da Luca Machado*
I social media non possono che essere uno strumento di decostruzione estremamente teso e paradossale: ruotano intorno all'apparenza e al voler apparire
Non c'è assolutamente nessuno in questo mondo decostruito. C'è solo la decostruzione. E non c'è niente di meno “decostruito” che, a un certo punto, ritrovarsi “il” decostruito, come se questo fosse un processo che potrebbe finire. Anche per questo non c'è niente di meno “decostruito” che voler dare l'apparenza di essere decostruito. Proprio perché lo sguardo poggia su un'idea di immediatezza e fissità – se voglio trasmettere l'apparenza del decostruito, voglio sembrare immediatamente e interamente così. Ma proprio questo contraddice l'idea stessa di decostruzione come processo, come qualcosa che richiede di andare oltre ciò che siamo o ciò che immediatamente sembriamo essere e di riflettere criticamente su di esso.
Per questo i social non possono che essere uno strumento di decostruzione estremamente teso e paradossale: ruotano intorno all'apparenza e al voler apparire. Ma la decostruzione ci impone di andare oltre l'apparenza, di posizionarci criticamente rispetto ad essa. Dunque, la decostruzione, nei social media, si trasforma e si capovolge, non di rado – anzi, forse anche di regola – in uno strumento di autoaffermazione. La decostruzione è strumentalizzata, cooptata proprio dal meccanismo di autoaffermazione che dovrebbe mettere in scacco. Si solidifica nella “apparenza del decostruito”, che ci sforziamo, poi, di trasmettere e preservare a tutti i costi.
Se è così, dobbiamo chiederci: il modo migliore per decostruire noi stessi, e proporre la decostruzione agli altri, è attraverso i social media – almeno nel modo in cui li usiamo attualmente? Non dovremmo cercare altri mezzi, per non trasformare la decostruzione in autopromozione? Mi sembra infatti importante ricordare, qui, il ruolo che il silenzio e il raccoglimento giocano in questo processo. Per riflettere davvero su chi siamo, dobbiamo uscire dal trambusto dei social media, dalla preoccupazione costante di affermarci e posizionarci. Il requisito che esprimiamo solo opinioni “giuste”, che sembriamo sempre giusti e, quindi, dobbiamo difenderci a tutti i costi, impedisce, appunto, una riflessione sincera sulle nostre opinioni. Allora perché non smettere di parlare per un po', in modo da poter riflettere in silenzio?
È necessario trovare altri spazi di critica e riflessione oltre a quelli che i nostri attuali social media, incentrati sull'apparenza e sull'autopromozione, possono fornire. E, forse, soprattutto, trovare lo spazio dentro di noi dove possiamo interrogarci liberamente, senza preoccuparci di come sarà quell'interrogatorio.
Questo non significa che non dovremmo usare affatto i social network. Solo che dobbiamo, in primo luogo, non solo non trattarli come lo strumento privilegiato della nostra decostruzione, ma anche, in secondo luogo, in qualche modo, mentre ci mancano altre reti o altri mezzi più adeguati, sovvertirne gli usi. In altre parole: se i social media sono pensati come strumenti di autopromozione e autoaffermazione, dobbiamo sovvertirli per trasformarli, contro il loro intento originario, in strumenti di apertura all'altro e di creazione di spazi comuni di riflessione.
Ciò significa, a mio avviso, in primo luogo, smettere di condividere semplicemente opinioni (sue mie direttamente o di altri che esprimono indirettamente le mie), condividere dibattiti, libri, articoli, film, insomma *riferimenti*, e non *opinioni*.
Ciò non significa, è importante notarlo, che debba essere vietato qualsiasi spazio di espressione della propria opinione, o anche di autopromozione. Ciò che dovrebbe cambiare non è la presenza o meno di questi elementi nei social media, ma l'attenzione su di essi per focalizzare il dibattito stesso. Facciamo in modo che il focus dei social media non sia il Sé, non l'autoaffermazione e l'autopromozione, ma piuttosto il dibattito, il dialogo, la riflessione basata sui riferimenti, che consente la creazione di uno spazio comune con l'altro.
Questa sarebbe la vera sovversione dei social media. Ed è quello che credo dovremmo fare, mentre non abbiamo a disposizione altri media, pensati e progettati con uno scopo diverso da quello, appunto, dell'autopromozione. Media che, credo, sono del tutto possibili da creare, una volta compresa la loro importanza e centralità per riconfigurare lo spazio attuale delle nostre relazioni sociali e dei nostri modi di relazionarci gli uni con gli altri e con noi stessi.
*Luca Machado Ha conseguito un dottorato in filosofia presso l'USP