EM de Melo e Castro (1932 – 2020) – III

Immagine: João Nitsche
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da FLAVIO AGUIARE

Due saggi del poeta portoghese EM de Melo e Castro, con commenti del critico letterario Flavio Aguiar

Proseguiamo il nostro omaggio a EM de Melo e Castro, poeta portoghese residente in Brasile negli ultimi anni, saggista, professore, vero e proprio factotum della parola, presentando due dei suoi numerosi saggi critici. La coppia scelta rivela la polarità permanente di due delle molteplici facce della scrittura creativa.

Nella prima, “L'avventura della costruzione”, EM de Melo e Castro espone tutta la sua considerazione sul processo di costruzione delle poesie. Deviare dalle norme: questa ci sembra essere la sua preoccupazione centrale. Non si tratta solo di uscire per il gusto di uscire. Si tratta di stabilire “un nuovo mondo umano ed estremo”. Si tratta, dunque, di recuperare il fare umano dalla sua alienazione quotidiana nelle forme consacrate di una sorta di negazione dell'essere, di rinuncia alla ricerca della libertà inventiva.

Per lui, questo gestus (qui prendiamo l'espressione nel suo senso brechtiano) stabilisce una poesia “amara”, perché è consapevole dell'apertura ma anche dei limiti di questo lavoro. Il poeta naviga allora come un funambolo sul filo di un rasoio, tra "materia e antimateria", "creazione e anticreazione", assorbito da questo vero "buco nero" che è l'avventura della creazione, senza sapere cosa lo attende Dall'altro lato. Per parafrasare il punto di vista del critico e professore canadese Northrop Frye, non è il poeta che scopre e svela la poesia; questo, latente nel linguaggio, è ciò che lo scopre e lo assorbe in sé. Il poeta diventa così un Ulisse senza Itaca a cui tornare. L'avventura lo chiama per sempre, come nell'Inferno di Dante l'avventura chiama il guerriero greco ei suoi compagni di viaggio.

Nel secondo saggio, “La lettura del libro impossibile (prima del 25 aprile 1974)”, il poeta si lancia in una riflessione sulla creazione letteraria e sulle circostanze storiche. Quali erano i nostri confini prima del 25 aprile? Intorno a quali programmi si discuteva di scrittura in Portogallo, stretto tra un'oppressione che non crea e una ricerca di libertà che non si afferma? Le domande di EM de Melo e Castro hanno intense ripercussioni nel nostro Brasile di oggi, dove, in un certo senso, il 25 aprile 1974 ci appare come un diffuso sogno di recuperare la dignità della nostra polis, continuamente calpestata dalla banda di farabutti e falsari che hanno preso il sopravvento sui sentieri delle parole, trasformandoli in vicoli apparentemente inespugnabili di menzogne ​​istituzionalizzate come unica verità possibile.

Entrambi i saggi si trovano nel volume “The end visual of the XX century”, antologia curata dalla professoressa Nádia Batella Gotlib per Edusp, pubblicata nel 1993, con la sua presentazione.

L'avventura della costruzione[I]

Non cerchiamo una definizione della poesia: sono piuttosto gli atti e gli oggetti della poesia che ce la rivelano. Atti e oggetti della poesia, che sono le poesie. Atti in cui l'uomo si proietta fuori di sé, costruendoli e ritrovandosi. Perché è nel risveglio di noi stessi che si crea la poesia. Perché la costruzione dell'oggetto bello, nella sua ricerca lenta e sofferta, è la poesia stessa e il suo metodo creativo. Cioè, la deliberata ricerca della bellezza è la via e la garanzia dell'autenticità umana, poiché solo l'uomo, che si realizza nella bellezza e per il quale la vita include necessariamente il fenomeno estetico, può avere la struttura sufficiente per sostenere con dignità la responsabilità della propria libera atti.

Il bello assume un valore etico e insieme tecnico, indispensabile e universale, la cui padronanza è apprendibile solo attraverso un lento e doloroso lavoro di scoperta soggettiva. La bellezza è la partecipazione del singolo uomo all'interdeterminazione del sistema espansivo e aperto che è l'opera d'arte. In questo modo, ciò che fino ad ora è stato chiamato “comunicazione” non è altro che una conseguenza della forza centrifuga insita nell'oggetto poetico o pittorico, e che lo proietta oltre se stesso, verso il lettore o lo spettatore.

È questo lettore o spettatore che potrà cogliere o meno questa forza centrifuga, avendo, da solo e per sé, una percezione specifica della poesia o del dipinto.

L'opera d'arte ha anche una forza centripeta che attrae lo spettatore, trasformandolo in partecipe. Se la forza centrifuga è una forza di “urti” che colpisce il soggetto, la forza centripeta è una forza di fascinazione che lo attrae verso l'opera d'arte, ma, senza entrambi i casi, infatti, il lettore o lo spettatore non comunica con l'autore dell'opera d'arte, ma solo con se stesso in essa. O, più esattamente ancora, reagisce al complesso di percezioni che gli sono possibili.

“Poesia folle della forma”[Ii]. Per follia si intende non lo stato patologico, ma il superamento del senso e della ragione logica e discorsiva. La poesia è il delirio della forma. Per delirio si intende, sì, il limite ultimo della comprensione e dell'incomprensione, dell'apprensione e del rifiuto di fatti e situazioni, e dei valori da essi creati. Parmenide ed Eraclito non furono filosofi, ma poeti, secondo la concezione ellenica, perché mancano della sistematizzazione e dell'intelligenza della nostalgia che va dall'essere all'essere, se usiamo la terminologia di Heidegger. La filosofia non è solo questa intelligenza, ma anche la sua espressione e scoperta dell'essere negli esseri. Ora, la via della poesia attuale, cioè del futuro, è scoprire l'ente nell'essere, è dare vita all'essere, farne una forma di vita, un'essenza, una follia, un delirio di linguaggio per il punto del proprio eccesso e di distruggere.

Solo dalla distruzione dell'essere e della forma possono nascere rispettivamente essenza e poesia. Eraclito e Parmenide sono poeti alla maniera prefilosofica. Sono poeti sincretici e primitivi, con la poesia in mano che ha funzioni religiose, morali, epiche, drammatiche, politiche, riferimenti che poi si chiameranno filosofici. La poesia non può essere il ritorno a questa condizione. La poesia oggi non può che essere il superamento della forma in se stessa, la follia della filosofia, il delirio della ragione: entità nata dall'essere, magmi che spuntano da pietre dure, secche, fredde. Quindi la materia è essa stessa ragione. È poesia nata dalla forma-ragione dalle sue stesse potenzialità e dai suoi limiti; è poesia eccessiva in sé, al di là delle funzioni estetiche, ma solo attraverso queste stesse funzioni può essere un'amara approssimazione concreta.

La poesia, sforzo di costruzione della parola sul piano materiale, pone l'ente di fronte alla realtà assorbente del non essere; cioè, una poesia è un oggetto contraddittorio della sua stessa sostanza, che guizza pericolosamente tra l'abisso dell'ente e l'abissale del non essere. Una poesia e la sua stessa materia: due fasi di un unico oggetto, forze contraddittorie della stessa materia, lo sforzo dinamico della costruzione. Due fasi della stessa materia, cioè materia e antimateria[Iii] dello stesso cosmo, delle stesse dinamiche sopravvissute. Sopravvissuto, cioè ciò che vive “su” o ciò che vive in sé e oltre.

Di questa poesia amara dirò solo alcune luci che non si possono spiegare. Dirò: “oggi sono andato a vedere il fango del tempo”; “Porto di là le mie mani piene di cose vuote”; “Mi stupisco di essere ancora qui a scrivere, senza poter dire nulla che scrivo davvero” “oggi non sono io, ma un mostro pieno di cose che ho dimenticato”. E così via. Il processo poetico è sempre stato un vero e proprio processo di costruzione: costruzione dell'essere prima del non essere e prima degli altri; costruzione anche di se stesso, per lo stupore di vedere il non costruito prendere forma e realtà con la secolare certezza che non potrebbe essere altrimenti.

Di qui la terribile necessità di farla finita con tutto ciò che nel processo poetico è offuscamento sistematico e non è assolutamente necessario e vitale. Dalla descrizione si è passati all'oggetto-poesia; dagli aggettivi totali si è generata la guerra agli aggettivi; le immagini hanno preso volume; le metafore si scindono in se stesse in una nuova realtà; i parallelismi sono diventati perpendicolari; e le qualità delle cose divennero sostanziali, così che potessimo toccarle; i verbi hanno agito.

Un nuovo mondo umano ed estremo è creato dalle nostre mani, nei nostri occhi e ha il suo corpo incollato al nostro. Un'esigenza di noi stessi davanti a tutti gli altri esseri ea tutte le cose si realizza attraverso la conoscenza che rimane di aggettivi, immagini, metafore, parallelismi, sostantivi, verbi che trafiggono i nostri cinque sensi – indeterminate corrispondenze suggestive. Di questa poesia amara e tesa, non dirò l'estenuante espressione dell'essere, come era l'obiettivo degli espressionisti tedeschi.[Iv].

Dirò, piuttosto, la costruzione estrema dell'ente collocato in un mondo di materiali esterni, abolendo la dicotomia interno-esterno. E non dirò dell'espressione, perché in realtà non riesce a dire nulla di utile o portare all'uomo (il sentimento o l'ideale) ea se stesso. Perché i mezzi di questa espressione, pur tesi, rigorosi e purificati, sono solo rappresentazioni ed equivalenze. C'è una barriera tra l'ente e la sua espressione, tra il sentimento e la bellezza che gli corrisponde come origine o come risultato, tra l'ideale dell'uomo e la sua realizzazione comunicabile.

Da qui una visione frammentata e incompresa degli uomini e del mondo in instabile atomizzazione, in forzato equilibrio, circondati ossessivamente da fatti, parole, altri uomini, in uno sforzo continuo tra un reciproco incontro sempre un po' più lontano (di fatto, impossibile) e un terribile rilascio di energia autocontenuta, che equivarrebbe alla distruzione totale come specie (anch'essa certamente impossibile).

Impossibile e quindi necessariamente allettante e doloroso, in un senso o nell'altro. Ciò comporta un'oggettivazione formale e una pressione diretta sul potere allusivo delle parole, fino a svuotarle completamente, rafforzandole così potenzialmente come cose autonome, forse anche viventi. E a questo punto vengono nuove parole, rafforzate solo da se stesse, a proporre la realtà poetica con una forza a loro contraria e proprio per questo vitale. E a questo punto emerge un polo oggetto della realtà poetica: l'antipoesia.[V].

Le parole vuote di se stesse possono esistere solo in un mondo senza parole, e il nostro mondo senza parole perde coesione e sostanza. L'antipoesia non può dunque che essere costruttrice di esseri e di mondi. Ma l'antimondo che poi verrebbe costruito sarebbe simile al nostro, nel rapporto tra antioggetti e antiesseri, e questi sarebbero costituiti da antimateria.

Occorre, quindi, ampliare dimensioni, prospettive e possibilità interpretative, affinché la nostra stessa percezione dell'universo non si estingua e si armonizzi con le circostanze, le osservazioni e le realtà che ogni giorno ci vengono imposte in modo sempre più acuto. Materia e antimateria, pur non essendo possibilmente confrontabili nella realtà simultanea, possono tuttavia creare prospettive mentali e sensibili in cui un gioco “creazione-anti-creazione” sia effettivamente significativo e di oggettiva utilità. Il gioco è la possibilità di interazione, non definita, in un grado di probabilità definibile statisticamente. Il gioco è dunque la possibilità che tende a un tutto in espansione. Il gioco è invece la materializzazione sensibile di questa totalità instabile.

La pressione delle forme ci propone così, in modo non univoco, una polarizzazione in forma e antiforma, anche di materia e antimateria, non possibilmente coincidente, ma proponendo un'apertura e una fluidità delle proprie dimensioni disaggregate in una struttura energetica. La possibilità di un'anti-forma, o anche anti-intuizione, le cui proprietà possono essere valutate per il momento dalle proprietà della forma e dell'intuizione, propone una possibile anti-pressione e anti-arte, inevitabilmente probabile. Concepiamo l'apertura dello spazio, la struttura discontinua della materia, l'universo espansionista, l'intersezionismo dei piani di percezione, l'accelerazione delle particelle, fino alla loro possibile disintegrazione.

Essa è nei limiti della nostra ideazione dell'universo, della materia e della percezione, un atto creativo valido in sé, ma che assume il ruolo di scomporre strutture, attivare dissociazioni energetiche, equiparare espansioni oltre i limiti delle possibilità intellettuali anche attuali. I monismi razionalisti restano poi nella preistoria della strutturazione mentale e formale dell'intelletto umano.[Vi]. Tutta la nostra esperienza fisica e mentale si propone a noi in termini di espansione, apertura, polidimensione, creazione, anticreazione, poesia, antipoesia.

Anche sul piano della sensazione immediata non si può sfuggire alla struttura molteplice e aperta della percezione fenomenologica, ma è impossibile stabilire legami diretti tra sensazione e percezione. Questo è il percorso dell'attivazione dell'universo e della comprensione amplificante illimitata. Poesia, antipoesia: le risorse saranno equivalenti. Immagini, metafore, parole, sillabe, soggette a una poliedrica tensione, ma esattamente strutturate nel progressivo dilatarsi delle proprie forme. In questo modo, la duplicità delle immagini poetiche si moltiplica all'infinito in uno spazio in espansione, mentre l'immagine si stringe e si chiarisce, concentrandosi su se stessa, particella attiva della materia poetica.

Le metafore si propagano in una molteplicità di significati simultanei. La creazione ha ripercussioni su livelli simultanei di realtà significative. Le parole sono cariche di possibilità significative. Le sillabe sono strutturate in unità sonore, di intensità e vibrazione antimusicali. L'intero problema di scrivere prosa e scrivere poesia è superato, per quanto riguarda il fattore creazione-anti-creazione presente nel testo. Il modo della poesia, versi o prosa, ecc., ha valore solo in sé, cioè conta solo come un altro modo di oggettivare la poesia. Perché solo il ritmo (vibrazione) – ricordiamo la teoria dei quanti – sarà la struttura della vita e della poesia. Rimarrà la prosa prosaica per affermazioni univoche e logiche di linearità intelligibile.

Tutto ciò che rimane è una creazione asintotica di se stessa. Esempi di questa "creazione-anti-creazione" sono gli esperimenti nello spazio aperto, l'arte astratta[Vii], oggetti caleidoscopici, tutta l'evoluzione della scienza nucleare e spaziale, da Einstein e Bohr, la meccanica quantistica e una certa letteratura che arriva con James Joyce[Viii] e Kafka, e che comincia a imporsi tra noi attraverso la poesia, nello smantellamento della sintassi tradizionale, delle immagini e delle metafore non fisse, degli aggettivi sostantivati ​​successivi, della tensione di cui si sovraccaricano le parole e delle sillabe che si disintegrano dei verbi che agiscono, di aggettivi e avverbi che si sovrappongono in uno spazio sempre più aperto di possibili relazioni.

Se il tentativo di esprimersi pienamente finisce nell'impossibilità di uscire da se stessi e di comunicare pienamente – come è stato tragicamente dimostrato dall'alto numero di suicidi tra i poeti espressionisti tedeschi; se l'incomprensione reciproca non può in alcun modo essere base di fraternità, comprensione e felicità, allora smettiamola di sostenere il nostro sistema di relazioni, nell'espressione, nella comunicazione, nella comprensione, come ha fatto l'estetica aristotelica.

Facciamo piuttosto un mondo di costruzioni possibili dove gli uomini – ogni uomo – si identificano e si relazionano con ciò che costruiscono, con le loro mani, con il loro essere. L'avventura della costruzione, il gioco della realizzazione dell'essere e del suo aprirsi nello spazio di infinite relazioni possibili, di innumerevoli punti di incontro oggettivi in ​​ciò che splendidamente realizziamo e costruiamo per noi stessi e per gli altri. E ogni uomo nella sua cellula di energia e vibrazione, intrappolato nel suo momento di vita, si apre completamente, oltre le ombre dell'espressione frustrata per secoli, liberandosi nella costruzione reale e senza fine di se stesso - costruzione dolorosa in cui la Bellezza è l'offerta e la via della vitalità universale.

Leggere il libro impossibile (prima del 25 aprile 1974)[Ix]

Non sarà ancora un libro. Non sarà ancora una lettura. Ma cosa potrebbe essere? – questa è la domanda centrale a cui si arriva in questo mestiere di creare creativamente, criticare criticamente, teorizzare teoricamente.

Da lettere, fonemi e parole è fatta la nostra scrittura su carta. Da nozioni, idee e criteri, si giocano posizioni tra noi e gli altri. Noi stessi. Ma cosa dice il giornale? Ma chissà cosa siamo? Quale ideologia può proiettarci nella storia? Quanto divisi ci ritroviamo frammentati? Cosa, frammentato nella nostra stessa esperienza di vita, ci identifichiamo con chi?

Dall'esiguità dello spazio alla difficoltà di espressione-ascolto, nulla permette di esercitare e sperimentare la creatività. Utopia che conosciamo forse l'unica via ideologicamente ammissibile.

E proprio per questo motivo è scritto e creato. E anche così, ciò che è impossibile continuare continua: cioè un'attività che produce libri impossibili. Un'attività che rinnova l'impossibilità stessa: proprio ciò che dall'inizio del secolo si chiama “avanguardia”.

Ma se è in termini di classi che si giocano la storia e l'ideologia, la creazione si costruisce in termini di linguaggio e di comunicazione, ed è nelle caratteristiche di questo linguaggio che bisogna cercare i segni di classe e la codificazione delle loro posizioni e conflitti . .

Le recenti estensioni delle nozioni strutturali di “linguaggio” e “testo” alle scienze sociali e politiche e persino alla psicologia contribuiscono forse a trovare una ragione al testo poetico, dimostrandone l'universalità e al tempo stesso riformulando l'ideologia-creatività in termini di un bisogno indissolubile di un rapporto dialettico.

Con questo in mente, sarà mai possibile delineare (anche) una “storia” dell'ideologia-creatività in Portogallo?

E la stessa nozione di storia non contiene i germi della sua inadeguatezza e impossibilità, proprio qui tra noi, frammentata dal midollo, dal midollo a semplici gesti e aspirazioni? E cosa possiamo intendere per storia, se la frammentazione precede l'esistenza di una coesione di concetti e principi, e se dal “non ancora” facciamo fatica a sapere come passare al “già”?

È così che, dalla generazione degli anni '70 (1870), solo un intento utopico testuale ci ha guidato, quando ci occupiamo di realismo, futurismo, paulismo, neorealismo, surrealismo, sperimentalismo, costruendo le nostre) impossibilità in la forma di un libro(i), cioè scrivere creativamente il libro impossibile che l'ideologia(e) e la storia non sanno darci.

Frammenti, limite, ambiguità, impossibilità, utopia sono per noi forse le radici epistemologiche del nostro realismo, con conseguenze coerenti sul piano della scrittura (se di scrittura ci occupiamo qui), dell'estetica della scrittura, della funzione della scrittura , del potere della scrittura.

Se il neorealismo era in realtà una ricerca per adattare la "letteratura" alle realtà nazionali, è stato attraverso i particolarismi regionali di quella nazionalità che ha cercato di raggiungere un modello generale di comprensione dei nostri problemi. Ora, il difetto del neorealismo sta nel non aver mai superato questo tuffo analitico-regionalista, nel non sapere come, in termini portoghesi (nonostante le sue radici nel realismo degli anni '70), scrivere l'uomo e per l'uomo.

In assenza di capacità di sintesi, che consentirebbero un'estrapolazione universale delle opere (anche nell'ordine di scrittura), si codifica il fallimento del neorealismo portoghese. Diremmo anzi che questo fallimento non fa che aumentare l'ambiguità, l'impossibilità, la frammentazione, la dispersione, che, da dati esperienziali, si trasformano contro se stessi in caratteristiche del discorso creativo delle generazioni che poi poeticamente hanno cercato di creare il loro spazio e” scrivere un libro”, senza, forse proprio per questo, ottenerlo.

Sarebbe quindi necessario spezzare il cerchio.

Così, l'internazionalismo della poesia sperimentale e concreta va visto su due piani: quello nazionale e quello sovranazionale.

Uno dei parametri strutturali della poesia sperimentale degli anni Sessanta è che essa era praticabile solo in termini internazionali, e solo in questi termini si definiva in tutto il mondo, dal Brasile alla Cecoslovacchia, dall'Inghilterra al Giappone, agli Stati Uniti, all'Italia. , alle due Germanie, alla Jugoslavia, ecc.

La partecipazione portoghese a questo movimento clandestino era evidentemente controcorrente rispetto al neorealismo, perché la poesia sperimentale è appunto ricerca-sintesi e valori non regionalisti ma universali da uomo a uomo, attraverso il radicalismo formale e il visualismo semantico: cioè, di una codificazione concettuale.

Come, con questi valori universali, noi portoghesi continuiamo a scrivere lo stesso libro impossibile è già un problema della situazione storica. Da quella stessa storia che è anche impossibile da scrivere o che è solo utopicamente praticabile, visto che anche nel 1960 il problema era: come sopravvivere (creativamente) in un contesto in cui le varie forme del reale scivolano tra le dita, o diventano impossibili oppure si negano in uno spazio chiuso e, a loro volta, le varie possibilità di ordine sono inammissibili o inesistenti?

E ancora: come sopravvivere là dove l'ordine stabilito a fondamento del reale si fonda su idealismi irrazionali e il nuovo ordine da instaurarsi è coperto dall'incapacità di fondare e fondare una realtà reale, per non sapersi riconoscere nel circostanze e trovare il proprio percorso di costituzione?

Tra l'idealismo smaterializzante che domina la materia (a destra) e la realtà irrealizzata (a sinistra), quali strade sarebbero possibili nel 1960? – il(i) taglio(i) d'avanguardia, pericolosamente privato di entrambe le tentazioni, più dialetticamente definito rispetto a entrambe le parti.

Taglio che, per sua stessa specificità, è unico e instabile. Progetto che nell'abisso ancora una volta si frammenta.

E così abbiamo vissuto e creato fino al 25 aprile 1974, chiedendoci al massimo: che tipo di scrittura siamo?

*Flavio Aguiar, scrittore e critico letterario, è professore in pensione di letteratura brasiliana all'USP. Autore, tra gli altri libri, di Teatro di ispirazione romantica (Senac);

note:


[I] Pubblicato La proposizione 2.01 - Poesia sperimentale, Lisbona, Ulisseia, 1965, col. Poesia e Saggio.

[Ii] Queste pseudo citazioni sono tratte dalla poesia IV del mio libro ignoranza dell'anima, seppur con alcune modifiche.

[Iii] Si noti, poiché sono di capitale importanza, i seguenti passaggi del libro Matiere et Anti-matière di Maurice Duquesne: “Alla fine del 1956 l'elenco delle antiparticelle atomiche fu completato e l'immagine dell'antimateria prese consistenza: al centro l'antinucleo con antiprotoni e antineutroni e attorno, talvolta a distanze considerevoli, gravitano gli antielettroni che coinvolgono la carica centrale negativa di un'atmosfera di elettricità positiva (esattamente l'opposto degli atomi di 'materia'). Ma potrebbe esistere un tale antiatomo? Che proprietà avrà l'antimateria?

Il nostro mondo terrestre dove operiamo è fatto di materia, ed è noto che la proprietà fondamentale delle antiparticelle è di annullarsi a contatto con le particelle che le corrispondono. Come, quindi, possiamo sperimentarlo? Conoscere bene le proprietà della materia è riuscire a intravedere le proprietà dell'antimateria. Non sembra irragionevole immaginare stelle e galassie composte di antimateria. Ma la coesistenza di materia e antimateria per il momento non ci sembra ragionevole.

Notiamo anche che, se l'elettrone corrisponde all'energia cinetica positiva, evolvente dal passato al futuro, l'antielettrone corrisponde all'energia cinetica negativa, evolvente nella direzione inversa del tempo ordinario – dal futuro al passato –, cioè tornare indietro nel tempo...

Se infatti non ci è lecito prenderci libertà interpretative, dovremmo almeno richiamare l'attenzione sull'indiscutibile apertura e ampliamento del campo di possibilità che è l'antimateria, e sullo straordinario interesse per il rigoroso consolidamento del fenomeno poetico che è il possibilità di “riprendere il corso del tempo” scientificamente dimostrata – poiché il ritorno alle origini è una delle preoccupazioni dominanti della poesia contemporanea.

[Iv] Sull'espressionismo tedesco si noti lo studio di Pierre Garnier nel numero 153 della rivista critico (febbraio 1960).

[V] “Anti-arte” può avere due interpretazioni, entrambe ugualmente valide. Il primo è un senso più rigoroso che viene qui proposto sperimentalmente. Il secondo è il senso attuale in cui antiarte significa “al di là” delle regole e degli schemi dei generi letterari e artistici convenzionali – senza però cessare di essere romanzo, teatro, critica, poesia, ecc., e in certo modo contro questi chiusi classificazioni, perché per la loro natura univoca e logica, tali generi letterari, una volta superati, devono essere negati come tali. Dunque, le anti-commedie sono teatro in uno spazio aperto, gli anti-romanzi sono finzione in uno spazio aperto, le anti-poesie sono poesia aperta, non pura poesia, perché oggi questa espressione è un'etichetta dell'ultimo percorso catalogabile del processo di derazionalizzazione poetica, a partire da Baudelaire e Rimbaud.

[Vi] Fondamentale è la conoscenza degli studi di Stéphane Lupasco sul “principio di antagonismo”, logica e contraddizione, per i quali, ad esempio, si può consultare il libro Le tre materie (Julliard).

[Vii] “Le leggi della semantica sono invertite. Da sempre, quando si dava qualcosa, si inventava un segno. E quindi, essendo dato un segno, sarebbe vitale e quindi veramente un segno, se trovasse la sua incarnazione.

Non sorgono più questioni di scopo.

L'opera d'arte diventa un luogo geometrico di interrogazione. Invece di una “riduzione del Cosmo all'uomo”, l'opera d'arte non è altro che un'apertura su questo Cosmo. Dall'Ideale al Reale, dal Reale all'Astratto, si passa dall'Astratto al Possibile. Platone e Aristotele, con i loro universi finiti, sono decisamente morti. Il futuro è passato dal dominio dell'uomo al dominio delle macchine cibernetiche. La Logica si fonda sulla contraddizione, la Fisica sulle relazioni di Incertezza o Indeterminazione.

La scienza è interessata solo ai suoi poteri. Quanto alla Pittura… La fase che si potrebbe chiamare dall'Astratto al Possibile non è altro che una fase. È una nuova era dell'Arte e del pensiero che inizia e che è proprio l'era di una nuova incarnazione dei segni”. – Giorgio Mathieu.

[Viii] Si noti lo studio di Umberto Eco “L'Oeuvre Ouverte et la Poétique de l'Indéterminarion”, pubblicato nei numeri di luglio e agosto 1960 di “La Nouvelle Revue Francaise".

[Ix] Il libro impossibile, da un suggerimento di JC Alvim, in un articolo pubblicato sul giornale Repubblica, il 28.2.1974/XNUMX/XNUMX. Testo estratto da Dialettica delle avanguardie, Lisbona, Libri Horizonte, 1976.

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