da OSVALDO COGGIOLA*
I lavoratori intervengono autonomamente, come soggetti attivi, nell'esito della crisi brasiliana, non come mendicanti in code disumane o come malati o morti in libertà vigilata, ma come candidati a prendere in mano il proprio destino e quello della società nel suo insieme
Il comportamento politico del governo Bolsonaro, attribuito dalla maggior parte degli analisti alla natura lunatica della sua personalità, è inscritto (compreso lo squilibrio emotivo e mentale) all'interno di una logica e nel quadro di una crisi senza precedenti del regime politico, quale è emerso da il passaggio dal governo militare a quello civile negli anni 1980. Nel 2018, il vice capitano in pensione si inserisce con coraggio nel vuoto politico creato dal golpe istituzionale/militare del 2016, e dalla totale incapacità della sinistra di proporre un'alternativa politica nel di fronte al crollo del governo guidato dal PT (vale la pena ricordare che ci sono stati settori della sinistra che hanno anche sostenuto il golpe, o che hanno omesso di affrontarlo). I suoi principali motori (il vecchio partito borghese) non ne furono i diretti beneficiari politici, e in questo vuoto crebbe il bolsonarismo, con l'appoggio di parti della classe media e anche di settori popolari che, nei decenni precedenti, avevano sostenuto il lulismo. A tal fine si è servito di un precario apparato politico preso in prestito (il PSL); godeva anche dell'appoggio dell'alto comando militare, entusiasta delle manifestazioni di piazza che invocavano “l'intervento militare” e desideroso (interessi corporativi in primis) di riconquistare posizioni nell'apparato statale. Le corporazioni paramilitari (milizie), in un'alleanza instabile e conflittuale con il narcotraffico, avevano già scavalcato la barriera esistente tra il dominio estorsivo delle favelas e delle periferie e l'intervento politico fascista diretto (assassinio di Marielle Franco, solo per citare il caso più noto) . .
La grande capitale brasiliana si piegò davanti alla possibilità di governare (a suo vantaggio, ovviamente) il Paese, con metodi bonapartista e fascisti, da questa alleanza politica, cullata anche dall'appoggio dato al capitano/terrorista dai detentori dell'imperialismo nordamericano (Trump e lumpem-repubblicanesimo) e dalla sua pedina in Medio Oriente e altrove (il regime israeliano), tutti entusiasti della possibilità di trasformare il Brasile in un'importante piattaforma di combattimento contro i suoi concorrenti nel mercato e nella geopolitica mondiale ( Cina, UE e infine Russia). La schiacciante vittoria elettorale dell'alleanza (nazionale e internazionale) verde/giallo/stellata sembrava inizialmente confermare queste aspettative.
La realtà della crisi mondiale (economica, sociale e politica) si è imposta, tuttavia, sui membri di questa “società del 10 dicembre” internazionale e postmoderna, molto più velocemente di quanto si aspettassero. Già nei suoi primi mesi, nel suo primo anno, in carica, la coalizione sottodimensionata/militarizzata si è rivelata solo una via d'uscita dalla crisi della crisi galoppante del regime della Nuova Repubblica. La riattivazione delle lotte sociali, comprese due grandi mobilitazioni nazionali (gli scioperi in difesa della pubblica istruzione e contro la riforma delle pensioni), da un lato, la continuità della crisi economica (con stagnazione del PIL e calo di tutti gli indici economici, svalutazione la fuga reale e dei capitali), dall'altro, cominciarono a produrre crepe nella coalizione vittoriosa e ad aggravare la crisi del regime.
Il preservativo politico usato per vincere le elezioni (il PSL) divenne teatro di dispute tra bande e arance di ogni genere per i fondi elettorali e di partito, e fu scartato a favore di una spettrale “Aliança pelo Brasil”; i più importanti governatori di Bolsominio (San Paolo e Rio de Janeiro) stavano abbandonando la nave, diventando insicuri e ostacolando le loro aspirazioni elettorali (a qualsiasi livello) nel 2020 e nel 2022; il ministro della Giustizia e della Sicurezza, nato sulla scena nazionale come l'anti-Lula e programmato per essere un cavallo di Troia nella Magistratura e nella Polizia Federale, ha cominciato ad agire con i propri criteri in materia, e ha persino smesso di nascondere i propri aspirazioni elettorali (indipendenti), sfociate nelle sue scandalose dimissioni/destituzione; i primi ministri di Bahia e Rio (agendo su ordine dei loro governatori) hanno mandato il capo della milizia del clan Bolsonaro sei piedi sotto terra; Il principale conglomerato mediatico del Paese (Globo) ha trasformato la sua guerra silenziosa contro la base evangelica del bolsonarismo, per il controllo del settore delle comunicazioni, in una guerra aperta, facendosi portavoce e motore di sempre più frequenti pentole contro il presidente. La presunta soluzione alla crisi del 2016 è esplosa, ponendo le basi per una crisi ancora più grande.
Di fronte alla crisi politica, il movimento delle Forze Armate è stato, nel tentativo di unire l'utile al dilettevole, ad approfondire la sua partecipazione (e ricezione di fondi e prebende) a tutti i livelli di governo, non solo attraverso il personale militare in pensione ( come all'inizio del ciclo bolsonariano) ma anche da militari in servizio attivo, compresa l'assurdità di imporre a direttore esecutivo del ministero della Salute un funzionario che non sappia distinguere un'aspirina da una supposta (e il cui unico antecedente in materia sanitaria sembra essere stato quello di obbligare un coscritto a tirare un carro destinato ad essere trainato da cavalli); allo stesso tempo prendendo le distanze dalla cricca fascista che occupa l'Esecutivo attraverso (ma non solo) il vicepresidente Mourão, che ne ha approfittato, in un articolo pubblicato su n'Lo Stato di San Paolo (trasformato in un giornale anti-Bolsonaro), il suo status di omonimo (Hamilton) del capo dell'ala conservatrice della rivoluzione borghese/schiavista negli USA (quella del 1776) per affermare la sua posizione presumibilmente “federalista” come il ex, tendendo una mano ai governatori sopra la testa, senza mascherina protettiva, del presidente. A partire dal Palazzo Jaburu, un'atmosfera di autogolpe militare si stabilì nel Palazzo Planalto.
La pandemia di coronavirus non ha creato, ha solo approfondito e accelerato, questi sviluppi politici. Il Brasile ha impiegato 53 giorni, dalla prima morte per coronavirus, a superare la soglia delle 10 vittime. Ma ci è voluta solo una settimana per superare i 15 morti. Il 16 maggio il Paese ha raggiunto 15.633 vittime e 233.142 casi di Covid-19, secondo i dati del Ministero della Salute. Sono stati registrati 816 nuovi decessi in 24 ore e 14.919 nuovi casi. A causa della sottostima, alcune stime collocano il numero effettivo di morti intorno ai 30, mentre altri avvertono che il picco della pandemia non è ancora stato raggiunto, prevedendo l'incredibile cifra di 50 contagi giornalieri per la seconda metà di giugno. Secondo il famoso scienziato Miguel Nicolelis (autorità mondiale nel campo delle neuroscienze e capo del Monitorare Covid-19): “Sperimenteremo qualcosa che non avremmo mai immaginato nella storia del Brasile. E questo, nelle proporzioni che vedremo, non era inevitabile”. Il Brasile sta diventando uno degli epicentri mondiali di espansione del Covid 19, con una velocità di contagio superiore a quella dei Paesi che ne hanno sofferto di più. Molto prima del picco della pandemia, la capacità del sistema sanitario pubblico (SUS) di farvi fronte era già stata superata negli Stati più colpiti dalla malattia, a causa della mancanza di posti letto nelle unità di terapia intensiva, di materiale medico (nei primi luogo, respiratori artificiali, ma anche dispositivi di protezione di base, DPI) e operatori sanitari, in un settore (la sanità pubblica) in rottamazione da decenni, che è stato, vale la pena ricordarlo, il principale fattore scatenante delle grandi manifestazioni del 2013.
Perché è proprio questo il punto in cui si intersecano crisi sanitaria, crisi economica e crisi politica. Bolsonaro intendeva (e intende) fare della pandemia un asse per la ricomposizione della sua eterogenea base politica, e si è subito allineato al primer dell'imperialismo anglo-americano, che intendeva (e intende) farne una piattaforma per uscire dalla crisi economica , attraverso licenziamenti di massa (storicamente abbassando il valore della forza lavoro, a causa dell'aumento della concorrenza nel mercato del lavoro), il congelamento e l'appiattimento dei salari, il congelamento della spesa pubblica (nel caso brasiliano, con il divieto di assunzioni e adeguamenti salariali dei dipendenti pubblici, tutti favorita dalla modifica costituzionale al tetto di spesa, di cui non si è parlato nemmeno durante la crisi pandemica) e la distruzione di conquiste sociali di ogni tipo, mitigata da elargizioni temporanee che sono servite, peraltro, da copertura per uno spettacolare trasferimento di fondi a favore della griglia del capitale finanziario. Su questo concordarono l'Esecutivo e il Legislativo, anche se quest'ultimo cercò a casaccio di recuperare un minimo di protagonismo politico alzando il ridicolo importo degli aiuti d'urgenza ai disoccupati proposto dal Guedes. Alle banche, velocità e trilioni. Per la popolazione senza reddito, ostacoli deliberati: processo solo via internet, codici che scadono e mancanza di informazioni. Migliaia di persone si avventurano in coda. Demolita, Caixa Econômica Federal non è in grado di soddisfare la domanda di aiuti d'urgenza per i più vulnerabili.
Sulla scena mondiale, il rifiuto della quarantena per consentire la diffusione di massa del virus è stato inizialmente annunciato dal primo ministro britannico Boris Johnson come il metodo più conveniente per il capitale finanziario. La fantasia che il contagio di massa avrebbe innescato l'immunità naturale è stata subito respinta da tutti i sanitari. Gli Stati Uniti hanno seguito una linea simile, con la sola differenza che la sua attuazione ha abbandonato ogni protocollo ed è stata imposta direttamente da Donald Trump. Il risultato è stato uno scenario spaventoso, come si è visto a New York e negli USA presi dal contagio del virus. La politica portata avanti dai teppisti, come è noto, finì per costare quasi la vita al suo iniziale autista (lo stesso Boris Johnson) e dovette cedere il passo a misure di distanziamento sociale che, adottate tardivamente, costarono la vita a decine di migliaia di persone , in cui Donald Trump ha trovato un pretesto per denunciare un complotto virale contro gli Usa orchestrato dalla Cina.
A differenza di quanto accaduto nello scenario metropolitano, e nonostante la velocità sorprendente della diffusione del virus in Brasile, Bolsonaro non ha perso slancio e, con il pretesto di “riprendere l'economia”, non solo continua a premere lo stesso pulsante, ma anche ne approfitta per buttare fuori la sua sempre più squallida base sociale fascista, chiamata quasi quotidianamente a rompere la quarantena e il distanziamento sociale in minimanifestazioni davanti al Planalto, e per sfoggiare la sua aggressiva ignoranza e risentimento in varie capitali di stato. Le iniziative strettamente politiche del presidente, tra cui la sostituzione di buona parte dei sovrintendenti statali della Polizia Federale (in primis, per la tua cupola, quella di Rio de Janeiro), e la letterale invasione della STF, dove il presidente ha occupato (senza licenza) la cattedra del suo presidente per impartire lezioni di riattivazione economica ai giudici colpevoli di permettere a stati e municipalità di limitare i loro impulsi genocidi (definiti con queste letterali parole del ministro Gilmar Mendes), portavano il segno dell'improvvisazione empirica e del pasticcio, e come tali sono stati registrati da quel barometro storico dello stato d'animo della classe capitalista brasiliana che è Rede Globo.
La prima di queste iniziative gli è costata la defezione del principale protagonista del governo Bolsominio (Sérgio Moro), aprendo un nuovo scenario di crisi che ha solo mostrato, fino ad ora, le sue possibilità esplosive; la seconda si è unita al fatto comico (se non fosse tragico) della prestazione di tre ministri della salute, in un solo mese, in un Paese colpito da una micidiale pandemia, sommata all'inedita prescrizione ufficiale di un farmaco (la clorochina ) da detentore del Potere Esecutivo, un fatto senza precedenti nella storia mondiale della medicina. Per completare il suo “lavoro”, Bolsonaro annunciò che non avrebbe più incontrato il suo gabinetto, e che d'ora in poi avrebbe inviato solo individualmente con ogni ministro, una misura simile a quella adottata dallo zar Nicola III durante la prima guerra mondiale (e l'epidemia di febbre spagnola), con le conseguenze sono note, ma è dubbio che alla corte bolsonariana ci sia una revisione di uno storico con minime qualifiche.
L'azione bolsonaria, degna più di un elefante in una cristalleria che di un serio candidato di Mussolini, ha acceso i soliti indici d'allarme: dollaro, Borsa, e anche qualche doloroso movimento parlamentare, che non decolla nemmeno con l'appoggio del “Jornal Nacional” di Globo. Le burocrazie delle principali centrali sindacali hanno iniziato a uscire dallo stato di letargia guidato dal duo Lula/PT (formalmente contrario a qualsiasi “Bolsonaro Out”) e hanno iniziato a fare pressione sul Congresso per l'impeachment, ma ancora nessuna interruzione e nemmeno meno di uno sciopero generale. Lula si è limitato a interventi mediatici lamentando la “mancanza di leadership”, come se Bolsonaro non stesse conducendo il Paese verso il disastro. Il movimento più forte sembra essersi verificato nelle Forze Armate, che ha motivato l'intervento giornalistico del vicepresidente Mourão, suo portavoce per il momento criptico.
Di lei, ha commentato l'opinionista politico di Folha de S. Paul, Igor Gielow: “Oltre ai soliti insulti del suo capo, [Mourão] è stato cortese e ha rispettato il ruolo della stampa, un contrappunto che ama stabilire. Il dibattito sarebbe quasi accademico, se non fosse per un avvertimento precoce, tutt'altro che casuale, che la pandemia di Covid-19 potrebbe trasformarsi in una crisi di sicurezza. Il passato di Mourão ha reso, agli occhi di molti, la sua posizione preoccupante. Il suo corollario potrebbe essere quello che, da candidato, ha definito come la possibilità di un autogolpe del presidente in uno scenario di anomia o anarchia. Non fa mai male ricordare le affermazioni golpiste che il deputato, oggi viste come una sorta di ponderato contrappunto alle turbolenze rappresentate da Bolsonaro. Nel 2015, ha suggerito il "risveglio di una lotta patriottica" parlando del processo di impeachment del suo comandante supremo, Dilma Rousseff (PT). Due mesi dopo, sotto il suo comando nella regione del Sud, ha autorizzato un tributo dopo la morte di Carlos Alberto Brilhante Ustra, idolo di Bolsonaro e torturatore di Dilma durante la dittatura. Questo gli è costato il lavoro ed è stato spinto in una posizione burocratica a Brasilia. Due anni dopo, già nel bel mezzo della crisi politica del governo di Michel Temer (MDB), Mourão ha suggerito che l'intervento militare sarebbe stato possibile se la magistratura non avesse gestito la situazione.".
Non si può negare, quindi, al generale “civilizzato” la conseguenza di finalità e metodi. Alla luce di ciò, è necessario relativizzare la conclusione del citato commentatore: “Non c'è coesione uniforme per un vero movimento golpista... Forze come la Marina e l'Aeronautica non sono entusiaste della simbiosi con il governo, né del ruolo dell'esercito nel processo. Il necessario supporto delle élite imprenditoriali per qualsiasi impresa antidemocratica non sembra uscire dalle nicchie più bolsonariste”. Non sappiamo cosa intenda l'editorialista per "vero colpo di stato" in un paese la cui storia può insegnare lezioni al mondo in questa materia. Il golpe brasiliano è molto reale, e nidifica nei corridoi di Brasilia. Il fatto che, in condizioni di crisi economica e sociale e di crisi politica internazionale, utilizzi scudi parlamentari o ministeriali non lo rende meno golpista, meno reazionario e antidemocratico, né meno nemico dei lavoratori. Bolsonaro ne ha già preso atto e, alla data in cui scriviamo, si è già mosso e, accanto alle sue sfuriate fasciste, ha iniziato anche a distribuire posizioni e budget tra membri del “centro” del Congresso, anticipando le pressioni a favore di incriminazione.
L'inerzia delle burocrazie sindacali e dei politici “democratici” o “di sinistra” è stupefacente di fronte al fatto che, nell'attuale crisi sociale e politica, è in gioco la sopravvivenza della nazione e della popolazione lavoratrice. La lotta alla pandemia e al collasso del sistema sanitario pubblico presenta un programma chiaro: la necessità di mettere tutte le risorse del Paese nella lotta al coronavirus, abbattendo la CE/95 e finanziando il settore pubblico (in primis la SUS e istituti di ricerca/università) attraverso il mancato pagamento del debito pubblico con squali finanziari e una tassa sulle grandi fortune; l'eliminazione della “doppia coda” (pubblica e privata) per esami e assistenza ai pazienti; la collocazione di tutte le risorse sanitarie (il 55% dei posti letto in terapia intensiva è nelle strutture private, solo il 45% nel settore pubblico, che comunque serve oltre l'80% della popolazione) sotto la responsabilità del SUS, con quest'ultimo sotto il controllo diretto e approccio democratico dei suoi lavoratori (medici, infermieri, ricercatori, operatori sanitari, assistenti sociali), che sono già in prima linea, fisicamente e politicamente, nella lotta alla pandemia.
E non solo contro la pandemia, ma anche contro gli attacchi di folli bande fasciste, agenti di politiche genocide. L'esempio eroico degli operatori sanitari che resistono alle provocazioni e alle aggressioni dei lumpens (spesso presentati come “imprenditori” o “consiglieri”) nelle manifestazioni di piazza in cui difendono le loro rivendicazioni, che sono quelle dell'intera popolazione brasiliana sottoposta alla vera o potenziale piaga della malattia, finora non ha avuto la solidarietà che merita, anche moralmente: centinaia di vite di operatori sanitari sono già state tolte. Gli applausi non bastano. È necessario, in primis, che le società scientifiche e gli organismi professionali da tutti i campi, con tutte le risorse, l'autorità morale e la penetrazione mediatica di cui dispongono, avviano una campagna sistematica in difesa di questi lavoratori e delle loro rivendicazioni, che si proiettano, in modo diretto e oggettivo, nell'arena politica. Per tutto il movimento operaio (sindacati), movimento giovanile (studenti, associazioni culturali) e movimento popolare (associazioni di comunità, movimenti di minoranze etniche o sessuali, e altri) c'è bisogno di una campagna di pronunciamenti, ottenuti anche (e soprattutto, nel tempo in cui viviamo) in modo virtuale, nello stesso senso, preparando un vasto movimento perché i lavoratori intervengano autonomamente, come soggetti attivi, nell'esito della crisi brasiliana, non come mendicanti in code disumane o come malati o morti in libertà vigilata, ma come candidati a prendere nelle proprie mani il proprio destino e il destino della società nel suo insieme.
*Osvaldo Coggiola È professore presso il Dipartimento di Storia dell'USP. Autore, tra gli altri libri di Il crack del 1929 e la Grande Depressione degli anni '30 (Pradense).