Carlo Ginzburg e Piero della Francesca

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Commento su Piero indagato, libro dello storico italiano Carlo Ginzburg

da Afranio Catani*

Negli anni ‘1980 e primi anni ‘1990 ho scritto recensioni per alcuni veicoli stampa, in particolare per il “Caderno de Sábado” dell’ormai defunto Jornal da Tarde (JT)). Ricordo che nel dicembre del 1989 mi recai per la prima volta a Cuba, invitato a presentare un lavoro sulle chanchadas brasiliane nell'ambito del Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latinoamericano, all'Avana, e, il 09 dicembre 1989, il giorno prima del viaggio , mi ha fatto piacere vedere pubblicata la mia recensione del meraviglioso libro di Carlo Ginzburg (Torino, 1939), Domande su Piero: il Battesimo, il Ciclo di Arezzo, la Flagellazione (Pace e Terra), nel JT.

Di seguito presento una versione leggermente modificata di questo testo, evidenziando il grande contributo di Carlo allo studio della pittura di Piero. Lui stesso dichiara di essere uno storico, ma non uno storico dell'arte.

Prima di procedere vorrei fare due osservazioni. Il primo è che sono andato al National Gallery, a Londra, sempre sperimentando un grande coinvolgimento estetico, guarda le opere disponibili di Piero della Francesca che sono lì incorporate nella sua collezione permanente. Vale la pena ricordare che l'ingresso ai musei nazionali inglesi è gratuito. L'altro è evidenziare che Gabriel García Márquez, in dodici racconti pellegrini (Record), ne dedica uno – “Espantos de Agosto” –, piccolissimo, alla visita che fece, ad Arezzo, agli affreschi di Piero nella Chiesa di San Francesco.

Carlo Ginzburg e Piero della Francesca

Carlo Ginzburg ha fatto pubblicare una parte significativa dei suoi libri in Brasile, evidenziando Il formaggio e i vermi (Companhia das Letras, 1987); I buoni vagabondi (Companhia das Letras, 1988); Miti, emblemi e segni (Companhia das Letras, 1989); racconto notturno (Companhia das Letras, 1991); occhi di legno (Companhia das Letras, 2001); relazioni di forza (Companhia das Letras, 2002); Il filo e le tracce (Companhia das Letras, 2007); Paura, riverenza, terrore (Companhia das Letras, 2014); inoltre due versioni del suo libro su Piero della Francesca, la prima pubblicata da Paz e Terra, nel 1989, e la seconda da Cosac Naify, nel 2010, con un titolo diverso: Piero indagato.

Da più di cinquant'anni si dedica a varie tematiche, riferite alla storia della stregoneria e della religiosità popolare, iconografia e analisi iconologiche dell'arte europea nei secoli XV e XVI, questioni che coinvolgono la metodologia del lavoro dello storico, riflessioni sull'epistemologia delle scienze umane...

In una vecchia intervista rilasciata nel 1989 al giornalista Luiz Carlos Lisboa, affermava di non aver abbandonato dall'inizio degli anni '1960 l'idea che “la storia è contenuta in vecchie carte e caratteri minuscoli, piuttosto che in documenti ufficiali e ciò che chiamiamo “l'atto dei re”. In questo libro dedicato a Piero della Francesca (1416? -1492), lo storico si tuffa in archivi e grandi biblioteche (Urbino, Sansepolcro, Cesena, Firenze, Gubio, Roma) alla ricerca di testimonianze per l'analisi di alcune delle più grandi opere del pittore, cioè il Battesimo di Cristo, un flagellazione e il Ciclo Arezzo, basato su un duplice punto di vista: l'iconografia e la committenza.

Ginzburg chiarisce come Piero sia un oggetto che sfugge costantemente, come l'acqua, dalle mani dei suoi studiosi: gli elementi certi della sua biografia sono scarsi e le opere datate, pochissime. In tali condizioni, “il ricercatore ha l'impressione di trovarsi davanti a una parete di roccia molto ripida, liscia e senza punti di appoggio. Ci sono solo alcuni garofani sparsi qua e là: la presenza di Piero a Firenze nel 1439 al seguito di Domenico Veneziano, la commissione del pala della misericordia di Sansepolcro, nel 1445; l'affresco riminese raffigurante Sigismondo Malatesta, datato 1451; l'attività in Roma, negli anni 1458-1459, documentata dai pagamenti della Camera Apostolica… Inoltre, congetture, notizie incerte o indirette, al massimo datazioni settimana che e ante che che lasciano vuoti aperti per decenni”.

Così, per mezzo dell'evidenza – da qui la terminologia “paradigma probatorio”, contenuta nel suo ottimo articolo “Segni: radici di un paradigma probatorio”, in Miti emblemi e segni – apparentemente piccoli, come due mani che stringono un profilo poco chiaro o la semplice punta di un capello, è possibile eliminare ipotesi poco sicure e integrare lacune nei documenti raccolti dagli archivi storici.

Una lettura congiunta delle tre opere sopra citate (Ginzburg dettaglia il Ciclo degli affreschi di Arezzo sulla leggenda della vera croce e del misterioso flagellazione de Urbino) finisce per rivelarne le implicazioni politiche e religiose, fino ad allora ignorate dalla critica, interessata solo a questioni di stile. Attraverso l'indagine che coniuga l'iconografia con la committenza, Ginzburg traccia un'immagine di Piero ben diversa, anche cronologicamente, da quella proiettata dagli studi classici, in particolare da quelli di Roberto Longhi – la cui prima edizione è del 1927 – e Kenneth Clark.

Il legame tra il giovane Pietro e Giovanni Bacci – figlio e nipote di mercanti, laureato a Siena e costruendo la sua carriera nell'amministrazione pontificia, fino a diventare sacerdote nella Camera Apostolica –, nel 1439, fornì al pittore la sua opera più grande; il ciclo di affreschi aretini. Ginzburg dimostra che esisteva, a quel tempo, un vero e proprio clan di umanisti di origine aretina, come oltre allo stesso Bacci, Tortelli, Aliotti, Marsuppini e Leonardo Bruni (evidenzia anche Paggio, era del Valdarno, e la famiglia Alberti, di Catenaia nel Valdarno) mantenne solidarietà geografica, gestionale e culturale.

“Questa solidarietà operava e si confermava attraverso una fitta rete di scambi di favori e raccomandazioni reciproche (di cui sono notoriamente ricche le lettere degli umanisti). Queste connessioni pratiche si riferivano spesso a vincoli di parentela, carnali o spirituali (Bacci e Tortelli erano controparti, Tortelli e Marsuppini erano compadres)”.

Nelle ultime pagine del suo libro Ginzburg scrive che i complessi riferimenti iconografici “all'unione delle Chiese e alla crociata elaborati nel BattesimoA flagellazione e nella seconda e più consistente parte del Ciclo aretino ci rimandano agli interessi culturali, politici e religiosi di Giovanni Bacci o di personaggi a lui comunque legati. Lo prova negativamente la scomparsa di questi temi nella pittura di Piero dopo il completamento del Ciclo aretino, quando si interrompono i rapporti committenti con i Bacci (...) Terminati gli affreschi ad Arezzo, Piero (all'epoca con poco più 45 anni) ha percorso strade stilistiche profondamente diverse e meno faticose”.

Piero indagato è un libro che richiede un grande coinvolgimento da parte del lettore, in quanto i continui riferimenti alle opere del pittore e la sorprendente mole di documenti manipolati dallo storico fanno sì che, a volte, qualcosa si perda in questa avventura. Vale comunque la pena seguire l'affascinante impresa di Ginzburg che, sulla base di testimonianze e dettagli, mostra come autore, opera, committenza e contesti storici, politici e sociali interagiscono in modo interdipendente. Forse non per altro il ricercatore italiano inizia uno dei suoi articoli con un'epigrafe tratta da Aby Warburg (1866-1929), storico che tanto ha studiato e che ben si inserisce in questo contesto religioso, dove si legge che “Dio è nel particolare”. .

*Afranio Catani è professore in pensione all'USP e visiting professor all'UFF

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