da ISABEL LOUREIRO*
Nota di lettura sul libro recentemente pubblicato di Angela Mendes de Almeida
“Ogni crisi genera non solo un nuovo futuro, ma anche un nuovo passato” (Chris Marker, Lo sfondo dell'aria è rosso).
In questo incubo in cui la ruota della storia è tornata indietro di qualche decennio, assistiamo al ritorno del fascismo e del rinascita del suo fratello siamese, lo stalinismo. Sui social brulica la difesa di Russia, Corea del Nord e Cina come presunti paesi socialisti. E lo stesso accade con l'ex Urss: si giustificano i gulag e le violenze contro gli oppositori politici – visti come un male minore nella costruzione della “patria socialista” contro l'imperialismo nordamericano –, prova provata che l'idea di miglioramento continuo della l'Umanità non è altro che un'illusione.
È vero che il desiderio di un ritorno a una mitica età dell'oro comunista mai esistita, da parte di una parte di giovani di sinistra che si definiscono rivoluzionari, nasce dalla disperazione di fronte alla barbarie capitalista, accentuata dal Covid-19. XNUMX pandemia, e anche il disincanto per la tiepidezza della sinistra riformista e le sue politiche di gestione del capitalismo. Allo stesso tempo, ci sono seri tentativi da parte di giovani militanti delle organizzazioni marxiste-leniniste di aggiornare la politica di Lenin, reinterpretando le idee dell'avanguardia rivoluzionaria e del centralismo democratico, che, come sappiamo, è sempre stato più centralista che democratico. Questo libro, mostrando le impasse a cui ha portato l'autoritarismo comunista, è essenziale per tutti loro.
Chi cerca di rifondare il comunismo - del resto, a tempo debito il popolo rientrato nel vocabolario della sinistra, ha bisogno di rivisitare la tradizione di cui è erede e di fare i conti con l'esperienza comunista del XX secolo. Non a caso il romanzo di Leonardo Padura, L'uomo che amava i cani, sottolineando la mancanza di libertà, la censura di chi la pensa diversamente, la manipolazione di un'intera generazione che viveva nella paura di rappresaglie, ha avuto tanto successo tra noi. L'esperienza della generazione cubana a cui appartiene Padura ha avuto il suo ciondolo in Francia, dove gli intellettuali soffrivano di deliberata cecità ai crimini di Stalin, e solo negli anni '1970, con la pubblicazione di Arcipelago Gulag, ha riconosciuto che le denunce dei dissidenti non erano opera dell'imperialismo statunitense. In Brasile, la stessa cosa, dove solo piccoli circoli trotskisti e socialisti non erano conniventi con lo stalinismo e mettevano in discussione ciò che stava accadendo in URSS.
La forza di questo libro sta proprio nella élan morale che anima l'autore, perfettamente riassunta nell'epigrafe del libro, tratta da una lettera del militante comunista Pietro Tresso: “È impossibile sopportare in silenzio ciò che ferisce i sentimenti più profondi degli uomini. Non possiamo ammettere come giusti gli atti che sentiamo e sappiamo essere ingiusti; non possiamo dire che ciò che è vero è falso e ciò che è falso è vero, con il pretesto che questo serve all'una o all'altra forza presente”.
Angela si rifiuta di tacere sulle bugie, i soprusi, gli omicidi di trotskisti e stalinisti, vittime di un ingranaggio che loro stessi hanno contribuito a creare. Quando sembrava che tutto fosse già stato detto sull'argomento, l'autore ci sorprende con questa meticolosa ricerca storica, arricchita dall'accesso a documentazione dopo la fine dell'Unione Sovietica, opere letterarie, memorie, ecc. dando ai materiali raccolti un'impronta molto personale che trattiene il lettore dall'inizio alla fine.
Per rendere conto dell'esperienza autofagica dello stalinismo, traccia in filigrana episodi come l'“idiozia suicida” (Hobsbawm) della tattica comunista del “socialfascismo”; le differenze tra fronte unito e fronte popolare; il vergognoso ruolo dei comunisti nella guerra civile spagnola; i processi di Mosca; il patto tra Hitler e Stalin, tra molti altri. Come Padura nel suo thriller storico-politico, anche Angela ricostruisce la storia della sconfitta del comunismo nel Novecento, di cui lui stesso è in gran parte responsabile.
La lunga storia di militanza dell'autrice a partire dalla dittatura militare, prima nelle organizzazioni trotskiste, poi nel campo dei diritti umani in difesa dei poveri, dei neri e degli abitanti delle periferie, fa di quest'opera impegnata a rispondere alle domande che lei stessa si è posta nel suo processo di maturazione politica. Ma, in fondo, qual è la “tesi” di questo libro dal titolo controverso? Alla ricerca delle origini dell'autoritarismo stalinista, che non esitò mai a ricorrere ai più sordidi espedienti per eliminare i suoi presunti o reali oppositori, Angela ritorna sulla divergenza tra bolscevichi e lussemburghesi circa la concezione di partito politico: da un lato, accentramento e l'organizzazione gerarchica dei rivoluzionari di professione, separati dalla massa dei lavoratori, la cui funzione è di guidarli; dall'altro, un partito democratico di massa, la cui vita dipende dal flusso sanguigno tra la base e la direzione.
Angela ricostruisce la traiettoria tumultuosa di queste organizzazioni, e anche della socialdemocrazia tedesca, per concludere che il bolscevismo, “adottando il principio del partito unico [...] ha funzionato come un certo tronco” da cui sono emerse le politiche repressive dello stalinismo. Unendo questo filo strutturale e l'avvento del fascismo, del nazismo e della seconda guerra mondiale, si finisce con l'inasprimento delle tendenze autoritarie latenti nel bolscevismo.
Insomma, nonostante il fiume di sangue che li separa – questa la “tesi” che presenta Angela – non è possibile negare la continuità tra autoritarismo bolscevico e stalinista. È un'idea controversa, che Michael Löwy, autore della Prefazione – disponibile su https://dpp.cce.myftpupload.com/do-partido-unico-ao-stalinismo/?doing_wp_cron=1628268867.7771430015563964843750. Secondo lui, l'irrigidimento dei bolscevichi sarebbe stato "colpa" dei socialisti rivoluzionari di sinistra, che, in disaccordo con l'accordo di Brest-Litovsk, iniziarono gli attacchi terroristici. La risposta dei bolscevichi fu il sistema del partito unico (luglio 1918) e il Terrore rosso (settembre 1918).
Qui vale la pena ricordare Rosa Luxemburg. Lei, che conosceva bene i bolscevichi, rifiutò il terrore rosso proprio all'inizio della rivoluzione russa. Opponendosi ai metodi di Feliks Djerzinski (militante della socialdemocrazia del Regno di Polonia e Lituania, lo stesso partito di Rosa), e primo a capo della Ceka, scrive: “Temo (…) che Jósef [Djerzinski ] persisterà [nel credere] che rintracciando le "cospirazioni" e assassinando energicamente i "cospiratori", si possano tappare buchi economici e politici. L'idea di Radek, p. ad esempio, di "massacrare la borghesia", o solo una minaccia in tal senso, è la più grande idiozia; serve solo a compromettere il socialismo, niente di più”. (30 settembre 1918)
Proprio per questo, non mi sembra opportuno ricorrere solo a cause indiziarie o storiche per spiegare le origini dell'autoritarismo bolscevico, prescindendo dall'idea di un partito d'avanguardia. Sebbene Lenin abbia “ammorbidito” la concezione autoritaria che compare in Cosa fare? è stata lei a mettere radici nel comunismo russo. Ciò non significa che la storia non abbia un ruolo, e il libro di Angela Mendes de Almeida mostra molto bene come le circostanze storiche abbiano rafforzato tendenze autoritarie esistenti.
Ricordiamo un altro rivoluzionario che mise in discussione anche il concetto di partito leninista, Mario Pedrosa. Secondo lui, un partito di rivoluzionari di professione come quello bolscevico, basato sul principio della centralizzazione, non sarebbe mai diventato un partito di massa. L'esempio è stato il Partito Comunista Tedesco. Questo oscillò tra una maggiore o minore militanza, ma non divenne mai il partito dei lavoratori tedeschi, come lo fu l'SPD. Il partito accentrato e militarizzato, concepito da Lenin come strumento di assalto al potere per il caso specifico della Russia, finì per diventare il modello da imitare per i partiti di tutto il mondo. E divenne anche un modello per i partiti fascisti. Insomma, il partito d'avanguardia leninista era lo strumento perfetto per gli scopi dittatoriali di Stalin. Trovo difficile non essere d'accordo con questa diagnosi.
Insomma, il libro di Angela Mendes de Almeida, nel ricostruire la tragica storia del comunismo nel XX secolo, è una diffamazione in favore del credo socialista democratico di Rosa Luxemburgo che, già all'alba della Rivoluzione russa, temeva che la soppressione del le libertà democratiche, il pluralismo delle idee e delle organizzazioni porterebbero alla morte della rivoluzione.
*Isabel Loureiro è professore in pensione presso il Dipartimento di Filosofia dell'Unesp e autore, tra gli altri libri, di La rivoluzione tedesca: 1918-1923 (Unesp).
Riferimento
Angela Mendes de Almeida. Dal partito unico allo stalinismo. San Paolo, Alameda, 2021, 516 pagine.