da SALETE DE ALMEIDA CARA*
Considerazioni su alcune narrazioni attuali
China Miéville – attivista politica, accademica e autrice di romanzi di fantascienza – ha scritto nel 2004 il racconto “Questa è la stagione" ("Questa è la stagione"), originariamente pubblicato in Rivista socialista, nella traduzione portoghese “Um conto de Natal”,[I] una distopia politica ambientata nel centro di Londra il giorno di Natale. Il narratore della storia cammina per le strade, agonizzante e perplesso di fronte alle grandi manifestazioni in città quel giorno, proprio quando aveva appena vinto, un po' per caso, un "piccolo premio fighissimo" che gli dava il diritto di partecipare a una manifestazione legalizzata Festa di Natale, promossa dalla principale casa madre dei festeggiamenti, NatividadeCo.
E, per finire, il famoso negozio di giocattoli multinazionale Hamleys in Regent Street. "Cosa straordinaria", esclama. E se tutto non va esattamente come aveva immaginato, la "trama" della storia, che gira su se stessa, si conclude con un (diciamo) commovente e salvifico "miracolo natalizio" che, alla fine, permette al narratore di gradita opportunità di una "sorprendente rivelazione" su se stesso ("mi sono reso conto di quanto mi sentissi diverso ora rispetto a quella mattina").
Sta di fatto che le festività natalizie, con il contributo inestimabile degli apparati polizieschi del potere pubblico, vengono privatizzate: da “renne e pupazzi di neve” al diritto di utilizzare carta colorata, cantare canti natalizi, assemblare e deporre i regali sotto l'albero di Natale. mangiare budino e fette di tacchino, fare un saluto celebrativo alzando le sopracciglia "senza dire niente di illegale". Anche se l'illegalità dilaga nei trucchi degli autisti di autobus e le autorità si tolgono i coni, aggirando i cosiddetti divieti di legge. Quindi, per uno (come il narratore) che non ha le condizioni economiche, non vuole “un Natale da poveri” con sua figlia (“se non puoi avere tutto, che senso ha?”) o approfittare di aziende che vendono prodotti di seconda mano sostituendo i “classici privatizzati” (“Non dimenticherò mai il fallimento della reazione del pubblico a Christmas Gecko di JingleMas”), la celebrazione all'Hamleys promette molto.
Sono riconoscibili i riferimenti spaziali del racconto – le strade di Londra, il negozio di giocattoli – così come le varie posizioni politiche dei gruppi che il narratore incontra nella folla rumorosa di una manifestazione che rivendica, in linea di principio, qualcosa di generale: la libertà per celebrare il Natale senza interferenze private. Uno degli striscioni, “Musulmani per Natale”, si spinge fino a suggerire la sua portata mondiale. Ma cosa mostra davvero la storia di un non evento, quando l'indignazione esplode per le strade, ma solo la verbosità è quella che dovrebbe essere una rissa?
Di certo, il lettore di questo breve riassunto sa già di trovarsi di fronte a una narrazione satirica e farsesca. Il racconto potrebbe essere combinato con il romanzo La città e la città, del 2009, dello stesso China Miéville, che mescola fantascienza e poliziesco, poiché in esse l'immaginazione finzionale formalmente mediata rivela un nefasto rapporto sociale e politico tra un presente e un futuro di date indeterminate.
Come è noto, il tema dei generi letterari ha storicamente accompagnato gli ideali di perfezionamento moderno e di progresso culturale, portando in ogni tempo e luogo egemonie e pregiudizi di classe. In queste narrazioni di China Miéville, invece, incentrate sull'esame critico della materia contemporanea (di per sé “una specie di finzione”),[Ii] la scelta del genere come materia ha un'altra caratteristica, come mediazione tra soggetti (esperienza e materia) e contenuti storici (temi e forme letterarie), per utilizzare la nozione adorniana di materia come parte del soggetto. Nel caso che qui ci interessa, il tema del racconto ha un potenziale epico – l'occupazione dello spazio pubblico da parte di manifestazioni di gruppi politici nel centro di Londra, dove spuntano rivendicazioni di ogni tipo, ma non a caso è trattata come una farsa, senza perdere quel potenziale. Questo perché, pur rasentando la caricatura, il soggetto evoca proprio il suo contrario, cioè ciò che la situazione non è. L'orizzonte qui è quello di un “non ancora possibile”, categoria con cui lavora Miéville nei suoi saggi di fantascienza? [Iii]
Il narratore potrebbe essere considerato l'unico personaggio del racconto, purché si tenga conto che, nella sua costruzione, non c'è interesse alla costituzione di una soggettività né a relazioni che rivelerebbero le contraddizioni di un processo storico – in questa narrazione, una splendida anomia di divergenze senza effettivi conflitti. In altre parole, uno smarrimento il cui esito – questo – è volutamente caricaturale. Il narratore costruito dalla strategia autoriale come risorsa che dà forma al materiale, rapidamente presentato, da lui stesso, come ingenuo con l'ex moglie, ingenuo nei confronti della figlia, assiduo sui social, entusiasta della celebrazione del Natale, è incaricato di commentare e descrivere le scene che vedeva e le situazioni che viveva, sempre stordito da ciò che accadeva. Non si tratta di stabilire un giudizio morale, ma di configurare un'esperienza di dissapori generalizzati, facendo leva sulla disponibilità stessa del narratore a condurre la sua piccola vita all'interno della legalità e con l'ironica riparazione di un “miracolo natalizio” alla fine.
Si può anche dire che sia il lettore a cui si allude nel testo stesso, sia il lettore che, al di fuori di esso, svolge il suo ruolo in una comoda poltrona sono, entrambi, un presupposto oggettivo della questione. Il lettore è convocato dal narratore come parte di ciò che è esposto e implicito in qualche modo (che spetta a lui decidere) nel suo procedere. Ciò che è più evidente, la narrazione costruisce il lettore (con il sì e con il no) nella misura del narratore, che sembra o non sapere con chi ha a che fare, o credere che non ci sia nessuno che non condivida la stessa situazione con lui (e la stessa modalità), oscillando così tra tono allusivo e diretto. “Chiamami infantile, ma amo tutte queste sciocchezze, la neve, gli alberi, le decorazioni, il tacchino. Amo i regali. Adoro i canti natalizi e la musica scadente. Adoro il Natale. Oppure: “Non fraintendermi. Non ho azioni in NatividadeCo, e non ho le condizioni per pagare una licenza d'uso per un giorno, quindi non potrei avere una parte legale”. E con tono diretto (“Sai com'è questo genere di cose”), si rivolge a qualcuno che sa bene riconoscere cosa significhi vincere un “bel premietto”, partecipare a una festa di Natale da Hamleys, destreggiarsi tra i rischi di illegalità, essendo sempre sotto la minaccia delle pesanti multe inflitte a chi commette reati tipizzati come “Grave Subarboreal Gifting”. Anche se gli ispettori, che “non sono tanto cattivi”, a volte chiudono “un occhio”.
Sembra (o è) impossibile elaborare una parafrasi produttiva che sia del tutto staccata dalle battute del narratore. Come commentarli senza riprodurli? Come riprodurli e commentarli? Se è così, lo straniamento critico che la storia provoca nel lettore è incorporato, come una sfida, nella forma stessa di una narrazione in cui le idee (comprese quelle del narratore) si accumulano l'una accanto all'altra e si comportano in uno stato di merce, portando allo scolo i legami – debiti o critiche – con il processo sociale che li plasma e li conferma. [Iv] Miéville scommette che tutto ciò possa sollecitare, nel lettore, un'elaborazione dell'esperienza e un “esame riflessivo” sulle rovinose costruzioni del presente (oggettivo e soggettivo) come problema: quello della sua operosa inerzia. [V] Riprendere alcuni passaggi del racconto darà un quadro più vivido di come si disfa un'immaginazione già congelata.
Scambiando aglio per insetti quando vede l'eccitazione della figlia su Internet ("per quanto ho potuto seguire"), molto curioso del regalo che gli farà, felice per il biglietto vincente e per essere rimasto nella legalità consentita, il narratore scorre le strade di Londra temendo di perdere la festa ("Mi sono improvvisamente reso conto che saremmo arrivati in ritardo. È stato uno shock"). Arrivato a Oxford Street, rimane impressionato dalla folla (“tutti con quella segreta espressione di felicità. Non potevo fare a meno di sorridere anch'io”) finché non si rende conto che si sta ribellando al controllo “legale” delle celebrazioni natalizie . Spremuto tra la folla, è allarmato da una fantasia (“potevo capire solo guardando che lui [quello in costume] non aveva la patente”), è trasalito dal canto di “canzoni illegali” da parte del “ radical Christmas people” che non sentiva da molto tempo (“Sei pazzo?”), corre in preda al panico dietro a sua figlia (“Le cose stavano diventando troppo bolsceviche. Si stava trasformando in una rivolta natalizia”), cammina indicando che il peso del tempo è concentrato sui limiti della propria ansia ("Ci sono voluti secoli per aprire la strada, ansioso, attraverso la manifestazione"). Ma riconosce: “non che loro [i manifestanti] non avessero buone intenzioni, ma non era quello il modo per fare le cose. La polizia sarebbe arrivata da un momento all'altro (…) Anche così, bisognava ammettere che la sua creatività era ammirevole”. La gente ha rotto le vetrine, ma – e lui ammira il gesto – per sostituire i prodotti in vendita con quelli vietati.
Non capendo la profusione di manifesti (“Da dove vengono tutte quelle bandiere?”), né gli slogan (“svolazzavano sopra la mia testa come il relitto di una nave”), li elenca. “Per la pace, il socialismo e il Natale”; "giù le mani dalle festività natalizie"; ''privatizzare questo''; “Amici del Lavoro di Natale”. l'“Istituto delle idee marxiste viventi. Why We Are Not Marching” rivaluta l'opposizione sinistra-destra (“Vediamo con disprezzo i patetici tentativi della vecchia sinistra di far rivivere questa cerimonia cristiana”), chiede apertura alle “forze dinamiche per rinvigorire la società”, propone un ciclo di conferenze contro la noia degli scioperi e afferma che “la caccia alla volpe è il nostro vestitino nero di base” (“Il testo mi sembrava senza piede né testa. L'ho buttato via”). Il narratore passa anche cristiani che portano croci; da “gente mal vestita” che distribuisce opuscoli e una foto di Marx con cappello da Babbo Natale, cantando “e male” un “Sogno un Natale rosso”; dalle “ragazze di Natale femministe radicali” sNOwMEN (“L'ho riconosciuto dal telegiornale”); dal rappresentante dei “Piccoli Aiutanti di Babbo Natale” che convoca al break-break quelli che misurano fino a 1.55 m; dai Red & White Blocs che stanno già provando la rottura (“Dannata 'strategia' di fottuta tensione. Un branco di avventurieri anarchici”, dice la figlia; “metà di loro sono poliziotti (…) Chi vuole più violenza è la polizia” , dice un ragazzo ) e contro cui la Squadriglia della Natività cerca di colpire con i suoi “bastoni su scudi ornati di ghirlande”. Un “elicottero da combattimento” minaccia di arrestare chiunque violi la legge del Natal Code, e così via. Lungo la strada, c'erano gli Hamley e la festa, con "facce inorridite alle finestre" ("Dovrei essere lassù, ho pensato. Con te").
Ad un certo punto sente cantare un uomo vestito di bianco (“Non avevo mai visto nessuno così bello. Cantava una sola nota, con una purezza che non era di questo mondo”), affiancato da compagni del “Partito Radicale Cantore del Gay Uomini”, tutti inneggianti alla nascita del Salvatore (“C'era un'autorità implacabile in queste incredibili figure apparse dal nulla, questi uomini alti, belli e così giovani”). I poliziotti depongono i manganelli, sorridendo e piangendo, si tolgono le cuffie e si liberano delle “urla frenetiche” dei loro capi (“Potevo sentire le urla”). Qualcuno del Partito parla a chi è già calmo Blocchi rossi e bianchi sull'ora esatta dello scontro e, confessando l'orgoglio di “lottare per il Natale del Popolo!”, il Partito investe insieme alla folla contro la polizia, che fugge – sarcastica ironia della strategia autoriale. Un “miracolo di Natale”, dice la figlia, da sempre attenta al movimento e accanto all'amica con il poster “Musulmani per Natale”, una ricompensa molto particolare a tutte “queste persone” per il loro aiuto contro la privatizzazione dell'Eid ( celebrazione musulmana del Natale).fine del digiuno del Ramadan).
"Ero a bocca aperta, la mia testa andava dall'uno all'altro, come un imbecille che guarda una partita di tennis." A Downing Street, la casa del presidente del Consiglio mostra un albero di Natale protetto dall'esercito, e il narratore osserva con approvazione che, per questo motivo, "la gente si è preoccupata di assicurarsi che i fischi fossero di buon carattere", ma già osava urlare contro di loro "questo ecco cos'è il Natale”! Ritenendo la festa persa, lui e sua figlia cantano insieme a un gruppo di "bandane rosse" ("È passato un po' di tempo da quando l'ho chiesto/Ma il mio Babbo Natale non viene/È sicuramente morto/ E l'Internazionale/È tutta quella gente Avere"). Alla fine, il bagliore di sé conferma la generale cacofonia di quell'energia politica disadattata che gira nella falsità (una totalità epica negativa, in un racconto?). “Ho pensato a tutto quello che era successo quel giorno. Tutto quello che avevo passato, visto e integrato. Mi sono reso conto di quanto mi sentissi diverso ora rispetto a quella mattina. È stata una reazione sorprendente”, confessa, prima di esitare, di nuovo felice, su quale sarebbe stato il regalo di sua figlia – in fondo, una cravatta. "Hai indovinato? Merda".
Il lettore del racconto potrebbe ben pensare alle condizioni di possibilità dell'invenzione di una politica – ma quale politica esattamente? – nel mondo contemporaneo.[Vi] È arrivato a questo? E cosa potrebbe venirne fuori? Non è esagerato affermare che "A Christmas Carol" riaccenda l'interesse per i modi in cui le narrazioni di finzione hanno saputo (o meno) rispondere alla trappola armata della dissociazione tra sfera pubblica e riflessione e all'orrore oggettivo del presunta normalità civilizzata in cui ci siamo tutti dentro.[Vii]
Nel saggio citato, China Miéville fa notare che le modalità del fantastico, non sempre ben comprese da “un certo elitarismo di sinistra” (mal d'accordo anche con i percorsi imprevedibili dei sogni), sono una “buona risorsa per aiutare a pensare” o sono, addirittura, “modi necessari per pensare il mondo” (a cui aggiunge: “e per trasformarlo”), evidenziando “l'atteggiamento del testo stesso nei confronti del tipo di straniamento in atto”. Cosa dicono queste narrazioni, cosa ti fanno pensare?
Contrariamente a questo racconto, e che proprio per questo può anche far pensare, un buon esempio è il recente romanzo storico della scrittrice canadese-americana Rivka Galchen, Tutti sanno che tua madre è una strega (2021), oggetto di un articolo di Ryan Ruby, “Back to present” (2021).[Viii] In un'intervista, la scrittrice afferma il suo desiderio di sfuggire alla pandemia presente, al suo Paese e al secolo stesso, confermando i riferimenti indiretti del romanzo al suo disgusto per la figura di Trump e al sostegno alle lotte del movimento Anche a me. Il passato del romanzo storico è il XVII secolo, tra il 1615 e il 1620, quando la madre dell'astronomo, astrologo e scienziato Johannes Kepler fu accusata di stregoneria nella città tedesca di Leonberg; il futuro è annunciato dalla fantascienza Sonnio, inserito alla fine del romanzo, scritto dallo stesso Keplero e pubblicato nel 1634, inteso da Galchen come una “profezia” (in Sonnio la vita sulla luna, narrata da un demone evocato dalla strega madre del personaggio, un'apprendista scienziata, ha temperature assurde ed è popolata da strane figure).
Tutti sanno che tua madre è una strega sottolinea la condizione della Sig. Keplero come donna, vedova, anziana, contadina, analfabeta, oltre che stigmatizzata ed esclusa dalla comunità in cui viveva. E giustifica così la scelta di privilegiare una certa convenzione drammatica per attribuire al personaggio il ruolo di “testimone più veritiero”. La strategia di tendenza postmoderna che trapianta le questioni identitarie dal presente al passato è uno dei tratti formali che si traduce in una bassa densità di questioni proposte dalla narrazione. Ryan Ruby vi identifica il paradosso centrale del romanzo storico contemporaneo (almeno nella cultura anglosassone, suppone): l'«imperativo morale» di dare voce agli emarginati socialmente (lasciarli «parlare di, per e per se stessi»). e acuto scetticismo nei confronti della capacità del linguaggio di rappresentarli, in un vicolo cieco che spiegherebbe la tendenza al rialzo della prosa di memorie e dell'auto-fiction. Un altro problema sarebbe il modo in cui la fantascienza è presente nel romanzo storico. Secondo Ryan Ruby, una scelta “per viaggiare indietro nel tempo” come “comoda nostalgia e nostalgia per ciò che abbiamo perso con il progresso” (perdita trovata nel tempo presente). Ovvero: “Galden ha permesso ai lettori di evadere in un mondo in cui, nonostante tutti i suoi svantaggi, le persone potevano dire di credere e sperare nel futuro. Il problema, ovviamente, è che ciò che il futuro produce siamo noi».
Alla fine, Sonnio viene venduto alla fiera di Francoforte dalla vedova di Johannes Kepler insieme a un manoscritto che racconta l'accusa e il processo della madre, suo principale interlocutore nel romanzo. Sebbene il manoscritto tratti di un "dono terribile e drammatico", non suscita alcun interesse di acquisto da parte dei suoi contemporanei. L'episodio ribadisce dunque i termini di una valutazione malinconica e lamentosa della voce autoriale in rapporto al tempo presente e, se è possibile dirlo, il conforto di un “nostalgico presente” implica addirittura un'assenza del presente come oggetto di riflessione. Al limite, un ritiro, nonostante la militanza femminista dell'autrice e la sua posizione politica? Uno tops come rifiuto di portare alla luce l'orrore oggettivo del presente? [Ix]
Resta la domanda: come trattare il presente, tornare al passato o immaginare il futuro in ogni angolo del mondo, come rispondere al progredire della catastrofe generale “imminente o consumata” della guerra tecnologica, del dominio degli spazi, del potere di interessi economici, terrore e barbarie sotto il manto della legalità? Per Franco Moretti, la nuova configurazione del potere “nell'invasione di nuove sfere di vita o addirittura nella loro creazione, come nell'universo parallelo della finanza”, inaugurata nell'“età eroica” del 1830, messa in luce, con la barricate del 1848, la società antagonista dell'odio di classe sociale, con risultati nella configurazione stessa del realismo letterario. [X] In un confronto di Perry Anderson tra Guerra e Pace (scritto tra il 1863 e il 1867) e Khadji-Murat (presumibilmente scritto tra il 1896 e il 1904) di Tolstoj, la costruzione di uno spazio politico in una “tragica collisione di mondi non sincronici” in Khadi Murat si sarebbe tradotta in una “narrativa moderna come la carneficina della Cecenia di oggi”.[Xi] È che mentre il realismo "storico" di Guerra e Pace, nonostante le sue qualità letterarie, si basa su una costruzione melodrammatica, caricaturale e ideologica di personaggi storici, che si vede in Khadji-Murat [Xii] è “tensione impassibile e laconica, già vicina a Babele o Hemingway”, in una prosa che coglie il “contrasto tra i mondi dell'imperialismo russo, dalla spirale degli accampamenti militari al confine al quartier generale di Tiflis, fino a raggiungere lo stesso imperatore a Pietroburgo, e – dall'altra – la resistenza clanica e religiosa dei ceceni e degli avari, con le proprie divisioni interne”.
Tentare di rendere conto di quell'allusione – “una narrazione moderna come la carneficina della Cecenia di oggi” – implicando una rappresentazione dei conflitti con un forte senso storico, ci fa riflettere ancora una volta sulla possibile configurazione dell'esperienza nelle narrazioni attuali. Ciò che il romanzo di Tolstoj lascia impliciti al lettore di oggi sono forse proprio i nodi di una lunga cucitura nel tempo: le vicende degli anni Cinquanta dell'Ottocento, il sanguinoso processo di annessione coloniale russa di oltre due secoli, lo sfruttamento dei pozzi e delle raffinerie di petrolio nel il bacino del Mar Caspio nel 1850, la riconfigurazione degli interessi geopolitici strategici post Guerra Fredda, la proposta della NATO per una solidarietà militare globale nel 1876 (rafforzando la macchina da guerra del nostro orizzonte). Ricordo che il testo di Perry Anderson è del 2001.
“Solo che, per così dire, un tempo storico di fatto superato ritorna alla ristrutturazione attiva del campo contemporaneo con tale vigore da contraddire le convinzioni più radicate sulla storia come continuo intelligibile nel suo processo cumulativo. Si tratterebbe allora di uscire alla ricerca della costellazione che la nostra stessa epoca starebbe formando con un nodo storico non sciolto in altri tempi di un'onda lunga negli annali del dominio sociale? chiede provocatoriamente Paulo Arantes nel 2011.[Xiii] Con le parole del lettore di “Um conto de Natal”, scritto nel 2004, per iniziare un discorso sulla “stagione” che ci è dato di vivere (“Questa è la stagione” è il suo titolo originale). Cosa facciamo e cosa pensiamo (o no) mentre ci immergiamo in esso, corpo e anima, stranamente fiduciosi o integrati, frustrati, nostalgici o critici, meno o più goffamente perplessi?
*Salete de Almeida Cara è un professore senior nell'area degli studi comparativi delle letterature in lingua portoghese (FFLCH-USP). Autore, tra gli altri libri, di Marx, Zola e la prosa realista (Studio editoriale).
note:
[I] Il racconto è stato tradotto da Fábio Fernandez per la sezione “Ilustríssima” del Folha de Sao Paulo nel 2014 e ripubblicato da Boitempo Editoriale nel 2018.
[Ii] L'espressione è di Terry Eagleton, in un testo su Mimesis, di Erich Auerbach. “Il postmodernismo decolla quando arriviamo a renderci conto che la realtà stessa è ora una sorta di finzione, una questione di immagine, ricchezza virtuale, personalità fabbricate, eventi guidati dai media, spettacoli politici e gli spin-doctor come artisti. Invece dell'arte che riflette la vita, la vita si è allineata con l'arte.” Cfr. “Braciole di maiale e ananas", nel London Review of Books, volume 25, numero 20, ottobre 2003,
[Iii] China Miéville afferma che sia le migliori fantasie “come genere”, sia la “fantasia che permea la cultura apparentemente non fantastica” sono legate, a loro modo, alla “'assurdità' della modernità capitalista” e alle forme di la “carattere peculiare della realtà”, della moderna soggettività sociale”, e quella nella costruzione fittizia di un “reale” come “una totalità internamente coerente ma effettivamente impossibile – per la narrazione in questione, vera”, “il non-ancora -possibile è incorporato nella vita di tutti i giorni e rende fecondo il banale e il reale con un potenziale fantastico” (senza che il riferimento alla vita quotidiana sia obbligatorio nella fantascienza). Cfr. “Introduzione editoriale”, in Rivista di materialismo storico, fascicolo Marxismo e fantasia, v. 10. n. 4, 2002, tradotto in versione abbreviata da Kim Doria (“Marxismo e fantasia”) in Rivista della Rive Gauche numero 23, Editoriale Boitempo.
[Iv] “Sotto il capitalismo, le relazioni sociali quotidiane – la 'forma spettrale' – sono i sogni, le idee (o i 'vermi'), delle narrazioni che regnano”. Cfr. China Miéville, “Marxismo e fantasia”, ob.cit., p. 109.
[V] Affrontando il rapporto tra Kafka e il lettore, Günther Anders osserva: “se per il lettore, però, non è chiaro da dove e fino a quale grado di attaccamento gli venga richiesto – se debba essere intrattenuto, informato, spinto a sognare , spaventato, moralmente edificato o scandalizzato, lo turba profondamente». Cfr. Günther Anders, Kafka: pro e contro, San Paolo: Editora Perspectiva, 1969, p. 13. Vedi Theodor Adorno, La posizione del narratore nel romanzo contemporaneo, in Note bibliografiche I, Traduzione di Jorge de Almeida. San Paolo: Duas Cidades/Editora 34, 2003, p. 61-63.
[Vi] Una buona indicazione di lettura è il libro di Kristin Ross, L"iimmaginario della Comune, tradotto dall'inglese da Étienne Dobenesque, Parigi: La Fabrique Éditions, 2015. E da Paulo Arantes, saggio del 2014, “Dopo giugno la pace sarà totale”, in Il nuovo tempo del mondo, ob. cit., pp 353-460.
[Vii] “La reinvenzione liberale dello stato d'assedio come figura costituzionale dell'irruzione del potere sovrano di eccezione è rigorosamente contemporanea al processo non meno coercitivo di trasformazione della forza lavoro in merce”. (…) Il disadattamento intrinseco della relazione di valore l'ha trasformata in una prigione: ancora una volta, la base materiale dell'intero edificio di sicurezza della società del controllo. (…) Ma attenzione: la fuga da questa prigione allargata non è l'insurrezione di stampo classico, ma il parossismo della convulsione sociale dovuta alla mancanza di un punto di fuga. Da qui il cielo plumbeo dello stato d'assedio che grava sul pianeta”. Cfr. Paulo Arantes, “Tempi di eccezione”, in Il nuovo tempo del mondo: Editoriale Boitempo, 2014, pp. 318-321.
[Viii] Vedere Nuova recensione a sinistra Blog (auto laterale), 06 luglio 2021.
[Ix] Fredric Jameson ricorda, in un testo del 1982, che la crisi del romanzo storico classico, a metà Ottocento, è contemporanea all'emergere della fantascienza di Jules Verne e HG Wells, che “registra una certa nascente percezione del futuro proprio in quello spazio in cui una volta era inscritta una percezione del passato”. Il punto di crisi sarebbe già stato ceduto il romanzo storico (1936-1937), come Lukács comprese la storicità stessa del genere in un Walter Scott situato tra l'arretratezza della società scozzese e la temporalità capitalista progressista - "storicismo nel suo senso peculiarmente moderno" tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo. Nella lettura di Jameson, “nella sua forma (post)contemporanea, questa sostituzione dello storico con il nostalgico, questa volatilizzazione di ciò che una volta era passato nazionale al momento dell'emergere degli stati-nazione e del nazionalismo stesso, va certamente di pari passo con la scomparsa della storicità nell'odierna società dei consumi, con il suo rapido esaurimento mediatico degli eventi di ieri e delle stelle di ieri (chi era Hitler, comunque? ? Chi era Kennedy? Chi, in definitiva, era Nixon?) Cfr. Fredric Jameson Archeologie del futuro. Belo Horizonte: Autentica, 2021, pp. 441-444.
[X] Cfr. Franco Moretti, Il borghese (tra storia e letteratura), tradotto da Alexandre Morales. San Paolo: Três Estrelas, 2013, p. 95.
[Xi] Cfr. “Percorsi di una forma letteraria”, traduzione di Milton Ohata, in Rivista di nuovi studi Cebrap, numero 77. 2007, cit., pp. 209-211. Il testo di Perry Anderson era una conferenza, tenuta nel 2004, in risposta all'intervento di Fredric Jameson in un simposio all'Università della California, e alla sua pubblicazione nel 2011 ("Dal progresso alla catastrofe", in Nuova rassegna di libri di sinistra) è citata da Ryan Ruby per tornare alla domanda sul significato della diffusione del romanzo storico nel postmodernismo.
[Xii] Sul lavoro di tutta una vita di Tolstoj (fu ufficiale di artiglieria nella guerra dal 1851 al 1853), giudicando sempre la sua narrazione come incompiuta, e passando dal progetto iniziale di raccontare la storia sotto forma di romanzo alla forma narrativa che sarebbe stata classificata come “romanzo breve” o “romanzo”, cfr. Boris Schnaiderman, prefazione a Khadji-Murat. San Paolo: Editora Cultrix, 1986.
[Xiii] Cfr. Paulo Arantes, “Allarme antincendio nel ghetto francese: un'introduzione all'era dell'emergenza”, in ”Il nuovo tempo del mondo, ob. cit., pag. 252, 254, 255.