da JORGE LUIZ SOUTO MAIOR*
Nell'affrontare la pandemia, le raccomandazioni scientifiche si sono limitate alle pratiche di riduzione del contagio e, successivamente, alla vaccinazione
Durante la pandemia di COVID-19, ufficialmente riconosciuta dal marzo 2020 e tuttora in pieno vigore, c'è stato, da un lato, chi si è fidato delle raccomandazioni formulate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la prevenzione del contagio, in particolare, l'isolamento o il distanziamento sociale, l'uso della mascherina, la frequente igiene delle mani con acqua e sapone o l'applicazione di gel alcolici e la necessità di sottoporsi ai vaccini, che, nello stesso periodo, sono stati sviluppati per ridurre e persino eliminare le gravi conseguenze di contaminazione; e, dall'altro, coloro che hanno mostrato incredulità sia nelle misure di prevenzione che nella vaccinazione.
Le raccomandazioni dell'OMS e la sottomissione ai vaccini si basavano sulle risposte offerte dalla scienza per fronteggiare la pandemia, mentre le motivazioni del rifiuto provenivano da diversi tipi di sentimenti, che andavano dall'egocentrismo più puro, passando per l'espressione di militanza politica o ideologica, fino ad arrivare al punto di mera credenza.
È evidente che tra una postura e l'altra, quella che si è dimostrata più responsabile e rispettosa della vita umana è stata quella che si è orientata all'adempimento delle raccomandazioni con zavorra scientifica.
Stabilita questa necessaria premessa, è importante andare oltre nell'approccio al tema. Detto più direttamente, è importante adottare un approccio critico alla scienza stessa, anche perché non può essere presentata come un dogma o una setta che deve essere seguita senza alcun interrogatorio o riflessione.
Nello specifico, se le misure preventive, compresi i vaccini messi a punto, si sono dimostrate efficaci nel contenere la pandemia, riducendo notevolmente il numero dei decessi, è certo anche che dal punto di vista della necessità di adottare uno stile di vita orizzontale e democraticamente diffuso, in cui la promozione della salute umana, basata sull'interdipendenza tra immunità e stile di vita (prendere il sole, bere acqua pulita, avere accesso a cibo di qualità, ecc.), appare come la preoccupazione principale, e che sarebbe anche estremamente rilevante per affrontare il virus, nulla è stato consigliato dalla scienza e questo è sintomo di un grave problema che va esposto e, ugualmente, affrontato.
Innanzitutto, vale la pena ricordare che, come ampiamente riconosciuto, il contagio ha generato complicanze e decessi più gravi tra le persone con comorbidità, in particolare quelle con le cosiddette "malattie croniche non trasmissibili" (MNT).
Queste malattie, nello standard scientifico dominante, sono considerate prevalentemente ereditarie e, quindi, inevitabili nel corso degli anni, lasciando solo la tossicodipendenza. Tuttavia, anche in questo caso, lo stile di vita è intimamente legato al problema, ed è addirittura possibile parlare di una predisposizione genetica associata a uno stile di vita inadeguato.
Accade così che la scienza su cui si basano i sistemi sanitari non si sia indirizzata, in via prioritaria, a studi sulla prevenzione di queste malattie e forse un motivo c'è. È che l'industria farmaceutica guadagna valori stratosferici con la commercializzazione dei medicinali che vengono consumati periodicamente dalle persone che portano queste malattie e che già costituiscono il 45% della popolazione brasiliana.
Sono innumerevoli gli studi che indicano l'efficacia delle misure di prevenzione delle “malattie croniche non trasmissibili”, attraverso un'alimentazione adeguata con consumo di acqua potabile e cibo vero (verdura, verdura, frutta senza pesticidi e carne priva di contaminazioni), oltre a l'eliminazione o la notevole riduzione del consumo di prodotti alimentari industrializzati e ultra processati, oli idrogenati, grassi trans, alimenti transgenici in genere, alimenti infiammatori, zuccheri, unitamente a modifiche delle abitudini quotidiane, come la pratica di esercizi fisici, la riduzione dello stress , il miglioramento della qualità del sonno tra gli altri...
Tutte queste misure, oltre ad essere benefiche per la prevenzione delle "malattie croniche non trasmissibili", rendono più efficiente l'immunità, fungendo quindi da fattore di supporto di fronte alle risposte immunitarie agli agenti aggressivi dell'organismo.
Il punto è che il riconoscimento dell'essenzialità di queste misure relative allo stile di vita, in primo luogo, rivelerebbe la grande disuguaglianza sociale e umana che contraddistingue il nostro modello di società, perché, di proposito, si dovrebbe riconoscere che solo una piccola parte di la popolazione potrebbe, in proprio, aderire a quello che potremmo definire un “piano sanitario di prevenzione delle malattie”. Inoltre, questo modello di società presuppone l'utilizzo del lavoro umano come forza motrice per la riproduzione del capitale e ciò impone a coloro che dipendono dalla vendita della propria forza lavoro di sopravvivere il compimento di ore lavorative estese, previste su più anni.
Per rimanere attivo e non correre il rischio di perdere la propria fonte di sostentamento, il lavoratore è costretto a ricorrere a farmaci, in particolare antinfiammatori e analgesici, tra gli altri. Il fatto è che la classe operaia sopravvive di medicina per rimanere attiva in una condizione di vita contraria alla salute umana e questa situazione è imposta dallo stato di bisogno a cui la classe operaia è sottoposta e dall'uso, sempre crescente, di riserva esercito di manodopera, che è servito anche a guidare l'attuazione di politiche di distruzione dei compensi sociali (lavoro e diritti previdenziali) che, al tempo della ricostruzione del capitalismo, venivano offerti (ai lavoratori.
In secondo luogo, l'adozione diffusa di queste misure, assunte come politica dello Stato, ha interferito direttamente con gli interessi economici dell'industria in generale e, più specificamente, con l'industria alimentare, anch'essa parte dell'agrobusiness, per non parlare degli interessi di “ piani sanitari” che, in molti casi, non si occupano proprio di prevenzione delle malattie e mantenimento della salute, ma di “palliativismo” farmacologico, puntando, di norma, sull'approccio sintomatologico e non causale di molte malattie, alle quali, conseguentemente, soprattutto le cronache, costituiscono la base dell'attività. E non dimentichiamo anche l'enorme commercio, compreso quello pubblicitario, che ruota attorno alla diffusione dell'American way of life, reso celebre dal fast food e le sue porzioni gigantesche di cibi fritti, gelati e ricariche di bibite.
È importante riflettere sul fatto che molte industrie alimentari non vedono il cibo come un agente salutare per i consumatori e, allo stesso tempo, diverse industrie farmaceutiche non osservano che lo stile di vita gioca un ruolo preponderante come cofattore nel trattamento di numerosi condizioni, associate, ad esempio, al consumo inadeguato di alimenti ultra-elaborati.
Ricorda che parte dei piani sanitari è quotata in borsa, il che paga i dividendi ai suoi azionisti. Per non parlare della scienza coinvolta nell'industria degli armamenti, il cui oggetto è, direttamente, l'eliminazione di vite umane e anche quella investita nelle applicazioni della piattaforma, il cui obiettivo è lo sfruttamento.
E il problema più grande è che si dirà che tutto ciò che è in vigore è necessario per la società nel suo insieme, senza menzionare che questa esigenza è solo un prodotto delle determinazioni che costituiscono la base del modello di società capitalista e senza considerare, ancora, i dati concreti che questa industrializzazione del cibo e della salute è responsabile della distruzione dell'ambiente, equivalendo così a una condanna a morte per l'umanità.
Vale anche la pena ricordare che nell'aspetto specifico della lotta alla pandemia, le raccomandazioni provenienti dalla scienza si sono limitate alle pratiche di riduzione del contagio e, successivamente, alla vaccinazione.
È vero che nella situazione emergenziale così come si sono svolti i fatti non c'era modo di essere diversi, tanto più perché l'alternativa (non grave) che si è presentata (con una dose enorme di irresponsabilità) è stata il disinteresse delle misure di contenimento e delle l'utilizzo, in luogo del vaccino, di farmaci senza alcuna evidenza di efficacia, che hanno addirittura facilitato l'aumento del contagio e ritardato il processo vaccinale, acuendo così di molto la gravità della pandemia.
La conoscenza scientifica prodotta in emergenza, è fondamentale per riconoscere, gestire e sviluppare in tempi brevissimi vaccini che, per così dire, hanno salvato la vita a milioni di persone in tutto il mondo.
Si scopre che gran parte delle persone salvate e milioni di altri che non sono stati così fortunati erano già malati o in cattive condizioni di salute, molti a causa di processi cronici sottodiagnosticati o eventualmente parzialmente curati, anche a causa, nel caso brasiliano, di demolizione della struttura del sistema sanitario pubblico e questi fatti devono essere valutati perché derivano, in larga misura, da un grave problema che è la trasformazione della conoscenza in proprietà privata.
La scienza, in particolare quella legata agli esperimenti e all'alta tecnologia, ha un proprietario (con le sembianze di un brevetto). È una scienza che dipende da grandi investimenti e che genera anche enormi profitti. Questa scienza non è un'entità astratta che si diffonde liberamente nella società. È oggettivato nei rapporti capitalistici di produzione e di dominio e, quindi, è legato alle scelte politiche e alle determinazioni economiche.
Anche nelle università pubbliche, il cui impegno dovrebbe essere la produzione di conoscenza per soddisfare questioni di pubblico interesse, opponendosi così agli obiettivi meramente privatistici finalizzati al profitto e al dominio, si assiste, non di rado, a una rottamazione strategica di questi enti, al fine di facilitare l'inserimento dell'investimento privato e, con esso, riattivare il dominio della conoscenza da parte del capitale, che si sancisce nelle forme blande di alleanze e partnership.
Il dato concreto è che non ci sarebbe stato momento più propizio della pandemia perché i temi legati al miglioramento della salute della popolazione, attraverso la prevenzione e il cambiamento degli stili di vita, fossero riconosciuti come misure essenziali e concrete da attuare. Non ci sarebbe situazione più esplicita per evidenziare la rilevanza delle politiche di sanità pubblica.
Tuttavia, anche in questo periodo, nonostante il servizio innegabilmente rilevante fornito dalla scienza, anche la vaccinazione ha finito per riflettere determinazioni geopolitiche ed economiche. La vaccinazione non era universale, orizzontale, solidale ed effettivamente gratuita (in quest'ultimo caso, per i paesi). Infatti, a parte le incompetenze amministrative locali, i vaccini sono arrivati prima nei paesi centrali del capitalismo, e nel febbraio 2021, quasi un anno dopo il decreto della pandemia, 130 paesi non avevano ancora ricevuto i vaccini. L'ONU, anche, in quel momento, forse preoccupata per l'avvento di nuove varianti del virus e la sua diffusione nei paesi centrali, fu costretta a riconoscere la necessità di attuare un “piano mondiale” per combattere la disuguaglianza” (https://g1.globo.com/bemestar/vacina/noticia/2021/02/17/130-paises-ainda-nao-tem-vacina-contra-a-covid-19-e-chefe-da-onu-sugere-plano-mundial-de-vacinacao-para-diminuir-desigualdade.ghtml).
E non si può non citare lo storico disinteresse degli investimenti pubblici e privati nella prevenzione delle malattie endemiche, dette anche “malattie trascurate” (malaria, morbo di Chagas, malattia del sonno, tripanosomiasi africana umana, THA, leishmaniosi viscerale, filariosi linfatica, dengue e schistosomiasi), che ogni anno uccidono da 500mila a un milione di poveri nei paesi periferici del capitalismo (https://agencia.fiocruz.br/doen%C3%A7as-negligenciadas).
Il problema è che tutte queste questioni fondamentali per la promozione della salute di tutte le persone, in tutte le regioni del globo, sono al di fuori dell'orizzonte della scienza, in quanto contrarie agli interessi di chi la domina, vale la pena notare che con riguardo al COVID-19 la scienza ha svolto la sua funzione in modo rapido e relativamente efficiente anche perché la malattia, sebbene fosse, concretamente, molto più grave per le persone economicamente vulnerabili e sottoposte a varie forme di oppressione – poveri, donne, neri –, ha anche non ha risparmiato gli strati sociali privilegiati, a differenza, ad esempio, della malattia di Chagas e di molte altre malattie trascurate.
Pensiamoci. Qual è stato il profitto dei laboratori che hanno prodotto i vaccini durante il periodo della pandemia? Quanto gli States sono rimasti sottomessi ai detentori delle conoscenze e della tecnologia necessarie per produrre il vaccino? Quali condizioni dovevano soddisfare per ottenere i vaccini? Quanto la popolazione mondiale è stata tenuta in ostaggio da questa relazione?
Certo, questo non è un motivo per opporsi alla vaccinazione, ma non può non essere valutato, del resto la scienza non può imporsi come credenza. In quanto espressione di conoscenza, deve essere convinto dalla ragione ed essere sottoposto a un'analisi critica razionale. L'apprendimento necessario è che dobbiamo superare questo circolo vizioso, in cui la scienza che salva è la scienza che ammala o uccide.
In sostanza, è necessario rompere con il dominio privato della scienza.
*Jorge Luiz Souto Maior è docente di diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di Il danno morale nei rapporti di lavoro (redattori di studio).
note:
(*) Il termine scienza è stato assunto nel presente testo a seguito della generalizzazione e semplificazione espressa nella divisione operata dai media tra coloro che sono contrari o favorevoli alla “scienza”, chiarendo che la discussione effettivamente qui proposta riguarda la manipolazione dell'argomentazione scientifica per la diffusione di interessi non dichiarati, generando, in questa via a doppio senso, un compromesso corrosivo della conoscenza prodotta, rappresentativo, quindi, di una scienza parziale e viziata o, addirittura, di una scienza falsa. Il testo, infatti, propone la difesa della scienza, la cui validità è inscindibile dall'impegno a ricercare il miglioramento della condizione umana, fondata sul presupposto della piena uguaglianza, superando così le apparenze del modo di produzione, la divisione delle classi e l'organizzazione geopolitica, anche perché talora determinazioni politiche ed economiche impediscono l'attuazione di misure attestate efficaci dalla scienza, come nel caso delle malattie neglette nei paesi della periferia della capitale.
(**) Testo redatto con la collaborazione e supervisione tecnica di Leonardo da Silva.