferente / Chi lo nega”.

Tutto il contrario di quanto si è discusso qui sul concetto di storia in Walter Benjamin. Anche il concetto di storia presentato nella canzone non è cinico, non si tratta di inventare una storia inesistente, pur sognando, come dice il titolo, l'integrazione latinoamericana. La storia qui presentata è, a grandi linee, una storia che non si lascia indebolire dalla ragione a cui sono abituati i latinoamericani.

Certo, si può mettere in dubbio che la Storia sia in realtà un'auto felice, piena di persone felici. Ancor di più, che queste persone riescono a negare chi le nega. Ma all'interno dell'utopia MPB[Xix], l'equazione sembrava funzionare. Il nostro presente redentore (né passato né futuro) esisterebbe nell'azione costante di questo “popolo felice” per affermarsi nel mondo – ancora una volta vinti e vincitori. Si scopre che molti anni prima un certo poeta di nome Carlos, soprannominato Andrade, aveva già detto "Minas non più"[Xx] per riferirsi allo spazio utopico in cui risiede il lavoro di Milton Nascimento, che ha registrato la canzone. Il reale resiste?

 

4.

Nel 2019, quando ancora si avvertivano i primi effetti dell'ecatombe bolsonarista, Arnaldo Antunes ha lanciato il singolo “Il reale resiste”, in cui si rifiutava di accettare la barbarie consolidata perché, in fondo, il reale resisteva e tutto ciò poteva essere solo un incubo che poi sarebbe passato. Un incubo che non se ne andrà, tra l'altro, che è il titolo di un libro del duo Dardot e Laval sul caos globale che ha prevalso, almeno dal crollo dei Leman Brothers nel 2008.[Xxi] Si scopre che la pandemia è arrivata e l'incubo non è passato. Sono già passati nove, sei, quattro, due, chissà quanti, anni di disperazione in Brasile e, alla luce dei risultati del primo turno elettorale dal 2022, l'incubo continuerà. Il nostro passato sognato, così come visto, sembra sempre più distante e pauroso. Le vecchie ricette non funzionano più e l'avanguardia è passata da tempo all'estrema destra.[Xxii]. Cosa fare?

Si è molto discusso sulla reale possibilità, infatti, che un certo passato stia riemergendo in quest'ora drammatica. Con forza erculea, non la dittatura civile-militare che seppellì ogni orizzonte di emancipazione popolare in Brasile, ma un altro passato: quello fascista. Che lo stesso patto inaugurato nel 1930 che ha prodotto Villa-Lobos e Drummond abbia prodotto anche integralisti e persino partiti nazisti non è una novità. Ma come pensare al loro ritorno al potere, a maggior ragione se la storia non si ripete come tragedia? La mia intuizione è che non abbiamo bisogno del caratteristico "fascismo" per descrivere il nostro processo, semplicemente perché ciò che sta accadendo oggi precede il suo emergere.

Dal momento che Caio Prado Jr. si sa già, ad esempio, che si nasce moderni, come partner minori del capitalismo reinventato ai tropici per permettere la moderna schiavitù dei neri africani[Xxiii]. Costruito sulla base della violenza, il Brasile dal 1930 al 1964 (e forse anche dal 1994 al 2016) è stato, in particolare, non solo una deviazione dal corso della nostra vocazione, ma un tentativo, sotto un alto orizzonte di aspettative, di reinventare il nozione stessa del Brasile. Ancora una volta, l'idea di una tabula rasa del presente passato in quel momento, seppur sotto tutela conservatrice. Perché allora serve l'idea di fascismo per descriverci se le pratiche di violenza, eugenetica, ecc. esistevano già qui molto prima che a livello internazionale (e forse anche nazionale) si guadagnassero questo nome?

Ciò, tuttavia, non nega la rilevanza della questione fascista. Già nel 1994, a tradizionale come ha posto la domanda Edward Luttwak: il fascismo sarebbe l'onda del futuro[Xxiv] perché la forma vittoriosa del capitalismo neoliberista porterebbe alla costruzione di un nuovo e potente partito fascista, frutto di un vuoto provocato dalla destra repubblicana/tory e dal benessere della “sinistra moderata”. Profezie a parte, ci sono due strade per la questione fascista oggi e, soprattutto, in Brasile. Uno di questi è offerto da Boaventura de Sousa Santos quando propone Epistemologie meridionali, l'idea di un certo "socialfascismo", che potrebbe coesistere con la democrazia politica liberale[Xxv].

Il “socialfascismo” sarebbe qualcosa di inedito perché banalizzerebbe la democrazia per il pieno sviluppo del capitalismo, così che i valori democratici sarebbero lasciati da parte in nome di una gerarchia sociale fascista. Ci sono innegabilmente somiglianze con quello che stiamo vivendo, ma penso che Boaventura dimentichi che, a un certo punto, il “socialfascismo” prenderebbe le redini della democrazia per distruggerla (se, ovviamente, consideriamo che ciò che c'è davvero è il fascismo) .

La seconda strada la danno ancora Dardot e Laval quando fanno notare che nel 2016, con il Brexit e l'elezione di Trump, avrebbe inaugurato un nuovo neoliberismo, più radicale del precedente, senza impegni espliciti per la democrazia e che avrebbe avuto come meta-sintesi la guerra civile[Xxvi]. Più neoliberismo, e meno fascismo, dunque. Credo, quindi, che la situazione attuale di allora consenta di attribuire proprio al saccheggio dello Stato da parte dei vecchi neoliberisti una ragione per aprire le pratiche strutturanti della violenza in paesi periferici come il Brasile: il nuovo neoliberismo sarebbe così anche qualcosa di senza precedenti e radicalmente più violento del primo.

Qualsiasi somiglianza con un passato coloniale e di schiavisti non sarà sfortunata.[Xxvii]. Ad ogni modo, nel caso brasiliano, ciò che sembra interessante è proprio questa idiosincrasia storica, che ha fatto sì che il nostro fascismo Tupiniquim (mi riferisco all'Integralismo) sia avvenuto proprio nei nostri anni d'oro. E che, ospitato nello Stato Vargas, ha saputo adattarsi nel tempo fino a perdere forza, tanto che le emergenze autoritarie e suprematiste a cui assistiamo sono molto più legate alle esperienze pre-1930 che post-1930.

Non è un caso che questa pratica della violenza sia stata associata a un certo “sistema jagunço” che ora, potenziato, ha rinunciato alla condizione di mero servitore per diventare agente (“Cheap steam / Un mero servitore / Del narcotraffico / Era rinvenuto nel rudere / Da una scuola in costruzione” – “Fora da Ordem”, Caetano Veloso). L'idea, sviluppata, tra gli altri, da Antonio Prata, rivela che la jagunçada, onnipresente in tutta la nostra storia, c'è stata anche tra il 1930 e il 1964, facendo il lavoro sporco di espropriazione per svilupparsi.[Xxviii]. Il resto è storia.

Ma non solo la tipologia del jagunço spiega questo nuovo neoliberismo alla brasiliana: c'è anche chi ha votato per il Capitano per quello che Francisco Alambert chiamava il “complesso di qualsiasi cosa”: Hitler, ma non il PT; altro che P.T[Xxix]! - si tratta dei tirapiedi. Per il servitore, erede della classe media impegnata degli anni '1960, ciò che conta è la disciplina degli ordini provenienti dal quartier generale bolsonarista, per quanto irrazionali possano essere. dissonanza cognitiva collettiva[Xxx]? Ora, una questione della massima importanza in un mondo in cui il satanismo e la massoneria diventano elementi decisivi per decidere chi governerà il Paese (nessuna connessione con l'episodio in cui, candidandosi a sindaco di São Paulo nel 1985, a FHC fu chiesto se fosse a teista, è ancora valida, tanto più che a quel tempo si pensava che questi sintomi morbosi di questo fenomeno fossero anestetizzati).

 

5.

Pertanto, a titolo di conclusione incompiuta, vorrei evocare Nuno Ramos, che, introducendo il suo ultimo libro di saggi[Xxxi], diceva di scrivere di un Brasile da cui salutava (il riferimento temporale esatto è leggermente più esteso di quello che adotto qui: per Nuno l'Era di Moebius andrebbe dal 1881, con la pubblicazione del Le memorie postume di Bras Cubas fino all'edizione, nel 1973, dell'album bianco di João Gilberto). Credo che sia lì: il Brasile che noi, intellettuali borghesi urbani bianchi, conosciamo, sogniamo e, non senza dosi di utopia, crediamo, sia finito. È morto. Ogni prospettiva di risollevare il Paese dopo la sconfitta è fragile proprio per questo, perché, in fondo, è impossibile sconfiggere la sconfitta, visto quanto è grande. Qualsiasi alternativa per la trasformazione sociale in futuro, come ci ha già insegnato Walter Benjamin, verrà da un presentismo in vista di un'emancipazione distruttiva.

Non è un caso che, proprio nel momento del nostro ricongiungimento con la democrazia, quando pensavamo di sconfiggere definitivamente la sconfitta del 1964, Roberto Schwarz, in un libro che si chiede precisamente che ora fosse in Brasile negli anni '1980, commentando il famoso film Capra segnata per la morte, di Eduardo Coutinho, ha scritto “È come se nel momento stesso in cui la parte migliore e più accettabile della borghesia brasiliana prende il controllo del paese – un momento da salutare! – il miglior film degli ultimi anni direbbe, per sua stessa costituzione estetica e senza alcuna deliberazione, che in un universo serio questa classe non ha posto”.[Xxxii]

Non è un caso, quindi, che Caetano Veloso, che in tante occasioni si è scontrato con Schwarz, scommetta di vedere una strada chiara per il Paese, nonostante il dolore, semplicemente perché lo vuole (il riferimento è a “Nudo con la mia musica” ) – Caetano che è anche un intellettuale borghese. Motivo? Perché crede ancora che il paese che evoca nella sua drammatica ora di agonia, nientemeno che Maria da Conceição Tavares come sua salvatrice dalla catastrofe, possa avere successo semplicemente perché Tavares è lì, vivo, con la sua eredità che riecheggia tra le nuove generazioni, ostinatamente no arrendersi, nonostante.

Ora, come farlo funzionare? In definitiva, la risposta alla domanda sarà un'altra: l'orologio in Brasile indica che l'ora è quella della barbarie, del consenso o della rivoluzione, cosa significa ognuna di queste cose? (Chi trova la risposta vince, ovviamente, patatine fritte, perché l'evoluzione del capitalismo aggiorna anche la metafora.)[Xxxiii]

*Vittorio Morais Graziani si sta specializzando in Storia alla USP.

note:


[I] BARROS, Guglielmo. L'economista Maria da Conceição Tavares diventa una "diva pop" e un "intellettuale invidiabile" per i giovani su Internet. Folha de S. Paul, 29 ottobre 2021. Disponibile online su: https://hashtag.blogfolha.uol.com.br/2021/10/29/economista-maria-da-conceicao-tavares-vira-diva-pop-e-intelectual-invejavel-para-jovens-na-internet/?utm_source=twitter&utm_medium=social&utm_campaign=twfolha. Accesso in data: 22.10.2022

[Ii] DARDOT, Pierre/LAVAL, Cristiano. La nuova ragione del mondo: saggio sulla società neoliberista. San Paolo: editoriale Boitempo, 2016.

[Iii] NUNES, Rodrigo. Piccoli fascismi, grandi affari. Piauí, ottobre 2021.

[Iv] Tra i tanti scritti che miravano a sottolineare questo fatto, due sono profetici per il momento dei loro scritti: NOVAIS, Fernando Antonio/MELLO, João Manuel Cardoso de. Tardo capitalismo e socialità moderna. In: SCHWARCZ, Lilia KM Storia della vita privata in Brasile, volume 04. San Paolo: Companhia das Letras, 1998; e ARANTES, Paulo Eduardo. La frattura brasiliana del mondo: visioni del laboratorio brasiliano della globalizzazione. In: ___________. Zero rimasto. San Paolo: Conrad, 2004.

[V] RECAMAN, Luiz. Né architettura né città. Postfazione ad ARANTES, Otília. Urbanistica di fine linea. San Paolo: Edusp, 2001, p. 220 apud ALAMBERTO, Francesco. La reinvenzione della settimana. In: __________. Storia, arte e cultura: saggi. San Paolo: Intermeios, 2020, p. 15

[Vi] Intervista di Caetano Veloso al programma Ruota viva, TV Cultural, dicembre 2020. Disponibile in: https://www.youtube.com/watch?v=onKg_-7rCQ0&t=2701s. Accesso in data: 22.10.2022.

[Vii] WISNIK, José Miguel. Getúlio da Paixão Cearense (Villa-Lobos e l'Estado Novo). In: ________/SQUEFF, Ênio. Musica. Il nazionale e il popolare nella cultura brasiliana. San Paolo: Brasiliense, 1982.

[Viii] È vero che la samba moderna spesso ha anche rafforzato l'esclusione sociale: opere di meticci, neri, ecc., che miravano alla loro emancipazione, non sono state da loro registrate e in alcuni casi ne è stata espropriata la paternità (come "Se você jurar" , attribuito a Francisco Alves, ma scritto da Ismael Silva). Ho cercato di sviluppare meglio queste idee in GRAZIANI, Vitor Morais. Dilemmi della carioca samba. la terra è rotonda 08.07.2022.

[Ix] WISNIK, José Miguel. Getúlio da Paixão Cearense (Villa-Lobos e l'Estado Novo). In: ________/SQUEFF, Ênio. Musica. Il nazionale e il popolare nella cultura brasiliana. San Paolo: Brasiliense, 1982.

[X] FREYRE, Gilberto. Casa Grande & Senzala: formazione della famiglia brasiliana sotto il regime economico patriarcale. So Paulo: globale, 2006.

[Xi] DARDOT, Pierre/LAVAL, Christian. Anatomia del nuovo neoliberismo. Rivista IHU in linea 25.07.2019.

[Xii] Comunicazione personale, 02.10.2022/XNUMX/XNUMX.

[Xiii] LÖWY, Michel. Walter Benjamin: allarme incendio – Una lettura di tesi sul concetto di Storia. San Paolo: editoriale Boitempo, 2005.

[Xiv] BENIAMINO, Walter. Esperienza e povertà. In: ________. Opere scelte volume 01: Magia e tecnica, arte e politica. San Paolo: Brasiliense, 1985, p. 118. Devo a Francisco Alambert il riferimento a questo fondamentale saggio di Walter Benjamin.

[Xv] LEVI, cugino. Mille soli. San Paolo: comunque, 2019 apud RAMOS, Nuno. Il ballo dell'isola fiscale. In: Foquedeu. San Paolo: comunque, 2022.

[Xvi] L'analisi del confronto tra i due è molto più di Jorge Grespan che mia, di cui sono grato.

[Xvii] Anche Vladimir Safatle ha pensato qualcosa di simile a quello che ho messo qui. Per lui, nelle elezioni brasiliane del 2022, bisognerebbe votare per i morti, o per l'urgenza che non vengano cancellati dal corteo trionfale dei vincitori, o per il loro potere invincibile, visto che sono stati sconfitti. Vedi SAFATLE, Vladimir. Lascia che i morti abbiano il diritto di voto. n-1 edizioni, 28.10.2022. Disponibile in: https://www.n-1edicoes.org/que-os-mortos-tenham-direito-a-votar. Accesso in data: 29.10.2022.

[Xviii] SCHWARZ, Roberto. Fine secolo. In: Sequenze brasiliane. San Paolo: Companhia das Letras, 1999.

[Xix] Capisco, nella chiave di Marcos Napolitano, che la MPB (Musica popolare brasiliana) divenne, ancora negli anni '1960, ma già dopo il 1964, un'istituzione socioculturale che sognava la conciliazione delle classi (mestizo, nel caso di Caetano Veloso) come soluzione-enigma per un paese tagliato fuori dal golpe del 1964. Vedi NAPOLITANO, Marcos. seguendo la canzone: impegno politico e industria culturale in MPB (1959 – 1969). San Paolo: AnnaBlume/Fapesp, 2001.

[Xx] ANDRADE, Carlos Drummond de. Giuseppe. San Paolo: Companhia das Letras, 2012.

[Xxi] DARDOT, Pierre/LAVAL, Christian. Ce cauchemar qui n'en finit pas: comment le néolibéralisme défait la democracie. Parigi: La Découverte, 2016.

[Xxii] La formulazione dell'estrema destra come avanguardia, che potrebbe risalire al classico saggio di CLARK, TJ “Lo stato dello spettacolo”. Modernismi. São Paulo: Cosac Naify, 2007, ma lo devo all'intervento di Francisco Alambert in https://www.youtube.com/watch?v=p2brMWGacaI&t=4177s. Accesso in data: 29.10.2022.

[Xxiii] PRADO JR., Caio. Formazione del Brasile contemporaneo: Colonia. San Paolo: Companhia das Letras, 2011.

[Xxiv] LUTTWAK, Edoardo. Perché il fascismo è l'onda del futuro. Nuovi studi CEBRAP, NO. 40, nov. 1994, pp. 145 – 151. Rafael Carneiro Vasques, tra il primo e il secondo turno delle elezioni del 2018, mi aveva già messo in guardia su questo articolo, citato anche da Paulo Arantes nel magistrale ARANTES, Paulo Eduardo. Perché filosofo oggi? Conferenza tenuta in occasione del seminario Filosofia e vita nazionale: 25 anni di “Un dipartimento francese d'oltremare”. San Paolo: FFLCH/USP, 2019. Disponibile a: https://www.youtube.com/watch?v=miZ_1r-smuM&t=8828s. Accesso in data: 23.10.2022.

[Xxv] SANTOS, Boaventura Sousa. Epistemologie meridionali. San Paolo: Cortez, 2010, p. 47.

[Xxvi] DARDOT, Pierre/LAVAL, Christian. Anatomia del nuovo neoliberismo. Rivista IHU in linea 25.07.2019.

[Xxvii] Vale la pena ricordare, tuttavia, che questo punto di vista non è condiviso da autori come Wendy Brown. Per Brown, quello che abbiamo di fronte sarebbero le rovine del neoliberismo, che in crisi dal 2008 sarebbe morto una volta per tutte nel 2016. Vedi BROWN: Wendy. Tra le rovine del neoliberismo. Porto Alegre: Politéia, 2019.

[Xxviii] ARGENTO, Antonio. #lamiaarmalemieregole. Folha de S. Paul, 10 novembre 2019.

[Xxix] ALAMBERTO, Francesco. Diarrea brasiliana 2020. In: RAGO, Margareth/TVARDOVSKAS, Luana S./PELEGRINI, Maurício. Ascesa e caduta del paradiso tropicale. San Paolo: Intermeios, 2021, pp. 61-71.

[Xxx] ROCHA, Joao César de Castro. Il delirio collettivo ha portato a 51 milioni di voti per Bolsonaro. Folha de San Paolo, 07 ottobre 2022.

[Xxxi] RAMOS, Nuno. Assicurati lo stesso. San Paolo: comunque, 2019.

[Xxxii] SCHWARZ, Roberto. Il filo della matassa. In: Che ore sono? San Paolo: Companhia das Letras, 2006, p. 77.

[Xxxiii] Julio d'Ávila ha letto, annotato e commentato il saggio, senza il tuo aiuto, non sarebbe venuto alla luce, cosa di cui sono grato.

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