Destini del femminismo

Immagine: Soledad Siviglia
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da NANCY FRASER

Estratto dal libro recentemente pubblicato

Tra mercificazione e protezione sociale: risolvere l’ambivalenza femminista

L’attuale crisi del capitalismo neoliberista sta alterando il panorama della teoria femminista. Negli ultimi due decenni, la maggior parte dei teorici ha mantenuto le distanze dal tipo di teoria sociale su larga scala associata al marxismo. Accettando apparentemente la necessità di specializzazione accademica, optarono per l'uno o l'altro ramo dell'indagine disciplinare, concepita come un'impresa indipendente.

Che il focus fosse la giurisprudenza o la filosofia morale, la teoria democratica o la critica culturale, il lavoro procedeva relativamente distaccato dalle questioni fondamentali della teoria sociale. La critica alla società capitalista – fondamentale per le generazioni precedenti – è praticamente scomparsa dall’agenda della teoria femminista. La critica centrata sulla crisi capitalista è stata dichiarata riduttiva, deterministica e superata.

Oggi, tuttavia, tali realtà sono a brandelli. Con l’instabilità del sistema finanziario globale, la caduta libera della produzione e dell’occupazione mondiale e l’incombente prospettiva di una recessione prolungata, la crisi capitalista fornisce lo sfondo inevitabile per tutti i seri tentativi di teoria critica. D’ora in poi, le teoriche femministe non potranno evitare la questione della società capitalista. La teoria sociale su larga scala, volta a chiarire la natura e le radici della crisi, nonché le prospettive per una soluzione emancipatrice ad essa, promette di riconquistare il suo posto nel pensiero femminista.

Tuttavia, esattamente come dovrebbero affrontare queste domande le teoriche femministe? Come possiamo superare i deficit degli approcci economicistici screditati, che si concentrano esclusivamente sulla “logica sistemica” dell’economia capitalista? Come possiamo sviluppare una comprensione ampliata e non economista della società capitalista che incorpori le idee di femminismo, ecologia, multiculturalismo e postcolonialismo? Come possiamo concettualizzare la crisi come un processo sociale in cui l’economia è mediata dalla storia, dalla cultura, dalla geografia, dalla politica, dall’ecologia e dal diritto? Come comprendere l’intera gamma delle lotte sociali nella situazione attuale e come valutare il potenziale di trasformazione sociale emancipatrice?

Il pensiero di Karl Polanyi offre un promettente punto di partenza per tale teorizzazione. Il suo classico del 1944, la grande trasformazione, elabora un resoconto della crisi capitalista come un processo storico multiforme che ha avuto inizio con la rivoluzione industriale in Gran Bretagna e ha continuato, nel corso di più di un secolo, a coinvolgere il mondo intero, portando con sé la sudditanza imperiale, periodiche depressioni e guerre catastrofiche. Per Karl Polanyi, inoltre, la crisi capitalista aveva meno a che fare con il collasso economico in senso stretto che con comunità disintegrate, solidarietà spezzate e natura espropriata.

Le radici di questa crisi affondano meno nelle contraddizioni intraeconomiche, come la tendenza alla caduta del tasso di profitto, e più in un importante cambiamento nella posizione dell’economia rispetto alla società. Invertendo la relazione fino ad allora universale in cui i mercati erano integrati nelle istituzioni sociali e soggetti a norme morali ed etiche, i sostenitori del “mercato autoregolamentato” cercavano di costruire un mondo in cui la società, la morale e l’etica fossero subordinate ai mercati e, di fatto, , modellato da loro.

Concependo il lavoro, la terra e il denaro come “fattori di produzione”, trattavano queste basi fondamentali della vita sociale come merci comuni e le sottoponevano allo scambio di mercato. Gli effetti di questa “mercificazione fittizia”, come la definì Karl Polanyi, furono estremamente distruttivi habitat, mezzi di sussistenza e comunità che hanno finito per innescare un continuo contro-movimento per la “protezione della società”.

Il risultato fu un modello distinto di conflitto sociale, che egli definì un “doppio movimento”: un conflitto a spirale tra i sostenitori del libero mercato da un lato e i protezionisti sociali dall’altro, che portò a un’impasse politica e, di conseguenza, alla fine. Fascismo e Seconda Guerra Mondiale.

Ecco, quindi, una descrizione della crisi capitalista che trascende i limiti ristretti del pensiero economistico. Azione magistrale, ampia e globale su più scale, la grande trasformazione intreccia proteste locali, politica nazionale, affari internazionali e regimi finanziari globali in una potente sintesi storica. Inoltre, di particolare interesse per le femministe è la centralità della riproduzione sociale nel racconto di Karl Polanyi. È vero che lui stesso non usa questa espressione. Ma per la sua visione della crisi la disintegrazione dei legami sociali non è meno cruciale della distruzione dei valori economici – infatti queste due manifestazioni sono inestricabilmente intrecciate.

La crisi capitalista è in gran parte una crisi sociale, poiché la dilagante mercificazione mette in pericolo l’insieme delle capacità umane disponibili per creare e mantenere legami sociali. Mettendo in primo piano questo aspetto riproduttivo sociale della crisi capitalista, il pensiero di Karl Polanyi risuona con il recente lavoro femminista sull’“esaurimento sociale” e sulla “crisi della cura”. Il suo quadro è in grado di comprendere, almeno in linea di principio, molte preoccupazioni femministe.

Questi punti da soli qualificherebbero Polanyi come una risorsa promettente per le femministe che cercano di comprendere le difficoltà della società capitalista del 21° secolo. Ma ci sono altri motivi, più specifici, per rivolgersi a lui oggi. La storia raccontata in la grande trasformazione ha forti echi negli sviluppi attuali. Certamente c'è una discussione prima fazione all’idea che l’attuale crisi affondi le sue radici nei recenti sforzi per liberare i mercati dai regimi normativi (sia nazionali che internazionali) stabiliti all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.

Ciò che oggi chiamiamo “neoliberismo” non è altro che il ritorno della stessa fede ottocentesca nel “mercato autoregolamentato” che innescò la crisi capitalista raccontata da Karl Polanyi. Oggi, come allora, i tentativi di attuare questo credo stanno stimolando gli sforzi per mercificare la natura, il lavoro e il denaro: basta guardare alle fiorenti emissioni di carbonio e ai mercati della biotecnologia; assistenza all'infanzia, all'istruzione e agli anziani; e derivati ​​finanziari.

Oggi, come allora, l’effetto è quello di devastare la natura, sconvolgere le comunità e distruggere i mezzi di sussistenza. Inoltre, oggi, come ai tempi di Karl Polanyi, si stanno mobilitando contromovimenti per proteggere la società e la natura dalle devastazioni del mercato. Oggi, come allora, le lotte per la natura, la riproduzione sociale e la finanza globale costituiscono i nodi centrali e i punti critici della crisi. A prima vista, quindi, è plausibile vedere la crisi odierna come una seconda grande trasformazione, una “grande trasformazione”. redux.

Per molte ragioni, la prospettiva di Karl Polanyi è molto promettente per la teorizzazione odierna. Tuttavia, le femministe non dovrebbero affrettarsi ad adottarlo acriticamente. Anche quando supera l’economicismo, la grande trasformazione Ad un'analisi più attenta, si rivela un lavoro profondamente imperfetto. Concentrandosi esclusivamente sui mali che provengono dai mercati sradicati, il libro ignora i mali che hanno origine altrove, nella “società” circostante.

Nascondendo forme di ingiustizia non basate sul mercato, si tende anche a nascondere forme di protezione sociale che sono allo stesso tempo veicoli di dominio. Concentrato prevalentemente sulle lotte contro le depredazioni basate sul mercato, il libro trascura le lotte contro le ingiustizie radicate nella “società” e codificate nelle protezioni sociali.

Pertanto, le teoriche femministe non dovrebbero abbracciare il quadro di Karl Polanyi così come appare la grande trasformazione. Ciò che serve, infatti, è una revisione di questo quadro. L’obiettivo dovrebbe essere una nuova concezione, quasi polanyiana, della crisi capitalista che non solo eviti l’economicismo riduzionista, ma eviti anche di romanticizzare la “società”.

Questo è il mio obiettivo in questo capitolo. Cercando di sviluppare una critica che comprenda sia la “società” che l'“economia”, propongo di ampliare la problematica di Karl Polanyi per comprendere un terzo progetto storico di lotta sociale che attraversa il suo conflitto centrale tra mercificazione e protezione sociale. Questo terzo progetto, che chiamerò “emancipazione”, mira a superare forme di sudditanza radicate nella “società”.

Al centro di entrambe le iterazioni della grande trasformazione, quella analizzata da Karl Polanyi e quella che stiamo vivendo ora, le lotte per l’emancipazione costituiscono il terzo mancante che media tutti i conflitti tra mercificazione e protezione sociale. L’effetto dell’introduzione di questo terzo mancante sarà quello di trasformare il doppio movimento in un triplo movimento, che comprende mercificazione, protezione sociale ed emancipazione.

Il triplo movimento costituirà il nucleo di una nuova prospettiva, quasi polanyiana, in grado di chiarire la posta in gioco per le femministe nell’attuale crisi capitalista. Dopo aver elaborato questa nuova prospettiva nelle sezioni da 1 a 4 di questo capitolo, la userò nelle sezioni da 5 a 7 per analizzare l’ambivalenza della politica femminista.

1. I concetti chiave di Polanyi: mercati sradicati, protezione sociale e doppio movimento

Inizierò ricordando la distinzione di Polanyi tra mercati radicati e sradicati. Fondamentale per la grande trasformazione, tale distinzione porta con sé forti connotazioni valutative, che devono essere soggette al controllo femminista.

Notoriamente, Karl Polanyi ha distinto due diverse relazioni in cui i mercati possono confrontarsi con la società. Da un lato, i mercati possono essere “radicati”, invischiati in istituzioni non economiche e soggetti a norme non economiche come il “prezzo giusto” e il “salario giusto”. D’altro canto, i mercati possono essere “sradicati”, liberati dai controlli extraeconomici e governati in modo immanente, dalla domanda e dall’offerta.

La prima possibilità, sostiene Karl Polanyi, rappresenta la norma storica; Nel corso della maggior parte della storia, in civiltà altrimenti disparate e in luoghi ampiamente separati, i mercati sono stati soggetti a controlli non economici che limitavano ciò che poteva essere acquistato e venduto, da chi e a quali condizioni. La seconda possibilità è storicamente anomala; Un’invenzione britannica del XIX secolo, il “mercato autoregolamentato” era un’idea completamente nuova, la cui attuazione, sostiene Karl Polanyi, minaccia il tessuto stesso della società umana.

Per Karl Polanyi, infatti, i mercati non potranno mai essere completamente sradicati dalla società in generale. Il tentativo di renderli tali dovrà inesorabilmente fallire. In primo luogo, perché i mercati possono funzionare adeguatamente solo in un contesto non economico di intese culturali e relazioni di sostegno; I tentativi di sradicarli distruggono questo background. In secondo luogo, perché il tentativo di creare “mercati autoregolamentati” si rivela distruttivo per il tessuto sociale, provocando diffuse richieste di regolamentazione sociale. Lungi dal rafforzare la cooperazione sociale, quindi, il progetto di sradicamento dei mercati innesca inevitabilmente crisi sociali.

È in questi termini che la grande trasformazione racconta una crisi capitalista che si estende dalla Rivoluzione Industriale alla Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, per Karl Polanyi, la crisi comprendeva non solo gli sforzi degli interessi commerciali per sradicare i mercati, ma anche i controsforzi combinati di proprietari terrieri, lavoratori urbani e altri per difendere la “società” contro “l’economia”. Infine, per Karl Polanyi, è stata la lotta sempre più intensa tra questi due campi, quello dei difensori del mercato e quello dei protezionisti, a conferire alla crisi la forma particolare di un “doppio movimento”.

Se il primo versante di questo movimento ci ha portato da una fase mercantilista, in cui i mercati erano socialmente e politicamente radicati, a una fase di liberismo, in cui sono stati (relativamente) sradicati, il secondo lato dovrebbe portarci, sperava Karl Polanyi, in una nuova fase, in cui i mercati sarebbero stati nuovamente radicati negli stati assistenziali democratici. L’effetto sarebbe quello di riportare l’economia al posto che le spetta nella società.

In generale, quindi, la distinzione tra mercati radicati e sradicati è essenziale per tutti i concetti centrali di Polanyi, inclusi società, protezione, crisi e doppio movimento. Altrettanto importante, la distinzione è fortemente valutativa. I mercati radicati sono associati alla protezione sociale, vista come riparo contro elementi aggressivi. I mercati sradicati sono associati allo smascheramento, all’essere lasciati a nuotare nudi nelle “acque ghiacciate del calcolo egoistico”. Queste inflessioni – i mercati radicati sono positivi, i mercati sradicati sono negativi – vengono trasposte nel doppio movimento. Il primo movimento, di esposizione, significa pericolo; il secondo, un movimento protettivo, connota un rifugio sicuro.

Cosa dovrebbero fare le femministe con queste idee? A prima vista, la distinzione tra mercati radicati e sradicati ha molto da offrire alla teoria femminista. Da un lato, punta oltre l’economismo, verso una comprensione globale della crisi capitalista come processo storico multiforme, sia sociale, politico ed ecologico che economico.

D’altro canto, punta oltre il funzionalismo, intendendo la crisi non come un oggettivo “collasso del sistema”, ma come un processo intersoggettivo che include le risposte degli attori sociali ai cambiamenti percepiti nelle loro situazioni e tra di loro. Inoltre, la distinzione di Karl Polanyi rende possibile una critica della crisi che non rifiuta i mercati in sé, ma solo la loro varietà pericolosa e senza radici. Di conseguenza, il concetto di mercato radicato offre la prospettiva di un’alternativa progressista sia al dilagante sradicamento promosso dai neoliberisti sia alla totale soppressione dei mercati tradizionalmente favoriti dai comunisti.

Tuttavia, il sottotesto valutativo delle categorie di Karl Polanyi è problematico. Da un lato, la sua descrizione dei mercati radicati e delle protezioni sociali è quasi un mondo roseo. Romanticizzando la “società”, si nasconde il fatto che le comunità in cui i mercati sono storicamente radicati sono state anche le luogo di dominazione. Al contrario, la descrizione dello sradicamento fornita da Karl Polanyi è molto desolante. Avendo idealizzato la società, nasconde il fatto che, qualunque siano gli altri effetti, i processi che hanno sradicato i mercati di protezione oppressivi contengono un momento di emancipazione.

Pertanto, le attuali teoriche femministe devono rivedere questo quadro. Per evitare sia la diffusa condanna dello sradicamento sia la diffusa approvazione del (ri)radicamento, dobbiamo esporre entrambi i lati del doppio movimento a un esame critico. Esponendo i deficit normativi della “società” così come quelli dell’“economia”, dobbiamo convalidare le lotte contro il dominio ovunque esso mantenga le sue radici.

A tal fine, propongo di attingere a una risorsa non utilizzata da Karl Polanyi, vale a dire le idee dei movimenti femministi. Smascherando le asimmetrie di potere che egli teneva nascoste, questi movimenti smascherarono il volto predatorio dei mercati radicati che egli tendeva a idealizzare. Protestando contro tutele che erano anche oppressioni, diedero luogo a rivendicazioni di emancipazione. Esplorando le sue idee e sfruttando i benefici del senno di poi, propongo di ripensare il doppio movimento in relazione alle lotte femministe per l’emancipazione.

2. Emancipazione – il “terzo” mancante

Parlare di emancipazione significa introdurre una categoria che non figura la grande trasformazione. Ma l'idea, e anche la parola, hanno avuto un ruolo importante in tutto il periodo narrato da Karl Polanyi. Basti citare le lotte dell’epoca per l’abolizione della schiavitù, la liberazione delle donne e dei popoli extraeuropei dalla sudditanza coloniale – tutte combattute in nome dell’“emancipazione”. È certamente strano che tali lotte siano assenti in un lavoro che mira a tracciare l’ascesa e la caduta di quella che chiama “civiltà del XIX secolo”.

Ma la mia intenzione non è semplicemente quella di segnalare un’omissione. Piuttosto, vale la pena notare che le lotte per l’emancipazione sfidavano direttamente le forme oppressive di protezione sociale, sebbene non condannassero completamente né semplicemente celebrassero la mercificazione. Se fossero state incluse, queste mosse avrebbero destabilizzato lo schema narrativo dualista di La grande trasformazione. L'effetto di ciò sarebbe stato l'esplosione del doppio movimento.

Per capirne il motivo, consideriamo che l'emancipazione differisce in modo significativo dalla principale categoria positiva di Polanyi, la protezione sociale. Se la protezione si oppone all’esposizione, l’emancipazione si oppone al dominio. Mentre la protezione mira a proteggere la “società” dagli effetti disintegranti dei mercati non regolamentati, l’emancipazione mira a smascherare le relazioni di dominio ovunque mettano radici, sia nella società che nell’economia.

Mentre l’obiettivo della protezione è sottoporre gli scambi di mercato a norme non economiche, quello dell’emancipazione consiste nel sottoporre sia gli scambi di mercato che le norme non di mercato a un esame critico. Infine, se i più alti valori di protezione sono la sicurezza, la stabilità e la solidarietà sociale, la priorità dell’emancipazione è il non dominio.

Sarebbe sbagliato, tuttavia, concludere che l’emancipazione sia sempre combinata con la mercificazione. Se l’emancipazione si oppone al dominio, la mercificazione si oppone alla regolamentazione extraeconomica della produzione e dello scambio, sia che questa regolamentazione sia intesa a proteggere o a liberare. Mentre la mercificazione difende la presunta autonomia dell’economia, formalmente intesa come una sfera delimitata di azione strumentale, l’emancipazione oltrepassa i confini che delimitano le sfere, cercando di sradicare il dominio da tutte le “sfere”.

Mentre l’obiettivo della mercificazione è liberare la compravendita dalle norme morali ed etiche, quello dell’emancipazione è esaminare tutti i tipi di norme dal punto di vista della giustizia. Infine, se la mercificazione rivendica come valori più alti l’efficienza, la scelta individuale e la libertà negativa di non interferenza, la priorità dell’emancipazione, come ho detto, è il non dominio.

Ne consegue che le lotte per l'emancipazione non si inseriscono perfettamente in nessuno dei due versanti del doppio movimento di Karl Polanyi. È vero che tali lotte a volte sembrano convergere con la mercificazione – ad esempio, quando condannano come oppressive proprio le protezioni sociali che i sostenitori del libero mercato cercano di sradicare. In altre occasioni, tuttavia, convergono con progetti protezionistici – ad esempio, quando denunciano gli effetti oppressivi della mercificazione.

In altre occasioni ancora, le lotte per l’emancipazione divergono su entrambi i lati del doppio movimento – ad esempio, quando non mirano né a smantellare né a difendere le protezioni esistenti, ma piuttosto a trasformare la modalità di protezione. Pertanto, le convergenze, quando esistono, sono congiunturali e contingenti. Senza allinearsi coerentemente né con la protezione né con la mercificazione, le lotte per l’emancipazione rappresentano una terza forza che sconvolge lo schema dualista di Karl Polanyi. Per dare a queste lotte il giusto valore è necessario rivederne il quadro teorico, trasformando il loro doppio movimento in un triplo movimento.

3. Emancipazione dalle tutele gerarchiche

Per capirne il motivo, consideriamo le richieste femministe di emancipazione. Queste affermazioni fanno esplodere il doppio movimento rivelando un modo specifico in cui le protezioni sociali possono essere oppressive: vale a dire, in virtù di gerarchie di status trincerato. Tali protezioni negano a coloro che sono inclusi in linea di principio come membri della società le precondizioni sociali per la piena partecipazione all’interazione sociale.

L'esempio classico è la gerarchia di genere, che assegna alle donne a status inferiore, spesso simile a quello di un figlio maschio, e quindi impedisce loro di partecipare pienamente, su un piano di parità con gli uomini, all'interazione sociale. Ma si potrebbero citare anche le gerarchie di caste, comprese quelle basate su ideologie razziste. In tutti questi casi, le protezioni sociali vanno a vantaggio di coloro che si trovano al vertice della gerarchia sanitaria. status, fornendo benefici minori (se presenti) a coloro che stanno alla base.

Ciò che proteggono, quindi, non è tanto la società stessa quanto la gerarchia sociale. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che i movimenti femministi, antirazzisti e anti-casta si siano mobilitati contro tali gerarchie, rifiutando le protezioni che pretendono di offrire. Insistendo sulla piena appartenenza alla società, hanno cercato di smantellare gli accordi che negano loro i prerequisiti sociali della parità di partecipazione.

La critica femminista alla protezione gerarchica attraversa ogni fase della storia di Polanyi, sebbene non venga mai menzionata da lui. Durante l’era mercantilista, femministe come Mary Wollstonecraft criticarono gli accordi sociali tradizionali che radicavano i mercati. Condannando le gerarchie di genere radicate nella famiglia, nella religione, nel diritto e nei costumi sociali, hanno richiesto prerequisiti fondamentali di parità di partecipazione, come una personalità giuridica indipendente, la libertà religiosa, l’istruzione, il diritto di rifiutare il sesso, il diritto alla custodia dei figli e il diritto alla parlare in pubblico e votare.

Durante il periodo di liberismo, le femministe chiedevano parità di accesso al mercato. Denunciando la sua strumentalizzazione delle norme sessiste, si sono opposti alle protezioni che negavano loro il diritto di possedere proprietà, firmare contratti, controllare gli stipendi, esercitare professioni, lavorare per gli stessi orari e ricevere lo stesso stipendio degli uomini, tutti questi prerequisiti per essere completi partecipazione alla vita sociale. Durante il secondo dopoguerra, le femministe della “seconda ondata” presero di mira il “patriarcato pubblico” istituito dagli stati assistenziali.

Condannando le protezioni sociali basate sul “salario familiare”, hanno chiesto la parità di retribuzione per un lavoro di valore comparabile, la parità tra assistenza e retribuzione per il lavoro in termini di diritti sociali e la fine della divisione del lavoro per genere, sia retribuito che retribuito. non pagato.

In ciascuna di queste epoche, le femministe hanno espresso richieste di emancipazione, volte a superare il dominio. A volte prendevano di mira le strutture comunitarie tradizionali che radicavano i mercati; in altri, hanno puntato il fuoco contro le forze che dellahanno radicato i mercati; in altri ancora, i loro principali nemici erano coloro che stavano rafforzando in modo oppressivo i mercati.

Pertanto, le rivendicazioni femministe non si sono allineate in modo coerente con nessuno dei due poli del doppio movimento di Karl Polanyi. Al contrario, le loro lotte per l’emancipazione costituivano una terza faccia del movimento sociale, che incrociava le altre due. Ciò che Polanyi chiamava doppio movimento era in realtà un triplo movimento.

4. Concettualizzare il triplice movimento

Ma cosa significa esattamente parlare di “triplice movimento”? Questa figura concepisce la crisi capitalista come un conflitto tripartito tra le forze di mercificazione, protezione sociale ed emancipazione. Lei comprende ciascuno di questi tre termini come concettualmente irriducibile, normativamente ambivalente e inestricabilmente intrecciato con gli altri due. Abbiamo già visto che, contrariamente a quanto afferma Polanyi, la protezione sociale è spesso ambivalente, poiché fornisce sollievo dagli effetti disintegranti della mercatizzazione e allo stesso tempo consolida il dominio.

Ma, come vedremo, lo stesso vale per gli altri due termini. Lo sradicamento dei mercati ha gli effetti negativi evidenziati da Karl Polanyi, ma può anche generare effetti positivi quando le protezioni che smantellano sono oppressive. Né l’emancipazione è immune dall’ambivalenza, poiché produce non solo liberazione, ma anche tensioni nel tessuto delle solidarietà esistenti; Nello stesso tempo in cui smantella il dominio, l’emancipazione può anche dissolvere la base etica solidale della protezione sociale, aprendo la strada alla mercificazione.

Visto in questo modo, ogni termine ha un telos stesso e un potenziale di ambivalenza che si sviluppa nella sua interazione con gli altri due termini. Nessuno dei tre può essere adeguatamente compreso isolatamente dagli altri. Né è possibile comprendere adeguatamente il campo sociale concentrandosi su due soli termini. Solo quando li consideriamo tutti e tre insieme cominciamo ad avere un quadro adeguato della grammatica della lotta sociale nella crisi capitalista.

Ecco dunque la premessa centrale del triplice movimento: il rapporto tra due parti qualsiasi del conflitto tripartito deve essere mediato dalla terza. Pertanto, come ho appena sostenuto, il conflitto tra mercificazione e protezione sociale deve essere mediato dall’emancipazione. Allo stesso modo, tuttavia, come sosterrò più avanti, i conflitti tra protezione ed emancipazione devono essere mediati dalla mercificazione. In entrambi i casi la diade deve essere mediata dal terzo. Trascurare il terzo significa distorcere la logica della crisi capitalista e del movimento sociale.

*Nancy Fraser è professore di scienze politiche e sociali alla New School University. Autore, tra gli altri, di Il vecchio muore e il nuovo non può nascere (Autonomia letteraria). [https://amzn.to/3yBCDax]

Riferimento


Nancy Fraser. Destini del femminismo: dal capitalismo statale alla crisi neoliberista. Traduzione: Diogo Fagundes. San Paolo, Boitempo, 2024, 288 pagine. [https://amzn.to/3XbmUs2]


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