da PEDRO PAOLO PIMENTA*
Prefazione alla riunione recentemente pubblicata di due libri di Denis Diderot
1.
L'idea che i due Lettere di Denis Diderot qui riuniti in coppia dipendono quasi esclusivamente dal riferimento sensoriale contenuto nei rispettivi titoli, “sul cieco”, “sul sordomuto”. Molte altre cose sembrano separarli, a cominciare dallo stile, dimostrativo nel primo, saggistico nel secondo. L'esposizione sui ciechi è agile e diretta, procede spedita verso il suo obiettivo, passando attraverso tre personaggi tratti dalla vita reale – anzi quattro, se si tiene conto dell'appendice aggiunta successivamente.
Il discorso sui sordomuti è lento e digressivo, talvolta appare sfocato, non ha personaggi, e sfocia in un'appendice che, per la sua lunghezza, mette a rischio l'equilibrio formale del testo. Mentre nella prima lettera, datata 1749, Denis Diderot scelse una serie di alleati per sostenere le controverse conclusioni a cui arrivò, nella seconda, del 1751, preferì concentrarsi sui suoi avversari. Entrambi sono scritti sperimentali, poiché, oltre a non giungere a conclusioni definitive, procedono dall'esame di un repertorio di casi: ciechi qui, testimonianze testuali là.
Ci sono altre evidenti affinità quando le lettere vengono lette insieme. La principale, mi sento di suggerire, è l'idea chiara che dipingono, nell'immaginario del lettore, di un oggetto nuovo, libero, autonomo, attivo, dotato di regole proprie: il corpo vivo, una materialità che emerge come pura sensazione, che esiste di per sé, non è stata creata, ed è, in tal senso, un'indicazione che l'idea stessa di creazione è diventata obsoleta. Questo dipinto è realizzato magistralmente attraverso una sapiente combinazione di diverse prospettive, alla maniera della monade di Leibniz.
Il cieco che non vede, sente in prima persona ciò che sfugge a chi vede e, di conseguenza, ha un’idea diversa del tanto decantato “ordine della natura”. Il sordomuto non parla né sente, ma gesticola, il suo corpo è puro movimento, un'unità che configura e riconfigura lo spazio intorno a lui. Lo schema perfetto di questa totalità integrata è il geroglifico o ideogramma. Come la verità della visione è nel tatto – l’occhio sente gli oggetti che lo toccano fisicamente come la pelle –, quella della parola è nel gesto silenzioso, prima figurazione di quella che Robert Bringhurst chiamerà la “forma solida del linguaggio”. .,
2.
Denis Diderot è entrato nella storia della filosofia come un pensatore erratico, rapsodico, incapace di produrre un sistema coerente. In questa valutazione si confondevano due ordini, quello del pensiero e quello dell'esposizione, per lui inseparabili: l'elaborazione di una riflessione concettuale coerente, attraverso un'esposizione segnata da discontinuità di genere, forma e stile. Se dovessimo determinare il momento in cui l'elaborazione fondamentale ha acquisito slancio e direzione, dovremmo scegliere il Lettera sui ciechi, ad uso di coloro che vedono. Gli echi di questo testo si ritrovano ovunque nella produzione successiva del filosofo, il quale, nel 1782, riconobbe che, se avesse dovuto modificare il testo, ne avrebbe scritto un altro, probabilmente non altrettanto buono. Cioè, malgrado le imperfezioni compositive e stilistiche, l'idea resta lì, come germe di tutto ciò che poi, organicamente, ne deriverà.
La metafora vitalista è appropriata, poiché una delle esperienze limitanti a cui i ciechi hanno un accesso privilegiato è proprio l'avvicinarsi della morte, che essi, per una serie di ragioni, temono meno dei vedenti. Tutto avviene come se l'idea stessa di vita prendesse contorno, nell'analisi delle sensazioni, non dalla comoda remissione a un “principio vitale”, ma determinando le modalità di relazione dell'organismo sensibile, in questo caso, preso dalla sua configurazione umana.
Attira l'attenzione Lettera sui ciechi la perfetta simbiosi tra esposizione e argomentazione. Il testo è diviso in tre sezioni, elegantemente disposte nel flusso della scrittura, ciascuna dedicata a un cieco che Diderot conobbe o incontrò in letteratura, e che gli fornisce l'illustrazione completa di uno dei punti che compongono l'argomento (sono ciechi che lo rendono complementare). Nessa Carta Con un titolo provocatorio, Diderot vuole essere molto chiaro alla destinataria, la signora. Simoneau, e noi, ai quali concede il privilegio della lettura, non possiamo che beneficiare di questa qualità.
Il tono urbano è perfetto per enunciare una tesi dalle conseguenze profonde, il cui presupposto soddisfa pienamente le pretese della metafisica classica. “In effetti”, scrive Gérard Lebrun, “il cieco costringe il moralista o il metafisico a confessare che la sua filosofia non è l’opera di un soggetto razionale, ma l’ideologia di un essere vivente che crede di avere un rapporto con le cose che noi chiama visione. Usando solo le sue domande, il cieco ci mette nella stessa posizione in cui metteremmo un essere vivente con più paia di occhi: ci fa entrare ingenuamente nella dimensione della mostruosità”.,
Denis Diderot invita a pensare la ragione come una potenza limitata, non nel senso di finitezza, in contrasto con la pienezza della ragione divina, ma di tratto costitutivo dell'animale umano, che acquisisce o inventa questa o quella metafisica, a seconda l'uso totale o parziale dei sensi. Il modello si estende agli animali non umani, ai quali è così riconosciuto un istinto speculativo che li porta a considerare nell'esperienza soluzioni ai problemi che la sensazione pone loro. Fin dall’inizio viene minata la pretesa della metafisica di diventare una scienza universale, che dovrebbe addirittura fornire il fondamento razionale della fede religiosa.
I ciechi di Denis Diderot non sono figure astratte o neutre. In comune hanno una parzialità verso la propria condizione. Sanno di essere diversi, ma allo stesso tempo si sentono profondamente strani per il modo in cui le persone vedenti vedono il mondo e traggono, da questa esperienza, conseguenze che non hanno senso per i ciechi. Può sembrare sorprendente che un cieco sia un geometra e insegni questa scienza all'Università di Cambridge a studenti vedenti. Questo stupore è frutto di ingenuità: la geometria non è il linguaggio che Dio ha scelto per enunciare il mondo, ma un sistema di segni che descrivono relazioni sensibili, che possono essere colte ed esposte dalla visione – che porta a dimenticare che ne è il fondamento ultimo. , come descrizione dello spazio, sono le relazioni tattili.
Nel 1782, un'aggiunta inaspettata: una piccola nota, in cui viene introdotto un quarto personaggio, Mélanie de Salignac, una giovane cieca che Denis Diderot conobbe personalmente e che gli insegnò, con raffinatezza e precisione, l'autonomia e l'elevazione di una metafisica che , ora sembra non solo originale, ma anche, per molti versi, superiore a quello dei veggenti e, in tal senso, ad esso indispensabile. Più che un contrappunto critico, l'ordine della ragazza cieca è come la verità soggiacente a quella del lettore vedente.
La fisiologia di una donna cieca non è come quella di un cieco, e ciò che non può vedere le permette di sentire altre cose, che non sono le stesse che sente lui. Meno abituata al ragionamento, meno permeata dalla metafisica astratta, Mélanie apre gli occhi di Diderot sulle relazioni sensibili da cui l'animale umano contempla ciò che i filosofi amano chiamare “natura” o “mondo”.
A questo punto il lettore di filosofia potrebbe ricordare che, nella metafisica classica, la modalità privilegiata dell'intuizione divina è la visione. Non contento di nominare Dio come architetto di infinite città che si sovrappongono tra loro da diverse prospettive, Leibniz garantisce anche, in Monadologia, che “colui che vede tutto” nell'universo “poteva leggere”, in ciascuna monade, “tutto ciò che accade ovunque e anche ciò che è stato fatto e sta per essere fatto”.,
Con i suoi ciechi e la sua cieca, Denis Diderot rifiuta di lamentare la finitezza delle creature che non vedono tutto, celebrando, al contrario, il privilegio degli esseri viventi che, poiché non vedono, capiscono che l'idea di una visione d'insieme non è mai stata altro che un'illusione. Pertanto, la strana cosmologia che Carta offre, a un certo punto, una descrizione, a parole, di ciò che i sensi del cieco percepiscono, senza però vedere nulla., Toccherà alla poesia – i modelli di Diderot sono Lucrezio e Ovidio – colmare il vuoto lasciato dall'obsolescenza della metafisica.
3.
A prima vista, l'animale di quest'altro Carta, sui sordomuti, non è uguale al primo, che consuma la sensazione e rigurgita la riflessione. È più come un animale che parla, gesticola, balla, canta, recita – in breve, espressivo. I problemi del testo iniziano con l'espressione. Come dice Franklin de Mattos, il Lettera sui sordomuti “non è il più facile da leggere”, non perché sia oscuro, ma perché l’autore, che in Lettera sui ciechi Avendo adottato un'economia espositiva molto elegante, preferisce ora nascondere i suoi scopi, accumulando domande davanti a un lettore che, così perplesso, potrebbe stancarsi.
Una strategia che ci porta al cuore della posta in gioco, e che viene alla luce solo alla fine del testo, dedicato alla poesia. Perché «ciò che definisce lo 'spirito' della poesia è proprio il potere di collegare più idee a una stessa espressione, cioè di trasformare il discorso successivo in linguaggio simultaneo (in “geroglifico” o “emblema”, come si suol dire). Carta) "., Recuperare il legame tra linguaggio e sensazione: un imperativo che lega questo secondo Carta alla prima, in cui un certo sistema di segni – la metafisica – è slegato non dalle sensazioni, ma dalle astrazioni a cui si intendeva dare risalto.
Tutto accade come se Lettera sui sordomuti dimostrare al rovescio la tesi che difende riguardo alla poesia, collegando un'unica idea, l'unità fisiologica dello spirito umano come fondamento delle arti, a una pletora di domande. Come cogliere qualcosa che non sia né un'entità metafisica né una realtà fisica, che non sia riducibile alla forza unificante del concetto? Muovendosi agilmente sulla superficie dei modi espressivi, Diderot ci distoglie in ogni momento dalle scorciatoie che potrebbero condurci alla stabilizzazione che si consuma nella comprensione. Esprime così la forza insita nella sensazione, che conferisce al pensiero, che da essa deriva, una dinamica diversa dalla capacità contemplativa dell'anima cartesiana e perfino dalla serenità affettiva del corpo spinoziano.
Preso da molti come un piccolo trattato di estetica, come uno scritto minore, il Lettera sui sordomuti opera una revisione dei precetti della composizione retorica, pervenendo così a una poetica che lo stesso Diderot applicherà alle sue riflessioni sull'arte drammatica (che egli stesso contribuisce a rinnovare) e agli esercizi di descrizione che scandiscono la strana “critica d'arte” intrapresa In Saloni. In queste riflessioni, il posto di rilievo dato dalla trattatistica francese alla bellezza, concetto apparentemente neutro che però, come mostra il Lettera sui ciechi, dipende da una concezione molto parziale della sensibilità umana. D'ora in poi non spetta più all'artista, utilizzando parole, suoni o immagini, imitare la natura e, purificandola, arrivare a bellissima natura – compito che, ormai lo sappiamo, è strettamente legato ai pregiudizi del teismo. Il suo compito è diverso: significare ciò che il segno permette.
Questa riorganizzazione concettuale comporta una ridefinizione dell'arte stessa, che perde il suo status intellettuale e diventa esperimento fisico, dalla sensazione del pittore, scultore o scrittore, che maneggia i suoi materiali e con essi costruisce un'idea, a quella dello spettatore, trasformato dall’esperienza del contatto fisico diretto con queste costruzioni o “macchine” che sono oggetti artistici. Denis Diderot non è mai stato un pittore o un poeta, e i suoi drammi filosofici erano scritti in prosa.
La parola traduce la sensazione e modula la passione: è segno di ciò che, a sua volta, la significa. L'idea di ordine, criticata nell'altro Carta, si rinnova: a differenza della Natura, che si pone e si fa, la parola diventa, nelle mani dello scrittore filosofico, l'illustrazione dell'unità dello spirito che l'ha prodotta, e che, ora sappiamo, è pura attività, o energia ., Se ogni genere d'arte ha un proprio oggetto, che non condivide con gli altri, tutti hanno questa stessa sensualità che definisce l'esperienza artistica, collocata nell'ambito più ampio dell'esperienza sensoriale. L'arte non imita la natura, che non è bella; formalizza un'esperienza, di sensazione, che, allo stato grezzo, contiene gli elementi necessari per produrre il piacere più intenso.
4.
Anni dopo, ritroveremo il filosofo vagare per le gallerie del Louvre, nelle mostre annuali dedicate ai giovani pittori (i famosi “Salon”), tappandosi le orecchie con le mani per ascoltare meglio i dipinti, tentato di toccare con le mani. tele che i suoi occhi già toccano, e ritrovando, nei colori dei quadri di Chardin, la sostanza stessa delle cose imitate., L'oggetto artistico, realizzato dall'abile intelligenza del pittore o dello scultore, diventa occasione di un'esperienza singolare, acuendo la percezione, affinando la sensazione e intensificando il piacere. La contemplazione viene definita come un'esperienza sensoriale che mobilita l'intero corpo dello spettatore, in modo simile a quanto fatto con quello dell'artista.
Scrivere di queste opere richiede che l'autore abbia il controllo su questi elementi e sappia trasformarli in determinati segni, caratteri scritti, che possano produrre, nella mente del lettore, la suggestione delle immagini che descrive o alle quali allude. I contorni si sfumano, la bellezza è elevata a potenza del sublime, la rappresentazione si riduce al sentimento attivo e vitale che per prima la rende possibile.
Alla voce “composizione”, scritto per Enciclopedia e pubblicato nel 1753, due anni dopo Lettera sui sordomuti, Diderot elabora un'interessante riflessione, che permette di misurare la distanza che separa la sua poetica da quella del classicismo francese, con il quale, però, non rompe ancora del tutto., Come ha osservato in un testo inedito il mio collega Luís Nascimento, scomparso prematuramente nel 2022, gran parte della voce è una parafrasi del libro di Shaftesbury, “Concezione del quadro storico del processo di Ercole”, in cui gli inglesi Il filosofo esamina il momento esatto in cui deve scegliere un pittore che voglia rappresentare su tela la storia della scelta di Ercole tra piacere e virtù., È un tema ricorrente nell’iconografia pittorica, e, se Shaftesbury lo riprende, è nel tentativo di dimostrare che, se i precetti del disegno e della plastica, che tradizionalmente guidano la rappresentazione, sono così importanti, è perché la trasmissione del da loro dipende un messaggio morale.
Il carattere moralizzante della pittura è un tema ricorrente in Saloni, e non c'è da meravigliarsi che Denis Diderot lo esplori a partire dal 1753. Non bisogna però dimenticare la parte finale della voce, dove Diderot rischia di estendere le considerazioni di Shaftesbury alla rappresentazione di un'altra scena di carattere morale, l'entrata di Alcibiade in Socrate. 'banchetto', come avviene nel dialogo di Platone con lo stesso nome. Sarebbe meglio parlare di spostamento, perché ora la virtù eroica e civica dell'Ercole di Shaftesbury lascia il posto a una virtù amorosa ed erotica, in cui le forze del corpo – diciamo le sue capacità fisiologiche, così ben esplorate nelle lettere – sono dirette verso il compimento di atti di piacere che, salvo casi eccezionali, non comportano esaurimento. Il sacrificio fisico, sostituito dalla resa, cessa di essere la condizione per l'elevazione di un'anima, che diventa metafora di una particolare condizione sensoriale a cui Diderot dà il nome di “sé”.,
5.
As Lettere di Denis Diderot furono pubblicati in un periodo – a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Settecento, nel cosiddetto “Secolo dei Lumi” – che vide un’importante svolta nel mondo delle lettere europee. Fino ad allora la filosofia francese si era accontentata di contestare, più programmaticamente che concettualmente, l’eredità cartesiana che gravava sugli spiriti. Le Lettere Filosofiche, scritto dall'Inghilterra dal giovane Voltaire e pubblicato nel 1726, cercò di aprire gli occhi dei loro connazionali sulla rivoluzione inglese, provocata dalla fisica di Newton, dal metodo sperimentale di Bacon, dalla filosofia sensualista di Locke. Questo manifesto apre la strada non solo ai successivi sviluppi della filosofia di Voltaire, ma anche all'adattamento, da parte della nuova generazione, dei metodi insulari al modo di pensare continentale.
L'abbondanza di riferimenti all'inglese nella Lettera sui ciechi dimostra che Diderot, il traduttore di Shaftesbury, rimane un risoluto anglofilo. Tra i francesi si segnala, oltre a Voltaire, Condillac, autore di a Saggio sull'origine della conoscenza (1746) e a Trattato di sistema (1750), con il quale il Carta, sebbene non esprima un accordo rigoroso, è strategicamente allineato. Quello accordo, forgiato qualche tempo fa negli incontri settimanali al caffè La Coupole, ai quali partecipava anche Rousseau, durò poco tempo. COME Trattato sulle sensazioni, da 1754,, Condillac si allontana dal suo mentore Locke e riprende Lettera sui sordomuti, ma mantiene l'indagine in una zona intermedia tra metafisica, grammatica e fisiologia. Diderot lo accusa di plagio; l'amicizia va in pezzi per sempre.
Nella recensione di Trattato sulle sensazioni scritto da Grimm per Corrispondenza letteraria, periodico che circola in edizione limitata negli ambienti più alti delle corti europee, il libro di Condillac, pur ricevendo elogi, viene paragonato sfavorevolmente a quello di Diderot. Quasi trecento anni dopo, capiamo che queste rivalità nascondono un segreto prezioso, di un’opera polimorfa, tessuta collettivamente, che costituisce un’eredità – quella dell’Illuminismo – con cui ogni tanto siamo costretti a fare i conti. Riscoprire i testi, acquisire il gusto del dettaglio, innamorarsi della filigrana, ci sono tanti modi per evitare le generalizzazioni e rinnovare così l'esercizio della critica – quasi sempre estenuante, di solito gratificante. La voce di Denis Diderot, espressa con tanta vivacità nel Lettere, può essere una guida per chi vorrà dedicarsi allo svolgimento di questo compito.
6.
Questo volume riunisce, per la prima volta in portoghese, i due Lettere, proponendoli in nuove traduzioni, scritte da studiosi più che familiari con gli scritti di Denis Diderot. Il lettore troverà anche due documenti complementari, la voce “Cego”, scritta da d'Alembert per il Enciclopedia (v.1, 1751), in realtà una revisione critica del Lettera sui ciechi, nonché la revisione del Trattato sulle sensazioni, scritto da Grimm, come abbiamo detto, per il Corrispondenza letteraria, che include le scuse per il Lettera sui sordomuti.
*Pedro Paolo Pimenta È professore presso il Dipartimento di Filosofia dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di Il tessuto della natura: organismo e scopo nell'età dei Lumi (Disp).
Riferimento
Denis Diderot. Lettera sui ciechi, ad uso di chi vede e Lettera sui sordomuti ad uso di coloro che sentono e parlano. Traduzione: Franklin de Matos, Maria das Graças de Souza, Fabio Stieltjes Yasoshima. San Paolo, Editora Unesp, 2023, 232 pagine. [https://amzn.to/48b5nCu]

note:
[1] Robert Bringhurst, La forma solida del linguaggio. Trans. Juliana A.Saad. San Paolo: Edições Rosari, 2006.
[2] Gérard Lebrun, “Il cieco e la nascita dell’antropologia”, in: La filosofia e la sua storia. San Paolo: CosacNaify, 2006, p.55.
[3] Leibniz, “Monadologia”, 61, in: Discorsi di metafisica suivi della monadologia. Ed. Laurence Bouquiaux. Parigi: Tel-Gallimard, 1995, p.197.
[4] Cfr. Maria das Graças de Souza, Natura e illustrazione. Sul materialismo di Diderot. San Paolo: Editora Unesp, 2002, cap. 1.
[5] Franklin de Mattos, “Come mille bocche di sensazione”, in: Il filosofo e il comico. Belo Horizonte: UFMG, 2004, p.158.
[6] Michel Delon, L'Idée d'energie au tournant des Lumières. Parigi: PUF, 1988, p.74-84.
[7] Cfr. Jacqueline Lichtenstein, La Tache aveugle. Essai sur les relationship de la peinture et de la sculpture à l'age moderne. Parigi: Gallimard, 2003, cap. due.
[8]Vedi nell'originale v.3, p.772-4, e, nell'edizione brasiliana, v.5.
[9] Shaftesbury, “Una nozione della bozza storica del giudizio di Ercole”, in: Secondi caratteri o linguaggio delle forme. Ed. Benjamin Rand. Bristol: Thoemmes Press, 1995.
[10] Cfr. Giorgio Vigarello, Il sentimento di sé. Storia della percezione corporea. Trans. Francisco Moras. Petrópolis: Vozes, 2016, cap. 3.
[11] Condillac, Saggio sull'origine della conoscenza umana. Trans. Pedro Paolo Pimenta. San Paolo: Editora Unesp, 2016; È Trattato sulle sensazioni. Trans. Denise Bottman. Campinas: Editora Unicamp, 1994.
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