Costruisci curricula, forma persone e costruisci comunità educanti

Immagine: Lars Englund
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da EDMIR PERROTTI*

Prefazione del libro, recentemente pubblicato da Luiz Roberto Alves

Quasi un secolo fa, un gruppo di eminenti educatori e intellettuali brasiliani ha lanciato un manifesto “al popolo e al governo brasiliano”, mirando alla “ricostruzione educativa in Brasile”. Autorizzato Manifesto dei pionieri della nuova educazione, il documento, datato 1932 e firmato da ventisei pionieri, tra cui Anísio Teixeira, Armanda Álvaro Alberto, Cecília Meireles, Fernando de Azevedo, Lourenço Filho, Noemy M. da Silveira, affermava che “dopo 43 anni di regime repubblicano, se fare il punto sullo stato attuale dell'istruzione pubblica in Brasile” le riforme scolastiche “non sono ancora riuscite a creare un sistema di organizzazione scolastica, all'altezza delle esigenze moderne e dei bisogni del Paese”.

Il professor Luiz Roberto Alves, autore di questo libro, proprio nelle sue prime pagine fa riferimento al Manifesto a, oltre a rendere omaggio al gesto e all'impegno dei firmatari, a prendere posizione a favore della memoria educativa del Paese in ciò che di essa è più espressivo: l'impegno per la formazione di cittadini emancipati e impegnati per il bene comune, il rispetto per le differenze e la diversità, caratteristica fondamentale delle società effettivamente democratiche.

In questo senso, questo lavoro parte dall'allineamento e dal riconoscimento di una tradizione umanista e umanizzante nell'educazione brasiliana che, tuttavia, dopo tanti anni di Manifesto, non ha ancora saputo creare “un sistema di organizzazione scolastica, all'altezza delle esigenze moderne e delle necessità del Paese” e della sua popolazione. Vengono così qui riprese e ribadite le preoccupazioni, le riflessioni e le pregnanti domande che i più lucidi educatori e pensatori brasiliani hanno portato alla ribalta nel tempo, richiamando sempre l'attenzione su aspetti nuovi e necessari che si vanno ad aggiungere ai mali accumulati dalla colonia e che non sono ancora stati efficacemente affrontati e superati nel XXI secolo.

Aderendo a questa ricca tradizione critica, Luiz Roberto Alves recupera, dunque, quanto di meglio abbiamo prodotto sul territorio, aggiungendo nuovi elementi, partendo dalla storia, ma non per ripeterla. Intende offrire elementi che contribuiscano a creare le condizioni per un confronto concreto delle gravi questioni che rimangono aperte nell'educazione del Brasile contemporaneo, un Paese che ha inteso realizzare un progetto di modernizzazione senza essere moderno, che ha un sistema educativo strutturalmente escludente, discriminatorio, che spreca scandalosamente vite, talenti e capitale umano, come ricordava il documento del 1932. Assumere la tradizione critica è, in questo senso, una questione cruciale, un indispensabile punto di partenza per chiunque voglia indicare percorsi che il Paese e le politiche ufficiali si sono succedute solo occasionalmente, in momenti ed esperienze isolate e discontinue.

Se Luiz Roberto Alves non poteva non tornare a denunce serie e storiche, il suo testo è, nella migliore accezione freiriana, un annuncio, un'indicazione di percorsi sistematicamente negletti, ma che rappresentano possibilità concrete e necessarie per il superamento di una piccola, strumentalizzata e sradicata formazione scolastica. Forse la più grande importanza di questo libro risiede in questa dialettica. Radiografa fratture, ma porta possibilità possibili per una vita sana, ristabilendo legami tra educazione e mondo nella sua pienezza naturale e culturale, sia nei suoi aspetti immediati, palpabili e concreti, sia immateriali, impalpabili e invisibili, ma aspetti inestricabili.

Il pensiero semplicistico o dualistico non rientra nella comprensione qui presentata, sempre focalizzata sulla complessità, sugli scontri permanenti, dinamici, generati e generatori di differenze e tensioni, ma anche di creazioni e bellezze che non possono essere trascurate. Niente, quindi, di positivismo, di modelli dati e finiti, ma educazione come gesto di invenzione, costruzione in dialogo con le tortuosità e le incertezze del mondo e della storia, ma soggetta a un intervento umano consapevole, coerente e impegnato a vivere insieme.

Di conseguenza, la posizione su cui si basa questo lavoro è che educare è agire, è prendere una posizione teorica e pratica di fronte ai conflitti, è uno scontro e un confronto permanente di forze regressive che, eliminate qui, riappaiono là, mettendo a rischio sia la vita individuale che quella sociale, sia la materia che ciò che va oltre. A causa di questo legame con l'esistenza in tutta la sua estensione, l'atto di educare è assunto in questo lavoro come dovrebbe essere, cioè un atto di amore, di impegno verso i molteplici aspetti che ci costituiscono individualmente e collettivamente: politico, culturale, economico , etico, estetico.

L'approccio di questo lavoro a diversi documenti di educazione di base, prodotti collettivamente, con la partecipazione di diversi settori della società organizzata, dopo la Costituzione del 1988, non è quindi una discussione di interesse solo tecnico-specialistico o, anche, formale. Al contrario, il groviglio di sigle, testi ufficiali, normativi, giuridici, richiamati in tutto il libro e mirabilmente padroneggiati e discussi dall'autore nei loro recessi, non mira ad aspetti formali, giuridici o amministrativi dei processi educativi, ma scruta principalmente idee , ideali e possibilità di azioni concrete, atti politici da oggettivare in pratiche innovative, a diversi livelli dell'educazione brasiliana.

Per alcuni anni, Luiz Roberto Alves è stato un membro qualificato e illustre del Consiglio federale dell'educazione. In quanto tale, è in una posizione privilegiata per offrirci una felice occasione per comprendere l'importanza della dinamica tra “linee guida” e “basi” generali, ispirate ai disegni democratici inscritti nella cosiddetta Costituzione cittadina, e lo sviluppo di “ comunità educative”, responsabile di “curricula completi” attenti alle esigenze di contesto e alle specificità dei territori e delle unità scolastiche, nelle diverse regioni del Paese.

La sua difesa a favore di una proposta di articolazione e sintesi tra singolare e plurale, particolare e generale, comune e diversificato, oltre a rivelare una preoccupazione per il superamento del centralismo autoritario e delle sue tendenze all'omogeneizzazione e alla decontestualizzazione, rivela, inoltre, lo stesso ordine di preoccupazioni nei confronti del bossismo locale, fenomeno storico ancora vivo nella società brasiliana, con le sue tendenze a inquadrare e negare ciò che non è lo stesso.

La nozione di “comunità educante” o “educatore”, chiave maestra e leva per dare coesione alla ricca diversità dei temi qui affrontati, è concepita, dunque, nei documenti che stanno alla base del rinnovamento dell'educazione nel Paese, come formazione dinamica e aperta, con un ruolo decisivo nella direzione che deve prendere l'educazione nel Paese. Già nel suo presupposto il testo avverte: «La configurazione di una comunità educante, nel corso delle pagine del testo, acquisterà significati e valori nell'interlocuzione tra autore e lettori, opera e pubblico, testo e vita quotidiana delle scuole in Brasile”. Con ciò, la prospettiva dialogica appare come criterio determinante degli atti educativi ed enunciativi, nelle loro varie dimensioni e forme, in tutto il libro.

La nozione di matrice non è casuale. Essa è dettata dall'impegno per l'educazione nel senso democratico e pieno del termine, poiché in questa prospettiva è necessariamente composta da voci plurali, cioè è polifonica: «Tutto ciò non dovrà essere fatto nel lingua ufficiale dei governi accentratori; peggio, non democratico, perché fuori dalla democrazia non c'è educazione ma formazione obbediente”.

Il lavoro qui presentato porta, quindi, riflessioni su politiche e pratiche educative basilari e fondamentali in contesti veramente democratici, cioè partecipativi. In questi termini, va notato che l'apparente semplicità delle sue proposte è, in realtà, altamente sofisticata, così come la cura testuale che le anima. Questi sono ricchi di colori, luci e immagini che cercano di cogliere il giusto e lo sbagliato coinvolti negli atti educativi. L'enunciazione si propone, quindi, come atto aperto all'immaginazione del lettore, assunto dall'emissione come compartecipe alla produzione di significati, e non solo come ricettacolo passivo di idee. Lo stile lì non è un gioco retorico, ma uno sforzo di comunicazione non impositivo o normativo, senza cessare di essere propositivo.

Le posizioni difese in questo lavoro, dunque, fanno confluire forma e contenuto in un ampio progetto di avvicinamento tra educazione e democrazia, senza però facilitazioni di proselitismo, condizione che a volte offusca più che contribuire alla realizzazione pratica di tale avvicinamento. Valorizzare i legami esistenti tra vita comunitaria e curriculum, scuola e contesto, conoscenza ed esistenza concreta e quotidiana è un'opzione politico-pedagogica inclusiva, che nasce all'interno dell'atto educativo e delle sue stesse dinamiche, in un dialogo continuo e incessante che permea tutti gli ambiti del sociale vita e il lavoro stesso. Esperto, l'autore sa che la democrazia non è un fenomeno scontato.

È costruzione da costruire pazientemente, collettivamente e collaborativamente, coltivare e proteggere da soggetti interagenti. Non stupisce la centralità data alla comunità nella costruzione condivisa dell'educazione democratica; non si ammira la cura di un testo istigante, provocatorio, ma che evita la normativa e l'imposizione del linguaggio.

In questo scenario, vale la pena sottolineare l'enfasi data al problema del curricolo, della sua concezione, definizione e modalità di elaborazione e sviluppo: “Poiché la realizzazione del curriculum di studi ed esperienze è il cuore del progetto scuola, ne consegue che nella sua costruzione, realizzazione, monitoraggio e valutazione sta la certezza che i talenti delle nuove generazioni possano essere pienamente realizzati”.

Una citazione definisce chiaramente la comprensione del curriculum adottato nell'opera e che sarà esplorato dall'autore in diverse parti: “Il curriculum non deve essere confuso con l'elenco delle discipline”. Secondo questo punto di partenza, più che una raccolta di conoscenze da trasmettere in modo unilaterale e frammentario, il curricolo nel quadro dell'educazione democratica “è una registrazione della vita, spiegazione dei percorsi di insegnamento e apprendimento, di chi educa e di chi è educato”.

Data tale comprensione, “è evidente che il curriculum si colloca nel campo delle relazioni di potere nella società”. Ed è, quindi, in termini politici ed educativi che sarà trattato come un “percorso”, un processo vivo in permanente elaborazione frutto di energie ed esigenze generali e specifiche sempre rinnovate. Il curricolo in Educazione democratica mette in relazione dinamica e critica saperi provenienti da territori vicini e circoscritti con saperi provenienti da tempi e spazi lontani, producendo giochi di gesti e segni capaci di generare il nuovo, ma evitando un fenomeno così diffuso nel educazione offerta ai giovani categorie sociali appartenenti a culture che storicamente sono state trattate come subalterne: la loro sottomissione alla cultura dell'“altro”, contestualmente alla suddetta reclusione in se stessi.

La proposta di un curricolo dinamico, costruito nel dialogo tra il locale, il nazionale e l'universale, consente il riconoscimento del singolare nel plurale e viceversa, in un movimento che assume i soggetti come partecipanti del loro ambiente, dei loro territori e cultura, ma, allo stesso tempo, aperta ad altri mezzi, alla conoscenza che ci collega sia come membri di una comunità locale e circoscritta, sia alle vaste distese del mondo e della specie.

Da questo quadro emergeranno temi antropologici ed epistemici aperti a svariate possibilità. A differenza dei modelli monologici e cristallizzati, non dovrebbero costituirsi come esseri fratturati, costretti a scegliere nei loro processi di formazione tra la “loro” cultura e la cultura dell'altro(i). L'educazione democratica proposta non si basa sullo sradicamento, dimenticando le proprie origini come condizione per abbracciare il nuovo; né è vincolato dalle catene del localismo, poiché i soggetti non saranno portati a evitare o temere il lontano, l'ignoto, in definitiva l'altro. Nel gioco delle identità e delle differenze si creano trame, trame, connessioni, in un processo di reciproco arricchimento di individui e culture.

In questo scenario le istanze di mediazione, i mediatori e gli strumenti utilizzati acquistano un ruolo centrale e non solo accessorio o strumentale. Più che canali anodini di trasmissione, ritrasmissione o trasferimento di codici e valori, sono partecipanti attivi, indispensabili, dotati di un intento effettivamente educativo, democratico. Agiscono, partecipano, si impegnano come parte essenziale dei processi di creazione e produzione di significati, di esperienze significative che conducono a percorsi verso una vita di qualità superiore.

Reindirizzata in questi termini, la scuola e le altre istituzioni educative come le biblioteche, ad esempio, tenderanno a ridefinirsi e ad acquisire un nuovo e privilegiato posto nell'ordine sociale, riconosciuto come forza essenziale “per l'esatta comprensione dei significati della natura e le loro connessioni con l'accumulazione della cultura umana”. Non sono più, quindi, strumento di “allenamento” e costrizione per diventare spazi di libertà, avventura, bellezza, scoperta di sé e del mondo.

Le questioni tecnologiche non potevano mancare nelle riflessioni e nelle proposte di questo libro, lontane da prospettive salvifiche e riduttive che intendono assegnare ed esigere dalle macchine funzioni che non le appartengono e che non possono svolgere. Il testo è chiaro in questo senso, non lasciando spazio a fraintendimenti. Già nell'introduzione associa e mette sullo stesso piano, ad esempio, “operazioni burocratiche” e “quadri di tecnologie ritenute didattiche”. Questi, più che promuovere miglioramenti educativi, hanno aiutato diverse tecnocrazie a prendere “il posto della pedagogia e delle strategie di lavoro”.

Ispirato dagli scritti pubblicati nel 1985 da Durmeval Trigueiro Mendes, “in uscita dalla dittatura militare che ha anche violato lui”, Luiz Roberto Alves non esita a riconoscere un legame importante tra la “decadenza della Pedagogia e la crescita della Tecnocrazia”, in Brasile. La centralità data alle “comunità educative” non è, quindi, una scelta meramente funzionale, ma una posizione politica educativa coerente con l'affermazione dell'educazione democratica, al tempo stesso, è una posizione di contrasto alle “ondate burocratiche e alle imposizioni di novità”. Citando Durmeval Trigueiro Mendes non lascia spazio a dubbi: c'è un obiettivo da sconfiggere: il pensiero e l'azione tecnocratici, perché, come afferma Mendes, per i tecnocrati “l'educazione appare senza filosofia, senza politica, senza economia, scollegata dalla i suoi reali obiettivi e valori, nonché le sue condizioni storiche e socio-culturali”.

La tecnologia, dunque, non può acquistare una dimensione effettivamente educativa, umana e umanizzante, se inscritta e considerata da questa complessa trama che, nella sua molteplicità e diversità, impedisce la reificazione, la trasformazione del dilettante in cosa amata, come dichiarava il XVII secolo. poeta del secolo.

Data l'importanza del tema, vale la pena riportare qui un frammento assertivo sul tema della tecnologia: “Questo lavoro dovrebbe chiarire che non porta abbagliamento, né opposizione alle tecnologie, sia il ciclostile, sia il 5G, i quaderni elettronici e la comunicazione sociale piattaforme”. Quindi, se non c'è – né dovrebbe esserci – una posizione a priori, le tecnologie saranno “ammesse come educative (se) gestite da una governance educativa (necessariamente comunitaria) che garantisca diritti decisionali ai diversi attori della formazione Comunità". Solo così “ci sarà dignità nell'assorbimento e nell'appropriazione dei processi tecnologici di informazione e comunicazione ritenuti utili. Tuttavia, il mero utilitarismo frivolo e proficuo per alcuni tende a essere rifiutato”.

Come negli scritti di educatori che hanno fatto la storia del paese e che compaiono implicitamente o esplicitamente in questo testo, come è il caso, ad esempio, degli illustri pionieri, di Freire, Florestan Fernandes, Darcy Ribeiro e molti altri di varie sfumature, Alves non si muove piede di ethos l'educazione, allo stesso tempo, vocazione e scelta di agire nel mondo. La sua posizione non gli permette di imbarcarsi nelle “manie del momento” che, più che pensiero, sono imperativi che annebbiano e riducono la comprensione.

È in questi termini il suo rifiuto della cerebrologia. Solo che qui il tono si alza inequivocabilmente, acquistando sfumature che vanno dall'ironia al monito curioso. Diversi esempi si potrebbero citare a questo proposito, ma bastano due riferimenti per attestare l'intenzione di forte e netto disaccordo con la linea teorica dei lavori delle neuroscienze che assumono il cervello come centro di elaborazione delle informazioni e di apprendimento avulso dalla carne del mondo.

Così, riferendosi al termine cerebrologia, proprio all'inizio del discorso, Luiz Roberto Alves fa uso di una risorsa classica, utilizzata da appassionati di linguaggio rigoroso, sebbene lui stesso non possa essere considerato un purista. Pertanto, la collocazione suona ironica, come una forte risorsa retorica di chi ha padronanza della lingua che usa. L'insegnante di lingue e lettere, chi è, usa quindi l'autorità che la conoscenza della cultura alfabetica gli conferisce per decostruire luoghi comuni che doxa attualmente intende stabilire come standard. Cerebrologia, secondo lui, è un termine “ancora assente dai buoni dizionari di lingua portoghese”. Fai attenzione, perché può già fare riferimento a notizie false. Allo stesso modo, attenzione, in quanto può denotare “l'aspettativa che la scuola sarà il luogo dell'applicazione. O sperimentazione?

Non è, tuttavia, come si potrebbe pensare, negare l'importanza degli studi sul cervello umano. Se non fosse per tanti altri motivi, noi siamo cognizione ed emozione, siamo l'uno e il molteplice nella vita sociale e nel mondo e, in questo modo, il nostro cervello è il nostro corpo animato, come lo sono tutti i segni della vita che vengono continuamente studiate e rivelate al servizio dell'arte e della scienza dell'educare. Abbiamo già imparato, molto tempo fa, che la totalità umana contribuisce alla migliore educazione, che si traduce in un grande sforzo contro i processi sociali che frammentano l'essere che cresce, apprende ed educa se stesso.

In questi termini, le critiche non sono dirette contro le neuroscienze in quanto tali, ma contro i riduzionismi del testo dell'ora e la pretesa di spiegare l'apprendimento “attraverso talenti del cervello” scorporati dalla cultura, come “non fa solo Dehaene, di corso". Pertanto, l'autore avverte: “Serio per futuri scontri è il fatto che il fenomeno dell'apprendimento risieda nel cervello. D'ora in poi, quindi, si prevede che quando l'onda tornerà, gli sforzi scientifici saranno mobilitati a favore dell'intero corpo che apprende”. È lì che si conserva la memoria, in attesa di espressione e rielaborazione.

Il tema della memoria è sempre stato particolarmente caro a Luiz Roberto Alves. Ha svolto, per decenni, opere esemplari, prendendolo come punto di partenza e di arrivo. Non stupisce il suo rifiuto di ridurre l'apprendimento e l'educazione a un insieme di procedure, semplici o complesse, a regole costanti e immutabili programmabili da tecnici e specialisti di intelligenza artificiale. Nella sua comprensione, l'educazione affronta e forma esseri viventi e desideranti, no chatbots.

Se non si rinuncia a questa dimensione profondamente mobile, mutevole e in permanente stato di rinnovamento e di ribollimento che è il desiderio, non c'è posto per soggetti privi di storia e di esperienze significative e generative nel progetto educativo qui espresso. La memoria degli studenti permea ogni nuovo gesto, nuova percezione, nuova immagine, in una mobilitazione che genera energie che innescano processi e combinazioni aperti e infiniti. Vi operano il singolare e il plurale, così come l'individuale e il sociale, il personale e il collettivo, in uno stato di permanente rielaborazione.

Il posto speciale riservato a Heller nelle riflessioni presentate non è casuale. L'autrice, secondo Luiz Roberto Alves, è un riferimento, in quanto “cessa di intendersi come particolarità e si vede come un individuo, una persona in un gruppo, in relazione con gli altri, che si forma con gli altri e può produrre bellezza, conoscenza, conoscenza, gentilezza. Questo soggetto-individuo è quello capace di interrogarsi, interrogarsi, porsi domande senza paura. Freire direbbe ammirazione, intendendosi incompiuto, curioso del mondo e della vita; in fondo, capace di andare oltre ciò che è dato e stabilito”.

Heller ha fatto della quotidianità un'episteme e i suoi scorci si associano a quelli di Paulo Freire, riverberando considerazioni condivise da entrambi, trattando la “storia delle persone intesa come possibilità”. In questo senso, «la vita quotidiana non è immune dall'entrare nella prassi dalla sua attività pratica. Questo momento di coscienza umano-generico, che è la prassi, è capace di costruire il nuovo” perché, sia per Freire che per Heller, “non esiste una muraglia cinese tra la vita quotidiana e la realtà. prassi", anche se «questo significa superare la quotidianità».

Tracciata pazientemente nel quotidiano, la memoria vissuta, elaborata, interrogata, rielaborata nelle dinamiche quotidiane delle comunità educative è la materia prima fondante dell'educazione democratica e partecipata, patrimonio di tutti e di ciascuno, patrimonio da coltivare e rifare da il flusso permanente delle generazioni e del mondo che offre loro una casa. Educare è dunque insegnare a prendersi cura del mondo con la dovuta attenzione e rispetto, come atteggiamento esistenziale ed etica primordiale e trascendentale. Per Alves l'educazione è un superamento narcisistico, è un gesto d'amore, è un incontro con l'altro, ciò che non è lo stesso. In questo movimento, viene scoperta anche da sola. Nella differenza.

Situandosi e richiamando la nostra attenzione sulla migliore tradizione educativa brasiliana, le sue produzioni e produttori, i suoi legami e vincoli, i suoi momenti e riferimenti più significativi, quest'opera è una lettura riparatrice. Dall'altro, difendendo la conoscenza dei documenti normativi dell'educazione nel Paese post 1985, evidenziando l'importanza della mobilitazione degli educatori e di altri settori della società nella sua produzione, evidenziando la centralità delle comunità e dei territori educativi nella elaborazione e riprogettazione di curricula integrali, espressione di contesti e, allo stesso tempo, aperti al mondo, alla differenza, a ciò che è comune, Luiz Roberto Alves lancia indizi che ci permettono di riallacciare fili sfilacciati o spezzati della nostra storia educativa.

Collegando e valorizzando il suolo delle scuole e dei territori, la memoria viva che nasce e si coltiva nel quotidiano e nel dialogo e nell'interlocuzione con altre memorie e altri modi di produrla, le proposte qui esposte puntano a una cultura viva, ricca, educativa, originale e inclusivo “all'altezza delle esigenze moderne (e contemporanee) e del Paese”. In questo senso, questa pubblicazione riecheggia e indica possibilità concrete, come hanno sempre fatto i grandi testi dei migliori educatori brasiliani.

*Emiro Perrotti è professore in pensione presso la School of Communication and Arts dell'USP.

Riferimento


Luiz Roberto Alves. Costruisci curricula, forma le persone e costruisci comunità educanti. Connessioni pedagogiche come linee guida per chi educa, insegna e si educa alla diversità. San Paolo, Alameda, 2023, 396 pagine (https://amzn.to/3s78wE9).


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