È necessario valutare? È necessario misurare

Immagine: Platone Terentev
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da ARLEY RAMOS MORENO*

La produzione intellettuale e scientifica svolta nella nostra università pubblica

Ecco una domanda e un'affermazione, posta come titolo, che può essere applicata alla produzione intellettuale e scientifica svolta nella nostra Università pubblica. Il tema è attuale e, proprio per questo, solleva polemiche che solo la discussione e l'approfondimento potranno chiarire e, forse, placare.

Come ogni domanda, anche questa che ci poniamo fa parte di un dubbio: è necessario, infatti, valutare la produzione accademica? Mi sembra che la valutazione sia, in questo caso, molto importante. Per diverse ragioni. Vorrei sottolinearne solo due, tra le altre possibili.

Il primo riguarda l'importanza sociale dei risultati della ricerca accademica: la qualità dei prodotti realizzati all'Università avrà un impatto diretto sulla qualità della vita della società – quando, ovviamente, questi risultati saranno distribuiti e correttamente implementati dalle autorità pubbliche e meccanismi vari che si occupano della sua trasmissione. Si tratta di adempiere al dovere etico, con la società che sostiene l'Università pubblica, di effettuare valutazioni periodiche e sistematiche dei risultati della ricerca. Dovere etico, non solo valutare, ma soprattutto cercare di migliorare la qualità dei prodotti della ricerca: la valutazione deve essere uno strumento per il miglioramento della ricerca e non fine a se stessa.

Da questo punto di vista, l'importanza della valutazione è legata alla natura pubblica dell'istituzione universitaria, che non può non assecondare questa modalità di rendere conto a chi si affida ad essa, sotto forma di tributi pubblici.

Ora, questa valutazione è ben diversa da un'altra, anch'essa molto importante, che è finalizzata esclusivamente allo sviluppo interno della ricerca stessa nei diversi ambiti del sapere. In questo secondo caso, la valutazione assumerà forme diverse, legate agli ambiti e alle diverse attività che compongono l'Ateneo. Si tratta, quindi, di tenere presente, per i membri della comunità accademica, lo stato della ricerca nelle loro specifiche aree. Le forme di valutazione interna in ciascun ambito sono consensuali e, di norma, non danno luogo a grosse controversie se non quelle che oppongono i diversi modelli esplicativi dal punto di vista teorico; in questo caso i conflitti fanno parte dell'evoluzione stessa delle aree del sapere.

Le polemiche e le controversie proliferano, invece, quando, nel valutare la produzione accademica per renderne conto alla società, le istituzioni universitarie entrano in competizione per ottenere finanziamenti dalle agenzie di finanziamento della ricerca. È solo che mostrando il loro merito accademico e la loro eccellenza, le istituzioni diventano, agli occhi delle agenzie, più o meno meritevoli di nuovi fondi per sviluppare la ricerca. Il conflitto nasce, in questo momento, perché il metodo di valutazione deve essere standardizzato – da applicare indistintamente, con presunta oggettività, a tutti i campi di ricerca – nonostante, però, la grande diversità che esiste tra loro. E qui arriviamo alla seconda domanda che mettiamo nel titolo sotto forma di affermazione: è necessario misurare.

Non c'è dubbio che l'attività di misurazione sia indispensabile all'organizzazione che imponiamo alla nostra esperienza del mondo in generale. Diventiamo capaci di confrontare tra loro gli oggetti e gli eventi più diversi, stabilendo standard e norme attraverso teorie e tecniche che sono, allo stesso tempo, convenzionali e consensuali. Con questo, creiamo unità temporali, spaziali, gravitazionali, energetiche e creiamo anche unità di altro tipo, come campioni di colori, forme, suoni, o anche campioni di oggetti, azioni, situazioni e persino, di stati psicologici e sensazioni – per esempio, attraverso comportamenti istituiti come campioni.

Esistono tecniche più varie per creare standard di misura, alcune che consentono di effettuare confronti precisi attraverso la quantificazione numerica e altre che consentono di effettuare confronti analogici. Tuttavia, non vi è alcuna differenza di natura tra i vari tipi di tecniche di confronto, solo differenze nei gradi di precisione con cui le loro unità misurano. Sono tutte tecniche per misurare e, con ciò, confrontare oggetti ed eventi – nessuna di esse autorizza un giudizio sul valore degli oggetti misurati. Affrontiamo qui il punto controverso del processo di valutazione della produzione accademica.

Le tecniche di misurazione numerica sono abbastanza adatte per organizzare oggetti ed eventi che possono essere segmentati in unità discrete e quindi consentire loro di assegnare numeri. Nonostante la sua natura tautologica, questa affermazione non sembra sempre ben compresa quando, ad esempio, il tipo di misurazione numerica viene generalizzato indiscriminatamente ad altri oggetti ed eventi che non condividono questa stessa caratteristica. È come se le tecniche di numerazione potessero catturare proprietà qualitative degli oggetti stessi, oltre a consentire solo misurazioni e confronti attraverso associazioni arbitrarie tra unità e numeri convenzionali – un po' come, secoli fa, pensavano i membri della setta pitagorica; questi, però, con più finezza e profondità.

La controversia sulla valutazione accademica consiste nell'affermare che, contrariamente alla generalizzazione sopra indicata, le quantità numeriche non esprimono “qualità” degli oggetti e degli eventi misurati – nel nostro caso, che la quantificazione della produzione accademica non può esprimerne la qualità. Le quantità numeriche possono esprimere solo le tecniche di costruzione delle unità standard stesse, mai le qualità degli oggetti e degli eventi prodotti nell'accademia – che sono i prodotti culturali della ricerca, dell'insegnamento e dell'estensione. Ora, ciò che il provvedimento intende, in questo caso, è valutare la produzione accademica attraverso la quantificazione numerata di unità standard stabilite in maniera poco consensuale – il che, oltre ad essere controverso, è un grave errore teorico.

Infatti, entrambe le unità standard potrebbero essere molto diverse da quelle proposte, e la riduzione della qualità a unità quantitative è un'illusione filosofica che, nel XXI secolo, riecheggia le sue origini presocratiche.

Chiunque viva nel mondo accademico è ben consapevole dei vari tentativi di ridurre la qualità della produzione accademica a unità quantitative. Prenderemo solo un esempio, tra i più spettacolari, tratto dalla nuova disciplina particolarmente incentrata sul conteggio della qualità della produzione scientifica, la scientometria. Questo è il concetto di impatto. Come valutare la ricaduta culturale di un'opera accademica, il suo inserimento e la sua influenza teorica nella comunità scientifica? Per questo si è cercato di creare unità di misura indicando il numero di citazioni delle opere pubblicate. Il presupposto che guida la creazione di questo standard di misurazione è che più alto è questo numero, maggiore è l'influenza dell'opera nella comunità, maggiore è il suo impatto e, quindi, migliore la sua qualità.

Come si vede, l'errore consiste nell'assumere che le unità numerabili abbiano la capacità di esprimere qualità, per il semplice fatto di essere numerabili – avendo come corollario l'idea che numeri più grandi esprimano qualità più grandi, essendo maggiore sinonimo di migliore. Anche Eraclito avrebbe scosso la sua tomba da una tale contraddizione...

Infatti, il numero di citazioni di un lavoro pubblicato – in una rivista internazionale, in inglese, Qualis A – esprime solo il numero di volte in cui l'articolo è stato citato da altri autori in altri articoli pubblicati su riviste internazionali con pari inserimento accademico, ma non esprime, né potrebbe, esprimere la sua qualità. Il concetto di impatto non garantisce nemmeno che l'opera sia stata effettivamente letta da chi la cita, né, tanto meno, indica che vi sia stata un'adeguata assimilazione del suo contenuto da parte di chi la legge. Il numero di citazioni di un'opera esprime molto di più le circostanze sociologiche delle aree accademiche interessate, che la qualità dell'opera. Informazioni importanti per il sociologo delle scienze, senza dubbio, ma di nessuna utilità per il legislatore che intenda emanare regole di comportamento in materia di qualità. A meno che, ovviamente, il legislatore non abbia in mente l'influenza politica che può esercitare per ottenere il potere accademico.

Si noti, infatti, l'uso politico che si fa di qualsiasi strumento di misura quando si intende deliberare in modo apparentemente oggettivo sulla qualità del lavoro sociale e accademico dei soggetti interessati – deliberando e imponendo norme come criteri per la loro sopravvivenza. Qui, però, entriamo in un altro dominio che non esploreremo ora.

Sembra naturale, quindi, e anche salutare che ci sia molta polemica attorno al tema della valutazione della produzione accademica, perché se misurare è necessario per comprendere meglio il mondo che ci circonda, ci si può chiedere però se le tecniche di misurazione per quantificazione siano davvero appropriato per esprimere la qualità del lavoro accademico. E, ugualmente, quando si tiene conto della grande diversità dei saperi che compongono l'Università, ci si può anche chiedere se i criteri normativi che vengono presentati siano adeguati a questa diversità.

Se, da un lato, è necessario uniformare i criteri di confronto per poter rendere conto alla società del valore della produzione accademica, dall'altro, il problema di giudicare tale valore attraverso l'applicazione delle tecniche correnti sembra essere un ostacolo non ancora superato. Tecniche che si adattano bene a oggetti ed eventi di natura fisica, ma molto poco a oggetti ed eventi culturali o simbolici, come i prodotti dell'attività accademica. Se non riconosciamo questa difficoltà, la nuova scienza della metrica dovrebbe essere ribattezzata Scientology...

Torniamo infine ai due punti iniziali, posti come titolo di questo testo, sotto forma di due domande: valutare e misurare.

Sì, è necessario valutare la produzione accademica dell'università pubblica, sia per ragioni etiche e sociali, sia per ragioni teoriche, interne a ciascun ambito del sapere. Ma allora sorge la prima difficoltà: se, nel secondo caso, i criteri possono essere ragionevolmente consensuali, nel primo caso, al contrario, la standardizzazione degli standard di valutazione presenta una difficoltà che, ad oggi, è lungi dall'essere superata. E tale rimarrà, se gli standard adottati per la standardizzazione sono solo ed esclusivamente quelli adottati per quantificare i processi naturali – come fanno gli scienziati naturalisti della materia fisica, della chimica, dei processi biologici, ecc.

D'altra parte, se l'attività di misurazione è essenziale per conoscere il mondo naturale che ci circonda – come fanno gli scienziati naturalisti, supportati da matematici e logici – sarà ancora necessario sviluppare tecniche per giudicare la qualità dei beni culturali e prodotti simbolici che costituiscono l'attività accademica. Siamo lontani da questo.

Infine, il terzo aspetto che ci limitiamo a segnalare è l'uso politico, sociale e accademico che si può fare delle tecniche di misurazione standard. Nel nostro caso si tratta di tecniche che presentano norme per determinare la qualità della produzione accademica, norme che a loro volta vengono presentate come condizione per la sopravvivenza e lo sviluppo degli individui e delle istituzioni che compongono l'Università. Questo aspetto sarà una difficoltà per aree o gruppi accademici, così come sarà un'arma di potere per altri – come in ogni disputa politica in cui non è in gioco la collaborazione, ma solo la competizione tra pari. Da qui l'importanza di ampliare e approfondire la discussione attorno a questo tema controverso.,

* Arley Ramos Moreno (1943-2018) è stato professore di filosofia all'Unicamp. Autore, tra gli altri libri, di Introduzione a una pragmatica filosofica (Unicamp Editore).

 

Nota


[1] Permettetemi di rimandare il lettore ad un articolo in cui sviluppo alcune delle idee qui presentate in forma sintetica. Si tratta di “L'area delle discipline umanistiche nell'era dell'università tecnologica”, pubblicata nel libro Formazione umana e gestione dell'istruzione: l'arte di pensare minacciata (Cortez, 2008).

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