Caetes

Immagine: Adir Sodré
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da MARCOS FALCHERO FALLEIROS*

Commento al libro d'esordio di Graciliano Ramos

Antonio Candido, in finzione e confessione, prendere in considerazione Caetes un “antico” romanzo, “una branca antiquata del postnaturalismo”, con evidenza di un “preambolo deliberato” (1992, p. 14), come se fosse un esercizio di tecnica letteraria in preparazione alla grande opera da Venire. Oltre alle riserve che il critico presenta, dimostrando quanto la presenza del narratore in una “situazione” annunci embrioni come i monologhi interiori dell'opera futura, si vede che in questo romanzo, sia il modernismo, per avversione, sia il marxismo , nonostante la simpatia , non articolano appieno il profuso cafarnao di cultura almanacco con cui si diverte Graciliano Ramos – che è l'ennesimo sintomo del suo lavoro ambivalente nel promettente esordio dell'autore, posto tra la rivoluzione della forma arida e la timidezza di un contenuto messo alle strette dalla miseria nel vicolo cieco del contesto provinciale.

La confusione del romanzo è il rimedio antispasmo fornito dal suo agile dinamismo, simboleggiato dalle fitte conversazioni di padre Atanásio, che si sovrappone tuttavia, con geometrica chiarezza, alla trama principale, scandita da comici dialoghi, mentre l'afflitto autore – permanente condizione della sua ironica pietà – non ha niente a che fare con questa “folla” in campagna.

Prima di trovare l'equazione estetica nel quartiere e nel mondo urbano di Angoscia, gioca nel caos della trama, tra riferimenti disparati che cercano di giustificare l'impossibilità di un'altra via d'uscita: alla lingua italiana in cui tutto finisce con oni, il modello indianista delle già dimenticate carapetões di Gonçalves Dias e José de Alencar, lo spiritismo gerarchico dal capo ai rinomati locali, tra avvolte da Platone, Olavo Bilac e le frasi delle foglie rosa del piccolo Larousse, per Ecclesiaste nella funzione di cassaforte di João Valério, alle bufale di Laplace, alla marmaglia, secondo padre Athanásio, come Nietzsche, Le Dantec e un altro demone di cui ha dimenticato il nome, ad Anatole France e l'idiota di Augusto Comte, al titolo Così parlò Zarathustra, utilizzato per confermare qualsiasi conversazione o insinuare colpevolmente qualcosa di malizioso al narratore João Valério, a Poincaré e Clemenceau, uno dei due forse presidenti di Francia o Inghilterra – argomenti che corrono tra l'avvertimento sul pericolo dell'alfabetizzazione e dell'accesso del matuto derivante da letture oziose dei piatti resistenti della cultura sertaneja, l'almanacco Lunare perpetuo e le storie di Carlo Magno, più ogni sorta di discussioni su Bibbia, medicina, politica, filosofia, scienza, scacchi, giurisdizione, letteratura, poker e l'ortografia dell'eucalipto, che nessuno in redazione Settimana conosce.

In un'intervista con Francisco de Assis Barbosa, Graciliano Ramos registra lo sviluppo negli anni '20 dell'“orribile Caetes”, che il movimento modernista lo aveva incoraggiato a produrre, scrivendo “come si dice la verità”. Ricorda che nel 1926 era pronto il romanzo, effetto dello svolgersi di uno dei tre racconti che aveva scritto all'epoca. Gli altri due, “A carta” e “Entre grates”, hanno dato vita a San Bernardo e Angoscia (BARBOSA, 1943, pp. 42-49).

Le lettere dell'ottobre 1930, inviate da Maceió alla moglie Ló, rivelano che dopo l'invito di Augusto Frederico Schmidt a pubblicare Caetes, Graciliano ha rielaborato il "capolavoro" e ha annunciato che il romanzo sarebbe stato davvero "una rivoluzione di mille diavoli" (RAMOS, 1994, p. 115). Pertanto, durante i giorni concitati della Rivoluzione del 30, Graciliano si riformò in modo esaustivo Caetes, mentre era direttore della stampa ufficiale a Maceió.

Nelle sue lettere a Ló, commenta con entusiasmo di aver visto “uno di quei pezzetti di carta” che gli ha inviato Schmidt, inchiodato a una delle finestre della casa di Ramalho. Sono i volantini pubblicitari Caetes, e la libreria è quella attraverso la quale João Valério sogna di pubblicare il suo romanzo "in un opuscolo di cento o duecento pagine, pieno di bugie in buon stile" (RAMOS, 1984, p. 23). E, come João Valério, il suo autore si limita alla proiezione di un successo locale: “Così la gente della sua terra è, giustamente, stupita e sospettosa. Ci sarà da divertirsi alla fine, quando capiranno che il libro non serve a nulla” (RAMOS, 1994, p. 111).

O, nei termini del narratore di Caetes: “Le mie ambizioni sono modeste. Mi accontentavo di un trionfo domestico e transitorio che avrebbe impressionato Luísa, Marta Varejão, i Mendonças, Evaristo Barroca. Volevo che i barbieri, i cinema, la farmacia di Neves, i caffè Bacurau dicessero: "Allora, hai letto il romanzo di Valério?" O quello nell'editoriale Settimana, nelle discussioni tra Isidoro e Padre Atanásio, si invocava la mia autorità: 'Quello dei selvaggi e delle vecchie storie è con Valério'” (RAMOS, 1984, p. 23).

Il modo paradossale in cui si dispiegano così il distacco dello scrittore, immerso nell'occasione di proiezione finalmente affacciata, e il senso critico ironico di fronte al momento storico, con cui si impegna come membro del governo ad essere rovesciato tutta la corrispondenza di quei giorni. Il 4 Graciliano confessa l'afflizione dopo aver ricevuto, con annesso ritaglio del Avanguardia “dicendo serpenti e lucertole da Caetés”, una lettera di Rômulo (segretario della casa editrice di Schmidt) “che chiede gli originali”. Heloísa racconta di aver telegrafato al ragazzo “chiedendo una settimana di moratoria” (RAMOS, 1994, p. 114).

Così, l'ambiente cittadino agitato, in un passaggio storico notevole per il paese, di cui la paralisi di Caetes è così distante, indica l'anacronismo dell'opera nel corso della sua venuta al pubblico, come se lo stesso superamento, che la sua ironica trama richiedeva, avesse investito la pubblicazione del romanzo, irrealizzabilmente compromessa dalla struttura narrativa di Eça de Queirós sotto cui era armato dal 1924. Sembra che l'afflizione dell'autore confermi la lacuna, e che il disprezzo preliminare per l'opera prima ne preannunci la validità scaduta.

Dopo molti alti e bassi, quando San Bernardo era già pronto, Caetes infine, nel dicembre 1933, apparve nelle librerie. Il tempo inaugurale della sua scrittura è assimilato dalla rappresentazione di una realtà immediata in Caetes, la cui trama indica due anni di durata: dal gennaio 1926 alla fine del 1927. Il primo mese è citato alla fine del capitolo 1 (RAMOS, 1984, p. 14). Nel primo anno della trama, nel capitolo 1926 viene suggerito l'anno 3, quando il mitomane Nicolau Varejão racconta storie spiritiche sulla sua vita precedente: dopo la guerra in Paraguay [1870] andò in Italia, dove rimase per trent'anni. E poiché Nicolau Varejão afferma di avere sessant'anni, il dott. Liberato trasalisce, beffardo: “Non è possibile. Settanta con trenta… Se sei morto e sei nato appena rientrato dall'Italia [1900], non puoi avere più di ventisei anni [1926]” (RAMOS, 1984, p. 20). Il Natale passa nel capitolo 15 – ennesima prova dello spirito di simmetria di Graciliano, che distribuisce equamente i due anni nel libro di trentuno capitoli. Poi arriva il suicidio di Adrião nel giugno dell'anno successivo e gli ultimi mesi del 1927 passano negli ultimi capitoli.

Nel capitolo 27, Pinheiro, “Now for São João” (dal 1927), pensa che sia una bomba quando sente il colpo suicida di Adrião Teixeira. Dai capitoli 27 al 28, negli otto giorni dell'agonia di Adrião, abbiamo "Tra quattro mura", il teatro quasi d'avanguardia, il cinema quasi da "L'angelo sterminatore" degli ospiti della casa nelle serate che a poco a poco li lasciano in un rilassato stato di promiscuità – un microcosmo preesistenzialista della stessa Palmeira dos Índios, che il romanzo post-naturalista vuole ritrarre con caricature comiche nel trambusto della casa.

Si potrebbe pensare che Graciliano avrebbe potuto fare qualcosa di simile al mondo monotono del circolo vizioso di Il Castello di Kafka o di il deserto dei tartari di Dino Buzzati, o anche Aspettando Godot di Beckett, purché rimuova la vecchia cornice dell'adulterio, molla del romanzo, che lo incolpa di una copia della copia, se ricordiamo il debito di Primo Basilio com Madame Bovary.

Ma la forza di Graciliano è fondamentale nel realismo di causa-effetto con cui sondava le fantasmagorie più profonde, anche nei racconti di "un mondo coperto di piume" che scrisse dal maggio 1937 in poi, nella pensione del Catete, come si può vedere dalle notizie che dà a Ló sui suoi personaggi Vite secche: “Nessuno di loro ha movimento, ci sono individui fermi. Cerco di sapere cosa hanno dentro” (RAMOS, 1994, p. 201). Caetes, tuttavia, con tutta la forza che pulsa nella sua costruzione, rimane irrimediabilmente teatro antico, con tre pareti. Nessuna tendenza d'avanguardia al di fuori del realismo critico germoglierebbe nello scrittore avverso all'assurdità e al surrealismo, anche se la sua acuta percezione critica mostrava simpatia per il dramma di Carlos Lacerda “senza trama” (RAMOS, 1980, p. 168), “O rio”.

Nel capitolo 29, due mesi dopo la morte trascinata del marito tradito, l'incontro tra João Valério e Luísa serve a confermare il nulla delle loro pretese amorose. Nel capitolo 30, tre mesi dopo, João Valério compare come socio nella casa commerciale di Luísa, erede al comando, e di Vitorino, ormai solo, senza il fratello maggiore tradito e suicida. Il capitolo 31 è lasciato con una filosofia a buon mercato che intende giustificare la narrativa del pattinaggio, quando questa condizione è ciò che farebbe riprendere l'opera dal suo post-naturalismo a un esistenzialismo. ante litteram, alla maniera di Lo straniero di Alberto Camus. Jorge Amado (1933) e altri consideravano questo capitolo meraviglioso, ma il critico Dias da Costa (1934), nella sua recensione del giugno 1934, lamentava alla fine del libro “due capitoli inutili” e avvertiva che “le spiegazioni sono sempre pericolose”.

la routine di Caetes, il cui tema è proprio la mancanza di materia per la letteratura, fa dell'opera una conferma della vacuità della trama. Il cattivo romanzo ne è insieme la materia e il risultato – come nell'opera di Alencar, che però, per difendersi dalle critiche sulla scarsa rilevanza morale dei suoi personaggi, rispondeva di averli tagliati “alla misura della società di Rio de Janeiro ” e giustamente vantavano con loro “questo timbro nazionale”, come ricorda Roberto Schwarz (1988, p. 47).

La colpa, come molla principale della trama, appare immediatamente al presente del capitolo 1, contrariamente alla ricomparsa letterariamente sofisticata di João Valério in Luís da Silva de Angoscia, quando l'omicidio alla fine della trama è la colpa che muove l'inizio del romanzo. In Caetes, la colpa sarà del “romanesco”, unico mezzo per mettere in tensione l'inizio del corteo tirato della società provinciale, presentato sotto l'interiorità dell'onnipresenza del protagonista, non esattamente narratore nella scrittura, ma voce al presente indicativo . Era quello che Eloy Pontes considerava un errore di sintassi: “Mr. Graciliano Ramos a volte scrive con verbi al presente e al passato nello stesso periodo, il che ci sembra un evidente errore di sintassi. Il narratore preferisce usare il passato. La simultaneità non è giustificata” (PONTES, 1934).

Certo, l'antipatia per il romanzo d'esordio non viene dal quinau di Eloy Pontes, che Graciliano trovava ridicolo, poiché il disgusto si era già manifestato prima della pubblicazione (RAMOS, 1994, p. 130). Al contrario, si percepisce, attraverso la costanza, che è cosciente l'uso dell'indicativo presente, il cui grande effetto di significato sarà quello di verificare vivo e insormontabile il mondo ossessivo che vuole scartare – il che rivela l'intenzione dell'autore di posizionare il la scrittura a lato dall'esterno del testo, nella realtà presente, a cui è incollato l'“autore-attore” (PINTO, 1962).

Nella forma di questo quadro, che getta fuori da sé il primo strato del romanzo, l'“autore-attore”, sotto la maschera autocritica del “valoroso” João Valério, intende, in Caete, con i “Caetés” dei cannibali, diventare scrittore: un'attività che Graciliano tante volte ha descritto ironicamente come un “modo di vivere indecente” e che alla fine fa riflettere Valério: “un mercante non dovrebbe immischiarsi in cose d'arte ” (RAMOS, 1984, p. 218). Con tempi verbali che non configurano la forma di un diario né sono momenti in cui il narratore emerge dal testo al momento della narrazione, stiamo, dunque, leggendo Caetes al di fuori del romanzo, come rappresentazione immediata della realtà, permeata di fughe, lungo tutta la trama, di presente riferito al passato nel narrato, come, ad esempio, abbiamo sottolineato: “– Solo per quello? mormorò Luisa, che protegge Cassiano” (RAMOS, 1984, p. 49).

Così, la narrazione presenta un tempo aperto, dove il mondo meschino che ritrae rimane vivo, così che il narratore confessa l'impossibilità di scrivere sia sui caetés che sulla loro realtà.

Significative a questo proposito sono le osservazioni di José Paulo Paes – che segnaliamo anche noi – quando commenta la situazione del narratore: “[...] si chiede a un certo punto se non farebbe meglio a scrivere di ciò che sapeva , cioè le persone intorno a lui , “Padre Atanasio, Dr. Liberato, Nicolau Varejão, il Pino, m. Engracia”. Ma, in quel caso, conclude, “potrei solo scarabocchiare una narrazione scialba e amorfa”, una narrazione che, pur non facendo mai riferimento a lei, come fa più volte in relazione al suo romanzo frustrato, finisce per essere la principale di Caetes".

E il critico aggiunge in una nota: “La 'narrativa sfocata e amorfa' del romanzo stesso – questo in contrasto con la scrittura romantico-indianista del romanzo incorporata in esso e frammentariamente tematizzata – è quella della scrittura realistica. Il fatto che non additi a se stesso, nella stessa riflessione metalinguistica di cui si compiace in relazione al romanzo incastonato, gli mostra la pretesa di essere un controparte della realtà narrata, così perfetto da non poter essere distinto” (PAES, 1995, p. 20, 25).

Inoltre, il romanzo Caetes risulta non essere presentato nemmeno in una linea che potrebbe placare la curiosità del lettore, contrariamente al suo modello, L'illustre casato dei Ramires, il cui libro che Gonçalo Ramires ha scritto all'interno, Antonio Candido ricorda di averlo visto pubblicato anche in ristampa (2004, p. 103). In modo tale che dentro Caetes non avremmo niente da leggere se non fosse per la concessione del lettore.

Il pretesto della trama sembra mettere in imbarazzo l'autore, ma è l'unico che trova per rompere con la paralisi provinciale: il bovarismo si sovrappone Madame Bovary, romanticismo che si aggiunge, in Caetes, a chi ha fatto girare la testa a Emma. Al posto di Luísa, Madame Bovary è João Valério. Ma a differenza di León, personaggio di Flaubert che bacia la nuca della sua amata solo dopo che sono trascorsi i due terzi del romanzo (FLAUBERT, 1972, p. 283), i due baci sul collo di Luísa, stanca di tutte quelle sciocchezze, riassumono il nelle prime righe del capitolo 1. Tuttavia, il tono spedito è tradito, per non parlare del disastroso capitolo finale, da scivoloni nella pignoleria: João Valério parla con le stelle, di cui, ignorante, non conosce il nome, per dire loro che Luísa ama, e quando gira per la casa dell'amata, sdegnato per le sfuggenti figure di gente che frequenta il bordello di Pernambuco-Novo, che gli passano accanto come se lo considerassero un suo pari, esce gridando a stesso che è l'anima che vuole (RAMOS, 1984, p. 159-160).

Le formulazioni freudiane si presentano come obbligatorie, almeno nel contesto della cultura occidentale, dove intendono svelare una rete di processi universali, sebbene la storia di ogni caso sia orchestrata all'interno di particolarità biografiche. L'eros platonico si rivela, con Freud, come una ferita al narcisismo dell'umanità, sotto una veste scientifica, anche se ha rappresentato tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento il fattore culminante della “conversione del naturalismo” , per usare la nota qualificazione di Otto Maria Carpeaux.

La tendenza edipica a farsi avanti e a prendere il posto del padre-altro sarebbe presente nell'insieme della cultura, nell'ampia routine della civiltà nel mondo, nella cortesia omicida e nel vorace narcisismo che prevale nella guerra di prestigio. Così, l'eros-motore di Edipo ricorrerebbe anche nella celebre vocazione sognante letteraria, sia nella sensibilità della percezione che fa indicare all'autore il processo, alludendovi nell'intreccio, alla maniera di Dostoevskij in I fratelli Karamazov, sia inconfessato, sempre, poiché è inconscio e inevitabile. Tuttavia, è ragionevole concentrarsi su quei lavori, come ad esempio Borgo ou Caetes, in cui si verifica la chiarezza della manifestazione.

In questa linea, João Luiz Lafetá sviluppa il saggio che approfondisce le percezioni di Lamberto Puccinelli riguardo all'Edipo obliquo (1975) in Caetes. Lafetá riprende la teorizzazione freudiana del “family romance” che Marthe Robert (2007) ha esteso alla forma letteraria del romanzo: l'eros-motorio elabora nel bambino pre-edipico la rabbia narcisistica di inventarsi il “Trovatello”, per negare la sua filiazione a genitori legittimi impertinenti con i loro desideri, scambiandoli con genitori potenti come re e regine, che lo avrebbero rifiutato, lasciandolo con i suoi genitori visibili e spregevoli, dai quali vuole attenzioni e che ama, ma che, dopo la invenzione fantasiosa, non essendo legittimamente sua, può superare. A questa fantasia di fuga e di broncio è legato il romanzo romantico. Il ragazzo, invece, nel risveglio della sessualità, nella fase edipica, fantastica sulla sua affiliazione a metà, con il solo non essere figlio del padre, il che significa che la madre si aprirà ad altre relazioni e diverrà così disponibile per incesto interdetto con il figlio . Questa condizione, più aderente al suo contesto, è legata al romanzo realista, nella figura del “Bastardo”.

Attraverso le due figurazioni di Marthe Robert, Lafetá cerca di testimoniare il gioco che si svolge, nel suo costante indugio verso l'incesto simbolico, tra: a) il volto dell'“Enjeitado”, quello del romanzo storico, genere tipico del romanticismo e la fantasiosa ricerca delle origini, che nel romanzo João Valério cerca di realizzare con i “Caetés” di cannibali senza legge che divorano la civiltà-Vescovo Sardinha, preparando il terreno all'incesto, e: b) il volto del “Bastardo”, così realistico che – ora sotto responsabilità e per effetto delle interpretazioni qui sviluppate – si direbbe di prolungare il romanzo Caetes direttamente al reale, come non-romanzo al presente. Così, l'altalena edipica oscilla, nella saga del superamento del padre fallito, tra il letterato e lo scavatore, tra João Valério e l'autore.

L'elevata aderenza metonimica dell'autore lo obbliga però non solo a sottomettere la letteratura al reale, ma anche il reale alla letteratura: il letterato ha bisogno di modelli per saper scrivere romanzi, per pura necessità di ancorare e non insinuare citazioni esibizioniste di erudizione. La latenza edipica, data come stimolo soggiacente all'iniziativa di scrittura, può essere cercata parzializzata, quindi, attraverso l'influenza di altre opere.

Agrippino Grieco osserva valutando Caetes, nel febbraio 1934, che la scena dei due baci sul collo di Luísa ricorda quella di il mughetto, di Balzac, quando il folle Félix de Vandenesse “depone un lungo bacio sulle spalle di Madame de Mortsauf” (GRIECCO, 1934). Il romanzo racconta la storia del ragazzo rifiutato, la cui madre, avendo bisogno di un compagno a una celebrazione della Restaurazione, gli ordina di confezionare abiti ridicoli. Lì il figlio disprezzato, timidamente gettato in un angolo, si innamora di Madame de Mortsauf quando lei gli sta casualmente accanto come per cullarlo nella sua desolazione, e il giovane, estasiato, tra gli invitati, pratica il folle gesto che la sua signora respinge con spavento, indignazione e uno sguardo comprensivo. Poi, per diversi anni, la passione che li accomuna sarà di madre in figlio, senza alcun contatto fisico se non i baci sul dorso delle mani della ragazza (non sui palmi), poco più grande di lui e molto più giovane di lei. marito. Sig.ra. Mortsaut pensa alla possibilità che Félix sposi sua figlia, ma non è quello che vogliono. I due innamorati si prendono cura, a turni modesti, del marito afflitto, e vi restano fino a quando, in seguito a un'avventura carnale che il ragazzo, finalmente in fuga, ha con una nobildonna inglese, la virtuosa Mme. Mortsaut muore in una lunga agonia, sconvolta dalla gelosia e dall'amore proibito, imbattuta nella sua fedele fedeltà corporea (BALZAC, 1992).

A ciò si aggiunge la possibile influenza di questa trama su un'altra, in cui vediamo l'ultimo incontro, nel marzo 1867, tra Mme. Arnoux, con i suoi capelli grigi, e Frédéric Moreau, che l'ha amata fin dalle prime pagine di educazione sentimentale, nel 1840. Dopo un salto nel vuoto, molti anni dopo il golpe e la repressione del popolo con la presa del potere da parte di Luigi Napoleone, il penultimo capitolo si apre, in estasi amorosa, nella Parigi del II Impero, in cui la coppia rivederci dopo ventisette anni di pioggia non bagnata. Parlano con delicatezza, allegria, ricordi di amori frustrati, silenzio, escono in strada a passeggio a braccetto, tornano a casa del quarantenne. Sig.ra. Arnoux racconta di aver scoperto il suo amore quando ha baciato la pelle tra il guanto e la manica. Frédéric Moreau pensa un po' terrorizzato dalla possibilità che fosse venuta a donarsi a lui. La sensazione è di incesto – e di paura, anticipando la noia che ne conseguirà. Poi lo saluta, gli dà una ciocca di capelli e lo bacia sulla fronte, come una madre. “E questo era tutto”, Flaubert chiude il capitolo (FLAUBERT, 2002).

Certamente Caetes viene da lì, ma nel riassunto di questa formazione che l'opera compie, spedita, non è più quella, sebbene non sia né una cosa né l'altra. L'autenticità della sua dizione appare un po' vecchia e sorprendente, disorientando i critici, che ne avvertono la forza ma non sanno esattamente come qualificarla, come De Cavalcanti Freitas, nel marzo 1934, che vede nel romanzo la “rigida disciplina” di il “vecchio processo reazionario della tecnica” (FREITAS, 1934).

Anche il riferimento più immediato del romanzo, L'illustre casato dei Ramires, altera notevolmente il modello proprio per il dialogismo parodistico che instaura con quel romanzo di Eça de Queirós. Alcune recensioni assomigliano a tale fonte, sebbene non ne notino le differenze essenziali. Lo commenta Antonio Candido L'illustre casato dei Ramires è l'antiBasilio. In primo luogo, c'era il socialista che guardava spietatamente dall'esterno i personaggi caricaturali all'interno dell'urbano. Successivamente, il ritiro ideologico dello sguardo comprensivo della vecchia Eça, aderito all'interno di Gonçalo Ramires nell'esteriorità della campagna (CANDIDO, 1971, p. 44), cerca di rinvigorire il Portogallo con il deplorevole colonialismo. La mediocrità di Gonçalo si rigenera così: pur rimaneggiando i versi dello zio sui suoi antenati, conclude comunque il libro che leggiamo nel libro. Ma non contento di ciò e dell'umiliazione a cui si sottopone, pieno di orgoglio, Gonçalo parte per l'Africa alla ricerca della rigenerazione della razza.

Il percorso ideologico di Graciliano è opposto. In Caetes dice addio a Eça, il cui magro residuo non sarà più strutturale. Raggiungendo la forma letteraria della concettualizzazione marxista, che guiderà il resto dell'opera, l'“esterno” della conversazione dei pappagalli, che caricaturalmente raggiunse lo stesso João Valério nel suo “interno”, guadagnerà un aggiornamento riflessivo del marxismo, che organizzare l'“esterno” come storia strutturata in sistemi sociali, stratificati da lotte di classe e giochi di potere: costrutti umani, non immutabili nell'immobilità dell'apatia che opprime l'“interno” dei suoi soggetti, a partire da Paulo Honório in San Bernardo.

Graciliano non ha potuto impedire l'inesistenza fittizia del romanzo Caetes, scarne nell'immediatezza dell'indicativo presente, diventano vere, come ha fatto con “Caetés” di João Valério. Il ritardo nella pubblicazione gli permise di chiedere a Schmidt di restituire gli originali e di annullare l'“affare”, come racconta a Ló in una lettera da Palmeira dos Índios, 8 ottobre 1932 (RAMOS, 1994, p. 130). Ma grazie all'innocenza estetica e alla generosità fraterna di Jorge Amado, la pubblicazione è stata ripresa con l'editore Schmidt. Graciliano ricorderà l'episodio del 1936, quando trovò, «con un brivido di ripugnanza», il suo compagno di prigione, l'intelligente russo Sérgio, che leggeva Caetes: dopo che gli originali furono restituiti, Jorge Amado lo visitò nel 1933 per, nascosto, in collusione con Dona Ló, riportarli a Schmidt, che voleva modificare il romanzo (RAMOS, 1985, p. 225).

Prima di allora, Graciliano era tornato da Maceió a Palmeira dos Índios e, nel 1932, fece il seme di San Bernardo a Viçosa, proteggendo-superando suo padre, che vi aveva portato la famiglia anni prima, dopo il disastro nell'entroterra di Pernambuco di Buíque, quando la siccità aveva divorato la sua pretesa di diventare agricoltore. João Valério sarebbe poi tornato da Palmeira dos Índios a Maceió, e poi Luís da Silva avrebbe detto per cosa era venuto, prima di andare a Rio de Janeiro, aspettando Fabiano, Sinhá Vitória ei due ragazzi.

*Marcos Falchero Falleiros è un professore in pensione presso l'Università Federale del Rio Grande do Norte (UFRN)

Originariamente pubblicato negli Annali di Associazione brasiliana di letteratura comparata (Abralico)

 

Riferimenti


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