da GABRIEL MARTINS DA SILVA & MATHEUS RIBEIRO ALVES DE LIMA*
Commento allo spettacolo diretto da Luiz Felipe Reis
In mostra dal 2 maggio 2024, al Teatro Futuros (Instituto Oi Futuro), deserto, diretto da Luiz Felipe Reis, mette in scena la vita e l'opera di Roberto Bolaño (Renato Livera). Come ci informa il libretto digitale, frutto di approfondite ricerche, accumulo di anni di attenta lettura dell'opera dello scrittore di narrativa, lo spettacolo mette in luce gli ultimi anni della sua vita, in un monologo eterogeneo che unisce diversi aspetti dell'intricata relazione tra l’opera e la condizione di scrittore errante, marginale e malato.
In una delle prime scene dell'opera, ci rivolgiamo a brevi versi diretti al registratore sulla scrivania dello scrittore. Sembra essere questo un modo per l'autore di parlare a se stesso, sdoppiandosi, la cui voce, riprodotta in sequenza, accoglie attore e pubblico nell'universo immaginario che verrà inseguito durante lo spettacolo. Dopo la sequenza di pillole creative, probabilmente un'attività di routine per chi si occupa di scrittura, il monologo di Bolaño viene presto spiazzato, quando, dalla voce di un altro personaggio, una sorta di messaggero, ci informano che il nostro ospite (Bolaño stesso) è in ritardo , che ci sono state complicazioni, che non arriverà.
Lasciamo rapidamente l'ambiente privato dello scrittore, la sua scrivania, dove prova brani tratti dal suo lavoro, e veniamo trasportati in una possibile conferenza di Bolaño. Nel doppio gioco tra un autore e un altro (il messaggero), ci troviamo di fronte alla complessità che l'opera teatrale cerca di mettere in scena, cioè di mettere in discussione l'identità stessa dell'autore. Il personaggio del monologo, quindi, viene fatto a pezzi nella scena – caratteristica che si ripeterà durante tutta la pièce – per diventare qualcosa di diverso da Bolaño, come se osservasse la situazione fuori di sé, senza gli occhiali, elemento del costume. che garantisce la verosimiglianza del personaggio.
Sempre in questa stessa scena, dietro e di fronte al testo stesso da cui trae origine tale messa in scena, vengono proiettate su uno schermo parole che negano o rivelano ciò che viene nascosto dal nervosismo e dall'esitazione del messaggero. Pertanto, davanti al pubblico, l'attore incorpora elementi metanarrativi per articolare con precisione, insieme al testo dell'opera, un certo equivoco nella posizione dell'attore e dell'autore - che vorremmo pensare dalla prospettiva dell'opera. portmanteau autore.
Tra Bolaño e il messaggero, o anche tra ciò che l'attore dice, senza mediazione, al pubblico e ciò che può essere letto, sotto il segno della parola, sullo schermo di sfondo, siamo di fronte a un vicolo cieco. Il confronto crea una certa dissonanza con il pubblico, ma anche un certo riavvicinamento, quando riconosciamo la difficoltà del nostro messaggero, così come la complicità del testo che apre il sipario su ciò che non viene detto. Forse di ciò che non si può dire, di ciò che è osceno in scena e che, come la violenza tragica, può emergere solo attraverso le parole incise dietro l'attore.
Pertanto, tutto ciò che vediamo nella sequenza è diviso tra quella che sembra essere la conferenza iniziale, pronunciata dallo stesso messaggero, e l'ingresso di Bolaño, messo in scena con le sue stesse parole, poiché il testo del monologo prende in prestito diverse opere dall'autore costruire le sue battute. Così, dopo il primo testo di partenza (“Letteratura + malattia = malattia”), quella che vediamo è una conferenza tenuta da Roberto Bolaño, raccolta in L'insopportabile gaucho, un libro recentemente tradotto e pubblicato nel febbraio di quest'anno (Companhia das Letras, 2024).
Questa atmosfera di dubbio, di instabilità tra reale e immaginario, tra opera e vita, tra messo in scena e praticato, è costitutiva del rapporto di Bolaño con la letteratura, della sua scrittura, di una proposta letteraria che parte dalla sua stessa esperienza vissuta la sua costante doppiezza con la parola, lo scritto, il narrato, l'avventura. Come nelle opere di Bolaño, l'opera perfeziona, attraverso diversi espedienti e linguaggi, questo gioco di specchi tra letteratura e vita. In definitiva, si costituisce una forma di metanarrativa, quando elementi dell'opera di Bolaño si articolano con dati biografici, che a loro volta, come sappiamo, sono in gran parte intrecciati. Così, la finzione dell'autore viene utilizzata per romanzarla, in un abisso, come se raddoppiasse la scommessa del meccanismo letterario.
Nella conversazione con il miniatore del monologo, la percezione era chiara che si trattasse di un'opera teatrale in un universo espanso. L'impressione cinematografica che l'opera suscita è composta da più elementi che spaziano dalla visione dello spettatore, fino, in modo inequivocabile e competente, alle risorse luminose, sonore e, in particolare, audiovisive - che spesso lavorano insieme nell'intensificazione dell'effetto effetti sul pubblico. È derivato da questa serie di esperimenti che il rallentatore, ripetuto come a topos attraverso quasi tutta l'opera e innescata dalla confluenza tra suono, luci e corpo dell'attore, la dimensione veramente cinematografica diventa più chiara.
Non solo, ma l'aspetto drammatico che una simile risorsa scenica garantisce all'intreccio fa sì che il corpo dell'attore, che compone le scene in modo estatico, sia, allo stesso tempo, in primo piano – quando i movimenti sono minuziosamente dispiegati prima lo spettatore – e in secondo luogo – quando le luci e le varie proiezioni sul grande schermo diventano inevitabili per il pubblico. Sarebbe opportuno, in un altro momento, forse in un altro luogo, riflettere sui diversi rapporti che l'opera di Bolaño ha con l'arte cinematografica, dato che sembra trasposta, in modo inventivo e analogo, al teatro.
A questo punto, il regista Luiz Felipe Reis è stato astuto nel sfruttare sia il potenziale di ciascuno di questi dispositivi, sia nel trasmutarli dall'universo del suo personaggio, Roberto Bolaño. Dispositivi come il registratore e la macchina fotografica, oltre alla loro particolare efficacia scenica, importano elementi della poetica bolañiana: sembra essere il registratore di Arturo Belano in stella lontana (1996) e la possibilità di una telecamera I detective selvaggi (1998).
In questo modo il pezzo riesce non solo ad attirare l'impatto immediato dell'uso della tecnica in scena, ma anche ad articolarlo con gesti immaginari; questi dispositivi appaiono cioè mediati anche dall'opera di Bolaño, evocano le situazioni in cui questi oggetti sono inseriti (l'orecchio elettronico che ascolta l'inconfessabile; la scatola nera che cattura le voci prima dell'oblio in cui vengono tutte voracemente spinte) e la modo in cui collegano la realtà al mondo immaginario (i dispositivi elettronici stanno derivando, uno per uno, dal primo supporto della riproducibilità tecnica e della cattura fantasmatica; in definitiva, tutti i dispositivi sono libri; o meglio, il libro infesta ogni risorsa tecnologica che minaccia di distruggere e finisce per prolungarlo).
Il modo unico in cui sono composti il teatro e la biografia risalta allo spettatore. Innanzitutto perché è un monologo che, per il bene delle risorse che uniscono tecnica e performance corpo, fanno sì che il palcoscenico, inizialmente occupato solo da una poltrona e da un tavolo da lavoro, si riempia presto di elementi insoliti. È espressione di ciò, ad esempio, come accennato, il registratore e la macchina da presa, che compongono le scene con, in primo luogo, l'intrusione di una voce aliena che risuona (e dovrebbe riprodurre) la voce dell'attore, ma che proprio questa risorsa di Il differimento ci pone di fronte alla questione chiave che sembra orientare il dramma, ovvero le condizioni stesse di possibilità di narrare la vita di un autore di narrativa, la cui opera ci sembra inseparabile dalla sua vita, e viceversa.
Un secondo elemento è l’uso della cinepresa che, ipoteticamente, fungerebbe da interlocutore in una presunta intervista, colmando l’assenza di un corpo che possa agire di fronte al nostro Bolaño. Tuttavia, sorprendentemente, la comunicazione tra la scena (e l'attore) e la sua immagine proiettata sullo schermo sullo sfondo (presumibilmente una riproduzione di ciò che la telecamera cattura, puntata sull'attore) fa sì che l'interazione tra tecnica e scena prenda forma interessante.
Così, occupando un posto vicino a quello del registratore, la riproduzione delle immagini filmate e la loro interazione unica con il corpo sulla scena, ci pongono ancora una volta di fronte alla sfida centrale dell'opera, provocando la disconnessione del personaggio e dell'attore. e disidentificarsi. Questo rumore, proprio nel raccordo che dovrebbe unire queste due dimensioni sceniche, sembra essere il motore dell'aspetto critico più evidente dell'opera, la difficoltà (e proprio lì, la potenza) di narrare la vita di qualcuno il cui proprio materiale incarnato nella letteratura sembra informare la vita “reale”, cioè l’ortografia della vita dell’autore intrinsecamente legata a ciò che scrive.
Più che i punti chiave della vita di Bolaño, le curiosità biografiche che abbondano nella produzione o anche l'intrusione di risorse multimediali e altri linguaggi, per non parlare del modo cruciale in cui vari estratti delle opere dell'autore si innestano nel testo dell'opera. ciò che attira maggiormente l'attenzione è l'inquadramento che il regista ha scelto per dare forma drammaturgica alle difficoltà inerenti al problema della mimesi nella letteratura, soprattutto nell'opera di Roberto Bolaño.
*Gabriel Martins da Silva è dottorando in Letteratura presso la PUC-Rio.
*Matheus Ribeiro Alves de Lima InMaster del Corso di Perfezionamento in Lettere, Culture e Contemporaneità da PUC-Rio.
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