da FERNÌ PESSOA RAMOS
Riflessioni sulla presenza degli afrodiscendenti e sul razzismo nel cinema nazionale
C'è un dibattito significativo per l'attuale comprensione del cinema brasiliano. Le alterità sociali, di etnia o di genere, costituiscono uno spazio denominato identità. Nel caso brasiliano si mescolano alle rivendicazioni sociali che affliggono la stragrande maggioranza della popolazione. Nella nostra filmografia sono venute a galla questioni di rappresentazione della popolazione nera che fino ad allora erano state ignorate o viste in scala minore.
Si manifestano, nel loro modo reazionario (razzismo), fin dall'inizio del nostro cinema, anche nella più grande pubblicazione del periodo muto, la rivista Cinéarte. Attraversano l'inizio della parola parlata, raggiungendo, nei loro dilemmi, l'opera del nostro principale regista della prima metà del secolo, Humberto Mauro. Sono presenti anche, sfidati dalla presa in giro e dall'ironia, nella chanchada (con il nostro più grande attore, Grande Otelo), o nella prevenuta pornochanchada, così come nella produzione folcloristica degli studi di São Paulo degli anni '1950 e nella so- chiamato cinema indipendente.
Negli anni '1950 e '60 sono emersi, in modo più affermativo, nella scoperta pionieristica dell'empowerment dei neri da parte di Nelson Pereira do Santos, Glauber Rocha, Cacá Diegues e Cinema Novo nel suo insieme. Negli anni '1970 questa affermazione è stata rafforzata in modo qualitativo dai potenti (e purtroppo poco valorizzati) l'anima negli occhi/1973, diretto e interpretato da Zózimo Bulbul, con musiche di John Coltrane, in uno stile caratteristico della produzione Cinema Marginal dell'epoca.
Come regista nero, Zózimo Bulbul ha avuto, in un certo modo (senza voler forzare la corrispondenza), il ruolo di Helena Solberg (L'intervista/1966), in campo femminile, nell'ambito della “nuova” produzione cinematografica degli anni '1960/'70: entrambe sono cineaste talentuose, intense, che non sono riuscite a sfondare il blocco degli alti costi di fare cinema, dominato, all'epoca, da uomini bianchi. La questione dell'identità nera compare anche nei film di Retomada a cavallo tra la fine del secolo e l'inizio del XXI secolo.
Più recentemente, tuttavia, c'è un ingrediente differenziale che porta novità dal basso in questa periodizzazione: la moltiplicazione della produzione che contiene l'esperienza del razzismo nel suo stesso discorso (l'esperienza del lato-di-là come lato-di-qui ), proveniente dal cinema più giovane nel secondo decennio del nuovo millennio.
L'esperienza in sé del pregiudizio e del razzismo, dell'esclusione, sono nelle immagini delle produzioni digitali alternative emerse insieme alle grandi manifestazioni della prima metà degli anni 2010 e nelle piccole produzioni audiovisive nelle ONG e in altri formati che proliferano in comunità urbane/favelas ; in insediamenti rurali (alcuni nel movimento senza terra) e quilombolas; nelle popolazioni indigene, attraverso iniziative come il pionieristico Video nei Villaggi, che si stanno moltiplicando.
Oggi questa tendenza sembra accentuarsi, introducendo, ormai da più di un decennio, nuovi autori provenienti da ceti sociali che non hanno avuto, come protagonisti, la loro voce, e soprattutto la loro immagine, nella storia del cinema brasiliano.
Il cinema è un'arte costosa, difficile e collettiva da produrre. Forse per questo non è mai emersa in essa una tradizione con forti radici popolari, come la samba nella musica popolare brasiliana. In questo secolo, però, la situazione sta cambiando con il notevole abbassamento della produzione audiovisiva attraverso l'emergere delle nuove tecnologie digitali. C'è una forte attenzione alla produzione brasiliana che aderisce a schemi di riprese agili e percorsi di distribuzione alternativi sui social network. E come sempre nella storia del cinema, a nuove forme estetiche e stili audiovisivi corrisponde un nuovo tipo di produzione.
A ciò si aggiunge la strutturazione di avvisi pubblici per la produzione cinematografica che cominciano a privilegiare aspetti di etnia e identità di genere. Seguono le nuove dinamiche sociali che hanno portato in primo piano, in maniera aggressiva e urgente, questioni legate a questo universo e che prima spuntavano in modo isolato o in orbite più lontane. Questo contesto è stato sicuramente sospeso di recente, a causa delle posizioni retrograde del governo Bolsonaro che hanno interessato l'area culturale nel suo complesso, ma lo stimolo all'audiovisivo popolare va certamente ora ripreso, nel punto in cui era stato abbandonato.
Noel Carvalho nella collezione Cinema nero brasiliano (Papirus), mappa un po' questo orizzonte, fornendo un caleidoscopio senza precedenti di questa produzione nel suo insieme. L'opera mostra la necessità di stabilire un nuovo taglio nella tradizionale linea diacronica della tradizionale storiografia del cinema nazionale. In questo senso, possiamo immaginare una sorta di ancora alternativa, dinamicamente dialogante con i forti canoni classici della storiografia del cinema brasiliano (delineati da Paulo Emilio Sales Gomes, Alex Viany, Adhemar Gonzaga e altri nel secolo scorso), ma senza scivolare nell'ameba media, né inciampando nel nominalismo seriale della microstoria.
Viene così messa in discussione una visione precedentemente più omogenea e unitaria dell'identità popolare, e la sua consapevolezza come filo conduttore, introducendo contraddizioni dinamiche che provengono da gruppi con particolarità di identità che sfidano universali più astratti. Appare allora la fessura della fessura, l'irrimediabile decalage esposto come frattura, in cui dilemmi da affrontare a viso aperto e che vanno oltre la responsabilità e la cattiva coscienza della borghesia illuminata sulle miserie del nostro Paese.
Su questa responsabilità, erroneamente chiamata risentimento, si basa solitamente la composizione di una colonna centrale della storiografia del cinema nazionale. L'indagine su autori, immagini e narrazioni dimenticati o sottovalutati indica a iceberg della nuova sensibilità contemporanea, legata a questi gruppi sociali che chiamiamo “identitari”. Così, l'evidenza precedentemente nascosta nella sua dimensione prende forma. Non sarebbe questa anche la dimensione di una potenza affermativa, in termini di costituzione di un potere, ora concentrato a centrifugare affermazioni che si alzano a bandiera nella loro realizzazione “individuale”, e non più solo riflessivo come punto focale che può emettere conoscenza?
Porzioni della classe media brasiliana, nel loro impegno a favore di reali conquiste economiche per la maggioranza della popolazione, hanno una visione più tradizionale della lotta sociale, legata al sindacalismo o alle posizioni di gruppi più direttamente vicini alla forza lavoro. Spesso credono di poter ignorare istanze legate a questioni identitarie legate al genere o all'etnia, attribuendole a formazioni ideologiche regressive, o frammentate dalla singolarità. In alcuni casi emerge l'umorismo acido del pregiudizio. Tuttavia, forse c'è una causalità più ampia in questi punti, sovrapposta al costrutto dialettico del dominio di classe, che si ritiene determini l'interruttore che accende e spegne il motore evolutivo della storia.
Le esperienze che il concetto di “luogo della parola” descrive, anche se a volte goffamente, contengono il potere di trasformare modalità di esistenza socialmente regressive. corrispondono ad a prassi sempre più diffuso nella nostra società e che le suddette generalizzazioni astratte credono di poter ignorare. Si tratta di generalizzazioni che hanno già subito la pressione della negatività, probabilmente a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Compongono universali a un livello di astrazione in cui grandi insiemi concettuali acquisiscono una sorta di reificazione propria, con spessore congelato per diventare costrutti autonomi, spesso ritornando al regno idealistico da cui hanno iniziato a differenziarsi.
“Luogo della parola” è un termine di moda, spesso guardato con sospetto a causa della sua portata e presenza nel linguaggio quotidiano. Non è certo il primo concetto che viene dalla filosofia a subire questo logorio mediatico. L'esistenzialismo, e anche il marxismo, per esempio, ne sono pieni. Nel nostro caso, il luogo descrive un'individualità ancorata a un modo di esistere che porta con sé una gamma propria, basata su esperienze legate ad affermazioni sociali, ma anche sensoriali, quotidiane, che si affermano in particolarità di etnia o genere. Costituisce così un universo nel suo essere, designando attraverso l'individuazione un luogo sociale che vuole escludere o estinguere.
Nel caso del cinema nero, prodotto e recitato dalla popolazione nera (usando il termine con cui si fa riferimento), il luogo del discorso manifesta elementi che gli sono propri. Si riferisce non solo all'universo di particolarità dell'esperienza sociale che altri non hanno, come l'esperienza vicina allo stigma della schiavitù e alla violenza del quotidiano pregiudizio razziale dovuto all'origine afro-brasiliana, ma anche alle domande relative all'universo della persona. Si riferisce all'identità nella banalità della vita quotidiana, elaborata in una realtà in movimento virtuale.
È attraverso questo che si può tirare il filo di una potenza d'azione, nella sua forza sociale mobilitante. Questo stesso “posto” si ritrova (non certo in via generale) negli aspetti minoritari dell'universo femminile e nei suoi particolari focolai di esclusione e violenza; nei ripetuti tentativi di sterminare e negare ai popoli originari la loro terra; nella separazione e nei pregiudizi a cui sono soggetti i gruppi LGBTQIA+ e altri.
Nelle arti, e in particolare nel cinema, queste incidenze identitarie sono notevoli e costituiscono uno degli aspetti più stimolanti della recente produzione contemporanea. Ammessa l'articolazione dell'autorialità nella figura del regista (una generalizzazione problematica, ma certamente con una certa efficacia), si può affermare che i film diretti, ad esempio, da autrici donne, con filmografia, presentano evidenti singolarità, legate a questioni di genere che si può pensare in una sensibilità femminile espressa nello stesso messa in scena.
Sarebbe affascinante approfondire i parametri per esplorare una fenomenologia dello sguardo-camera femminile, che va certamente oltre i limiti di questo articolo. In film recenti come Sensitive All'ombra del padre/2018, di Gabriela Amaral Almeida (con la fotografia femminile di Bárbara Álvarez), o nel lavoro di registe dalla forte filmografia autoriale come Ana Carolina, Tatá Amaral, Helena Solberg, Lúcia Murat, Marília Rocha, Petra Costa, Suzana Amaral, Laís Bodansky, Anna Muylaert, o anche Jane Campion, nel cinema internazionale – questa incidenza si respira nelle immagini, manifestandosi nella molteplicità di particolari sensazioni. Colpisce qui l'evidenza di un'identità espressiva, ridotta a qualcosa di simile a un fenomeno nell'esperienza dei sensi e degli affetti.
Lo stesso percorso, in un orizzonte certamente diverso, si può distinguere nella produzione di registi neri come Spike Lee o, nel caso brasiliano, nel già citato Zózimo Bulbul, in Joel Zito Araújo, Adélia Sampaio, Odilon Lopez, André Novais , Mariana Campos, Camila de Moraes, Viviane Ferreira, Jefferson De (con il pionieristico e assertivo manifesto Dogma Feijoada: “(1) il film deve essere scritto da un regista nero; (2) il protagonista deve essere nero; (3) il tema del film deve essere legato alla cultura nera brasiliana; etc”), tra gli altri.
Anche di recente, nel bello e nel sensibile marte uno/2022 di Gabriel Martins (che quest'anno è candidato all'Oscar brasiliano), o impegnato e fidanzato Misura provvisoria/2020 di Lázaro Ramos, troviamo chiaramente delineate le specificità delle rivendicazioni di identità nera. Nascono non solo in termini di rivendicazioni sociali, ma indicano anche il proprio modo di esistere da evidenziare e rispettare.
Se non fosse per il piacere di vedere film in cui, raramente nel cinema brasiliano, personaggi e attori neri proliferano lungo la scena, con l'individualità che è loro propria nelle espressioni facciali, nei gesti, nei modi di comportarsi, nell'agire del corpo, nelle tonalità del discorso, nelle forme di orientamento nel linguaggio.
In questo campo dell'autorialità nera nella cinematografia brasiliana, oltre a scrivere sceneggiature, è importante evidenziare, ora dalla parte dell'“attore-autorialità”, la presenza incisiva di attori e attrici neri nella nostra scena. Rompendo gli stereotipi dei ruoli subalterni, e assumendo il ruolo di protagonista, Ruth de Souza, Grande Otelo, Antonio Pitanga, Milton Gonçalves, Zezé Mota, Lázaro Ramos, Seu Jorge, Eliezer Gomes, Luíza Maranhão, Léa Garcia, solo per citarne alcuni, danno colorazione unica al cinema brasiliano, che costituisce il nucleo del suo universo. L'autorialità non designa qui solo preoccupazioni tematiche, o punti condivisi di rivendicazione sociale, ma un luogo di individuazione che sfugge all'ambito del loghi assertivo e il costrutto della soggettività, da realizzare nel progressivo processo di incontro con l'attualità della scena all'interno dell'inquadratura stessa.
Cosa determina, allora, questo luogo di espressione che costituisce un modo di esistere nell'universo delle società contemporanee cariche di particolarità? Sono innanzitutto modalità che attraversano formazioni centrate sui gruppi sociali più reazionari, restii ad aprirsi per intravedere la dimensione delle determinazioni del pregiudizio razziale o di genere. Si tratta di attributi che si sono affermati con positività e forza, tendendo a entrare in conflitto con generalizzazioni riduttive che tendono a essere più comode. Parimenti, è difficile abbandonare i vecchi rifugi sicuri in cui il posizionamento sociale vibra in modo più riconoscibile, nell'ambito di una didattica della prassi, da una voce unificata della conoscenza.
Negare le particolarità dell'esclusione che circondano uomini e donne di colore nella società brasiliana, e la necessità di azioni di lotta con un focus specifico, significa ignorare il lato affermativo delle politiche delle quote che hanno recentemente trasformato le università brasiliane e stanno iniziando ad avere un effetto in altri ambiti (compresi quelli relativi alla concreta divisione del potere politico, costringendo l'apertura di spazio per nuovi leader). Significa anche negare la realtà opprimente cui è confrontata la maggioranza della popolazione brasiliana, aderendo alle universalizzazioni reattive della posizione illuminata – quella di un sapere sociale che, sebbene progressista, crede di meritare di poter, in sé, determinare la misura di illuminazione che possiede.
*Fernao Pessoa Ramos è professore all'Institute of Arts di Unicamp e coautore di Nuova storia del cinema brasiliano (sez).
Testo tratto dalla presentazione del libro Cinema nero brasiliano, organizzato da Noel Carvalho (Papirus, 2022).
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