Dare corpo all'impossibile – II

Elyeser Szturm, della serie Heavens
WhatsApp
Facebook
Twitter
Instagram
Telegram

da MANUEL TANGORRA*

Commento al libro di Vladimir Safatle

Con quale discorso enunciare ciò che non è ancora possibile? Con quale pensiero riflettere sulle emergenze sociali, politiche ed estetiche? Per affrontare tali questioni, Vladimir Safatle opta per una singolare riattivazione della dialettica, proponendo un'interpretazione originale della tradizione filosofica di Hegel, Marx e, soprattutto, Theodor Adorno. Scritto in Brasile oggi – uno dei principali laboratori del neoliberismo conservatore contemporaneo –, Dai corpo all'impossibile scommette su una “dialettica dell'emergenza” capace di cogliere le condizioni di rottura con l'ordine esistente, di irruzione “di ciò che potrebbe essere diverso, e che non è ancora iniziato” (p. 34).

Evidentemente, una ridefinizione epistemologica della dialettica – cui è dedicata la prima parte del libro – si rivela indispensabile. Secondo Safatle, il recupero della nozione di negatività diventa un elemento centrale per superare la prospettiva – che l'autore attribuisce alla seconda generazione della Scuola di Francoforte – che trasforma il consenso dello Stato social-liberale (p. 24), così come le pretese di fondare una prassi emancipatrice basata sulle identità “essenzializzate” dei soggetti oppressi (p. 38), nell'orizzonte definitivo della politica.

Né semplice “contrarietà”, né “incompatibilità materiale”, la negatività deve essere intesa come una non identità fondamentale che mina il campo di significati da cui è emersa. Per concepire l'emergenza nella sua radicalità non basta dunque un pensiero sulla differenza. Il diverso – in termini politici, estetici o anche antropologici – deve essere vissuto come una non identità per apparire come l'incarnazione di un'impossibilità di fronte al presente capitalista. Se dunque la dialettica negativa di Adorno può offrire una riflessione sull'emergere dei soggetti rivoluzionari, è perché opera uno “spostamento” (p. 84), più che una “amputazione” (p. 81-82), del momento di idealismo hegeliano.

I processi di liberazione devono essere intesi non come assorbimento concettuale dell'eterogeneità, ma come trasformazione delle facoltà estetiche, capaci di organizzare il molteplice nell'esperienza emancipatrice, assumendo la dimensione somatica irriducibile dell'evento. Secondo Safatle, Adorno riprende la tradizione hegeliano-marxista nel suo gesto più radicale: quello di situare l'emergenza nell'autonegazione immanente delle determinazioni, che hanno luogo – che raggiungono il loro telos – non nell'integrazione a una struttura generica metastabile (p. 88), ma nel crollo delle “identità inizialmente poste” (p. 60).

In un secondo momento, Safatle ricostruisce il dialogo tra la dialettica di Adorno e le altre tradizioni con cui condivide una diagnosi della razionalità tecnica dominante. Se nella fenomenologia tedesca – specie in Heidegger – c'è un “recupero di tale esperienza di impotenza sociale in chiave autoritaria” (p. 150) dovuto all'ipostasi della non identità in una differenza ontologica tra l'attualità del soggetto e l'apertura dell'evento (p. 162), è nella metapsicologia freudiana che la dialettica riabilitata da Safatle può trovare un alleato per pensare a “un desiderio di non identità” (p. 184) immanente ai processi di soggettivazione.

Un'interrogazione dialettica della vita pulsionale dovrebbe farne non tanto un passaggio all'istanza “arcaica” o “preindividuale” che sfugge a ogni razionalizzazione (p. 201-202), ma una latenza affettiva della razionalità, una “costante dinamica di indeterminazione” delle rappresentazioni coscienti (p.199). In questo senso, in Safatle, materialismo e psicoanalisi convergono intorno a una politica del sintomo (pp. 187-188), cioè a una prassi di attivazione di un rapporto creativo con l'affetto che in-determina la norma della socializzazione capitalista.

Infine, in un terzo e decisivo momento del suo libro, Safatle interviene nei dibattiti attuali sulla geocorporalità del pensiero, analizzando, a partire dal contesto brasiliano, le condizioni di una dialettica periferica capace di riflettere le sue radici situazionali. Non si tratterà di ricorrere a una singolarità antimoderna che verrebbe sottratta alla ragione occidentale, ma di radicarsi nella sintomatologia di una soggettività attraversata dalle devastanti contraddizioni della colonialità (p. 256), del sentire, al nucleo di riflessione critica che “pulsa nel cuore della dialettica un'energia negativa delle classi subalterne” (p. 260).

Attraverso ciò, Safatle giunge a una lettura di Guimarães Rosa, individuando nel suo racconto un ricordo dialettico del potere subalterno, che non si definisce come “nostalgia dell'irrazionalismo” (p. 278), ma come l'attivazione di una latenza di decentramento narrativo Brasile coloniale e capitalista. All'interno di questa poetica di entroterra, secondo Safatle, c'è un campo di spettralità che invoca il fantasma originario del progresso brasiliano (p. 281), che non è il ritorno mistificante di un'origine perduta – né il trionfalismo “tropicalista” del sottosviluppo (p. 253). – ma il molteplice “abisso della virtualità” (p. 284), represso dalla modernizzazione coloniale. Attraverso tale strategia estetica, la subalternità viene scoperta come processo di trasformazione categorica, come comparsa prematura di un linguaggio che ribalta le grammatiche esistenti (p.290) per far risuonare la molteplicità di voci escluse che vengono a perseguitare le tappe dello sviluppo brasiliano.

L'opera di Safatle annuncia un'inaspettata sopravvivenza del pensiero dialettico, non come reiterazione della sua funzione conciliatrice, ma come ritorno a un'enunciazione periferica che fa crollare il rapporto tra le esperienze subalterne e le norme che dovrebbero governarle. Questa dialettica decentrata non intende offrire a telos definitivo per la prassi emancipatrice, ma per farsi corpo nella sua latenza trasformatrice, per reinventarsi concettualmente nel vivere delle sue lotte. In questa insolita alleanza con la subalternità, la dialettica riacquista il suo potere di creare significato dai traumi del nostro tempo. Annuncia il suo ritorno, ma radicalmente sovvertito, incarnato in un somatico estraneo “incarnato in altri corpi” (p. 48).

* Manuel Tangorra è professore all'Université Catholique de Louvain (Belgio).

Traduzione: Daniele Pavano.

 

Riferimento


Vladimir Safatt. Dare corpo all'impossibile: il senso della dialettica da Theodor Adorno. Belo Horizonte, Autentico, 2019.

 

Vedi tutti gli articoli di

I 10 PIÙ LETTI NEGLI ULTIMI 7 GIORNI

Vedi tutti gli articoli di

CERCARE

Ricerca

TEMI

NUOVE PUBBLICAZIONI

Iscriviti alla nostra newsletter!
Ricevi un riepilogo degli articoli

direttamente sulla tua email!