da OSVALDO COGGIOLA*
Votare Lula per sconfiggere Jair Bolsonaro alle urne non può che superare la situazione difensiva in cui era stato posto dalla stessa campagna elettorale del PT.
Il Brasile sta vivendo una polarizzazione politica senza precedenti nella sua storia repubblicana, che però non è ancora una polarizzazione di classe. Il progetto (la parola non è delle più appropriate, ma aiuta a semplificare) rappresentato dal ticket Lula-Alckmin è un progetto di conciliazione di classe, che riformula la prassi dei quattro governi Lula-Dilma (PT), in quanto si basa su una coalizione politica molto più a destra di quella che l'ha sostenuta nel primo decennio e mezzo del nostro secolo.
Il “progetto” di Jair Bolsonaro (la parola è ancora meno adeguata) è l'imposizione di una sconfitta strategica alla classe operaia, attaccandola direttamente, al fine di atomizzarla e spezzarla, riportando l'accumulazione di capitale a un nuovo livello, a beneficio del grande borghesia e imperialismo. Non è un segreto, come è stato reso pubblico, che il movimento guidato dall'ex capitano non esiterà ad attuare un governo di tipo fascista, anche se non conosce nemmeno il significato della parola. La chiave della lotta contro il bolsonarismo, quindi, risiede nel ruolo della classe operaia e delle sue organizzazioni, inclusa, ovviamente, la disputa elettorale, che non può essere affrontata isolatamente.
Nel primo turno delle elezioni presidenziali del 2018, il ticket Jair Bolsonaro-Hamilton Mourão ha ottenuto 49,3 milioni di voti validi, ovvero il 44,87% del totale. Il ticket Fernando Haddad-Manuela D'Avila (PT-PCdoB) ha ottenuto in quell'occasione 31,3 milioni di voti validi, il 29,28%. Alle elezioni del 2022 la ticket Lula-Alckmin ha ottenuto 57,3 milioni di voti validi (48,43%) [mancava l'1,57% per una vittoria al primo turno] contro i 51,1 milioni (43,20%) di Bolsonaro-Braga Netto.
Lula ha avuto quasi 26 milioni di voti in più di Haddad nel 2018; Bolsonaro ha ottenuto solo 1,7 milioni di voti quest'anno. In termini percentuali, la differenza è più evidente, in quanto la lista guidata dal PT ha ottenuto il 19,1% in più sul totale dell'elettorato, mentre quella dell'ex capitano del PSL, ora PL, ha ottenuto l'1,7% in meno. Astensioni e voti nulli (5.452.607) sono diminuiti in termini percentuali; le due liste principali hanno concentrato il 91,6% dei voti, contro poco più del 74,1% delle elezioni del 2018. C'è polarizzazione.
Si può concludere, quindi, che l'elettorato si stia spostando a destra? Non basato su questi dati. Certo, bisogna tener conto delle altre (numerosissime) posizioni in disputa, governi e legislature statali e federali. C'è stata un'avanzata del banco esplicitamente bolsonarista. Il voto legislativo ha visto il fatto che Hamilton Mourão, Sérgio Moro, Deltan Dallagnol, Ricardo Salles, Eduardo Pazuello, Mario Frias, Damares Alves, Magno Malta e altre alte figure del malgoverno bolsonarista, sono stati sanciti dal voto popolare. Abraham Weintraub, il ministro della “boiada”, invece, è stato picchiato nelle stesse urne di San Paolo che hanno consacrato Guilherme Boulos (PSOL) deputato federale più votato dello Stato, con poco più di un milione di voti.
La panchina della clorochina ha subito la stessa sconfitta, comandata dal suo capitano (Mayra) con Nise Yamaguchi come scudiero. Abbiamo avuto, al Senato, l'elezione di 14 bolsonaristi contro 8 lilisti e cinque non allineati. Confermato il banco del “partito militare”, già fortemente radicato nello Stato (e nei suoi benefici). Nella futura composizione della Camera dei Deputati, invece, una mappa fatta da Folha de S. Paul indica che un eventuale governo Jair Bolsonaro partirebbe con un totale di 198 deputati per la sua “base governativa”, aggiungendo quelli eletti dalla sua coalizione e simili, mentre un eventuale governo Lula, seguendo gli stessi criteri, avrebbe il sostegno di 223 deputati .
Nella governance, l'estrema destra ha vinto: i sostenitori di Bolsonaro hanno vinto in nove stati al primo turno (AC, DF, GO, MG, MT, PR, RJ, RO e TO); I sostenitori di Lula ne hanno vinti solo sei. Per il governatore e il senatore del Rio Grande do Sul hanno vinto due alti funzionari del governo bolsonarista (per il governatore, al primo turno, mentre Onyx Lorenzoni va a ballottaggio). Nella vittoria/sconfitta della destra più popolare, quella dello stato di San Paolo, Fernando Haddad è stato sconfitto dal candidato del Partito Repubblicano, una forza diversa dal Partito Liberale, guidato da Tarcísio de Feitas, che ha ricevuto la diretta approvazione di Bolsonaro sostegno, dopo un comodo vantaggio a favore di Haddad nei sondaggi. Ci sarà un secondo round.
Nell'altra grande vittoria della destra, quella del “nuovo” Romeu Zema, bolsonarista allontanatosi da Bolsonaro, per il governo di Minas, la circostanza ha costretto il capitano a recarsi a casa sua per ottenere il suo esplicito appoggio alla seconda tornata di elezioni presidenziali. A giudicare dalla faccia di Bolsonaro alla conferenza stampa fuori dal Palazzo Tiradentes, la situazione non gli è piaciuta (ancor meno della precisazione di Zema secondo cui il suo sostegno elettorale era circostanziale e "dall'esterno"). I fascisti della Camera saranno costretti a convivere con quattro deputate transessuali elette, in maniera inedita, oltre che con donne indigene e lavoratori senza terra: il MST ha eletto, per la prima volta, sei deputate federali e statali.
Fin qui fredda matematica, punteggiata da indicazioni qualitative di enorme importanza. Il sapore amaro della sconfitta, però, era in bocca a PT e pro-PT il giorno dopo il primo turno. Non doveva esserlo certo di meno in settori che si erano mobilitati all'insegna, più che della prognosi, della “vittoria di Lula al primo turno”. Avevano questo sapore anche le parole di Lula, visibilmente delusa, domenica sera in tv.
Non era una sensazione isolata. Le quotazioni di borsa, lunedì 3 ottobre, erano in rialzo. In aumento anche le azioni di Petrobras, sotto controllo tariffario per contenere l'inflazione. Un senso di vittoria, prodotto dalla performance elettorale di Bolsonaro, ha attraversato le tasche (e i cuori, che da loro dipendono) di grandi investitori nazionali ed esteri, fondi di investimento e fondi pensione.
La popolazione operaia e politicizzata è rimasta delusa dal fatto che un governo e un leader così reazionari (e falliti) abbiano ottenuto più del 40% dei voti dopo gli scandali, anche internazionali, di 700 morti per la pandemia (una delle percentuali più alte di morti rispetto all'intera popolazione) grazie a una politica negazionista fino alle ultime conseguenze (comprese le morti per mancanza di ossigeno in Amazzonia), il ritorno del Brasile sulla mappa mondiale della fame, con 33 milioni di persone direttamente colpite , il brutale disboscamento delle foreste a beneficio di grandi uomini d'affari e multinazionali con profitti da attività criminali e omicidi, come quello di Bruno Pereira e Dom Phillips, che ebbe ampio ripudio internazionale (e complice indifferenza da parte del detentore del Potere Esecutivo).
il giornale francese Le Monde ha sottolineato “il ritorno della fame, la deforestazione selvaggia e la tragedia causata dal Covid-19”: cos'altro serve per rovesciare un governo con mezzi legali ed elettorali? È l'”arretratezza culturale” brasiliana a spiegarlo? Anche se questo contasse in modo decisivo, cosa che non accade, giocherebbe comunque un ruolo subordinato agli interessi di classe in gioco in ogni precisa circostanza politica.
Gli errori degli istituti di ricerca, che avevano (approssimativamente) ragione sulle percentuali di Lula, ma torto su quelle di Bolsonaro ("non hanno colto la forza del bolsonarismo e dei suoi aggregati nella società brasiliana"), sono attribuiti alla loro incapacità di misurare l'"imbarazzante votazione". Cosa che non potranno mai fare, in quanto nessuna “scienza politica” o metodologia di raccolta dati permetterà loro di valutare nel brevissimo periodo i mutamenti di umore di classi e settori di classe, tipici di situazioni di crisi eccezionali.
A giusta osservazione, per lo studioso Lucas Romero, più che il “voto vergognoso” (persone che nascondevano il loro appoggio a Bolsonaro), potrebbe esserci stata una forte corrente di “voti utili” (persone che lo hanno eletto per paura che vincesse Lula al primo turno, preparando una sconfitta catastrofica per l'estrema destra). Basterebbe sostituire “persone” con “classi”, nozione a cui gli istituti di ricerca si avvicinano solo misurando i livelli di reddito, un indice impreciso e statico, in definitiva illusorio.
Il sostegno ottenuto da Lula e Bolsonaro per il secondo turno, sebbene non prevedibile, cessa di costituire un'importante radiografia della mappa politica che si sta disegnando. Le chiese evangeliche, centri della reazione clericale/neoliberista (la “teologia del successo”) non solo hanno dichiarato il loro pieno sostegno a Jair Bolsonaro, ma si sono anche mobilitate in suo favore, con tutte le loro risorse. A parte l'evidente appoggio di governatori bolsonaristi o alleati, significativo è il velato appoggio di Michel Temer, ex alleato e vicepresidente dell'ultimo governo a guida PT, e sponsor occulto del golpe che lo ha rovesciato nel 2016, la cui vera natura ( militarismo fascistoide) si rivela così.
Lula ha conquistato l'atteso appoggio del PDT (con Ciro Gomes preso d'assalto, pena la soccombenza politica), del MDB (Simone Thebet) e dello storico tucanato, non così dal neotucanato dei Doria-Rodrigo Garcia, che sembra intenzionato ad imbarcarsi “civilizzato” nelle file del neofascismo. I geni dell'apparato politico del PT hanno solo dato consigli e pressioni per allargare più a destra l'arco delle alleanze (già composto, come è stato ben sottolineato, da “una fila di cadaveri politici”), anche di sostegno religioso, al prezzo che già si sa (un “progressista” è arrivato a rivendicare “un equilibrio tra l'economia e la questione morale, quest'ultima non dovrebbe essere lasciata esclusivamente al campo bolsonarista”, che ciascuno lo intenda come vuole – ma è bene stare attenti).
Come in ogni situazione di eccezionale crisi, il “centro” politico tende a scomparire (il “centro” fisiologico è un'altra cosa, è una delle molle decisive dello Stato capitalista), lasciando di fronte destra e sinistra (che assorbono il “centro” ) come protagonisti. Questo è tipico dei preludi agli scontri decisivi tra classi, dei prolegomeni dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione. Fernando Sarti Ferreira ha giustamente intitolato un articolo a riguardo “Uma Weimar Tropical”.
Ciò che distrugge il fascismo, ieri, oggi e sempre, è l'intervento della classe operaia e della gioventù operaia e studentesca organizzata, con le proprie bandiere e secondo i propri interessi. Questo elemento, l'indipendenza di una classe organizzata, è assente nella situazione attuale del Brasile. Non dipende solo da fattori oggettivi, che possono favorirlo, ma da un consapevole intervento politico basato su un programma. La sua velocità organizzativa, invece, può superare quella di un “voto imbarazzato” deciso tre giorni prima di un'elezione. Gli esempi storici abbondano.
Anche la situazione internazionale, di crisi economica tendente alla guerra, che investe un Brasile con un'economia sempre più internazionalizzata, richiede risposte che escano dagli steccati. Il voto a Lula per sconfiggere Jair Bolsonaro alle urne può solo superare la situazione difensiva in cui è stato posto dalla stessa campagna elettorale del PT, se va in piazza (“è inaccettabile che Lula abbia avuto il voto che ha avuto in città di São Paulo e le sue strade sono solo il palcoscenico di manifestazioni bolsonariste”) con bandiere indipendenti della lotta di classe.
*Osvaldo Coggiola È professore presso il Dipartimento di Storia dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di Teoria economica marxista: un'introduzione (boitempo).
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