da LUIZ RENATO MARTIN*
Considerazioni su due tele del pittore francese
Corpi senza carne, carne e altri
Olimpia (1863, olio su tela, 130,5 x 190 cm, Parigi, Musée d'Orsay) ha valore di manifesto (alla maniera di un manifesto). Il dipinto corrisponde a corollario o sintesi dei vari ritratti di lavoratrici realizzati da Manet (1832-1883) a partire dall'anno precedente, 1862.[I] È la formulazione raggiunta del lavoro-vendita, dunque, della merce.
Tuttavia, la pittura configura una pratica e non si limita alla formulazione di idee. A tal proposito, Olimpia fa molto di più, come modo di dipingere o lavorare sulla fattura, che ritrarre la forma-merce (cosa non da poco e, per di più, mirando alla forma-merce, mostra la pittura di Édouard Manet in tangenza, anche se involontaria , con andatura di Marx): per quanto riguarda la modellazione del corpo e l'espressione di diversi significati, compie un passo decisivo verso l'elaborazione di una morfologia corporea materialista.
Partiamo dall'ultimo aspetto. Caso Olimpia, in quanto opera per il Salon (1865), fu accolta secondo gli schemi di un genere (pittorico), sarebbe come un nudo, e il nudo, si sa, costituì un tema centrale nella tradizione pittorica occidentale fin dall'antichità Grecia. Nella cultura pagana classica il nudo, come forma divinizzata e manifestazione di un'idea, alludeva all'armonia e alla perfezione della natura, mentre nel XVI secolo, durante il cosiddetto Rinascimento, l'impronta spiritualizzata del neoplatonismo cristianizzato convertì il nudo, una forma ereditata dal classicismo, in una primordiale allegoria dello spirito.
Uno studio di Erwin Panofsky (1892-1968) mostra che sulla tela di Tiziano (ca.1485-1576) Amor sacro e amor profano (Amor sacro e amor profano, circa. 1514, olio su tela, cm 118 x 279, Roma, Galleria Borghese), la figura di Venere vestita corrisponde, per il neoplatonismo, come allegoria dell'“amor profano”, ai valori inferiori, propri della bellezza immanente e sensibile. E il nudo, che funge da "amore sacro" in un tale dipinto, svolge il ruolo di "nuda verità” (verità nuda o essenziale), della bellezza intelligibile e ideale.[Ii] A "nuda verità”, come allegoria dello spirito, costituirà una figura ricorrente dell'arte neoplatonica e anche della retorica barocca. Secondo tali accezioni il nudo fu utilizzato da Botticelli (1444/5-1510), Raffaello (1483-1520), Michelangelo (1475-1564), Tiziano, ecc.
Per cominciare, è proprio il valore allegorico e spiritualizzato del nudo neoplatonico che viene satirizzato Olimpia. Come i colori della pittura di Édouard Manet – crudi, opachi e senza armonia –, anche il nudo nega il disegno classico. Il corpo concentrato non arriva, nonostante il titolo ironico – e per una buona ragione –, da figure mitologiche, ma da ragioni molto reali: la grande espansione della prostituzione a Parigi, dopo le riforme urbane attuate secondo il piano di modernizzazione e “gentrificazione”, attuato dal II Impero nella sua strategia di guerra ideologica e di classe, come mostra in dettaglio TJ Clark.[Iii]
Indubbiamente, in rottura con le regole, il nudo Olimpia segue le orme di Courbet (1819-1877), il quale, a sua volta, sembra essere stato stimolato dalla sfida lanciata da Édouard Manet – e, nell'anno successivo alla presentazione di Olimpia, 1865, dipingerà l'ormai celebre L'origine del mondo (L'origine del mondo, 1866, olio su tela, 46 x 55 cm, Parigi, Museé d'Orsay), che, come un rilancio all'asta o in una partita di poker, sembra raddoppiare la scommessa sul nudo despiritualizzato o materialistico realizzato da Édouard Manet. In una sorta di duetto con Courbet, la pittura di Manet, concentrandosi sul corpo, sottolinea anche l'aspetto fisico delle zone erogene. E, mentre altri volumi e contorni (fronte, mento, naso, zigomi) sono accuratamente definiti nella pittura conservatrice, realizzata secondo la tradizione, da un ritrattista contemporaneo come Fantin-Latour (1836-1904) – al contrario, nell'opera della fisionomia di Édouard Manet avrà spesso i suoi tratti meno rilevanti soppressi o semplificati come in una caricatura. Al contrario, labbra, orecchie, occhi, capezzoli, ecc. saranno generalmente messi in risalto da Édouard Manet, attraverso colori vivi e pennellate vigorose sulla tela. Così, diventano il centro dell'attenzione, come già visto in Olimpia. Che cosa significa? Facce levigate, organi vividi come prese elettriche?
Édouard Manet non solo rifiuta il contorno convenzionale, il modellato accuratamente disegnato alla maniera di Ingres (1780-1867), cioè la forma lineare (utilizzata insieme alle modulazioni cromatiche), per modellare i corpi e gli organi, in essi inglobati, come fornito. Ma va oltre e, con scandalo dei difensori della “buona pittura”, sostituisce la norma accettata del contorno disegnato dall'eccesso di pittura o dalla traccia del passaggio del pennello.
Vale la pena qui ricordare la feroce filippica di Charles Baudelaire (1821-1867) nel tumulto per la Olimpia, quando afferma che Édouard Manet ha aperto il ciclo della “decrepitudine” della pittura.[Iv] In effetti, la desublimazione della pittura, attraverso la sostituzione del contenuto astratto della linea con la viscerale concretezza della massa cromatica e lo “sfioramento” del pennello sulla tela, è paragonabile alla cruda sincerità del cemento armato e di altri moderni elementi architettonici che ne rivelano la struttura e le principali tensioni.
Così, la forma lineare-tonale, che nella tradizione evoca il referente in modo immaginifico, lascia il posto a una registrazione fisica (del gesto del pittore) che funge, nella descrizione del nudo di Édouard Manet, anche come cattura dell'energia psicofisica della libido che erutta dalla zona erogena in questione e acquista spessore, come a diretto contatto con il suo oggetto. Lo sguardo dell'osservatore è quindi riferito non all'immagine convenzionale o alla rappresentazione ottica di una bocca, ma alla sensazione tattile colta e permeata dalla sua valenza fisiologica, cioè dal tremore che denota la possibilità di un imminente contatto labiale. Guida orale!
Édouard Manet comincia infatti a dissociare gli organi dal corpo, che viene privato dell'unità propria dell'immagine narcisistica. Per concludere, l'approccio materialista di Édouard Manet al corpo come insieme di argomenti erogeni non solo prefigura la morfologia picassiana, ma prima ancora la lettura strutturale di Freud della soggettività come sistema-economia.
in vendita
La desublimazione pittorica della corporeità è accompagnata, in Olimpia, di innovazioni relative alla postura e all'iscrizione scenica del nudo, che attestano l'intenzione di attualizzare il valore simbolico del topos tradizionale. Anche nella descrizione degli ambienti, dei mobili e degli oggetti di scena del nudo, la pittura di Édouard Manet affronta le convenzioni della tradizione accademica e del decoro. Secondo loro il nudo classico dovrebbe adagiarsi su un letto irreale o librarsi su materiali eterei e sottolineare la condizione esclusiva di oggetto di contemplazione, indifferente agli interessi terreni. Tale era il mare nel nascita di Venere (La nascita di Venere, 1863, olio su tela, 130 x 225 cm, Parigi, Musée d'Orsay) – tela con la quale Alexandre Cabanel (1823-1889), pittore prediletto da Napoleone III, si consacra al Salon del 1863 –, oltre a quest'ordine erano tutti boschi, nuvole, ecc. che circondava le divinità accademiche. Invece l'Olympia parigina, giovane lavoratrice di piaceri non eterni, dove si sdraia?
I fogli, crudamente dipinti e in maniera quasi palpabile, sembrano pezzi di tessuto a disposizione del consumatore su un bancone. Entrano attraverso gli occhi. E data la dimensione fisica della tela (130,5 x 190 cm), su scala quasi umana, i fogli, la cui lunghezza appare anche leggermente accentuata rispetto a quella del corpo, sembrano quasi avvolgere lo spettatore.
Il primo passo nello scontro tra osservazione e schermo è, quindi, più corporeo che visivo. Prima di Édouard Manet, Courbet aveva già esteso la scala delle sue tele per ottenere un maggiore realismo. Manet accentua questo processo con l'accorciamento del punto di vista, attraverso il descritto primo piano, che sembra spingere l'osservatore verso il letto.
Oltre a tutto questo, c'è un indovinello che sfida l'osservatore e richiede una decifrazione: il letto di Olympia non solo è disposto come se fosse qualcosa di tattile, ma è anche situato molto in alto. Così, il letto sottrae il pavimento al campo visivo e, quindi, annulla la mediazione spaziale che, nella tradizione – quella del primo piano con il pavimento in vista –, si frappone tra l'osservatore e la scena pittorica.
Per valutare la manovra di Édouard Manet, l'osservatore attento alla storia del dipinto potrà confrontare la situazione di Olympia con quella di Madame Récamier – dell'omonimo dipinto (Ritratto di signora. Récamier, 1800, olio su tela, 174 x 224 cm, Parigi, Musée du Louvre), di David (1748-1825) –, anch'essa sistemata e distesa su un mobile, da vedere. Le proporzioni sono molto diverse e sorprendenti. Non c'è nemmeno bisogno di tornare al caso precedente per sentire l'effetto fisico creato da Manet. Dopotutto, che tipo di letto è questo sotto Olympia?
nuova intimità
Si distingue così tanto negli occhi che richiede un'attenzione particolare. Oltre a eclissare il pavimento, il letto ruba la scena, cattura lo sguardo, diventa, per così dire, una sorta di piedistallo; finisce per interagire con gli accessori della seduzione (fiore tra i capelli, girocollo, bracciali, pantofole di raso e tacchi), anch'essi messi in risalto. Tutto evoca l'esposizione della merce in una vetrina, su un bancone o in una pubblicità.
Presentata a grandezza naturale, esposta visibilmente e quasi a portata di mano, Olympia è vicina e in “tempo reale” o online, cancellando ogni senso di spazio reale. In questo modo si presenta come merce in vendita e anche manichino, oggetto in vetrina. Personifica la cifra del commercio, il trucco del mestiere, la cui arte, la seduzione organizzata del self-service (dai grandi magazzini già implementati a Parigi) diffonderebbe:[V] fai mormorare la merce dallo scaffale o dalla vetrina e sussurra all'intimo del passante che è solo tua. Colti di sorpresa, senza la protezione dell'intelletto, processati prima che il giudizio se ne accorga, quelli che passano, spiano con ammirazione e, se ne hanno i mezzi, penetrano nel paradiso del consumo.
Il confronto punto per punto con la tela di David dimostra la precisione della mira di Édouard Manet, l'intelligenza con cui analizza pittoricamente la seduzione della merce. Nella tela di David, realizzata all'ombra del colpo di Stato del 18 Brumaio (1799), cioè nel pieno dell'ascesa al Consolato di Bonaparte e in un'epoca in cui erano ancora presenti i ricordi della Rivoluzione e l'ideale dell'uguaglianza molto vivo, ciò che si stagliava, in primo piano, era lo spazio freddo che circondava il ritratto, uno spazio virtualmente astratto – che contrastava con i caldi primi piani delle tele di David del periodo rivoluzionario: Marat assassinato/ [Marat al suo ultimo respiro] (Marat Assassinato/ [Maratà son Dernier Soupir] (1793, olio su tela, 165 x 128 cm, Bruxelles, Musées royaux des beaux-arts) e altri.[Vi] Infatti, Juliette Récamier (1777-1849), moglie del banchiere che organizzò il piano finanziario per sostenere il golpe bonapartista, fu una figura emblematica del popolo parvenu e ricco salito al potere a Termidoro e che continuò a comandare durante il Direttorio (1795-1799) e successivamente, in Consolato (1800-1804), e così via.
D'altra parte, nella disposizione e nei modi del carattere di Olimpia, ciò che emerge è un nuovo fenomeno, molto caratteristico di Parigi sei decenni dopo. Molto più vicino all'occhio di Mme. Récamier, Olympia provoca in chi la vede uno stato ambivalente, simile a quello del passante sotto il magnetismo dell'oggetto in vetrina, controbilanciato dal prezzo come condizione di accesso.
Édouard Manet è riuscito a costruire l'atteggiamento di Olympia in termini ambigui, proprio come il dinamismo delle merci esposte che riempiono lo sguardo, ma impongono delle condizioni. Il sorriso, intrappolato dalle labbra, vibra nella mano – “sfacciatamente serrata”, nelle parole di un critico dell'epoca – che copre e svela, beffandosi di chi guarda. A questo si aggiunga l'espressione tra l'invitante e il reticente, i seni aperti, una mano rilassata che permette, un'altra decisa che impedisce. Viene allestita una scena di promesse e allo stesso tempo di richieste e precondizioni: la scena del negoziato.
negoziare
I parigini conoscevano già il fascino sistematico della merce. Negli anni Quaranta dell'Ottocento, Balzac (1840-1799) proclamava: “Il grande poema delle vetrine canta a memoria le sue strofe, dalla Madeleine alla porta Saint-Denis [Le grand poème de l'étalage cantano ses strophes de couleurs depuis la Madeleine jusqu'à la porte Saint-Denis] ”.[Vii] Infatti, nel 1855, dieci anni prima del Olimpia, il positivista Taine (1828-1893) disse, a proposito dell'Esposizione Internazionale del 1855: “L'Europa si mosse per vedere le merci [L' Europa s'est déplacée pour voir des marchandises] ”.[Viii] E due anni dopo Olimpia, l'esposizione internazionale del 1867 raggiungerà il numero di 52.000 espositori.
Mona Lisa dell'era delle merci, il carattere di Olimpia ha un aspetto simile a una sfinge, ma con uno sguardo molto diverso dalla modestia dei nudi classici. Lo sguardo di Olympia, indifferente al bouquet del primo interessato, entra in contatto diretto con quello del passante e si dichiara un'offerta.
Questo tipo di sguardo, ma senza la scena di negoziazione molto esplicita, si ritrova anche in molti altri dipinti di Manet. In esse lo sguardo frontale, e in generale femminile, accorcia la distanza tra la tela e lo spettatore; definisce il primo piano come se fosse in comunicazione diretta e istantanea con lo spettatore. È il caso di una serie di dipinti, realizzati a partire dal 1862 (anno di una grande fiera internazionale), anteriori alla Olimpia.
Né intimo né estraneo, questo sguardo fondato su un legame apparentemente spontaneo e istantaneo – ma, in realtà, organizzato e messo in scena, come ci fa vedere Manet – opera nella nuova prossimità, nata dalla circolazione, che è anche quella dell'intensa esibizione di merci. e persone. Segna il vicinato tra estranei, che è proprio dello scambio di interessi.[Ix]
Questo regime stabilisce lo spazio flessibile della transazione: si avvicina allontanandosi e si allontana avvicinandosi. Organizza le parti per la negoziazione. Intesse legami flessibili secondo la misura negoziata delle possibilità, secondo gli interessi di ciascuno, plasmati allo scambio.
Se Édouard Manet disseminava tale sguardo in tante sue figure, è perché misurare e negoziare non erano doti peculiari, ma proprie di ogni passante di Parigi – città ordinata dalle riforme del barone Haussmann (dipendente di Napoleone III ), come teatro o regno di merci. Marx, noi Manoscritti del 1844, ha utilizzato la figura della prostituta come metafora o “espressione specifico della prostituzione generale del lavoratore [particolare espressione della prostituzione generale du travailleur]”,[X] condannato a vendersi come forza lavoro.
Édouard Manet istituisce un simile confronto, ponendo lo sguardo della prostituta in dialogo con qualsiasi osservatore. L'immagine che pretende di osservare l'osservatore, come il bene in vetrina, provoca nell'osservatore interlocuzione e reciprocità.
Il campo dell'esperienza dell'arte e quello del piacere estetico si intrecciano con il voyeurismo, la negoziazione visiva dei beni offerti, il prezzo da pagare e la feticizzazione del bene visivo. In termini che implicano nel gioco estetico lo stesso tipo di gioco che si svolge nelle strade, Olimpia pone le basi per una riflessione sul negoziato – causa ultima dell'assetto generale della nuova Parigi. Pone l'arte come forma di riflessione totalizzante e rivela forze e nuovi circuiti di relazioni.
Economia politica
Un tempo carattere di sintesi e manifesto di Olimpia, si chiariscono basi e termini (aspetti di un certo processo storico) dello svuotamento della soggettività, ritratte da Édouard Manet.
Due decenni dopo, il pittore tornerà sui temi dello sguardo e della negoziazione, della compravendita in generale e dello spazio mediato dalla forma merce. Ma poi l'elemento giocoso coinvolto nella disposizione di Olympia per un affare o un contratto sarà scomparso. La nuova scena, dotata di più segni di ricchezza, ma inequivocabilmente triste, è stretta tra termini ineguali.
Questa è una nuova immagine dell'enigma o un'immagine del labirinto: Un Bar aux Folies-Bergère (Un bar delle Folies-Bergère, 1881-2, olio su tela, 96 x 130 cm, Londra, Courtauld Institute Galleries). Il titolo si riferisce a un locale alla moda, di nuova apertura. Tuttavia, nella misura in cui il nome letterale della casa dei divertimenti è qualcosa come "fantasie pastorali", il titolo implica, come Olimpia, una serie di allusioni all'Arcadianesimo e, quindi, al Classicismo.
L'indovinello riprende un motivo cruciale per Édouard Manet: il senso storico. Ancora una volta, si tratta della distinzione tra il classicismo o il mondo mentale passato e la modernità o il mondo così com'è nella sua disposizione materiale. La tensione investe anche il taglio ottico, dato il complesso labirintico delle immagini riflesse nello specchio, e intervallato nel quadro di Édouard Manet da immagini pittoriche allusive a referenti concreti: l'inserviente e il suo armamentario, con vistose confezioni in offerta sul bancone. Nella scena semi-impressionista, densa di immagini e riflessioni, lo spettatore impiegherà un po' di tempo per orientarsi. È il tempo che la composizione (pur schivando) ti concede, invece, per pensare.
Il complesso moltiplica le suggestioni visive – e, si direbbe, all'osservatore di oggi sembra anticipare il paesaggio urbano della pubblicità. Pone una sfida al realismo ingenuo che si basa sulle apparenze e quindi fa appello all'intelligenza. Dov'è la verità, cosa suppone questa scena e cosa rivela alla fine?[Xi]
Passiamo ai fatti narrati. Il dramma posto è quello della contrapposizione tra uno sguardo sbiadito e caduto, quello del protagonista, e le cose che si accendono: bevande, frutta, ecc., insomma merci che saltano alla vista, apparentemente dotate di un vita propria. La tela presenta così una contraddizione: gli opposti reciprocamente determinati, la contraddizione inscritta in una situazione. Nella scena, l'inserviente guarda un osservatore, un potenziale acquirente, che si lascia vedere obliquamente nello specchio. Lo sguardo triste dell'inserviente, completamente svuotato di sé, non porta più la vivacità di chi fa affari per conto proprio e si avvale del "lavoro gratuito", come accadeva con Olympia, la zingara, l'artista di strada, la spagnola Lola, o con la già citata Nana – tutte immagini di forme in vendita e, allo stesso tempo, personaggi di lavoratrici “autonome”.
Non più in grado di trattare e contrattare, circondata da merci e immagini che fluttuano nello specchio, l'inserviente sola e in mezzo alla folla – astratta e presuntuosa, sintesi del mercato – rivela la malinconia di chi sa di essere solo un collegamento anonimo, astratto e quant'altro in mezzo a un traffico intenso. Lo sguardo vacuo, le mani apatiche, poste sul bancone, per servire il piacere e il guadagno altrui, sopportano le manette invisibili di chi – perché vive di “libero lavoro” e senza altri mezzi per sé – si mette in vendita . È solo un residuo di sentimento, un processo di mancanza aperta, energia soggettiva, lavoro vivo soppresso, trasmutato in quanto di lavoro astratto portato al bancone, come altri beni.
Édouard Manet, che aveva già ritratto la merce, ha elaborato la sua ciondolo e corollario: ha svolto, attraverso l'esposizione degli opposti, un'analisi dialettica del sistema scenico del valore e della circolazione, dello scambio e del consumo, del lavoro in vendita, vedovo della sua umanità.
potenza femminile
Già alle prese con l'atassia, malattia dalla quale sarebbe presto soccombere, Manet completò qui il suo ultimo lavoro-sintesi – anche se, malato e immobilizzato, continuò a dipingere ancora per qualche tempo, generalmente fiori in vaso, fiori della (sua) malattia ., toccante e molto materico.
In sintesi, il dipinto in questione, a grandezza naturale (96 x 130 cm) davanti alla scena che rappresenta, costituisce un pannello. Piccolo murale, porta la dimensione degli specchi da parete, corrente nei caffè parigini. Funziona anche come poster o affiche, pubblicità della vita cittadina. Cosa dice? Sul bancone, in primo piano, merce luccicante. Sullo sfondo, astratta, l'immagine di un osservatore/consumatore e la folla che compone il mercato. Al centro, lo sguardo dell'inserviente, vago ricordo, drammatico residuo di umanità abolita.
La contraddizione, fulcro del dramma il cui ricordo rimane negli occhi dell'assistente, è anche il filo di Arianna che permetterà allo spettatore di uscire dal labirinto, se assumerà l'opera come riflessione dialettica totalizzante. Non è una scena leggera, sui costumi banali, come facevano gli impressionisti, ma un quadro storico, un murale insieme epico e tragico della vita moderna, come voleva Charles Baudelaire, e anche un efficace momento mnemonico del dialogo di Édouard Manet con il suo amico scomparso.
Non so se Édouard Manet abbia letto Marx – sono morti entrambi nello stesso anno. Comunque, Un bar delle Folies-Bergères può essere visto come il corollario dell'opera del pittore, sulla vita nella città mercato – immenso deserto, riempito solo di immagini, e tra l'altro attraversato da colonne di nomadi.
Se Olimpia portava ancora nella sua ambiguità un accenno di ambivalenza riguardo alla reciprocità e all'esito, fin da allora Un pub…, nella contraddizione che enuncia, esprime pienamente la fine del mito della libera negoziazione. Sottolinea la base mitica della società liberale come violenza tra disuguali e ribadisce che il lavoro è affare delle donne.
*Luiz Renato Martins è professore-consulente di PPG in Storia economica (FFLCH-USP) e Arti visive (ECA-USP). È autore, tra gli altri libri, di Il complotto dell'arte moderna (Haymarket/HMBS).
Una precedente versione di questo articolo è stata pubblicata, con il titolo “Due scene sulla merce”, sul numero 54 della rivista Critica marxista. Il testo attuale corrisponde all'originale (in portoghese) del cap. 8, «Deux scènes à propos de la cartandise», dal libro La Conspiration de l'Art Moderne et Other Essais, edizione e introduzione di François Albera, traduzione di Baptiste Grasset, Parigi, edizioni Amsterdam (2024, primo semestre, proc. FAPESP 18/26469-9).
note:
[I] Vedi, ad esempio, Victorine Meurent (1862, olio su tela, 43 x 43 cm, Boston, Museum of Fine Arts), Il cantante di strada (La Chanteuse de Rue, 1862, olio su tela, 175,2 x 108,5 cm, Boston, Museum of Fine Arts), Zingaro con una sigaretta (Gitane con una sigaretta, 1862, olio su tela, 92 x 73,5 cm, Princeton, Princeton University Art Museum), Lola di Valenza (1862, olio su tela, 123 x 92 cm, Parigi, Musée d'Orsay).
[Ii] Vedi PANOFSKY, Erwin. Il movimento neoplatonico a Firenze e nel Nord Italia (Bandinelli e Tiziano). In: idem, Studi di iconologia: temi umanistici nell'arte del Rinascimento. 1a edizione [1939]. Boulder (Colorado), Icon Editions, 1972, p. 126.
[Iii] Vedi TJ CLARK, “Preliminaries to a possible treatment of 'Olympia' in 1865” (1980), in Francis FRASCINA e Jonathan HARRIS, L'arte nella cultura moderna/Antologia di testi critici, Londra, Open University/ Phaidon, 1992; vedi anche idem, La pittura della vita moderna/Parigi nell'arte di Manet e dei suoi seguaci (1984), New Jersey, Princeton, University Press, 1989; Modern Life Painting/Parigi nell'arte di Manet e dei suoi seguaci (1984), trad. José Geraldo Couto, San Paolo, Editora Schwarcz, Companhia das Letras, 2004.
[Iv] "(...) tu sei solo il primo nella decrepitezza della tua arte [Vous n'êtes que le premier dans la décrépitude de votre art ]” (corsivo nell'originale). Cfr. Charles BAUDELAIRE, “165. A Édouard Manet/ [Bruxelles] Jeudi 11 maggio 1865”, in idem, corrispondenza, choix et présentation di Claude Pichois e Jérôme Thélot, Parigi, Gallimard, 2009, pp. 340.
[V] Cfr. Walter Benjamin, “Paris, capitale du XIX siècle/ Exposé” (1939), in idem, Écrits Français, introduzione e note di Jean-Maurice Monnoyer, Parigi, Gallimard/ Folio Essais, 2003, pp. 371-400.
[Vi] Cfr. LRM, “Tracce di voluttà”, in idem Rivoluzioni: poesia dell'incompiuto, 1789-1848, vol. 1, prefazione François Albera, São Paulo, Ideias Baratas/ Sundermann, 2014, pp. 119-38.
[Vii] Cfr. Honoré de BALZAC, apud W. BENJAMIN, “A. Fourier o les passages”, in idem, on. cit., P. 376-7.
[Viii] Cfr. Ipollite TAINE, apud W. BENJAMIN, “B. Grandville ou les expositions universelles”, idem, on. cit., P. 381.
[Ix] Nana (1877, olio su tela, 150 x 116 cm, Amburgo, Kunstalle), è in effetti un punto di riferimento unico e significativo del percorso pittorico ora in analisi, che si occupa della rappresentazione delle donne al lavoro. In linea diretta con Olimpia, puntando sull'aspetto ostensivo del personaggio del titolo, proprio della forma merceologica (come quella del personaggio Olympia), la tela Nana, dopo essere stato rifiutato dal Salon, fu subito installato da Manet in una vetrina rivolta direttamente ai passanti, nella galleria Giroux, sul boulevard des Capucines. Secondo Julie Ramos, Manet avrebbe, inoltre, aggiunto riguardo Nana: «Il corsetto di raso è forse il nudo del nostro tempo [Le corset de satin, c'est peut-être le nu de notre époque]», apud Julie Ramos, « Nudo » (verbo) in Éric Darragon, Laurent Houssais, Julie Ramos, Bertrand Tillier, L'ABCdaire de Manet, Parigi, Flammarion, 1998, p. 89.
[X] Karl Marx e Friedrich Engels, Economia e filosofia. Manoscritti parigini 1844, in: Carlo MARX, Filosofia, Parigi, Folio Essais, 1994, trad. Jean Malaquais et Claude Orson, p.145 nota a (Lavori, Berlino, Dietz Verlag, 1960, V, X2, 1) apud Susan Buck Morss, La dialettica del vedere/ Walter Benjamin e il progetto Arcades, Cambridge (MA), The MIT Press, 1991, pag. 430; vedi anche pp. 184-5.
[Xi] Per il lettore interessato a consultare interpretazioni alternative al riguardo, e che assumono il quadro come un labirinto ottico, si veda, ad esempio, Thierry de DUVE, “How Manet's Un bar al Folies-Bergère è costruito”, in Indagine critica 25, autunno 1998, Chicago, The University of Chicago, 1998; e anche Jack FLAM, Manet/ Un bar aux Folies Bergère ou l´abysse du miroir, trad. J. Bouniort, Parigi, L'Echoppe, 2005.
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