Elza Soares

Immagine: Regina Silveira
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da HENRY BURNET*

Commento sull'album appena pubblicato "Elza Soares & João de Aquino”

Quante volte una donna può reinventarsi? Nel caso di Elza Soares, la domanda non solo fa eco alle sue infinite resurrezioni, ma ci costringe anche a cercare di capire la sua dimensione estemporanea, perché il “nuovo” album della cantante, in duo con il chitarrista João de Aquino, è stato registrato nel 1990, solo poco fa di 30 anni. In esso, fin dal primo ascolto, è di questo che si tratta, abbiamo una tragica reinvenzione fuori dal tempo.

Prima che il lettore pensi che si tratti della “tragedia di Elza Soares”, cioè della sua vita “miserabile”, “sofferente” e “disperata”, vi avverto che tutti questi aggettivi servono solo a farci capire che questa tragica l'esperienza è sempre servita da motto per il suo incalcolabile potere di emergere innumerevoli volte, perseguitando il paese conservatore che lo ospita senza inghiottirlo, lo stesso Brasile che non aveva e forse non ha ancora un'idea completa di quale sia la sofferenza che afferma la vita invece di negarla, cioè che non conosce Elza Soares. La testimonianza di questa percezione è nietzscheana, con tutto l'inchiostro della giovinezza impetuosa del filosofo che capovolse il senso del tragico.

In lui, come in lei, la vita è l'unica materia dell'arte e del pensiero, poiché è nel corpo che si gioca ogni partita, è la carne che soffre e si trasfigura davanti ai contemporanei attoniti. Intorno a loro la morte gira sempre intorno a tutto come una compagnia che non dà tregua, ma questa finitudine, che tutti devono negare e che atterrisce e turba vite vuote, rifonda la loro quotidianità come alleata allo stesso tempo stupefacente e affermativa.

Nel mio brano preferito, "Hoje", di Taiguara [chi altro se non un altro potente deviante?], Elza recita: "Porto nel mio corpo i segni del mio tempo / La mia disperazione, la vita in un momento / Il pozzo nero, la fame, dolore, la fine del mondo”. Triste? Nella stessa canzone, la risposta a questa angoscia la capovolge: “Ah, fortuna/ non volevo che la mia giovinezza si perdesse così/ non volevo andare in giro morendo per la vita/ non volevo amare così/come se ti amassi”. La sofferenza non è una scelta, le fatiche superate non sono volontà sublimate.

Tutto in fondo compone un destino ineludibile che non è solo suo, ma di tutti gli esclusi da questo triste Paese che oggi non nasconde più l'orgoglio della sua miseria – e, in fondo, che fortuna è? la vita stessa. Elza si è rivolta a tutti noi per decenni cercando di risvegliarci dalla nostra apatia nazionale sfoggiando la forza della sua vita; nessun effetto complessivo.

José Miguel Wisnik ha espresso la sua impressione dell'album sul suo Instagram: “Ad un certo punto negli anni '1990 sono andato al Sesc Pompéia per vedere uno spettacolo di Elza Soares con il chitarrista João de Aquino. Elza si era ritirata dal mondo da circa dieci anni, dopo la tragica morte del figlio con Mané Garrincha. Lungo la strada, ho pensato che avrei visto e sentito niente di meno che lo splendido cantante del museo della samba. Ma quello che è successo lì è stata un'esperienza indimenticabile e inquietante, che avrebbe aperto strade inaspettate nella mia vita. Chi c'era su quel palco era una delle cantanti più straordinarie del nostro tempo, alzava la voce con una vertiginosa molteplicità di registri, navigava sulle particelle del ritmo come chi domina la danza degli elettroni e scendeva nelle profondità abissali delle canzoni con un'intelligenza unica […] Quello che sarebbe successo dopo era già lì, la dura caduta che ci ha fatto venire la pelle d'oca dal coccige al collo, la cantante del millennio, la donna alla fine del mondo che rinasce per un'altra delle sue settemila vite. Pensavo che quella notte sarebbe rimasta per sempre solitaria nella mia memoria ardente. Ma ecco che arriva questo regalo inaspettato, l'album Elza Soares & João de Aquino, catturando quel momento intatto”.

Ecco la chiave del suo commento: la morte e la musica sono sempre unite in un'opera che insiste nel rimanere viva, interpretando il Brasile dall'interno di un'esperienza unica. Non è un caso che la maggioranza assoluta dei compositori registrati nell'album sia di colore. Quando non lo sono, come Chico Buarque, di cui Elza canta “Meu guri”, descrivono personaggi che lo sono. Un altro esempio è la grande rivelazione dell'album, la registrazione di “Como uma onda” (Lulu Santos e Nelson Motta), che esce non come un successo in FM, ma come una riflessione sul tempo, aleggiando sugli altri brani come guida .

La verità è che non si sente nessun disco che possiamo definire medio, nemmeno una singola canzone fuori posto. L'album avrebbe potuto essere registrato oggi allo stesso SESC Pompéia, dato il suo vigore e la sua atemporalità. La superba chitarra di João de Aquino è precisa e stridula: come puoi accompagnare Elza senza esserlo? – e fa da cornice a una sfilata di gioielli della canzone brasiliana, infilati insieme alla perfezione, molti dei quali non si sono mai sentiti nella sua voce. Proviamo un approccio uno a uno.

(1) “Drão” (Gil) apre il disco affermando l'amore e tutte le sue contraddizioni. Come non ricordare gli amori ei giudizi sociali di Elza che subì come emarginata sotto la ristretta moralità di una... società religiosa? “Devi morire per germogliare” questo seme di illusione che ha sempre coltivato.

(2) “Canário da terra” (João de Aquino & Aldir Blanc) arriva avvertendo che “Ci manchi / Ma va bene così”. È il futuro che conta, lo sguardo avanti, la rinascita quotidiana. I testi di Aldir fanno parte della galleria delle sue cronache più raffinate, al pari di “Rancho da Goiabada” e “Incompatibilidade de genios”. Ma lascio al lettore la frase profetica e il suo rapporto con il nostro recente mondo giuridico: “Invece del privato / Fughe di notizie / L'onore si compra all'asta”.

(3) "Hoje" (Taiguara) è la canzone di punta dell'album, il più rivelatore dei motivi tragici qui suonati. Sembra che sia stato scritto per lei, come lo saranno tanti da allora in poi. È uno choc sentire da lei in questi giorni il verso “Oggi uomini senza paura attraccano al futuro”. Speriamo fosse una predizione di questa strega tante volte bruciata e rinata come la fenice. La sua presenza in Brasile oggi è imperativa.

(4) “Rallenta con i piatti” resta bloccato sulle piattaforme per motivi legali.

(5) "Super Homem, the song" (Gil) è un'altra rarità nella voce di Elza, ma non è casuale. L'intramontabile Gil trova in Elza una delle massime espressioni per la sua mascolinità trasversale, anticipata di decenni ai movimenti in voga.

(6) "Antonico" (Ismael Silva), registrato quasi 20 anni dopo che Gal lo aveva registrato nell'album classico Fatale, 1971 – che compie 50 anni! – rimette la canzone sotto un altro focus; l'accento bossa nova della baiana lascia il posto ad un arrangiamento vicino al choro-canção, con una superba interpretazione semioperistica di Elza, in uno dei momenti più alti dell'album.

(7) “Meu guri” (Chico Buarque), già citato, serve come una sorta di incorporazione di una lettura della realtà che oggi ci permette di vedere il compositore come il più grande interprete del paese attraverso il canto. Elza è d'accordo con questa forza critica, prestandogli la piena connessione tra Chico e il paese della delicatezza perduta.

(8) “Mambo da Cantareira” (Barbosa da Silva & Eloi de Warthon) è un classico quasi dimenticato. Un mini trattato sulla situazione sociale di Rio, gli spostamenti subiti da chi lavora a Madureira, viaggia a Cantareira e vive a Niterói, in testi umoristici ma sarcastici. Quali persone sono più capaci di unire tragedia e vita dei Carioca?

(9) La "gioventù fuorviata" (Luiz Melodia) era inevitabile. "Una donna non dovrebbe vacillare", semplice come quello. Melodia è eterna adesso, ma per lei lo era 30 anni fa.

(10) “I dreamed you were so beautiful” (Francisco Matoso & Lamartine Babo) è un gioiello registrato da Francisco Alves nel 1941, reinventato da Elza in un altro indescrivibile momento di interpretazione. Come João Gilberto, coglie la canzone dal fondo del tronco e la rivela fresca come l'erba mattutina, senza traccia di polvere.

(11) “QueMaravilha” (Jorge Benjor & Toquinho) è la solita festa quando si tratta di Jorge Ben. Le percussioni suonate, pare, dallo stesso Aquino siano la salsa fatale di questo canto di gioia che attraversa il tempo senza invecchiare.

(12) “Like a wave” (Zen surfismo) (Lulu & Nelson Motta) si ascolta in un registro unico, liberato dalla sua condizione di colpire (che era già nel 1990), può essere ascoltato di nuovo per la prima volta come un balsamo, una fede nel motto che "tutto cambia continuamente nel mondo"; Il 2022 ha bisogno più che mai della voce di Elza Soares. La sua voce racchiude la forza politica di un secolo e oltre.

(13) In “Cartão de Visita” (Edgardo Luis & Nilton Pereira) Elza canta ripetutamente il verso “Ho dato tempo al tempo / è passato / e tu non sei cambiato / ora è troppo tardi…”. Per chi ancora non ha capito fin qui, lo cambio da ragazzini: sembreremo sempre fermi mentre la carovana di Elza Soares ci passa davanti.

Ovunque tu sia nel tempo, sarà sempre oltre.

*Henry Burnett è professore di filosofia all'Unifesp. Autore, tra gli altri libri, di Specchio musicale del mondo (Fi Editore).

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