Dalle nebbie di Alcácer-Quibir

Hans Hofmann, Parete combinabile I e II, 1961
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da WALNICE NOGUEIRA GALVÃO*

Commento al libro di Alipio Freire.

Nel libro annunciato da Expressão Popular, Alípio Freire intraprende avventure estetiche senza precedenti, praticando il verso libero di una sequenza di poesie di varia durata. O, per dirla in altro modo, un lungo poema organizzato in parti: ciclo, rapsodia o suite.

Così vengono evocati i principali miti della civiltà occidentale, e in particolare quelli luso-brasiliani, come suggerisce già il titolo del libro. L'aura che pervade questo testo emana dal controluce della traiettoria di D. Sebastião, anche quando non tratta direttamente il tema. Senza l'egida di D. Sebastião, molto rimarrebbe da capire.

Più che ai brasiliani, questo mito appartiene ai portoghesi, con ben note riflessioni su queste terre: a partire dal toponimo di quella che fu per secoli la capitale del Brasile e ne è ancora la cartolina, la Città molto eroica e leale di São Sebastião do Rio de Janeiro, così chiamato in onore di colui che allora era il re. Per non parlare dei numerosi focolai di sebastianismo, apparsi qua e là.

Tutto questo iniziò ad Alcácer-Quibir, nel 1578. Perché, quando cadde in quella battaglia in Nord Africa, in cui stava conducendo una sconsiderata e anacronistica crociata contro i Mori, il giovane D. Sebastião aveva solo 24 anni. Il suo cadavere non fu mai ritrovato, questo disastro fece precipitare il paese in una catastrofe senza precedenti. Con lui perì il fiore più bello della nobiltà la cui età corrispondeva alla sua. In assenza di eredi della stirpe reale, il Portogallo perse la sua indipendenza, passando alla corona di Spagna. Solo nel 1640, ea caro prezzo, riacquisterà l'autonomia.

Poiché il re non era ufficialmente morto, ma solo scomparso, il mito del suo ritorno iniziò subito a essere intessuto. Adesso era L'Encoberto, nascosto dalle nebbie da cui un giorno sarebbe riapparso, per ricondurre la nazione a un destino trionfante.

Ma la ferita era profonda. Nacque così il sebastianismo, che lasciò segni indelebili nel corpo sociale e nella letteratura portoghese. Il falso D. Sebastião è apparso successivamente, trascinando le persone che credevano in loro e correvano al loro appello. il famoso Trova di Bandarra – un calzolaio chiaroveggente – venivano letti non come chimere popolari, ma come riattualizzazioni di Nostradamus; e sia in Bandarra che in Nostradamus è stato possibile decifrare indicazioni del ritorno del messia. Questa forma peculiarmente luso-brasiliana di messianismo - quando, in tempi di crisi, il popolo incorpora un salvatore - ha provocato esplosioni di sebastianismo che hanno lacerato la storia del Portogallo e del Brasile.

Infatti, la morte di D. Sebastião segna la fine del grande periodo di navigazioni e scoperte, un'età dell'oro che finì bruscamente, con la nazione portoghese che da quel momento entrò in un graduale declino, dal quale non si sarebbe più ripresa. Tanto basta per creare un mito e le sue irradiazioni.

In Portogallo, ha portato all'alta letteratura e ha ispirato i più grandi scrittori, dai minacciosi presagi di The Lusiads all'utopia del Quinto Impero di Padre Vieira. Quest'ultimo, nato e cresciuto sotto il dominio spagnolo, cercò di convincere il re D. João IV che spettava a Sua Maestà assumere personalmente la missione di O Encoberto. Segni come questi permeano soprattutto il lavoro di Fernando Pessoa messaggio, quando, nella poesia “D. Sebastião, re del Portogallo”, attribuisce al Re queste parole: “… dov'è la sabbia / Rimase il mio essere quello che c'era, non quello che c'è.”. Elogiando la follia, a cui si deve la follia dell'impresa e proprio per questo la sua grandezza, termina con versi notevoli: "Senza la follia che è l'uomo/ Più che bestia sana,/ Un cadavere posposto che procrea?"

Tale è il vasto bagaglio storico e mitologico che alimenta l'immaginazione di queste pagine: le risonanze non si limitano al titolo, ma si estendono a tutto il ciclo poetico. Le prime due poesie, una media e l'altra brevissima, “Cântico” e “Recomeço de Século”, formano un introito e costituiscono un incitamento alla continuità delle vite e dei processi esistenziali.

La caratteristica centrale di questa rapsodia è la sua portata universale. Il poeta si ferma e, da una veduta panoramica, in un gesto inaugurale, evoca la storia del mondo e la traiettoria dell'umanità. Da registrare, l'ispirazione surrealista, che coglie e trasfigura in parole una materia ricchissima e multiculturale, in una meditazione sulle nostre origini.

Si nota fin dall'inizio la gestione dell'intertestualità e il dialogo con la grande tradizione letteraria dell'“ultimo fiore del Lazio”: Fagundes Varela, Oswald de Andrade, Fernando Pessoa, Carlos Drummond de Andrade, Manuel Bandeira, Mário de Andrade e molti altri, tra cui Omar Khayam. Ma abbondano anche le citazioni pop, provenienti da detti e tormentoni, oppure riprese nelle canzoni: “orientati, ragazzo” e “navigo, mi tempero”. Sottolineano la presenza di pronto, in incrostazioni dalle provenienze più diverse, compreso il latino erudito (“Morituri te salutant”). La fusione tra erudito e popolare sottolinea il discorso, che fa buon uso del colloquiale.

Un altro registro da evidenziare, e che non potrebbe essere da meno in questo poeta, è l'umorismo, in diverse gradazioni, che vanno dal più spudorato al più insidioso. L'intrusione del giocoso, dell'infantile, persino del tatibitate, non fa che accentuare l'umorismo. Un effetto a cui contribuiscono, per paronomasia o per affinità di significato, l'enumerazione caotica e la propensione per la “parola tira parola”. L'opulenza del vocabolario ottiene uno straordinario sollievo.

Tuttavia, il surrealismo è forse la vena più ricca su cui attingerà questa suite, che già appare in modo prominente Ground Zero, con i suoi omaggi a Oswald, in Mourarias da Nau Catarineta e Cordel da Senhora Rainha Dona Tareja. In quest'ultima, differenziandosi dal verso libero predominante nella suite utilizzando la redondilha più ampia tipica del genere, il poeta interroga la madre di D. Afonso Henriques, fondatore della nazione portoghese. Quest'ultimo, come è noto, espulse l'invasore moresco e litigò con sua madre, ordinandole di essere incatenata, come dicono i cronisti contemporanei. Il poeta cerca di svelare l'enigma del mito – l'ennesimo mito portoghese a comporre il materiale letterario –, poiché la fama della regina ha diverse versioni.

Tutte queste caratteristiche rafforzano il Romanzo del cane d'oro, un'ampia poesia che occupa più della metà del set. Lì convergono armoniosamente gli elementi che si sono accumulati: surrealismo, giochi di parole, fonti storiche. Nell'inarrestabile effusione dell'immaginazione, il poema è visionario, profetico, sibillino, esempio di invocazione poetica. Non è un caso che ci siano così tante allusioni bibliche.

In questo caso le fonti si fanno ancora più remote: non più solo saghe lusitane, ma orientali, ebraiche, arabe e greche. I sospetti del lettore sono suscitati e indirizzati dalle note alla fine delle poesie, che indicano in quali latitudini sono state composte.

In un libro precedente, Stazione Paradiso, Un bellissimo volume pubblicato da Expressão Popular, Alípio Freire ha raccolto parte delle sue poesie, create in molti anni e che, raramente nel paese, si concentrano sulla politica.

Scritti in memoria di un passato militante, celebrano la cronaca della resistenza alla dittatura e di coloro che vi caddero. Predominano ampi voli lirici, in una dizione di molti gradi di elaborazione, che vuole essere semplice e senza pretese. Come esempio di Dalle nebbie di Alcácer-Quibir, portano un dialogo aperto con la nostra tradizione poetica, sempre prorompente di interpellanze ad altri vati, che sono venuti prima e che hanno impressionato questo.

Nell'arte di questo implacabile combattente non c'è disincanto, solo speranza e scopo per continuare la lotta, sopportando perdite e cicatrici. I suoi temi, nonostante tutto, non rubano la luminosità del raggio di sole proiettato dall'umorismo, che spesso illumina il panorama di Stazione Paradiso – altro elemento in comune con il presente libro, non risparmiando al lettore l'unghia dell'autore.

Nel libro precedente c'era ancora una certa contesa. Ora, l'estro ha rotto le catene e ha preso il volo libero, molto libero.

Tuttavia, il credo del poeta, che non viene mai negato, era già stato piantato (o cantato, come fu scritto ai tempi di D. Sebastião) in uno schema di pietra, in quelle pagine precedenti. Come lui stesso ben sa, quando lo spiega in quello che potrebbe essere il motto del suo stemma, seppure uno stemma proletario per convinzione:

Con la memoria a 64
i piedi a 22
la testa a 68
e il cuore senza tempo

E la formulazione non potrebbe essere più precisa. L'anno '964 ha segnato la rottura dei nostri destini, interrompendo la traiettoria democratica brasiliana attraverso la brutalità di una dittatura militare. Nel '968 le nostre vite furono definite prima dell'AI-5, quando le prospettive si chiusero verso lo zero e calò l'oscurità, suonando la campana a morto delle speranze di un'intera generazione. Ma la fede nell'utopia ha forgiato resistenza e ha trovato rifugio in posizioni politiche conflittuali, trovando sostegno estetico negli ideali libertari e avanguardistici della Settimana dell'Arte Moderna del 1922: un'impresa di cui solo un cuore sospeso sul tempo è capace. Senza di essa ogni sopravvivenza sarebbe vana; è quello che dice questo poeta, che ora ci presta la sua voce.

*Walnice Nogueira Galvao è professore emerito presso FFLCH presso USP. Autore, tra gli altri libri, di leggere e rileggere (Senac/Oro su blu).

 

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