Due anni di malgoverno: l'era della raletocrazia?

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da MARILIA PACHECO FIORILLO*

Gli ultimi anni hanno consolidato un tratto inesplorato della brasiliana: la boçalità è uscita allo scoperto

Sulla mia parete c'è una scultura in legno giapponese.
Maschera di un demone malvagio, ricoperta di smalto dorato.
comprensione io osservo
Le vene dilatate della fronte, che indicano
Com'è faticoso essere cattivo.
(Bertolt Brecht, “La maschera del male”, tradotto da Paulo Cesar de Souza)

Ho avuto il privilegio di incontrare il più illustre degli aristocratici, Lord Francisco. Lord Francisco da Silva era magro, discreto, composto, parlava lentamente e ascoltava sempre. Giovane, 35 anni, giardiniere di professione, aveva cominciato a imparare a leggere ea scrivere (ricordo la gioia con cui mi mostrò il primo giornalino a cui partecipò). Non ho mai visto in lui un gesto di servilismo o di adulazione, vizi grossolani che si atteggiano a virtù negli strati cosiddetti colti. Era la finezza personificata. Ricordalo?

I Francisco stanno diventando scarsi (o nascosti e impauriti), sostituiti da Daniéis, Jairinhos & co. Da cosa? Dispensare il cognome. Tali creature non hanno specificità di colore, sesso, genere, età o appartenenza a una classe sociale (sebbene la borghesia ne ribollisca), ed erano già in agguato, in latenza, nella terra dove approfittare era un cartellone pubblicitario, nell'antica legge di Gerson. Da tempo tali esseri animati dalla volgarità sono sbocciati in fiori, petti gonfiati, svergognati e violenti. È stata la crisi? No, era l'occasione.

Il Planalto infettava la pianura, che avallava il Planalto, che la eccitava nel modo più spregevole. Anche alcuni Round-Earthers stanno prendendo certe abitudini dai Flat-Earthers. Nasce così, in un abbraccio stretto e contagioso, il nuovo modo brasiliano: la propensione all'insulto, l'apogeo del “e allora?” con altri, il parossismo del disprezzo per la legge e la norma, l'apice del “sai con chi parli”, ora seguito dal pestaggio se non sai: in una parola, la normalizzazione e naturalizzazione della stupidità .

Nel 1928, il primo tutore del paese, l'intellettuale, saggista, mecenate e coltivatore di caffè Paulo Prado, nel suo classico Ritratto del Brasile. saggio sulla tristezza, già profetizzato un tale destino. All'epoca fece scalpore nei circoli intellettuali e oggi dorme in un discreto ostracismo di Cassandra.

Oggi sarebbe considerato politicamente scorretto candidarsi all'incenerimento immediato. Il suo primo capitolo, dedicato a “Luxuria”, menziona l'incrocio di razze, la dissoluzione dei costumi e la voluttà come aspetti della formazione della nazionalità brasiliana. Ma la principale fonte di inquietudine brasiliana, creata nel periodo coloniale, si intensificherà a cavallo del XX secolo, a cui collaborerà un altro elemento essenziale del carattere nazionale: l'anemia politica e il desiderio di rapido arricchimento o "Cobiça", titolo del secondo libro, capitolo.

Alcuni brani, illuminati: “Se chiedi perché si sono presi tanti rischi, perché si sono affrontati tanti pericoli – scrive il poeta di Y-Juca-Pyrama – perché si sono scalate tante montagne, perché si sono esplorati tanti fiumi, perché si sono scoperte tante terre, perché si sono conquistate tante tribù: ditelo – e non mentite: è stato per cubica”. – Avidità insaziabile, nella follia di arricchirsi in fretta”. Nell'avidità, ogni espediente che Jairinho & CIA dice: status e denaro prima di tutto, e il dio Mammona soprattutto.

Sul senso del bene comune, e che tutto va per farla franca e soddisfare, scriveva Prado: «Questo vescovo vide che quando ordinò di comprare una gallina, quattro uova e un pesce da mangiare, non gli fu portato nulla perché non si trovava in piazza o per strada macelleria, e se ordinava le dette cose ed altre da case private, gliele mandavano. “Davvero, ha detto il vescovo, le cose sono cambiate in questa terra, perché tutta Ella non è una repubblica, ogni casa lo è”.

Mio, io e con me. E il "noi" che è paralizzato. Sull'imprenditorialità – l'alfa e l'omega dei liberali appena convertiti, alchimisti proteici della salvezza nazionale – si veda la menzione di Prado dei pionieri imprenditori bandeirante: “La loro energia intensa ed estesa era concentrata su un sogno di arricchimento che durò secoli, ma sempre ingannevole e sfuggente. Con quell'illusione venne a morire soffrendo della stessa fame, della stessa sete, della stessa follia. Oro. Oro. Oro". Denaro, status, esibizionismo patologico, questa è la moneta corrente. Più pesante del metallo, perché brandito in nome delle libertà civili (sinonimo di liberazione delle armi), e sotto l'egida dell'impunità e della brutalità.

Prado sarebbe probabilmente allibito dal successo (passato, speriamo) di vigilantes di second'ordine, Torquemadas mixurucas e agrafos, nonché di opportunisti/scalatori e indomiti corruttori (oggi si sa) dell'istituto della Magistratura. Quale frase definirebbe meglio questi “congês” (g o j?) dell'isteria pubblica anti-corruzione se non: “I rappresentanti del potere reale, lontani dalla supervisione disciplinare di Lisbona, si preoccupavano principalmente del reddito personale delle cariche che ricoprivano. Padre Vieira diceva che la parola rubare combinato in ogni modo nell'India portoghese”.

Com'è terribilmente contemporaneo il Prado! Fu, oltre ad essere il primo interprete in Brasile, il precursore del sospetto che la truculenza, ricoperta di cordialità, fosse una malattia viscerale nel carattere indigeno: “La vita di un uomo valeva poco: per un patacão, uno scagnozzo prenderebbe responsabile della scomparsa di ogni antipatia. Neppure […] si è fatto ricorso a quell'ombra di virtù che è l'ipocrisia; esistevano eccezioni, rispettabili, come ovunque, ma in generale c'era una gran parte di personaggi dubbi, con una visibile predisposizione al male. […] Non c'erano scuole pubbliche (si teme che presto non ce ne saranno…), né alcun altro istituto per l'istruzione dei fanciulli”. […] Nel disordine dell'incompetenza, dell'appropriazione indebita, della tirannia, dell'avidità, si sono perse le regole più comuni nella gestione della cosa pubblica. […]”Gli uomini di governo si succedono a caso, senza alcun motivo cogente per l'indicazione dei loro nomi, se non quello delle convenienze e cabalachos della politica”.

Il Brasile ei brasiliani sono già stati maliziosamente descritti come mascalzoni, indolenti, poco seri, meticci, sciocchi, cretini fondamentali. Ma il nuovo ceppo di brasiliani che esce in cortei devoti al presidente clorochina, minacciando di morte chi non aderisce, dai giudici STF alla madre ottantenne di un avversario, ceppo che si distingue da lontano perché ama avvolgersi in panni e germogli gialloverdi (per ora solo metaforicamente) insulti, questo ceppo idrofobico di 'quelli che non sono con me sono contro e si attengono'", osservati in numerosi e crescenti casi, come quello dello psichiatra che segue la paziente perché ha commesso un reato di oltraggio chiedendo di essere curato dopo ore di attesa, o il ragazzo picchiato duramente da un parente per aver difeso il vaccino contro la clorochina, tanti, tanti casi simili che si accumulano quotidianamente, ci portano a concludere che Prado aveva davvero ragione, gli mancava solo la nomenclatura. Gli ultimi due anni hanno consolidato un tratto inesplorato della brasiliana: la boçalidade è uscita allo scoperto.

Boçal, in un dizionario che mi è stato dato, ha 33 sinonimi riferiti ai suoi tre significati: senza cultura, senza sensibilità e privo di sentimenti umani. Smussato, stupido, rozzo, ignorante, rozzo, rustico, alarve, bootian, animale, maleducato, barbaro, bestia, bruto, bruto, cavalleria, scortese, ignorante, rozzo, ottuso, idiota, ignorante, imbecille, scortese, incivile, incivile, ignorante, jalofo, secchione, schifoso, maleducato, ottuso, ottuso, grossolano. Ne aggiungerei altri due: pappone e marmaglia.

Mi mancano la canzone "oh, che pigra" di Macunaíma, il feroce Nelson Rodrigues, Fernando Sabino. Ma lo scrittore che viene subito in mente come maestro ritrattista di questa varietà maleodorante è un francese, Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches. Di estrema destra e collaborazionista, Céline ha scritto due opuscoli antisemiti che prendono di mira "l'ebreo negroide contro l'uomo bianco": Bagatelle versano un massacro e L'école des cadavres.

Céline non è l'unico esponente di estrema destra nel pantheon di celebri scrittori (vedi Ezra Pound). Ma già nel suo inaugurale viaggio al confine della notte, del 1932, il suo stile e la sua forza retorica (molto lodata da Henry Miller), trasudano un'atmosfera di culto dell'abiezione, della turpitudine, del degrado, una venerazione viscerale per ciò che è fetido e infame. Questo non è pessimismo. Non è quel disprezzo per la “comunità di imbecilli” ritratta, ad esempio, dal filosofo rumeno Emil Cioran. Il pessimismo sull'umanità è quasi una condizione sine qua non dei grandi, da Leo Tolstoj a Shakespeare. La jabuticaba di Céline, che lo rende unico, è la lussuria con cui sguazza e gode con e nei detriti dell'umanità, la sua apologia del degrado. Il narratore di Céline, il suo alter ego, è la boça per eccellenza (in questo caso erudita).

Tu, che sei oltreoceano in un Paese i cui monumenti non rendono giustizia alla grandezza dell'immenso Impero che fu, in un Paese che ha decretato e impone il lockdown, con le strade vuote e le vite risparmiate, certamente sai che il fiorire della boçalità non è un attributo dell'ex colonia. Lo vedi ovunque. I safari dei migranti di Viktor Orban in Ungheria o gli squadroni della morte di Rodrigo Duterte nelle Filippine sono dello stesso genere.

Quale forma di governo corrisponderebbe a questo genere? Dimentichiamo per un momento il bonapartismo, il populismo e altri ismi che invitano alla lotta alla corruzione. A proposito della corruzione e del trucco per nasconderla, a proposito, andiamo al “Sermão do bom Thief” di padre Antonio Vieira:

V

“Il ladro che ruba per mangiare, non va, né conduce all'inferno; quelli che non solo vanno, ma prendono, con i quali ho a che fare, sono altri ladri, di maggior calibro e di più alta sfera, che sotto lo stesso nome e la stessa situazione, San Basilio Magno distingue molto bene[…] Essi non sono solo ladri, dice il santo, quelli che tagliano le borse o pedinano chi va a fare il bagno, a ritirare le vesti: i ladri che più propriamente e degnamente meritano questo titolo sono quelli a cui i re affidano eserciti e legioni, o il governo delle province, o l'amministrazione delle città, le quali con astuzia e con forza derubano e saccheggiano il popolo. — Altri ladri derubano un uomo: questi derubano città e regni; altri rubano a loro rischio e pericolo: questi senza paura né pericolo; gli altri, se rubano, vengono impiccati: questi rubano e impiccano. Diogene, che vedeva ogni cosa con occhio più acuto degli altri uomini, vide che una numerosa truppa di bastoni e ministri di giustizia conducevano all'impiccagione alcuni ladroni, e cominciò a gridare: "Ecco i grandi ladroni ad impiccare i piccoli". —Felice Grecia, che ebbe un tale predicatore! E più felici le altre nazioni, se in esse la giustizia non avesse subito i medesimi affronti! Quante volte si è vista Roma impiccare un ladro per aver rubato una pecora, e nello stesso giorno portare via in trionfo un console o un dittatore per aver rubato una provincia. E quanti ladri avrebbero impiccato questi stessi ladri trionfanti? Di uno, detto Seronato, Sidônio Apolinario{…..} disse con discreta opposizione: Seronato è sempre occupato in due cose: punire i furti, e farli. Questo non era zelo per la giustizia, ma invidia. Volevo togliere i ladri dal mondo, rubarlo da solo”.

E ancora:

VIII

[…] è quanto precisava meglio san Francesco Saverio, dicendo che coniugano il verbo rapio in tutte le maniere. […] cominciano a rubare allo stato d'animo indicativo, perché la prima informazione che chiedono ai piloti è quella di indicare e mostrare loro i percorsi attraverso i quali possono percorrere tutto. Rubano in modo imperativo, perché, avendo un impero mero e misto, si applicano tutti dispoticamente all'esecuzione della preda. Rubano in modo obbligatorio, perché accettano ciò che viene loro ordinato e, affinché tutti possano ordinare, chi non ordina non viene accettato. Rubano in modalità facoltativa, perché vogliono ciò che a loro pare bene e, vantandosi delle cose desiderate con i loro proprietari, per cortesia, senza volontà, le fanno proprie. Rubano al congiuntivo, perché mettono in comune la loro poca ricchezza con chi amministra molto, ed è sufficiente che mettono in comune la loro grazia, per essere almeno mezzadri nell'avidità. Rubano in modo potenziale, perché, senza pretesti o cerimonie, usano la potenza. Rubano in modo permissivo, perché permettono agli altri di rubare, e comprano i permessi. Rubano all'infinito, perché la fine del furto non finisce con la fine del governo, e lasciano radici sempre là dove continua il furto. Questi stessi modi si coniugano per tutti gli uomini, perché la prima persona del verbo è tua, la seconda i tuoi servi, e la terza quelli che hanno industria e coscienza per questo. Rubano insieme per sempre, perché dal presente — che è il loro tempo — raccolgono quanto dà loro il triennio; e per includere il passato e il futuro nel presente, dal passato scoprono delitti, cui vendono le grazie, e debiti dimenticati, che sono interamente pagati, e dal futuro impegnano gli affitti e anticipano i contratti, con i quali tutto ciò che è caduto e non è caduto nelle loro mani”.

Chiediamo una data ad Aristotele, che era un apologeta della tradizione e detestava l'invenzione, e inventiamo un termine simile al suo aristocrazia (governo di coloro che hanno orecchino, Eccellenza), oligarchia (il decadimento di questo), monarchia (che può degenerare in tirannia) e repubblica (che può portare alla democrazia demagogica indesiderata). Che ne dici di parlareRaletocrazia”, il governo della marmaglia per la marmaglia, che in alcuni casi costituisce un terzo della popolazione?

Il tiranno può allearsi col popolo contro la nobiltà, e cadere; l'oligarca può cadere nell'errore di favorire una sola fazione, e il problema della democrazia aristotelica è che sembra essere il governo dei poveri, ma è guidata dai ricchi. già il Raletocrazia non corre il rischio di corruzione, poiché questa è la sua essenza.

In questa lettera, però, ho più dubbi ed esitazioni che qualsiasi intuizione. È uno sforzo e una prova di comprensione, una certa medicina per liberarci dall'angoscia.

La boçalità colpisce preferenzialmente la destra, e sempre totalitaria. Stalin, Hitler e Mao Tse Tung potrebbero anche essere definiti psicopatici, ma c'era un elemento tragico in quei poemi epici che mancano a quelli volgari ma non insipidi. raletocrazia. Ad esempio: la carneficina della pandemia nel Paese non è una tragedia, come non è un male ineludibile (come lo fu l'inevitabile parricidio commesso da Edipo, che fece di tutto per deviare dal destino che gli era stato tracciato). È una politica deliberata, intrisa di ignoranza, ma anche di ingegno (qui sta il paradosso). Non ho bisogno di ripetere la cronologia oi fatti, sai. Ma quello che mi spaventa davvero è la marcia suicida della milizia verso il soffocamento, che non finisce mai.

Ci tufferemo nell'ottavo e penultimo girone del “inferno” di Dante, quello della Frode, avendo già superato quello della Cupidigia?

Paolo Prado, aiuto! Come evitare che il Paese si disonori una volta per tutte, a causa di “un simpatico patriottismo, leggi con parole senza senso, pigrizia, ruggine, formiche e muffa”?

Un abbraccio dall'estero.

*Marilia Pacheco Fiorillo è professore in pensione presso la USP School of Communications and Arts (ECA-USP)

 

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