da PRODUZIONE MARIAROSARIA*
Considerazioni sul film “Assassinio di un innocente”, di Mauro Bolognini.
nel romanzo Petrolio (1992), lasciato incompiuto e pubblicato postumo, Pier Paolo Pasolini racconta così l'inizio degli anni '1970 nel suo Paese: “L'Oriente arabo, in realtà, sembrava l'Italia. Era solo il sedici o il diciassette marzo, ma la primavera era così avanzata che sembrava piena estate. […] A Milano, è vero, il tempo era grigio, nonostante il caldo […]. Ma lì l'oriente aveva altre forme: pochi giorni prima era stata combattuta una battaglia tra i gruppi extraparlamentari e la polizia (mentre i fascisti avevano tenuto tranquillamente il loro comizio, credo, con Birindelli e Almirante,).
I gruppi extraparlamentari avevano organizzato quello che sarebbe stato poi considerato, appunto, il primo scontro di “guerriglia urbana” in Italia: tutto quello che l'aveva preceduto era casuale e amatoriale. La gioventù di Lotta continua,, tecnicamente, erano armati e organizzati quasi come un piccolo esercito, ecc. Il Milan portava ancora i segni di quel confronto; e il fumo delle bombe incendiarie e dei gas lacrimogeni sembrava non essersi ancora dissipato., Poi venne la notizia della morte di Feltrinelli: l'immagine della torre di trasmissione, ai piedi della quale Feltrinelli morì, divorò ogni altra immagine reale che il corso della vita iniziò presto a offrire come alternativa consolatoria [...]. E poi è arrivato il tempestivo comunicato, firmato da un gruppo di intellettuali, con la dichiarazione che era stato assassinato dai fascisti – o meglio, probabilmente da un'organizzazione non italiana, cioè la CIA – per creare un clima favorevole alla proprio alle elezioni imminenti., […] Fu la morte di Feltrinelli, dunque, a dare all'Italia un'aria orientale, quasi palestinese, nei fatti, nelle cose, nei corpi, negli aspetti della vita, nell'aria.,; ma allo stesso tempo gettava su di esso una luce di esasperante novità.
Il quadro socio-politico descritto dal narratore pasoliniano fa da sfondo ai film italiani girati in quel periodo, tra cui Imputazione dell'omicidio di uno studente (Assassinio di un innocente), di Mauro Bolognini, e Sbatti il mostro in prima pagina (Il mostro in prima pagina), di Marco Bellocchio, entrambi del 1972. Come ho già analizzato l'opera di Bellocchio nell'articolo “Quei pochi minuti in cui la storia entrò nella finzione” (pubblicato sul sito la terra è rotonda il 30 novembre 2021), in questo testo mi concentrerò sul film del regista toscano.
Assassinio di un innocente può essere considerato un'opera anomala nella filmografia di Bolognini. Fino ad allora, il cineasta si era distinto per aver diretto per lo più commedie – sia all'inizio della sua carriera che negli anni Sessanta, quando il cinema italiano, per sopravvivere, aveva imboccato la vena del film a episodi – e anche per essersi dedicato a la trasposizione sullo schermo di opere letterarie, soprattutto attraverso la collaborazione con un giovane sceneggiatore, Pier Paolo Pasolini. Oltre ad essere anomalo, Assassinio di un innocente inoltre non si adattava bene a generi prestabiliti. Era un poliziottesco o faceva parte del cinema di impegno politico?
O poliziottesco, cioè la versione italiana del film poliziesco, apparso “ufficialmente” nel 1972 con La polizia sta suonando (La polizia ringrazia), di Stefano Vanzina, ma se ne può considerare il prototipo La polizia incrimina la legge risolve (La polizia incrimina... la legge assolve, 1973), di Enzo G. Castellari., Sebbene più allineato con gli ideali conservatori, il poliziesco all'italiana non ha cessato di essere caratterizzato da una forte carica politica, dalla contestazione costante del stabilimento. Infatti, questo genere che si è distinto negli anni '1970 e '1980, se da un lato, come afferma Davide Pulici, è stato il risultato di “un massiccio lavoro di trasferimento e adattamento dell'arsenale occidentale ai contesti urbani attuali”, invece, secondo FT, si nutriva di “film d'azione che venivano dall'altra parte dell'oceano, come La connessione francese (Operazione Francia, 1971), di William Friedkin, o Dirty Harry (implacabile inseguitore, 1971), di Don Siegel” e la natura impegnata di produzioni come Confessione ad un questore della Procura della Repubblica (Confessioni di un commissario di polizia al pubblico ministero, 1971), di Damiano Damiani, e Informarsi su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Inchiesta su un cittadino irreprensibile, 1969), di Elio Petri.
Se l'impresa di Castellari ha rappresentato il prototipo di poliziottesco, quello di Petri può essere considerato il punto zero del cinema politico italiano, essendo un film che “rispondeva all'esigenza di spostamento a sinistra della media borghesia italiana”, secondo Gian Piero Brunetta. I due generi rispecchiavano le aspirazioni di quella società nel passaggio dagli anni Sessanta al decennio successivo, ma presero strade diverse, perché, mentre il primo accentuava “il suo carattere di azione e di rappresentazione della violenza, divenendo genere reazionario per eccellenza”, il in secondo luogo, “seppur per breve tempo, sembrò avere tutte le carte in regola per una visione progressista e democratica”, sempre nelle parole di Brunetta.
Secondo Angela Prudenzi ed Elisa Resegotti, organizzatrici di Cinema politico italiano – anni '60 e '70 (2006), questo genere era composto da registi che “osservavano la realtà italiana da un punto di vista estremamente etico”, cioè “autori che, mossi da un profondo desiderio di giustizia – nella maggior parte dei casi derivato da personale impegno politico e/o collettivo –, con le loro opere, hanno segnato profondamente il panorama intellettuale italiano e, allo stesso tempo, hanno prodotto un grande impatto sulla cultura internazionale”. Una definizione piuttosto vaga, in quanto potrebbe essere applicata a buona parte della produzione italiana dal Neorealismo in poi, così come è imprecisa la lista dei cineasti da loro elencati – Mario Monicelli, Dino Risi, Carlo Lizzani, Damiano Damiani, Francesco Rosi, Vittorio De Seta, Elio Petri, [Paolo] e Vittorio Taviani, Giuliano Montaldo, Francesco Maselli, Ettore Scola, Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci e Roberto Faenza –, come molti di loro potrebbero inserirsi anche in altri filoni, come il Neorealismo (sebbene nella sua agonia), la commedia all'italiana, la new wave del cinema italiano o il poliziottesco. E, infatti, gli autori includevano film prodotti tra il 1960 e il 1979, allargando di quasi un decennio lo spettro del cinema politico.
Mauro Bolognini non fa parte di questa lista, ma gli autori, oltre ai quattordici registi deponenti, hanno intervistato anche Ugo Pirro, sceneggiatore di molti dei film del cinema impegnato, tra cui quelli di Elio Petri, il suo sodalizio più importante negli anni tra il decennio degli anni Sessanta e Settanta. , E Ugo Pirro, insieme a Ugo Liberatore, ha sceneggiato il film del 1972 del cineasta toscano. Sebbene ignorato come lavoro impegnato, Assassinio di un innocente comprende Il vero poliziottesco, di Tania Di Massimantonio (2015), come esponente di quelle conquiste che contestarono la “grande famiglia giudiziaria”,, rappresentata sia da magistrati che da poliziotti, nell'esecuzione di una giustizia “lontana, strappata, deviata o rinviata”.
E infatti, nel tempo, l'inclusione di Assassinio di un innocente nel filone del cinema politico si è imposto, spinto anche dalla sua accoglienza in Francia, dove è uscito tardi: in dvd, nel 2009, e, nelle sale, nel 2015. Anche se alcuni critici – come tanti, nel fervore il momento – ancora allietare il naso per questa realizzazione bologniniana, negli anni il film ha acquisito nuove letture legate soprattutto alla sua trama, il cui antefatto, i continui scontri che hanno caratterizzato i travagliati anni di piombo in Italia, è stato scrutato da Pirro e Liberatore con uno sguardo carico di intenti politici e sociologici.
Durante un violento scontro tra polizia e studenti di architettura dell'Università di Roma che sostengono una manifestazione per alloggi a prezzi accessibili in Borgata Focene (un sobborgo della capitale italiana), ciascuna parte subisce una vittima. L'inchiesta, però, è dedicata solo a scoprire chi ha ucciso il poliziotto e l'accusa ricade su Massimo Trotti, quando, in realtà, il colpevole è Fabio Sola, figlio del giudice che si occuperà del caso. Il giovane, all'insaputa dei suoi genitori, aderisce a un gruppo di estrema sinistra e, in nome di questi ideali, trasmette addirittura ai suoi compagni informazioni copiate, in piena notte, dal dossier sul caso, che suo padre aveva portato a casa per continuare a esaminare il fascicolo.
Nonostante un'intera carriera dedicata al servizio del sistema, Aldo Sola comincia a mettere in discussione sempre di più la volontà delle forze dell'ordine e della Procura della Repubblica di scoprire ad ogni costo un colpevole, mentre la sua coscienza gli chiede di indagare non su una, ma su due morti. Decide così di interessarsi agli ideali dei giovani ed è disposto a cercare di capire il gesto del figlio, quando Fabio, dopo aver ammesso la sua colpa e avergli portato i tirapugni con cui aveva colpito il poliziotto, dichiara la sua intenzione di non presentarsi alla giustizia fino a quando non sarà stato trovato il colpevole della morte dello studente: “perché dovrei costituirmi mentre un altro assassino è là fuori protetto da tutti voi? Hai bisogno che la polizia continui a fornirti colpevoli da condannare. Voglio vedere cosa farai ora che sai la verità. Il giorno in cui saprò che tu o qualcun altro avete arrestato l'agente che ha ucciso il mio partner, mi costituirò, solo allora. I morti sono due e due devono essere gli assassini.
Toccato dalle parole e dall'atteggiamento del ragazzo, il giudice getta nel fiume Tevere l'unica prova che potrebbe incriminarlo, poiché il dialogo gli sembra il modo migliore, non solo per riallacciare i rapporti con l'amato figlio, ma anche per risolvere la situazione esplosiva. il paese sta vivendo. Si era infatti dimesso dall'incarico con le seguenti parole: “Non voglio mai più giudicare nessuno. D'ora in poi, voglio iniziare a capire. Voglio capire perché tanti giovani sono contro di noi. Dietro le idee che rifiutiamo ci sono i nostri figli, le loro certezze, le loro titubanze, i loro crimini tante volte. Voglio trovare una spiegazione per ciascuno di questi crimini, non una sentenza. Voglio unirmi ai tuoi problemi. Non voglio stare da solo".
Sebbene Assassinio di un innocente Pur trattandosi di un'opera di finzione, colpisce la sua sequenza iniziale, nella ricostruzione quasi documentaristica dello scontro tra polizia e manifestanti, in cui materiale d'archivio (in bianco e nero) si alterna a scene filmate (a colori). I manifestanti urlano slogan come "Lotta dura, solo lentamente” [Combattere con rigore, senza paura], alzano i pugni chiusi, portano bastoni e manifesti che predicano l'occupazione delle case, delle scuole, delle fabbriche, dei quartieri, della città. Durante lo scontro uno studente viene colpito a morte, molti vengono arrestati e quando un compagno, aggredito anche lui dalla polizia, trova a terra dei tirapugni, con i quali uccide accidentalmente un poliziotto. È una lunga catena di immagini violente, della durata di più di due minuti e mezzo, quasi senza musica (che comincia a insinuarsi dalla sfortunata reazione del secondo studente), che funge da innesco narrativo, poiché è da lui che la trama stessa inizia a sbrogliarsi,.
La sequenza, che introduce bruscamente lo spettatore nell'atmosfera di quel tempo, era forse superflua all'epoca; ma queste immagini, viste o riviste in seguito, riescono a trasmettere fino a che punto era arrivata la tensione sociale in Italia. Il film è stato girato alla fine del 1971,, anno che segna il passaggio dalla fase della contestazione studentesca, iniziata nel 1967, al periodo della violenza politica, che si intensifica fino al 1977, raggiungendo il suo apice il 16 marzo 1978 con il rapimento del leader democristiano Aldo Moro da parte del Brigate Rosse. È allora che diventa chiaro che il Paese va verso una progressiva svolta autoritaria, la cosiddetta "strategia della tensione", in cui lo scenario nazionale viene manipolato dal potere, attraverso atti terroristici che terrorizzano la popolazione, per mantenere lo status quo. status quo e per contenere l'avanzata del Partito Comunista Italiano nelle elezioni e le conquiste delle lotte sociali del 1968-1969. I suoi punti di riferimento cronologici sono il 12 dicembre 1969 (esplosione di una bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, con un bilancio di diciassette morti e ottantotto feriti) e il 2 agosto 1980 (attentato dinamitardo nell'atrio da Bologna stazione ferroviaria, in cui morirono ottantacinque persone e più di duecento rimasero ferite).
Anche se il film non nomina direttamente nessun gruppo politico e dove si trovano gli studenti ci sono riferimenti a varie correnti – sui muri, accanto al simbolo della falce e martello, ci sono scritte che fanno riferimento a potere operaio (Potere operaio),, Lotta continua, Lui manifesto (Il manifesto),, poster come Morte accidentale di un anarchico (Morte accidentale di un anarchico), e ritratti di Ernesto Che Guevara, Mao Tse-tung e Karl Marx –, il slogan gridato durante la manifestazione non lasciano dubbi che si tratti di un'arma di Lotta Continua.
Lo scontro tra forze dell'ordine e manifestanti e il successivo scontro tra polizia e studenti - dopo l'attacco di un gruppo di fascisti alla Facoltà di Architettura per impedire la divulgazione dei dati degli atti del fascicolo pubblicati dal quotidiano La causa del popolo [La causa del popolo]: richiama alla mente un fatto simile. È la mitica battaglia di Valle Giulia, combattuta ai piedi del colle che ospita la Facoltà di Architettura, il 1° marzo 1968, che, secondo un articolo di Giampaolo Bultrini e Mario Scialoja, con le sue “due ore e mezza di rabbia e di sangue”, miracolosamente senza morti nonostante decine di feriti, divenne uno dei simboli della rivolta studentesca.
Ciò non ha impedito voci dissonanti, anche a sinistra, come Pasolini che vedeva, nella contestazione dei giovani, “nient'altro che l'ultima, pianificata 'moda' dei bambini borghesi, del tutto privi di ogni reale intenzione di sovvertire l'ordine costituito . ”, nelle parole di Gianpaolo Fissore. Nella poesia dedicata all'evento, “Il PCI ai giovani!! (Appunti in versi per una poesia in prosa seguita da un'Apologia)”, senza tener conto che gli universitari degli anni Sessanta non erano più solo figli della borghesia, poiché molti di loro provenivano dalla classe media o popolare, Pasolini si schierò dalla parte della polizia, come rappresentanti del proletariato:
“Quando, ieri, a Valle Giulia, hai scambiato colpi con la polizia,
Ho simpatizzato con i poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli dei poveri.
Vengono dalla periferia, rurale o urbana che sia. […]
Hanno vent'anni, la tua età, i miei cari e le mie facce. […]
il giovane poliziotto
che tu per venerabile vandalismo (di alta tradizione insurrezionale)
dei figli di papà, hanno sculacciato,
appartenere ad un'altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, c'era un campione
della lotta di classe: e voi, amici (anche se dalla parte
della ragione) erano i ricchi,
mentre la polizia (che era dalla parte
sbagliato) erano i poveri. Bella vittoria allora
il tuo! […]
Ubriaco per la vittoria sui ragazzi
della polizia costretta dalla miseria alla servitù, […]
lasciamo da parte l'unico strumento veramente pericoloso
nella lotta contro i loro padri:
cioè il comunismo. […]
Se vuoi il potere, prendi almeno il potere
di un partito che è ancora all'opposizione [...]
e il cui obiettivo teorico è la distruzione del Potere”. ,
Per il suo controverso attacco al movimento studentesco, l'autore è stato bollato come reazionario, pur non difendendo il sistema in nessuna parte dell'opera.,. Per Fissore: “La condanna definitiva della borghesia coincideva così, paradossalmente, con la condanna definitiva delle forze ad essa antagoniste: infatti, negare l'identità dell'uno corrispondeva negare l'identità (e il ruolo storico) delle altre” .
Se Pasolini avrebbe negato un'identità alla borghesia e al proletariato, nella lettura di Fissore, sia pure in ordine inverso, Bolognini fa lo stesso nella sequenza dell'obitorio, quando affianca i cadaveri dello studente e del poliziotto, praticamente privi di prove che potessero identificarli come appartenenti a un gruppo (quello che si ribellò all'ordine borghese) o a un altro (quello che represse in suo nome), quasi a voler dimostrare che entrambi sono vittime della violenza di Stato, che li ha condannati morire così giovane. E, se uno dei delegati si accanisce contro gli studenti, definendoli vigliacchi e tossicodipendenti, il giudice lo rimprovera dicendo: “Per te nemmeno la morte li ha fatti uguali”. Un'uguaglianza che ha cancellato le differenze sociali e che, anche solo per un attimo, ha sottratto le due vittime al loro anonimato, restituendo loro un'identità non di classe, ma di esseri umani.
Portare un evento fittizio (la battaglia campale nella sequenza iniziale) nella stessa proporzione di un evento reale (quello di Valle Giulia) in un microcosmo familiare è una strategia narrativa che mira a coinvolgere individualmente ogni spettatore in un dramma le cui profonde ripercussioni sociali, spesso sfuggono alla comprensione della gente comune, spaventata solo dalla violenza di quegli anni. E le differenze generazionali tra padre e figlio, trasformate in scontro ideologico, sono anche una strategia per rendere più concreta la critica al sistema giudiziario schierato con il potere.
Inoltre, senza questo passaggio dal generale al particolare, non sarebbe stato possibile comprendere il mutamento del comportamento del padre, poiché tale comportamento non è generalizzato, ma rappresenta piuttosto un auspicio di giorni migliori; tuttavia, eventi storici successivi soffocheranno quella tenue speranza, poiché il culmine della violenza in Italia doveva ancora arrivare. Perché – sembra dire il film, schierandosi dalla parte dei giovani –, mentre Fabio rimane fermo nelle sue convinzioni, giuste o sbagliate che siano, toccherà al giudice, rappresentante della generazione dei suoi genitori, liberarsi da le sue catene e dare il primo passo su questo lungo cammino che potrebbe portare all'apertura del dialogo con il bambino e alla riconciliazione familiare e sociale.
E il giovane Sola intraprenderà questo cammino di rinnovamento dei rapporti familiari e sociali, perché, se già si era districato dal ricatto dei legami affettivi, esercitato soprattutto dall'amore straripante della madre, ammettendo la propria colpa al padre, che comporta la liberazione dell'altro studente, comincia a sottrarsi al ricatto dei legami ideologici, esercitato dal gruppo, che preferisce il sacrificio di una vittima innocente alla confessione del vero colpevole, che potrebbe essere strombazzata nei titoli della stampa borghese, come questo servito la causa.
In un libro intitolato 1500 film da evitare: dalla A alla Z, le divertenti stroncature “al vetriolo” di un critico controverso, [1500 film da evitare: dalla A alla Z, le divertenti recensioni corrosive di un critico controcorrente], Massimo Bertarelli, elencando Assassinio di un innocente, scrive: “Mauro Bolognini costruisce un dramma sociopolitico che pende (a sinistra) più della Torre di Pisa, secondo la ferrea regola, non solo cinematografica, degli anni Settanta a destra. Sempre e comunque. E chi non è né l'uno né l'altro? Beh, anche lui è cattivo finché riesce a dimostrare di essere di sinistra”.
In questo modo il film è coinvolto anche nello scontro tra forze progressiste e forze reazionarie, perché se Bertarelli lo fa propendere per la sinistra, altri autori non sono della stessa opinione, sottolineando che il regista non è nel suo campo e sottolineando intenzioni del lavoro. Per Heiko H. Caimi: “il tentativo di narrare l'inquietudine di un tempo è calpestato da vicende familiari, e non riesce ad essere nitido come altri film dell'epoca, perdendo per strada quella vena anarchica che Pirro riuscì a creare insieme con Petri. I poliziotti sono davvero odiosi, ma siamo a leghe di distanza Indagine su um cittadino sopra de qualsiasi sospettare, e il quadro d'epoca è affrontato da Bolognini con il suo consueto schematismo retorico”.
Un altro critico anonimo segue la stessa linea, affermando su un sito web a proposito del film: “la riflessione critica sul valore della giustizia (operazione scelta, in quegli anni, da molti autori: basti pensare a Elio Petri e Giuliano Montaldo) sembra forzata. e il film finisce per crollare su se stesso, risultando approssimativo e amorfo”.
In un'analisi stimolante, prima della realizzazione di Assassinio di un innocente e Il mostro in prima pagina, Goffredo Bettini ed Elena Miele hanno già avvertito delle insidie che l'industria cinematografica potrebbe rappresentare per le opere a contenuto politico: “Film che apparentemente propongono contenuti interessanti, cercando di entrare nell'ambito del cosiddetto cinema impegnato – che, appunto, attraverso scelte tradizionali o per nulla geniali e che, soprattutto, si arrendono al cinema commerciale –, partecipano a pieno titolo al gioco produttivo e ideologico del potere, ponendosi, peraltro, come falsa alternativa al cinema spettacolare e dichiaratamente borghese, mistificando così fatti e uomini, che appartengono alla cultura e all'ideologia rivoluzionaria”.
Se, da un lato, questo è vero, soprattutto se pensiamo che, in quel periodo, c'era tutto un cinema militante, impegnato a modificare i rapporti con il pubblico – un pubblico, in generale, già in sintonia con le idee proposte da lui –, d'altra parte, d'altra parte, come far arrivare i problemi di allora alle grandi masse di persone? Fa Assassinio di un innocente ou Il mostro in prima pagina – che, pur denunciando la collusione del potere di stampa, è stata esecrata anche dalla sinistra e dall'estrema sinistra , – e gli altri film del cinema italiano, che si dice impegnato, non hanno fatto riflettere i loro spettatori?
Come ha sottolineato Udo Rotenberg: “è falso [dire] che il film non assuma un atteggiamento chiaro, proprio perché si astiene da dichiarazioni politiche. Al contrario, stava solo cercando di eludere i soliti sospetti ideologici, ma non ha nascosto la sua posizione secondo cui la società deve cambiare”.
Non ho una risposta definitiva alla domanda che ho posto sopra, ma ho cominciato a pormi la domanda alla luce dell'accoglienza che questa produzione del 1972 di Bolognini ha avuto in diversi paesi, in anni più recenti, quando è arrivata ad essere considerata un opera di carattere politico, in quanto consentì di recuperare il clima di contestazione generale del periodo focalizzato.
*Mariarosaria Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Lettere Moderne della FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Neorealismo cinematografico italiano: una lettura (Edusp).
Versione riveduta dell'articolo pubblicato in Annali del IX Seminario Nazionale del Centro della Memoria – UNICAMP e I Colloquio sui Beni Culturali 2019.
Riferimenti
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note:
, Giorgio Almirante fu segretario e uno dei fondatori di Movimento sociale italiano (Movimento Sociale Italiano – MSI), partito di destra erede degli ideali fascisti. Nelle elezioni del 1972 il MSI si fuse con il Partito Democratico Italiano dell'Unità Monarchica (Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica), dando vita al MSI-Destra Nazionale (MSI-Destra Nazionale – MSI-DN). La nuova coalizione è riuscita a eleggere 56 deputati (8,7% dei voti) e 26 senatori (9,2% dei voti), avvicinandosi poi ai gruppi extraparlamentari di estrema destra Nazionale Avanguardia (Avanguardia Nazionale) e Ordine Nuovo (Nuovo ordine). Uno dei deputati eletti fu l'ammiraglio Gino Birindelli, divenuto poi presidente del MSI-DN.
[2] Formata da gruppi rivoluzionari della sinistra extraparlamentare, la lotta continua (Luta Contínua) emerse nella seconda metà del 1969, dalla scissione del Movimento operativo-studente (Movimento Operai-Studenti) di Torino che, nella prima metà di quell'anno, aveva articolato le lotte all'università e alla FIAT.
[3] Riferimento ai gravi disordini che sconvolsero la città l'11 marzo 1972, quando forze dell'ordine e militanti estremisti si scontrarono in una battaglia campale.
[4] Il 15 marzo 1972, il corpo di Giangiacomo Feltrinelli fu ritrovato in rovina ai piedi di un traliccio dell'alta tensione alla periferia di Milano. La morte dell'ex partigiano e fondatore della casa editrice Feltrinelli è stata causata dall'esplosione di un carico trotile, avvenuta la sera prima. Feltrinelli era stato espulso Partito comunista italiano (Partito Comunista Italiano – PCI) per aver lanciato, nel 1957, la prima edizione mondiale del romanzo medico Zivago, di Boris Pasternak, la cui pubblicazione era stata vietata in Unione Sovietica. Negli anni '1960, durante un viaggio in America Latina, era entrato in contatto con Régis Debray e, prima, con Fidel Castro, che gli aveva affidato Il diario del Che in Bolivia, che Feltrinelli pubblicherà, così come la foto del guerrigliero scattata da Alberto Korda, che diventerà iconica. Dopo essere entrato in clandestinità nel 1970, aveva fondato uno dei primi gruppi armati di sinistra in Italia, il Gruppo d'Azione Partigiana (Gruppo di Azione Partigiana - GAP), per fronteggiare un probabile colpo di stato fascista. Sebbene esponenti di sinistra e di estrema sinistra abbiano difeso l'ipotesi dell'omicidio, ha finito per prevalere la tesi che la sua morte sia avvenuta durante un atto di sabotaggio, con cui intendeva provocare un blackout in città per danneggiare il congresso del PCI, versione confermato sette anni dopo dai membri di Brigata Rosse (Brigate Rosse – BR). In Petrolio, il personaggio Carlo ha affermato che l'editore “si era ucciso facendo il guerrigliero; che se fosse stato un povero, o un piccolo borghese qualunque, sarebbe finito in una clinica, o anche in un manicomio, qualche anno fa, e che era decisamente un pazzo che ha fatto la fine dell'idiota; non c'era disprezzo, in questa sua interpretazione, c'era, anzi, una certa compassione – ma, certo, non c'era pietà».
, Negli anni '1970 l'OLP - Organizzazione per la liberazione della Palestina (creata nel 1964 con lo scopo di lottare per l'indipendenza del proprio territorio) ha intensificato la resistenza armata contro Israele con azioni di guerriglia che hanno raggiunto anche obiettivi civili.
[6] Le radici del genere sarebbero in Svegliati e uccidi (Lutring si sveglia e uccide, 1966) e banditi a milano (Banditi di Milano, 1968), entrambi di Carlo Lizzani e avendo come sfondo il capoluogo lombardo (cfr. voce Wikipedia su “Film poliziottesco”). nell'introduzione di la nebulosa, traduzione portoghese di La nebbiosa (1959), Alberto Piccinini avanza un'ipotesi in merito Milano Nera [Milano nero], di Gian Rocco e Pino Serpa, estratta (con diverse modifiche) dal suddetto copione di Pasolini. Secondo Piccinini, questa produzione del 1963, dal titolo, “anticipa il 'poliziotteschi' degli anni '70”. L'interpretazione però non regge guardando il film, anche se in una delle locandine, uno dei protagonisti è ritratto, in primo piano, armato di rivoltella. In questo caso, l'aggettivo "nero” (“preto”) si riferisce alla frase “cronaca Nera” (“Cronaca di polizia”), perché si concentra su una serata fuori con un gruppo di giovani piantagrane, il cui comportamento scivola nella criminalità, piuttosto che riferirsi propriamente al genere poliziesco.
, Dopo il clamoroso successo internazionale di Inchiesta su un cittadino irreprensibile, il duo Petri-Pirro ha ottenuto un altro grande successo, La lezione di opera va in paradiso (La classe operaia va in paradiso, 1971).
, Come il suddetto Confessioni di un commissario di polizia al pubblico ministero; Processo per direttissima (1974), di Lucio De Caro; Corruzione al Palazzo di Giustizia (Corruzione nel Palazzo di Giustizia, 1975), di Marcello Aliprandi; La polizia ha le mani legate (1975), di Luciano Ercoli.
, Lo stesso impatto provocano i verbali di apertura della produzione di Bellocchio, in cui si alternano scene documentaristiche girate dalla sua troupe (un comizio a cui è intervenuto un esponente missino; una strada di Milano tappezzata dagli striscioni dei partiti che contestano le elezioni; il funerale di Feltrinelli) con materiale d'archivio sul fatidico 11 marzo, prima di introdurre la trama vera e propria.
, Il suo lancio è stato il 4 febbraio 1972.
[[1]1] Il Poder Operário è stato un movimento di estrema sinistra, attivo tra il 1968 e il 1973. I suoi rappresentanti più famosi furono il professore universitario Antonio Negri e lo scrittore Nanni Balestrini.
, Espulsi dal PCI, alla fine del 1969, per aver criticato l'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'Unione Sovietica, i membri di O Manifesto si organizzarono successivamente in un partito politico, partecipando alle elezioni del 1972.
, Rappresentata per la prima volta il 5 dicembre 1970, la commedia di Dario Fo registrava la caduta “involontaria” di Giuseppe Pinelli da una finestra della questura di Milano, la notte del 15 dicembre 1969. Insieme a Pietro Valpreda, un altro anarchico, Pinelli aveva stato accusato dell'attentato a Praça Fontana, sebbene il crimine fosse stato perpetrato da forze reazionarie.
, La poesia è stata originariamente pubblicata nel n. 10 della rivista letteraria Nuovi argomenti (aprile-giugno 1968). Anche se il lavoro è stato tradotto nella nostra lingua – “IPC per i giovani! (Note in versi per un poema in prosa, seguito da un'Apologia)” – e pubblicato nell'edizione portoghese di empirismo eretico (Lisboa: Assírio e Alvim, 1982, p. 122-129), l'ho tradotto di nuovo perché non ero d'accordo con la versione di Miguel Serras Pereira.
, Em Un anno dopo (Un anno dopo, 2015), Anne Wiazemsky riporta il parere di Jean-Luc Godard: “Per lui Pasolini era diventato un traditore dopo essersi schierato a favore dei poliziotti italiani, 'figli del proletariato', contro gli studenti, 'figli ricchi di la borghesia'. Allo stesso tempo, però, ho continuato ad ammirarlo”. L'attrice è stata l'interprete di Teorema (Teorema, 1968) e porcili (Porcile, 1969), opere in cui, come in “La sequenza del fiore di carta”, che fa parte del lungometraggio amore e rabbia (amore e rabbia, 1968), il regista ha anche preso posizione contro l'idea di una rivoluzione giovanile.
, Una delle critiche più forti a queste realizzazioni riguarda la caratterizzazione dei militanti. In Assassinio di un innocente, sebbene i giovani non vengano demonizzati, anche quando l'arresto di uno di loro è la tattica per accusare lo Stato, la rappresentazione è stata ritenuta vaga. Non dobbiamo dimenticare che, salvo l'una o l'altra produzione al di fuori del cinema industriale, la maggior parte dei film, come quello di Bolognini, sono stati realizzati da squadre i cui membri appartenevano a una o due generazioni precedenti a quella dei personaggi di fantasia, vale a dire a persone che non hanno avuto un'esperienza diretta di quegli eventi. Anche questo tipo di critica ha influenzato Il mostro in prima pagina, i cui militanti di estrema sinistra erano considerati folcloristici e poco credibili, nonostante Bellocchio avesse aderito a un'organizzazione maoista. Insomma, per la critica militante non esisteva il cinema politico praticato dall'industria cinematografica. Questo problema è stato ulteriormente affrontato da me in "Attraverso la lente dell'ideologia".