da ANTONINO INFRANCA*
La presunta universalizzazione esclude l'enfasi sulla violenza fisica, mentale, psicologica e culturale con cui l'Altro è stato sfruttato ed escluso.
Il confronto di Enrique Dussel con la filosofia di Gianni Vattimo si è svolto in tre saggi. I saggi, tuttavia, risalgono a quasi trent'anni fa. Il dialogo con Vattimo è stato però a senso unico, poiché il filosofo italiano non ha accennato ad alcuna risposta, se non una breve rassegna dell'edizione italiana del Filosofia della Liberazione dal filosofo argentino, in cui ha discusso principalmente della letteratura latinoamericana e del guevarismo, che non sono stati affrontati nell'opera. Quindi, possiamo solo registrare le tesi di Enrique Dussel. Il silenzio di Vattimo, però, è significativo.
Alcuni punti in comune tra i due filosofi sono riconosciuti da Enrique Dussel, come la questione della fine della Modernità, alla quale però Dussel non fa riuscire la postmodernità, alla maniera di Vattimo, ma oppone una transmodernità, che è il risultato dell'azione di una ragione liberatrice ed emancipatrice degli esclusi, degli sfruttati, dei “barbari”, come direbbero Nietzsche e Vattimo, contrapposti a una postmodernità che è già il momento del crepuscolo e del tramonto della Modernità.
D'altra parte, l'allontanamento di Gianni Vattimo dal grave e scomodo peso della Modernità in periferia è dovuto, secondo Enrique Dussel, al fatto che gli manca una coscienza di sé del proprio provincialismo, della propria regionalità, in pratica gli manca una vera coscienza e dell'universalità dell'uomo e del Pianeta Terra. A questa stranezza etico-ontologica, Dussel aggiunge il fatto, ormai storicamente riconosciuto, che gran parte della tradizione ellenocentrica, che è uno dei due pilastri della modernità occidentale, è, in realtà, il frutto della tradizione filosofica egiziana, da cui i Greci trassero molte sue concezioni, negando però questa origine africana.
La negazione è stata radicalizzata con il classicismo e il romanticismo europei, soprattutto di origine tedesca. La cultura del Centro, infatti, è sostanzialmente germanocentrica, tendente, quindi, a negare la matrice mediterranea, africana e islamica dell'autentica tradizione filosofica occidentale. All'estraneità etico-ontologica si aggiunge poi una mistificazione ideologica, storicamente pianificata nel tempo, divenuta occultamento di un'autentica tradizione culturale. Così, un primo disaccordo tra Enrique Dussel e Gianni Vattimo consiste nella diversa filosofia della storia che deriva dalle diverse condizioni in cui si sono formati i due filosofi, uno proveniente dal Altro Occidente – come mi piace chiamare l'America Latina, il continente negato a favore dell'Europa – l'altro formatosi nel cuore della cultura europea.
Gianni Vattimo, infatti, allievo di Luigi Pareyson e poi di Hans-Georg Gadamer, si è formato all'interno della migliore tradizione filosofica europea, senza mai cercare di osservare o giudicare questa tradizione dall'esterno, cercando cioè di considerare questa stessa tradizione filosofica tradizione come se fosse una questione di tradizione straniera da apprendere, considerare e giudicare. Enrique Dussel, al contrario, venendo dall'America Latina, considerava naturalmente la stessa tradizione filosofica come sua e allo stesso tempo come se fosse straniera.
Quindi, già nel tuo bellissimo libro La copertura dell'altro cominciò a sviluppare una filosofia della storia che è proprio la considerazione della storia europea alla luce della storia mondiale. Il risultato è che l'Europa, solo dopo la conquista dell'America, poteva diventare il centro del mondo e che, prima di quell'evento, era una piccola periferia del mondo islamico, il vero centro del mondo, che si estendeva dall'Atlantico al Pacifico. Da questa considerazione, alcuni elementi che sembrano centrali per gli europei sono considerati secondari dai non europei, tra cui l'antichità greca o il medioevo.
Tuttavia, la stessa categoria in Occidente si basa sui due pilastri della filosofia greca e del pensiero cristiano. Questi due pilastri dell'Occidente mostrano il loro volto inquietante di dominio, esclusione, oppressione solo quando si aprono all'Altro, all'extraeuropeo. Enrique Dussel conclude che dall'esteriorità del sistema occidentale si può giudicare la positività o, se vogliamo considerare l'origine platonica dell'Occidente, la bontà del sistema stesso.
Inoltre, Enrique Dussel interroga Gianni Vattimo sul significato che alcuni temi centrali del suo pensiero possono assumere per l'Altro che è al di fuori del sistema di pensiero eurocentrico, come il nichilismo o la postmodernità. In sostanza, Enrique Dussel mette in discussione la presunzione di universalizzazione su cui il pensiero eurocentrico fonda la sua egemonia globalizzante. Questa critica di Dussel può sembrare un argomento secondario, ma in realtà è la critica di una fallita o presunta universalizzazione ed è anche l'enfasi sulla violenza fisica e mentale, psicologica e culturale con cui l'Altro veniva precedentemente sfruttato ed escluso, poi nascosta a vantaggio di questa cosiddetta opera di pacifica universalizzazione e integrazione, che è, invece, opera di esclusione e di rinnovata violenza contro i poveri, in primo luogo, e poi contro tutti coloro che sono ritenuti indegni di uguaglianza etica con i portatori della cultura globalizzante.
A chi è fuori dal Centro è chiesto di negare la propria soggettività morale per assumere, ma rimanendo sempre in posizione periferica, la soggettività del Centro. Lo supponevano molti filosofi della periferia, soprattutto dell'America latina in toto questa soggettività del Centro e si dedicarono allo studio esclusivo della filosofia del Centro e quindi, come ricorda Enrique Dussel, evitarono ogni forma di fastidio o persecuzione durante le dittature militari, dimostrando che la filosofia del Centro ha recentemente perso il suo antico valore critico. Tuttavia, far propria la filosofia del Centro non ha permesso a questi filosofi della Periferia di entrare al centro del dibattito filosofico mondiale: la loro esclusione non è superata dal fatto di discutere di Nietzsche o di Heidegger a San Paolo o a Buenos Aires.
L'Altro, il non europeo, proprio per questo si presenta come il fattore innovativo dell'attuale sistema-mondo occidentale. Questi saggi su Gianni Vattimo sono anteriori alla pubblicazione del L'etica della liberazione nell'era della globalizzazione e dell'esclusione di Enrique Dussel, sono in realtà coeve alla stesura dell'opera e, infatti, contengono frequenti riferimenti all'opera principale, allora in lavorazione. UN etica della liberazione parte della considerazione positiva, dell'enfasi, dell'alterità, può essere intesa come una prospettiva critica dalla quale giudicare e superare l'Occidente.
Dussel riconosce in Vattimo una critica della ragione socratica, critica che si esprime in un “irrazionalismo limitato” o in una “razionalità moderata”, da cui scaturisce il pensiero fragile. UN etica della liberazione non è un'etica dei valori assoluti, ma un'etica della vita, che non ha valore, perché è il fondamento di tutti i valori. Senza vita non si può avere alcun valore. Il valore è ridotto e relativizzato a strumento per realizzare la vita. Qualcosa acquista valore solo se diventa un mezzo per riprodurre la vita.
Pertanto, l'importanza della mancanza di critica economica del sistema imperante da parte di Gianni Vattimo diventa centrale nella critica di Dussel. In pratica, Enrique Dussel ricorda che solo quando andava di moda il marxismo, Vattimo fece un rapido riferimento al proletariato, che oggi sarebbe rappresentato dagli esclusi e dagli sfruttati. A differenza di Vattimo, dunque, Enrique Dussel, prima di tentare di confrontarsi con Gianni Vattimo, aveva già operato una rilettura analitica e critica del pensiero economico di Marx e lì aveva trovato le radici per una critica radicale al sistema dominante imperante. Questa critica è stata radicale, perché ha affrontato il tema della riproduzione della vita, riproduzione negata o resa difficile per una stragrande maggioranza dell'umanità, che rimane sempre alla periferia della postmodernità per Vattimo, mentre è il soggetto storico per Dussel.
In fondo Enrique Dussel non è lontano dalle posizioni di Vattimo, anzi, dà l'impressione che alcune posizioni di Gianni Vattimo siano condivise, in quanto superate e abbandonate. Dussel è in grado di operare una sorta di sussunzione del pensiero di Vattimo nel tuo. Così, Enrique Dussel è d'accordo con il superamento della metafisica e con il vivere in un'era “post-metafisica”, non è d'accordo con l'abbandono di alcune idee fondamentali della metafisica classica, come Dio o la libertà.
Ma confrontando il pensiero di Gianni Vattimo con quello di Emmanuel Levinas, Enrique Dussel preferisce un superamento della metafisica a una fondazione transontologica dell'etica: il nuovo ambito dell'etica è ora l'Altro. Partendo da questo ambito, Enrique Dussel muove un'accusa precisa a Vattimo: il pensiero fragile è in fondo un pensiero senza futuro e senza prospettive, infatti, fa della mancanza di speranza la sua forza. L'“ontologia ermeneutica” di Vattimo non si basa su una riflessione sul tema della liberazione e, quindi, non ha prospettive future. Non cercano alternative al tardo capitalismo in cui viviamo, un tardo capitalismo che ha fatto della disperazione la sua forza di dominio e oppressione.
Nella misura in cui la filosofia di Gianni Vattimo non è aperta alla vita e all'economia, cioè all'ambito in cui la vita si riproduce, non riesce a trasformarsi in etica, perché ha perso il senso dei valori come strumenti per la riproduzione della vita vita. Inoltre, l'ermeneutica di Vattimo non è una vera etica, ma un atteggiamento ermeneutico. Ora la situazione storica è profondamente cambiata. Fino a prima del filosofia della liberazione, l'Altro era un essere metafisico o puramente logico utilizzato come complemento al pensiero occidentale da Platone in poi.
Ora l'Altro si costituisce come fondamento di una Filosofia, di un'Etica e di una Filosofia della Storia che partono dalla Liberazione dell'Altro dalle condizioni di esclusione, oppressione e dominio in cui l'Occidente lo ha costretto. Ora l'Altro ha il potere della parola, può consultare l'Occidente, chiedergli di confrontarsi, di dialogare, di sussumere i fondamenti dell'Occidente stesso per ricostituirli in modo nuovo. Ma quanti intellettuali sono disposti a impegnarsi in questo dialogo e confronto?
*Antonino Infranca Ha conseguito un dottorato in filosofia presso l'Accademia delle scienze ungherese. Autore, tra gli altri libri, di Lavoro, individuo, storia: il concetto di lavoro in Lukács (Boitempo).
Traduzione: Giuliana Hass.