da OLGARIA MATOS*
Considerazioni sulla filosofia brasiliana.
C'è una filosofia brasiliana perché, soprattutto, c'è filosofia in Brasile, come in tutti i tempi e luoghi in cui si pone la questione della nostra finitezza e vulnerabilità.[I] Una domanda propriamente senza risposta, è stato affermato per la prima volta in lingua greca come filosofia, “amore della sapienza”, non sapienza, non possesso” di una conoscenza un saggio, ma interrogazione di chi la cerca – con stupore (tauma) e anche terrore (trauma) –, perché non ce l'ha. L'etimologia come memoria della parola rivela che tutta la filosofia è, in un certo senso, “greca”. Cosa significa dire “mestizo”, un incrocio di oriente e occidente, profano e sacro, ragione e mitologia, di storie, culture e temporalità diverse.
La filosofia esiste in Brasile perché c'è una lettura filosofica della storia della filosofia, dei suoi autori, delle sue domande e della cultura che hanno abitato e abitano, interrogati da questo patrimonio, come semiofori: “[semiophorus] è un segno portato in primo piano o brandito indicare qualcosa che significa altro e il cui valore non si misura dalla sua materialità ma dalla sua forza simbolica”.[Ii]
Se la Filosofia è Storia della Filosofia, è perché riguarda una tradizione, una trasmissione. Se è possibile per la Fisica contemporanea interpretare il fenomeno dell'arcobaleno a livello atomico, prescindendo dalla storia del suo problema, senza riferirsi ad Aristotele, Newton, Goethe o Schopenhauer, cosa sarebbe la Filosofia senza la sua Storia? Perché se, come scriveva Walter Benjamin, è vero che un'opera nasce in uno spazio e in un tempo determinato, è anche vero che essa diventa intelligibile solo in uno spazio e in un tempo determinati e non solo in chi l'ha vista nascere.
Perciò la Filosofia ha un dovere verso i testi classici, come sentimento di riconoscimento di un debito: “Il debito non è semplicemente un fatto economico (debito, cosa dovrei) o sociale - (obbligo, rapporto di obbligazione), ma realtà antropologica fondamentale che designa la situazione primaria dell'uomo in relazione all'altro e al tempo. Il debito è, infatti, inscindibile dalla questione delle origini. […] è riconoscere che l'uomo non può diventare da solo il creatore di se stesso[…]. Questa dipendenza strutturale [può] generare fiducia (credito, dono) e sostegno (responsabilità e solidarietà)”.[Iii]
Il debito ci rende eredi, conservando la memoria delle nostre origini e la costituzione della sua ricezione; non essendo unitario, l'origine è lacunare e, quindi, deve essere interpretata in ogni generazione. A questo proposito Marilena Chaui osserva: “Istituendo il nuovo su ciò che è stato sedimentato nella cultura, [la filosofia] riapre il tempo e dà forma al futuro, [...] quando il presente è colto come ciò che esige da noi il lavoro [... ], in modo tale che diventiamo capaci di elevare al piano [dell'esperienza], […] una domanda, domanda, problema, difficoltà”.[Iv]
Se oggi la filosofia e la sua storia vengono messe in discussione, ciò avviene nell'orizzonte della crisi antigenealogica contemporanea, che dissipa ogni appartenenza tradizionale, culturale e morale. Benjamin scrive: “Siamo diventati poveri. Uno dopo l'altro, abbiamo abbandonato tutti i pezzi del patrimonio umano, abbiamo dovuto lasciare questo tesoro nel banco dei pegni, spesso al centesimo del suo valore, in cambio della moneta della 'corrente'”.[V]
Lascia che sia pensato Iliade, prima opera scritta in Occidente, la cui origine è incerta, così come la sua paternità. Omero avrebbe raccolto versi e narrazioni di diversa provenienza spaziale e temporale, essendo egli stesso greco, ma dell'Asia Più piccola. Così, la letteratura scritta in Occidente ha la sua origine in Oriente; Vi si mescolavano tradizioni orientali e occidentali, parole di origine semitica e greca. In questo senso, osserva a sua volta Leda Tenório da Motta: “le opere creative si rivelano in riferimento l'una all'altra[…]. Racine non avrebbe nemmeno capito chi gli avesse negato il titolo di poeta francese per aver cercato temi greci e latini. Penso che Shakespeare si sarebbe stupito se avessero voluto limitarlo ai temi inglesi, e se gli fosse stato detto che, in quanto inglese, non aveva il diritto di scrivere Amleto, con un tema scandinavo, o Macbeth, con un tema scozzese .[Vi]
Questo ci riporta a Socrate, per il quale la filosofia è un generoso cosmopolitismo, senza casa di tutti coloro che usano la parola. In questo libero movimento di loghi si forma la capacità di pensare da sé e di cogliere un'epoca nel pensiero. La filosofia organizza ciò che viviamo in modo disperso nella quotidianità e nella storia, contribuendo all'intelligibilità del mondo.
In questo senso, il passaggio dalla questione “universale” a quella delle identità locali riporta alla contesa ottocentesca tra romanticismo e illuminismo, il primo valorizzando ciascuna cultura in sé, considerandola nella sua integrità, nei suoi valori e nelle sue tradizioni – con che il contatto con altre culture costituirebbe una minaccia per la loro identità, tendendo così alla chiusura culturale. Quanto all'Illuminismo, con la sua voglia di viaggiare ei suoi astratti valori universalisti, creò un cosmopolitismo egocentrico.
Ma se si pensa al mito fondatore dell'Europa[Vii] e sul tema del viaggio, che porta alla frequentazione di altri popoli, paesaggi e costumi, a vedere tante nazioni e diversità, che hanno permesso a Montaigne, Montesquieu e Lévi-Strauss di cercare e riconoscere ciò che è loro comune: “Lévi-Strauss potrebbe giustamente parlare di 'sguardo lontano' per qualificare l'atteggiamento distaccato del pensatore che, eccentricandosi, dirige il suo sguardo verso l'universale”.[Viii]
Infatti, riflettendo sul particolarismo delle culture delle cosiddette tribù primitive, Lévi-Strauss scrive: “L'umanità si ferma ai confini della tribù, del gruppo linguistico, a volte anche del villaggio, e a tal punto che un un gran numero di popolazioni cosiddette primitive si designano con un nome che significa 'gli uomini', a volte 'il buono', l''eccellente', il 'completo', sottintendendo così che altre tribù, gruppi o villaggi non partecipano le virtù o addirittura della natura umana, ma che sono peraltro fatte di 'cattivi', di 'scimmie di terra'. Spesso finisce per privare lo straniero di quest'ultimo grado di realtà, facendone un 'fantasma' o una 'apparizione'”.[Ix] E “Banto”, in lingua dell'Africa sub-sahariana, significa appunto “Umanità”.
Nell'orizzonte della critica del colonialismo e dell'antropologia che l'accompagnava, Lévi-Strauss individuava nell'etnologia un dilemma secondo il quale o l'etnologo rimane intrappolato nel pensiero della sua comunità scientifica, e gli indigeni sarebbero solo l'oggetto della sua curiosità analitica , o almeno così collega a società esotiche (esotiche, straniera) fino a immedesimarsi in esse – e poi il suo sguardo si confonde perché si separa dalla propria cultura: “Lévi-Strauss non ha azzardato una risposta definitiva, perché, nello stesso tempo in cui scriveva che l'etnologia è stata fondata per esorcizzare 'il crimine di distruzione' del Nuovo Mondo[X] – e quindi la vita dell'etnologo sarebbe un lungo rimpianto –, ammetteva anche che la civiltà occidentale non sarebbe stata l'unica da biasimare, 'la società azteca avendo avuto un'ossessione maniacale e in tale veste eccessiva' di sangue e torture” .[Xi]
L'anticolonialismo in generale identifica il colonialismo e la razza bianca, fondendo politica statale e società, identificando il colonialismo in ogni cultura europea e occidentale, generalizzazione che è caratteristica della formazione del pregiudizio.[Xii] In tal modo, la Princeton University, nel 1990, decise di sopprimere l'unità curriculare “Cultura occidentale”, sostituita da “Cultura, idee e valori”: “[questa nuova disciplina]capì [la sostituzione di opere classiche da parte di femministe recenti, trattando con culture africane, ispaniche, asiatiche e indigene. L'esempio di studi culturali che si è generalizzato, evidenzia il cambiamento di direzione della cultura occidentale[…]. Essa [la disciplina studi culturali] non si apre più ad altre culture, come lo era l'antropologia, si perde[…]. UN scuola aperta, che intendeva aprire la cultura a tutti i comportamenti ea tutte le ideologie, è diventata una caricatura della vera apertura: 'quella che si annunciava come una grande apertura è in realtà una grande chiusura'”.[Xiii]
Quindi, c'è una filosofia in Brasile e questa – come la letteratura e le discipline umanistiche in generale – è un sapere transdisciplinare e sovranazionale. Per loro i confini no fronti, luogo di scontri, scontri e conflitti, ma passaggi che traducono filosofia, culture e modi di vivere. Come ha osservato Benjamin a proposito della traduzione, la filosofia in Brasile, come la letteratura, le arti, le discipline umanistiche, non è la duplicazione di un “originale”, poiché la traduzione porta assi di comprensione senza precedenti, la cultura straniera arricchendo sia la lingua che la cultura. , così come la lingua e la cultura in cui si traduce, in uno “spazio ludico” dell'invenzione.
Poiché questa circolazione di idee e parole fa sopravvivere l'originale nel tempo, non è solo un Überleben, una continuità, post-mortem, oltre la vita, ma soprattutto a fortleben, continuazione della vita dell'originale nel corpo linguistico della traduzione, il prefisso “forte” indicando, appunto, una distanza dall'originario da cui l'opera continua a vivere, trasformandosi.[Xiv] Non si tratta, quindi, di cancellare le tracce di estraniamento tra filosofie in culture diverse, ma di riconoscere la natura della Filosofia come disfacimento di ogni identità sedentaria e di ogni isoglossia isolazionista.
*Olgaria Matos è professore di filosofia all'Unifesp. Autore, tra gli altri libri, di Palindromi filosofici: tra mito e storia (Unifesp)
note:
[I] Cfr. in particolare Nobre, Marcos, José Marcio Rego (a cura di). Conversazioni con filosofi brasiliani, San Paolo, Ed. 34, 2000, tra gli altri. Cfr. anche l'intervista a Denison Cordeiro, “A Arte da Aula”, nella rivista Sisifo, http://www.revistasisifo.com/2015/05/a-arte-da-aula-entrevista-com-denilson_2.html.
[Ii] Chaui, Marilena. Brasile: mito fondatore e società autoritaria. São Paulo: Fundação Perseu Abramo, 2000, p 12. C'è la Filosofia e l'analisi filosofica di tutte le questioni, come nei lavori di Marilena Chauí su Espinosa e Merleau-Ponty, tra gli altri, ma anche nelle sue riflessioni sul Brasile e i suoi miti, la la temporalità di Boteco e il tempo libero delle classi popolari, per le quali, lungi da una “povertà” culturale, il tempo non ha lo stesso significato di Benjamin Franklin; o la sua presentazione sulla copertina di un album di Dolores Durand, nella cui lirica Marilena riscopre Rilke e il tema dell'amore e dell'addio incessante. O la sua concezione della cultura e dell'istruzione. Nella migliore tradizione socratica e di Merleau-Ponty, Marilena è stata segretaria alla cultura del Comune di San Paolo. La filosofia è “figlia della città”, si sviluppa tra la pubblica piazza e la solitudine della soggettività e della scrittura.
[Iii] Cfr. Sarthou-Lajus, Nathalie, Éloge de la Dette. Parigi, PUF, 2012, p. 10-11.
[Iv] Chaui, Marilena, “L'università pubblica in una nuova prospettiva. In: Giornale brasiliano dell'educazione, Sep/Ott/Nov/Dic 2003 No 24, p 12. Qui adattiamo la questione dell'educazione a quella dell'esperienza in termini benjaminiani.
[V] Benjamin, W., “Esperienza e povertà”, in Opere selezionate io, trad. Sergio Paolo Rouanet. São Paulo, Brasiliense, 2008, p.119, traduzione modificata.
[Vi] Leda T., idem pag. 9.
[Vii] Alcuni fanno derivare il termine Europa dal radicale “ops”, “lo sguardo” e “Opsis”, “il fatto di vedere” che si trovano nella parola “ottica” Relative agli occhi, queste parole sono associate al volto, all'aspetto, all'azione del vedere da cui derivano idea e la parola idea che si collega a storico, colui che sa, lo storico che ha saputo vedere, il “testimone oculare”. EUR, è presente nell'aggettivo Eurus - "una vasta distesa", una parola poetica per cielo, terra e mare. euro + ops = la donna dal viso largo, dallo sguardo largo. O altro europeo deriva dall'ebraico ereb, il luogo dove tramonta il sole, cioè l'Occidente, mentre da qui verrebbe il termine Asia Asu, l'alba. Per un asiatico, infatti, il sole tramonta in Europa, nelle terre situate in Occidente: “Europa, la principessa asiatica e non europea, essendo stata rapita in Fenicia, sarebbe morta a Creta[…]. L'Europa prende il nome non da una principessa indigena [...], il che suggerisce che non trova la sua identità in se stessa [...] La Crisis de l'Esprit, Opere I. Paris, Gallimard, 1957, p. 995.
[Viii] Mattei, Jean Francois. Le Processes de l'Europe. Parigi, PUF, 2011, p. 124-125.
[Ix] Cfr. Levi Strauss. Razza e Storia. Parigi, Denoël-Gonthier, 1968, p.19-22.
[X] "La storia è una lunga sequenza di colonizzazioni e, quindi, l'incrocio di popoli da parte di popoli più potenti che hanno usato e abusato del loro potere, ma anche [...] l'introduzione di modi di vita, religioni e organizzazioni politiche[...]. [Nordafricano ] terre furono occupate per secoli da Fenici, Romani, Vandali, Bizantini, poi gli Arabi che imposero la loro lingua e religione alle tribù berbere, poi gli Spagnoli che occuparono Orano nel 1509, e infine gli Ottomani che cacciarono gli Spagnoli nel 1555 per imporre due secoli di dominio» (Mattéi, op cit, p. 163-164).
[Xi] Levi Strauss. Il pensiero selvaggio. Parigi, Plon, 1985, p. 466. A proposito dell'ideologia anticolonialista, Mattéi scrive: “Così, la tratta degli schiavi organizzata per secoli dagli stessi africani a vantaggio di arabi ed europei viene messa a tacere. Si dimentica, da un lato, che la tratta degli schiavi europea durò meno di quella degli arabi e dei turchi; e che sono stati gli europei a porre fine a questo traffico, a proibire[…] la schiavitù in tutto il mondo”. (Mattei, op cit. P171-172.).
[Xii] Ha messo in discussione i principi del patrimonio culturale in Occidente nel suo Maschi europei bianchi morti, Susan Sontag ha scritto: “La verità è che Mozart, Pascal, l'algebra di Boole, Shakespeare, il governo parlamentare, le chiese barocche, Newton, l'emancipazione delle donne, Kant, Marx, i balletti di Balanchine, non compensano ciò che questa particolare civiltà ha versato sopra il mondo. È la razza bianca e solo lei – le sue ideologie e invenzioni – che sradica ovunque le civiltà autonome, che ha sconvolto l'equilibrio ecologico del pianeta e che ora minaccia la vita stessa” (Sontag, S. Cosa sta succedendo in America? .in : rivista partigiana, vol. 34, pag. 57, 1967.).
[Xiii] Allan Bloon, apud Mattei, p. 177. Ricordiamo anche l'eredità cristiana dell'Occidente e il suo universalismo nella Lettera ai Colossesi: «Non c'è più Greco o Giudeo, Circonciso o incirconciso, non c'è più Barbaro, né Scita, né schiavo, né uomo libero, ma Cristo che è tutto ed è in tutto”. (Cfr. Paolo, Lettera ai Galati 3, 28 e ai Colossesi, 3, 11).
[Xiv] Benjamin, “Il compito del traduttore”, p. 107, traduzione modificata.