da RENATO STECKERT DE OLIVEIRA*
Considerazioni su etica, medicina e politica in Brasile
In un articolo pubblicato sul giornale Folha de S. Paul Il 24 agosto, con il titolo “Umanoidi clinici”, Muniz Sodré mette il dito su una delle nostre ferite: “la preoccupante fessura qualitativa tra il livello della pratica e quello dell’istituzione” nella medicina brasiliana.
L'articolo richiama l'attenzione sulla recente ricomposizione del Consiglio Federale di Medicina, che ha assunto nell'organismo incaricato di garantire gli standard etici e scientifici della professione alcuni sostenitori della moderna ciarlataneria, difensori della clorochina nella lotta al Covid e simili, in oltre ai famigerati rappresentanti dell’estrema destra, il che equivale alla stessa cosa.
Preoccuparsi è il minimo che si possa dire. Ma il fenomeno non è nuovo. Da quando fu fondata l’Unione Medica Brasiliana nel 1927, ideologie autoritarie e totalitarie hanno circondato le posizioni dei medici brasiliani. Alcuni dei primi cospiratori del 1930, in nome degli impegni politici inerenti alla professione medica, furono anche i primi a sostenere il colpo di stato del 1937, difendendo esplicitamente il loro allineamento con il nazifascismo. Durante questo periodo, la rivista dell'Unione iniziò ad adottare la svastica come elemento grafico decorativo sulle sue pagine.
I movimenti eugenetisti seguirono ciò che accadeva nel mondo, dandogli un colore locale. Tra le altre proposte, hanno difeso la sterilizzazione obbligatoria delle persone con “difetti sociali” (ovviamente i malati di mente, ma anche i sordi, i muti e i “disabili” in generale), oltre ad opporsi all'immigrazione giapponese, adducendo la sua “prolificità, concorrenza e incompatibilità con la razza bianca”.
Come l'Estado Novo, anche l'Unione Medica perse sostegno con la fine della guerra. Un congresso medico brasiliano del dopoguerra, organizzato nel 1945, delineò una nuova egemonia nel mondo medico, in linea con quanto discusso a Norimberga e focalizzato sui problemi di salute pubblica con una visione democratica della società.
All'inizio degli anni Cinquanta, uno sciopero nazionale dei medici del servizio pubblico federale (il primo sciopero nazionale di una categoria professionale), portò alla fondazione dell'Associazione Medica Brasiliana, di carattere chiaramente liberale. Un liberalismo che non mancò della sua vocazione durante la Guerra Fredda: i suoi leader appoggiarono con entusiasmo il colpo di stato del 1950, sempre in nome degli impegni politici inerenti alla professione medica.
A partire dagli anni '1970, la pratica medica iniziò a soffrire della disorganizzazione delle politiche sanitarie della dittatura e dell'espansione delle istituzioni mediche private (all'epoca si stava formando un mercato sanitario in Brasile) senza un'adeguata regolamentazione. I casi di errori e trasgressioni etiche si sono moltiplicati, al punto da diventare settimanali Oh Pasquim dedicare una sezione al tema, dal titolo “La mafia bianca”, curata niente meno che da Millôr Fernandes.
La reazione di alcuni sindacati medici statali ha cominciato a cambiare la situazione. Denunciando la mancanza di una politica sanitaria nazionale come causa del problema, iniziarono un movimento che culminò con l'approvazione, da parte dell'Assemblea Costituente, del Primo Congresso Brasiliano di Etica Medica, tenuto dal Consiglio Federale Medicina nel 1988, non entro Forse l'anno in cui fu promulgata la nuova Costituzione suggellò l'impegno dei nuovi leader della professione a favore della democrazia. Ancora una volta in nome degli impegni inerenti alla professione. “La salute è democrazia, la democrazia è salute” era lo slogan di allora.
È interessante osservare i riflessi di questo andirivieni nei successivi codici etici promulgati in Brasile. Dov’è la morale di questa storia? Dal mio punto di vista, la medicina brasiliana non è riuscita a sviluppare un’etica della professionalità, essendo rimasta bloccata su un’etica dell’impegno.
L’etica del professionismo è l’etica delle società liberali, dell’adempimento competente e “disinteressato” di una funzione sociale configurata in una professione. Legato alla cultura cittadina della tolleranza politica e ad una minima uguaglianza delle opportunità sociali, costituisce il fondamento delle democrazie moderne.
L’etica dell’impegno è l’etica delle grandi cause. La sua versione superficiale, (rispettiamo Pascal e Sartre!), si può tradurre così: la mia conoscenza mi autorizza a distinguere il bene dal male, quindi a fare il bene, e se qualcuno non è d'accordo è per ignoranza, reazionarismo, comunismo o altro. Insomma, va eliminato, almeno dal dibattito pubblico.
Le radici sociali della permanenza di questo fenomeno sono complesse. Muniz Sodré ne segnala alcuni. Ma, anche dal mio punto di vista, non si può prescindere dal fatto che, nonostante gli innegabili progressi nella concezione istituzionale dell’assistenza sanitaria, il problema strutturale non è stato risolto: la maggioranza della popolazione resta senza cure mediche adeguate, a il minimo. E poiché non esisteva una politica nazionale di formazione medica, si apriva la strada alla commercializzazione indiscriminata dei corsi di medicina.
Essendo il ruolo dei governi, nulla di tutto questo sarà risolto dai medici. Ma le tensioni professionali che ne derivano trasformano quelle che sarebbero normali differenze ideologiche in conflitti settari che riproducono le crescenti spaccature della società. Il nucleo dell’etica professionale, che è il rapporto tra l’azienda medica e la popolazione, viene così compromesso.
Più che “un’esplosione di brutalismo nazionale”, la spaccatura segnalata da Muniz Sodré rivela qualcosa dell’essenza stessa del Brasile. Da sempre.
*Renato Steckert de Oliveira È professore in pensione presso il Dipartimento di Sociologia dell'UFRGS. È stato Segretario della Scienza e della Tecnologia del Rio Grande do Sul (2001-2002).
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