da MARCELLO RIDENTI*
Commento al libro di Michel Nicolau Netto
Con i postumi delle Olimpiadi, niente di meglio che leggere di mega-eventi. A maggior ragione nel caso del Brasile, che è diventato un marchio. E valorizzato nel mercato dei beni simbolici quando il Paese ha ospitato i Mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016. Questo il tema del libro stimolante di Michel Nicolau Netto, Dal Brasile e altri marchi, frutto di un'ampia ricerca svolta in Unicamp, inizialmente con una borsa di studio postdottorale della Fapesp, poi come docente presso il Dipartimento di Sociologia.
Con densità sociologica, ferma restando la chiarezza e la scorrevolezza, affronta il rapporto tra rappresentazioni nazionali e megaeventi sportivi. In particolare chiarisce come le immagini del Brasile vengono prodotte e inserite nella cultura del consumo del mercato globale dei simboli, sotto il controllo dei poteri corporativi.
In senso stretto, il libro è un contributo fondamentale per comprendere la logica dei cosiddetti mega-eventi, in particolare in ambito sportivo, con tutti gli interessi in gioco articolati nel mercato globale a partire da immagini nazionali risignificate. In senso lato, l'opera aiuta a comprendere il tema della produzione culturale della nazione nel contesto della globalizzazione. Mostra come le rappresentazioni nazionali coinvolgano processi globali che, a loro volta, non fanno a meno dello Stato-nazione, che continua a produrle, ma senza detenere il monopolio di queste rappresentazioni che non trovano più la loro centralità nello spazio nazionale. Così, avendo ora come oggetto i mega-eventi sportivi, Michel Nicolau continua la riflessione dei suoi libri precedenti, incentrati sulla produzione musicale globalizzata: Musica brasiliana e identità nazionale nella globalizzazione (Annablume, 2009), ed Il discorso della diversità e la World Music (Annablume, 2014).
Nella disputa sulle rappresentanze della nazione con altri agenti nello spazio transnazionale, lo Stato brasiliano utilizza le proprie agenzie specializzate, come EMBRATUR e APEX-Brasil. Ricorre anche all'assunzione di società private che operano a livello internazionale (Millward Brown, McGarry Bowen e altri). Il tutto si articola in un gioco di contese condotto secondo la convenienza delle imprese transnazionali private, i cui interessi sono garantiti dallo stesso Stato-nazione, che cede il proprio territorio ai mega-eventi. In essi opererebbe una denazionalizzazione dell'autorità, che ora è esercitata in un certo spazio da agenzie come la Federcalcio internazionale (FIFA) e il Comitato olimpico internazionale (CIO). In questo processo, la performance transnazionale degli inserzionisti specializzati nella produzione di immagini nazionali acquista importanza. Si costituirebbero come una sorta di nuovi intellettuali, in fondo occuperebbero la funzione di produttori di identità nazionali nell'era della globalizzazione, nel ruolo di “artefici dell'identità nazionale che producono marchi-nazione” (p.17).
Il lavoro cerca di comprendere l'ampia gamma di agenti, controversie e conflitti all'interno dei promotori di giochi, evidenziando le approssimazioni e le tensioni tra Stato e capitale coinvolti nei mega-eventi. Il primo capitolo si occupa del discorso dei pubblicitari sulla nazione, adattando le rappresentazioni nazionali alla cultura del consumo transnazionale. Si sviluppa il “marchio-nazione”, in cui l'immagine nazionale si collocherebbe in un “processo che produce rappresentazioni nazionali e cittadine attraverso strumenti di Marketing, inserito in una cultura del consumo e in vista di valorizzare queste immagini per la competizione in un mercato globale di simboli” (p. 30).
Il brand-nazione sarebbe qualcosa con riferimento nazionale, ma “in modo da poter essere condiviso e valorizzato globalmente”, con l'integrazione attraverso il mercato (p. 51). Questo tema viene approfondito nel secondo capitolo, sulla globalizzazione dell'identità nazionale, in cui lo stato-nazione stesso diventa un agente interessato al discorso e alla produzione della nazione come marchio.
Il focus del terzo capitolo è l'economia simbolica dei mega-eventi – che sono diventati denazionalizzati. L'autorità sulle loro forme di rappresentanza è passata nelle mani di organismi internazionali, sotto il controllo del CIO e della FIFA, soprattutto dopo il 1990, quando la globalizzazione è maturata. Secondo Nicolau, «i mega-eventi sono globalizzati perché possono approdare ovunque e, quindi, elevare la condizione di quel luogo (di una nazione, di una città) nel contendersi un mercato globale di simboli molto saturo» (p. 118). . Il processo di denazionalizzazione verrebbe realizzato all'interno delle strutture dello stesso stato-nazione in cui si svolgono i giochi.
Nel quarto capitolo si approfondisce l'analisi degli oggetti centrali della ricerca empirica, i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016, con la produzione di quello che l'autore definisce uno “spazio mediatico denazionalizzato”. Lo Stato denazionalizzerebbe alcune aree della città, con successivi confini che i partecipanti dovranno attraversare, dalle aree adiacenti al mega-evento, passando per l'area allargata, fino a raggiungere l'area core, dove spetterebbe l'autorità sulle forme simboliche al CIO, o alla FIFA e alle istituzioni ad esse collegate.
Il quinto capitolo è dedicato a spiegare come lo Stato brasiliano abbia utilizzato le sue agenzie EMBRATUR e APEX-Brasil in mega-eventi, in una disputa per la rappresentanza simbolica nazionale nel contesto della globalizzazione, con un'agenda nazionale rivolta al mondo esterno. Il tema prosegue nel sesto capitolo, che mette in luce il ruolo di “amministratori simbolici” svolto da agenti dello Stato e non solo nella disputa per le rappresentanze nazionali nei mega-eventi.
I pubblicitari, detentori delle modalità di rappresentazione della nazione nella globalizzazione, formerebbero una “rete di specialisti transnazionali”, artigiani specializzati nella rappresentazione nazionale, “un'élite di creativi nomadi che circola nel globo”, organizzando mega-eventi ( pagina 232). Il loro potere di nuovi intellettuali sarebbe legittimato detenendo la conoscenza per la "trasformazione della memoria nazionale in un oggetto del mercato globale dei simboli [...] mediato dalla cultura del consumo, dai media e dall'industria culturale", collegando i consumatori di luoghi diversi. Ci sarebbe un certo “provincialismo globale” coinvolto nei mega-eventi, “immaginando il mondo come un grande mercato di simboli formato da nazioni, da marchi; per marche nazionali” (p.244-246).
Abbastanza aperte, ispirate ad autori come Pierre Bourdieu e Renato Ortiz, le scelte teoriche e metodologiche sono pertinenti per esplorare l'ampia ricerca sul campo. Il libro presenta una profusione di riferimenti e dibattiti con la bibliografia più aggiornata a livello nazionale e internazionale, referenziata in modo accessibile anche al lettore poco pratico della materia, che ha accesso al testo facilitato da una serie di tabelle e foto alla fine di ogni capitolo.
Insomma, il libro è molto ben costruito, frutto di una ricerca esaustiva, che può generare nuove domande. Ad esempio, su un aspetto notato di sfuggita: i mega-eventi in Brasile sono stati realizzati dai governi del Partito dei Lavoratori (PT), in una certa misura già programmati dalle amministrazioni del Partito della socialdemocrazia brasiliana (PSDB). E la sua attuazione è toccata in gran parte al Ministero dello Sport, occupato per lungo tempo dai rappresentanti del Partito Comunista del Brasile (PC do B). Quindi, ci si può chiedere: sarebbe giusto concludere, implicitamente, che poco importerebbero le differenze di partito e ideologiche, data una logica in cui lo Stato nazionale sarebbe allo stesso tempo ostaggio e partner di grandi multinazionali private per vendere il Brasile marchio nel mercato globalizzato?
L'opera evidenzia – con rilevanza – i conflitti tra Stato e capitale nella realizzazione dei mega-eventi. Forse vale la pena chiedersi più specificamente come si esprimono i conflitti all'interno dello stesso Stato e tra le capitali coinvolte. Ancora più interessante sarebbe poter seguire gli scontri con chi non è né agenti statali né compagnie transnazionali private. Questi sono coloro che normalmente partecipano solo come consumatori-spettatori, a volte come oppositori di mega-eventi. I soggetti che – come mostra un suggestivo passaggio del libro – avanzarono collettivamente a protestare entro i confini di aree transnazionalizzate alle quali non avevano accesso, sbarrati dalla polizia, rifiutandosi di ridurre il Brasile a un marchio.
*Marcello Ridenti è professore ordinario di sociologia presso Unicamp. Autore, tra gli altri libri, di Il segreto delle signore americane: intellettuali, internazionalizzazione e finanziamento nella guerra fredda culturale, in uscita su ed. unesp
Versione estesa dell'articolo pubblicato in blog SBS , il 17/11/2020.
Riferimento
Michel Nicolau Netto. Dal Brasile e altri marchi: nazione ed economia simbolica nei megaeventi sportivi. San Paolo: Intermeios/Fapesp, 2019, 266 pagine.