Diritti fondamentali degli Yanomami

Immagine: Markus Winckler
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da LEONARDO GODOY DRIGO*

Senza mettere in discussione il capitalismo, non ci sarà alcuna base giuridica o filosofica in grado di impedire il verificarsi di nuove tragedie.

Sono scene deplorevoli, che fanno rivoltare lo stomaco e provocano indignazione in qualsiasi persona ragionevole che venga a contatto con la tragedia del popolo Yanomami, recentemente pubblicata dai principali media brasiliani. Malnutrizione, fame, malattie, invasione di terra, omicidio, stupro, tutto sotto la negligenza e malafede di un governo i cui interessi sono completamente slegati dalla conservazione non solo dei popoli indigeni ma anche dalla promozione della vita umana dignitosa in generale.

L'analisi che si deve fare delle vicende del vero genocidio yanomami promosso dal governo di Jair Bolsonaro, però, non deve limitarsi al solo giudizio morale. Non si tratta solo della realizzazione del male da parte di governanti di cattiva natura e cattive intenzioni. Pur trattandosi di riscontri veritieri, la questione va analizzata anche dal punto di vista filosofico-giuridico, che consente di osservare la materialità dei rapporti sociali che portarono alla deprecabile condizione cui erano sottoposti i popoli originari.

E, in questo senso, è imperativo sottolineare che esistevano garanzie legali, anche e principalmente in ambito costituzionale, precedentemente stipulate in Brasile contro questo tipo di assurdità di civiltà. Anche un sovrano ideologicamente distaccato dai dettami di quella che è considerata civiltà dovrebbe sottomettersi alla Costituzione e alla legge di un paese, giusto!?

Ora, la Costituzione federale, dal 05 ottobre 1988, è fruttuosa nel fornire diritti e garanzie fondamentali in materia di vita, salute, sicurezza alimentare, in generale, e, in particolare, in relazione alla protezione dei popoli indigeni brasiliani. Un rapido sguardo agli articoli 1, 3 e 5 ci dà un'idea dei diritti fondamentali generali di ogni essere umano in Brasile e, inoltre, gli articoli 231 e 232 (purtroppo in un capitolo che usa il termine "Indiani ”) , sanciscono specifici diritti fondamentali.

Così, durante il governo Bolsonaro, esistevano già norme costituzionali che stabilivano che l'Unione fosse responsabile della protezione e del rispetto dell'organizzazione sociale, dei costumi, delle lingue e delle credenze dei popoli originari nelle loro terre, nelle terre che tradizionalmente occupano (art. 231, “caput”). Vi erano anche norme che garantivano l'uso di queste terre per il benessere e la riproduzione fisica e culturale dei popoli originari (art. 231, § 1).

Si consultino i principali manuali di diritto che trattano il suddetto tema e si osserverà quali diritti sono ritenuti fondamentali per quanto rivelano come determinanti “sulla struttura dello Stato e della società, specie, però, con riguardo alla posizione in queste occupato dalla persona umana”[I] e che c'è un grande progresso nel diritto costituzionale contemporaneo, perché frutto “dell'affermazione dei diritti fondamentali come nucleo della tutela della dignità della persona e della visione che la Costituzione è il luogo appropriato per porre le norme che garantiscono queste pretese”.[Ii]

Sono atteggiamenti idealistici. Intendono imporre alla realtà ciò che i concetti ideali del diritto producono nella mente degli studiosi. Come si suol dire, dov'erano i diritti fondamentali e umani degli Yanomami durante il governo di Jair Bolsonaro? Come si installa la tragedia in uno Stato completamente omologato per proteggere e promuovere la dignità di questo popolo?

Solo un'analisi critica della materialità specifica delle relazioni sociali può fornire una risposta adeguata in ambito giuridico e filosofico a tali domande.

Il governo di Jair Bolsonaro, a parte tutte le disparità e le idiosincrasie intellettuali dei suoi protagonisti, è stato lo sviluppo di un progetto di potere finalizzato alla riorganizzazione dei rapporti di produzione capitalista nella società brasiliana. Un'accelerazione delle misure richieste dalle forze socioeconomiche che hanno promosso il colpo di stato contro la presidente Dilma Roussef, nel 2016, ha portato Michel Temer al potere illegittimamente ed è culminata con l'elezione di Jair Bolsonaro, nel 2018.

“Al pari della crisi, il nocciolo del golpe è economico: l'accumulazione capitalista nazionale e internazionale di oggi cerca di risolversi attraverso un maggiore saccheggio, generato dalle fazioni borghesi. Il colpo di stato dalla crisi è un assalto della lotta di classe capitalista contro le classi lavoratrici. L'aumento dello sfruttamento del lavoro, la finanziarizzazione della sicurezza sociale e la privatizzazione sono le sue pietre miliari immediate. Se politicamente il golpe si espanse e si adattò alle circostanze, partendo dalla tradizionale destra brasiliana per consolidarsi nell'estrema destra, le frazioni di capitale, anche se in origine avevano altre preferenze, comandano senza disgiunzioni il movimento del golpe quando finisce in Bolsonaro. I margini del loro gioco non hanno alcuna riserva morale preventiva contro gli estremismi reazionari”.[Iii]

In effetti, il capitalismo ha una, e una sola, legge generale: l'accumulazione del capitale. Queste non sono priorità sotto il capitalismo: la vita, la dignità della persona, il cibo, la salute, i popoli indigeni. Il diritto è una delle forme sociali attraverso le quali le relazioni sociali capitaliste sono costruite, mantenute e riprodotte e, pertanto, il diritto è una parte strutturante del capitalismo.[Iv] I diritti fondamentali, di conseguenza, non si sovrappongono mai alle esigenze economiche del capitale.

Alla domanda: dov'erano i diritti fondamentali e/o umani degli Yanomami durante il governo di Jair Bolsonaro, bisogna rispondere: c'erano, positivi, così come ci sono oggi. Ovvero, la sua esistenza positiva nelle norme costituzionali non ha in alcun modo alterato, influenzato e, tanto meno, impedito lo sfruttamento dei territori yanomami da parte degli interessi economici dell'agrobusiness e dell'attività mineraria da svolgersi a scapito assoluto della vita, della dignità, della salute dei popoli originari. La tragedia yanomami è l'azione dei gruppi economici che l'hanno richiesta e che è stata portata avanti da un governo ostaggio dei loro interessi.

Tuttavia, nel capitalismo non esiste un territorio come formazione assoluta di protezione per nessuna persona. Alla cinica e idealistica proposizione della dottrina giuridica secondo cui il territorio «non è una nozione che si può cogliere nel mondo naturale, ma nel mondo giuridico»,[V] si sovrappongono valutazioni scientifiche materialiste, come quella del geografo brasiliano Antonio Carlos Robert Moraes, che presenta la comprensione che il territorio è, allo stesso tempo, “un'articolazione dialettica tra la costruzione materiale e la costruzione simbolica dello spazio, che unifica i processi nel stesso movimento” economico, politico e culturale”.[Vi]

Pertanto, sotto il capitalismo, la nozione di territorio è subordinata al ruolo svolto dagli interessi socioeconomici in una determinata area, che Moraes chiama, soprattutto alla luce dell'esempio brasiliano, "fondi territoriali",[Vii] cioè il territorio è inteso dai gruppi dominanti e dai governanti loro sottomessi come vere e proprie riserve disponibili per l'attività economica di valorizzazione e di accumulazione del capitale – per l'attività economica necessaria per guadagnare denaro e realizzare un profitto. Punto.

Il territorio yanomami, dunque, sotto un governo come quello di Jair Bolsonaro, mobilitato per gli interessi delle frazioni capitaliste destinate alle attività agroalimentari e minerarie, era dunque visto, inteso e sottoposto come mera riserva per l'esercizio dell'attività economica, in a scapito di tutta la vita, la cultura, la forza e le relazioni che vi esistevano tra le genti originarie. In breve, il fondo territoriale doveva essere "ripulito" dalla vita yanomami esistente lì.

La tragedia ci risveglia al lato umano delle perdite e delle disgrazie subite dagli Yanomami. Dovrebbe anche svegliarci alla tragedia quotidiana che è il capitalismo, che, quando necessario, promuove il genocidio e qualsiasi atrocità nel nome del Dio-Denaro. Senza mettere in discussione il capitalismo non ci sarà alcuna base giuridica o filosofica in grado di impedire il verificarsi di nuove tragedie, purtroppo.

*Leonardo Godoy Drigo è dottorando in Filosofia e Teoria generale del diritto presso l'USP.

note:


[I] SARLET, Ingo Wolfgang. MARINONI, Luiz Guilherme. MITIDIERO, Daniele. Corso di diritto costituzionale. San Paolo: Revista dos Tribunais, 2012, p. 268.

[Ii] MENDES, Gilmar Ferreira. BIANCO, Paulo Gustavo Gonet. Corso di diritto costituzionale. 10a ed., San Paolo: Saraiva, 2015, p. 135.

[Iii] MASCARO, Alysson Leandro. Dinamiche della crisi e del golpe: da Temer a Bolsonaro. In Rive Gauche. Rivista Boitempo, nº 32, 1° semestre 2019, p. 26.

[Iv] Vedi, in questo senso, per tutti: MASCARO, Alysson Leandro. Stato e forma politica. San Paolo: Boitempo, 2013.

[V] TEMER, Michael. Territorio federale nelle Costituzioni brasiliane. San Paolo: Revista dos Tribunais, 1976, p. 04.

[Vi] MORAES, Antonio Carlos Robert. Territorio e storia in Brasile. 2a ed., San Paolo: Annablume, 2005, p. 59.

[Vii] Si veda in proposito: MORAES, Antonio Carlos Robert. Geografia storica del Brasile. Capitalismo, territorio e periferia. San Paolo: Annablumme, 2011.

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