Brasile: una strategia in costruzione

Immagine: Filipe Coelho
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da JOSÉ LUÍS FIORI*

Non esiste alcun documento ufficiale che definisca e spieghi la nuova politica estera del presidente Lula

Lo Stato brasiliano non dispone di un documento che definisca periodicamente la sua “strategia internazionale”. Ci fu un tentativo, durante il secondo governo Lula, ma il documento fu dimenticato dopo il colpo di stato del 2016, e ancor più durante il governo di Jair Bolsonaro, favorevole ad un allineamento incondizionato del Brasile a fianco degli Stati Uniti e Israele, e hanno perfino difeso l’isolamento del Paese dalla comunità internazionale.

Questa situazione, tuttavia, è cambiata radicalmente dopo l'insediamento del presidente Luiz Inácio Lula da Silva nel gennaio 2023. Anche così, non esiste un documento ufficiale che definisca e spieghi la nuova politica estera del presidente Lula, sebbene sia possibile mappare i suoi obiettivi e le sue strategia, basata su alcune iniziative del governo e, soprattutto, su alcune dichiarazioni cruciali fatte da esso e dai suoi principali assistenti in campo internazionale.

Nel corso del 2023, il presidente Lula ha effettuato 15 viaggi internazionali e visitato 24 paesi dei cinque continenti, pronunciando numerosi discorsi e dichiarazioni e rilasciando decine di interviste all'interno e all'esterno del paese, definendo le linee fondamentali del suo pensiero e della strategia della sua politica estera. . Una linea di pensiero rafforzata da alcune ulteriori interviste, rilasciate da Celso Amorim, consigliere speciale della Presidenza della Repubblica per gli Affari Internazionali, e dallo stesso ministro degli Esteri, Mauro Vieira.

Lula ha tenuto i suoi discorsi più importanti all’ONU, al G20 in India, al G7 a Tokio, alla Lega delle Nazioni Arabe, all’Unione degli Stati Africani, alla CELAC, al CORICOM, quando ha ha assunto la presidenza del G20, nel 2004, e la presidenza della COP 30 che si terrà a Belém, nel 2026, e anche nell’incontro avuto con i presidenti sudamericani, a Brasilia, convocato dallo stesso Itamaraty.

In tutte queste occasioni, Lula e i suoi principali consiglieri internazionali hanno dimostrato di essere pienamente consapevoli che il Brasile non è una potenza militare né intende esserlo. È un grande Paese dal punto di vista del territorio, della popolazione e delle risorse naturali, ma non ha né la capacità né l’intenzione di proiettare la propria potenza o influenza militare al di fuori dei propri confini, anche nel caso del Sud America. D'altro canto, per quanto riguarda la questione della sicurezza militare del Paese, tutti sono pienamente consapevoli della relazione storica del Brasile con gli Stati Uniti e del fatto che il Brasile si trova direttamente nella “zona di protezione o tutela nucleare” degli Stati Uniti.

È in questo contesto geopolitico e militare che il presidente Lula ha concepito e costruito il suo progetto per trasformare il Brasile in una grande potenza pacifista, con la capacità di influenzare e forgiare idee e consenso internazionale. È il caso della vostra proposta di mobilitazione globale contro la fame e a favore dell’uguaglianza e della sostenibilità; insieme all’idea di fare del Brasile un grande “mediatore” e pacificatore dei conflitti internazionali che si moltiplicano nel mondo.

Lula è un umanista e un pacifista radicale, ed è un politico carismatico, ma allo stesso tempo è un politico abile e pragmatico. Il suo progetto internazionale non ha nulla a che fare con il “terzomondismo” del XX secolo, né sembra che intenda essere semplicemente un leader della “periferia del mondo”, ora soprannominata “Sud globale”. Al contrario, tutte le dichiarazioni del presidente Lula sono state guidate da una posizione universalista, cosmopolita ed egualitaria, nonostante egli sia pienamente consapevole che il “cosmopolitismo” o l’universalismo stesso è inseparabile dalle gerarchie, dalle asimmetrie e dai conflitti che fanno parte del lotta dei paesi per il potere e la ricchezza.

La strategia internazionale di Lula considera che la “sovranità delle nazioni” è un fatto, un diritto e un obiettivo e propone che il Brasile si muova tra le nazioni del nord e del sud, tra est e ovest, senza fare distinzioni ideologiche o politiche. sui loro regimi politici, affiliazioni ideologiche o affiliazioni culturali e religiose. Lula non nasconde la sua affinità con gli Stati Uniti di Joe Biden, né la sua vicinanza alla Russia di Vladimir Putin, alla Cina di Xi Jinping, alla Francia di Emmanuel Macron, alla Turchia di Recep Erdogan, all’Iran di Ebrahim Raisi, alla Germania Scholz di Olaf, o addirittura all’Inghilterra di Carlo III.

Non sostiene alcun tipo di alleanza strategica fissa in campo internazionale, tanto meno blocchi ideologici polarizzati. E forse è proprio questa la posizione sui generis del presidente brasiliano, che gli permette di fare affermazioni e critiche dure e realistiche, generalmente evitate dai grandi padroni del potere mondiale, che tendono a nascondere il loro doppio gioco e la loro morale contraddittoria dietro un linguaggio apparentemente neutro.

Secondo i dati presentati dalla delegazione brasiliana all’ultimo incontro del G20, tenutosi nella città di Rio de Janeiro, nel 183 si sono verificati 2023 conflitti internazionali, la stragrande maggioranza senza alcun tipo di arbitrato. In questo momento stiamo assistendo ad un massacro nella Striscia di Gaza, condannato dalla maggioranza dell’umanità, ma nessuno riesce a contenere la furia vendicativa del governo israeliano, nemmeno quello americano, né le Nazioni Unite, le cui decisioni non vengono rispettate. da Israele per decenni.

Questa paralisi decisionale del sistema mondiale è ciò che è stato denunciato dal presidente Lula, insistendo allo stesso tempo sull’urgente necessità di costruire un nuovo sistema di norme, regole e istituzioni in grado di gestire questi conflitti globali, prima che il mondo prende – sempre più – la strada della “guerra mondiale”, come modo per imporre il primato dei vincitori, all’interno del sistema internazionale, come è avvenuto dopo Hiroshima e Nagasaki. Tutto indica che il presidente Lula è pienamente consapevole che il problema nel mondo oggi non è la mancanza di “regole”: le regole esistono.

È l’assenza di istituzioni capaci di interpretarli in modo consensuale e che siano accettate dalla comunità internazionale. Questo ruolo è stato ricoperto da europei e nordamericani negli ultimi 300 anni, ma come ha recentemente affermato il capo della politica estera dell’Unione Europea, lo spagnolo Joseph Borrel, “l’era del dominio globale occidentale è giunta al termine”. giungere alla fine del consenso o dell’accettazione della discrezionalità delle potenze occidentali. Sapendo che la semplice sostituzione dell’“unipolarità” con la “multipolarità” non risolverà automaticamente il problema della guerra e della pace, il presidente Lula ha attirato l’attenzione su questa gigantesca sfida che l’umanità deve affrontare.

Torniamo infine al continente americano, dove il governo Lula ha mosso i primi passi della sua politica estera nella tradizionale direzione del Mercosur e dell'America Latina. Dove si proponeva di costruire un’alleanza strategica con l’Argentina, che diventasse un punto di riferimento e di leadership economica e politica per l’intero continente. Ma ancora una volta, come era accaduto in passato, questo progetto è stato interrotto da un cambiamento politico, che in questo caso è venuto dall’Argentina.

Sembra che Lula abbia allora capito che la correlazione politico-ideologica in Sud America era cambiata e che, inoltre, sarebbe stato impossibile far avanzare il Mercosur con tre paesi governati da presidenti ultraliberali. E che anche all’interno della sinistra c’è un’enorme differenza tra la sua visione internazionale e quella dei presidenti Gabriel Boric e Gustavo Petro, essendo lui più vicino a Gustavo Petro che al giovane presidente cileno.

Più di questo, però, sembra che il presidente Lula abbia anche capito che il vecchio sogno dell’“integrazione latinoamericana” è sempre stato un’utopia, molto più che un progetto realizzabile. Un’utopia tecnocratica, difesa dagli economisti della CEPAL a partire dagli anni Cinquanta, e un’utopia ideologica difesa dai governi bolivariani del continente a partire dalla fine del XX secolo. Due versioni dello stesso sogno che non si accordano mai con la dura e cruda realtà dell'economia di esportazione primaria di quasi tutti i Paesi sudamericani, né con la natura discontinua del territorio e della popolazione costiera dell'intero continente. Senza contare che questa idea è sempre stata avversata dalla stragrande maggioranza delle élite ultraliberali del continente, ed è sempre dipesa dalla forza dell’economia brasiliana, che è l’unica con la capacità di portare avanti questo progetto.

È comprensibile, quindi, perché il presidente Lula abbia scelto la città di Addis Abeba, in Etiopia, e la riunione plenaria dell’Organizzazione degli Stati Africani, per pronunciare uno dei suoi discorsi più veementi condannando il genocidio palestinese e difendendo la necessità di un nuovo ordine mondiale, così come era avvenuto il giorno prima, nella città del Cairo, quando le sue parole erano state accolte con entusiasmo anche dai Paesi membri della Lega dei Paesi Arabi.

* José Luis Fiori È professore emerito all'UFRJ. Autore, tra gli altri libri, di Il potere globale e la nuova geopolitica delle nazioni (Boitempo) [https://amzn.to/3RgUPN3]

Originariamente pubblicato sulla rivista Osservatorio internazionale del 21° secolo, n. 4.


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