Compagnia statale in Brasile

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da JOSÉ RAIMUNDO TRINDADE*

Imperialismo e impresa statale nel capitalismo dipendente brasiliano

Il dibattito su imperialismo e dipendenza è diventato poco presente nella realtà brasiliana negli ultimi decenni, anche negli ambienti accademici, anche a causa di una certa dose di euforia che attanagliò la sinistra brasiliana nei primi anni del secolo. Mentre stavamo cadendo nella realtà critica del secondo decennio di questo secolo di incertezza e, soprattutto, dopo il colpo di stato del 2016, l’“endogenismo”[I] Si è gradualmente attenuato e poco a poco il dibattito sul carattere periferico dell'economia brasiliana e sulla sovranità ristretta che caratterizza lo Stato e sul sottosviluppo della nostra società torna, anche se ancora debolmente, al centro delle discussioni nazionali.

Questo articolo si propone di esporre alcuni elementi discussi nel lavoro Imperialismo e impresa statale nel capitalismo dipendente brasiliano (1956-1998) (Alameda), libro di Carlos Rodrigues, professore all'UFVJM. Il suddetto lavoro costituisce parte di questa ripresa della comprensione della realtà brasiliana, avendo come sfondo il contributo di autori che sono fondamentali per pensare al futuro o per uscire dal “nodo gordiano” che ci consuma, in particolare Florestan Fernandes, Caio Prado Júnior e Celso Furtado, vere bussole così ben utilizzate e organizzate dall'autore qui recensito.

Il testo qui presentato prevede, oltre al lavoro sullo schermo, una discussione sull'attuale situazione brasiliana e internazionale, individuando anche i punti critici riguardanti i legami tra l'attuale governo Lula e le sue difficoltà. In primo luogo, nella prima e nella seconda sezione presenteremo il libro e nella sezione finale svilupperemo la sua interazione con la situazione attuale.

Imperialismo e internazionalizzazione produttiva

Il lavoro è il risultato della tesi di dottorato dell'autore ed è strutturato in tre capitoli fondamentali che analizzano diversi periodi dello sviluppo economico dipendente brasiliano: il periodo 1956-1973; quello del 1974-1985 e quello del 1986-1998. La categoria chiave che conduce dall’unità al lavoro è “l’imperialismo totale”, categoria inizialmente stabilita da Florestan Fernandes e sviluppata dall’autore. Come sottolinea anche nell'introduzione, l'autore si propone di “analizzare come le pressioni dell'imperialismo abbiano promosso cambiamenti nella politica economica brasiliana tra i governi di Juscelino Kubitschek (JK) e Fenando Henrique Cardoso (FHC) (…) [accentuando] la politica estera del paese dipendenza”.

L’ipotesi avanzata costituisce un punto rilevante del lavoro: che la lunga traiettoria neoliberista brasiliana è iniziata ben prima dei governi di Fernando Collor e Itamar Franco, riferendosi al “quadro patito dalle imprese statali” attraverso le imposizioni dell’ex Segretariato di Controllo sulle Aziende di Stato (SESTE) alla fine della dittatura civile-militare (1979-1985).

Questa ipotesi, anche se l'autore non la riporta, era stata presa in considerazione anche da Octavio Ianni nei suoi testi che analizzavano l'agricoltura in Amazzonia e, soprattutto, La dittatura del grande capitale, dove l'autore osserva “che l'apparato statale ha iniziato a funzionare principalmente come apparato del capitale” e che la modernizzazione conservatrice imposta dalla dittatura stava progredendo, come rafforzato dall'opera di Carlos Rodrigues nel rafforzare la grande borghesia finanziaria e monopolistica, la nucleo dell’“imperialismo totale” americano.

“L’imperialismo totale consiste nel fatto che organizza il dominio esterno dall’interno e a tutti i livelli dell’ordine sociale”, la cui formulazione di Florestan Fernandes è completata da Carlos Rodrigues quando osserva che “a metà del XX secolo [e noi completeremmo il 21], le possibilità di realizzare un capitalismo di relativa autonomia sono diventate sempre più lontane”.

Cinque elementi sarebbero caratteristici dell’“imperialismo totale” e della sua logica di imposizione alla periferia dell’America Latina:

(i) gli investimenti da parte delle “società multinazionali non potrebbero correre alcun rischio di essere limitati”. Due osservazioni importanti: il capitalismo si espande nella seconda metà del XX secolo con un’ampia egemonia statunitense e la cui forma centrale di appropriazione della ricchezza su scala globale è attraverso gli IDE (investimenti diretti esteri).

(ii) L’espansione capitalistica periferica richiede l’intervento strategico dello Stato, sia condizionando i settori di accumulazione, favorendo i sussidi e organizzando le infrastrutture necessarie, sia garantendo la “stabilità politica”, attraverso il controllo sociale. Così “lo Stato diventa uno strumento di difesa e di sostegno incondizionato per il settore privato (…) [permettendo] la coesistenza tra il 'moderno e l''arretrato'”, nei termini usati nel libro.

(iii) La restrizione sociologica dell’“imperialismo totale” dimensiona le “borghesie brasiliane”, come afferma Florestan Fernandes, da una prospettiva di formazioni sociali subordinate e complementari alla borghesia americana. In generale, la prospettiva delle classi borghesi subregionali appare come forme “impotenti”, incapaci di realizzare progetti nazionali minimamente sovrani.

(iv) il modello economico periferico richiede modelli strutturalmente eterogenei. Le condizioni di interazione tra “moderno” e “arcaico” comportano non solo la permanenza di forme di sfruttamento anteriori al lavoro salariato, ma anche dei lavoratori non salariati, perfino schiavi, nonché l’assenza di maggiore completezza tra i comparti produttivi. L’“imperialismo totale” sembra richiedere il mantenimento di forme eterogenee, sia per garantire il supersfruttamento della forza lavoro sia per condizionare il trasferimento di valore dalla periferia al centro capitalista.

(v) Infine, come sottolinea l’autore, nell’era dell’“imperialismo totale” si osserva “l’intensificazione del flusso di surplus economico”, con un crescente trasferimento di valori verso le economie centrali: “attraverso le rimesse dei profitti, dividendi, royalties (…) e rimesse di interessi, nonché il pagamento degli oneri del debito estero”.

Il primo periodo analizzato nel libro riguarda il periodo JK e i primi governi dittatoriali. Vale la pena notare che il formato in cui “l’imperialismo totale” è accoppiato con gli interessi delle “borghesie brasiliane” nel periodo JK stabilisce una dinamica diversa da quella del periodo Vargas, approfondendosi, attraverso la penetrazione delle multinazionali nel settore automobilistico , la perdita di capacità sovrana e l’intensificazione della dipendenza esterna e dello sviluppo ineguale.

Tuttavia, secondo l’autore, “la controrivoluzione” del 1964 si verificò per quattro ragioni: (a) l’intensificazione degli antagonismi interni, sia urbani che rurali; (b) riorganizzazione del sistema di controllo sociale ed economico; (c) adeguatezza delle relazioni economiche a garantire il massimo trasferimento di valori; (d) riassetto dello Stato e perdita di sovranità nazionale.

La dittatura del 1964 stabilì un formato di maggiore subordinazione del capitalismo brasiliano al capitalismo finanziario e transnazionale, perdendo capacità sovrana in diversi campi: economico, tecnologico e militare. Come ha osservato Florestan Fernandes, l’imperialismo ha reso la sua periferia “ostaggio degli obiettivi del capitale internazionale” decostruendo ogni possibilità di “sviluppo capitalistico autonomo in queste regioni e di costruzione di una nazione”.

Durante la prima fase dittatoriale si osservò un crescente flusso di redditi all’estero, soprattutto negli USA. Pertanto, tra il 1963 e il 1967, le rimesse di reddito nel periodo sono state di 1,21 miliardi di dollari e gli afflussi (inversioni) sotto forma di IDE sono stati di 419 milioni di dollari, per un saldo di 793 milioni di dollari. Come afferma Carlos Rodrigues, questi “dati sono in contrasto con l’affermazione secondo cui l’ingresso delle multinazionali e dei capitali internazionali in Brasile ha agito per alleviare gli squilibri nei conti esteri del paese”, cosa che si è consolidata sotto forma di squilibri e di instabilità finanziaria approfondita. situazione e la denazionalizzazione dell’economia brasiliana.

Vale la pena notare che già nel primo periodo si è verificata “la presa totale del controllo dello Stato brasiliano (…) e il suo orientamento a soddisfare le richieste delle multinazionali”, con una serie di misure come l’aumento del debito estero, la modifica La legge 4.131 (Legge sulle rimesse degli utili) e il modello di utilizzo delle imprese statali che servivano sia “per la produzione strategica di materie prime, sia per la fornitura di beni e servizi a prezzi agevolati, cioè trasferendo parte dei la redditività dello Stato alle filiali estere”, costituiva parte di una logica del primo neoliberismo stabilitasi in Brasile.

Imperialismo e finanziarizzazione

La seconda parte del libro di Carlos Rodrigues esplora un periodo chiave della storia economica recente del Brasile, potremmo addirittura dire con una certa sicurezza che il Brasile di oggi è in gran parte il risultato del formato economico e sociale imposto in quel periodo, è la seconda fase della dittatura civile-militare, periodo di riorganizzazione del capitalismo mondiale e di declino definitivo di ogni progetto di capitalismo autonomo brasiliano, gli anni 1974-1985 che l’autore chiama con una certa precisione “aggiustamento statale alla finanziarizzazione”.

Dalla fine degli anni Sessanta in poi, l’“imperialismo totale” americano entrò nel suo primo e grave momento di crisi. La fine dell’”Età dell’Oro” segnata dalla stagflazione, la fine dell’“Età dell’Oro”Boschi di Bretton"[Ii] e la sconfitta nella guerra del Vietnam. Il crollo, almeno iniziale, del stile di vita americano non fu facilmente digerito dalla borghesia americana, e le misure da adottare fissavano la logica del modello economico neoliberista e rentier che si sarebbe imposto a livello globale alla fine degli anni ’1970, come giustamente riflette Carlos Rodrigues: “la crisi strutturale del capitale in Dagli anni Sessanta agli anni Settanta il risultato fu l’internazionalizzazione finanziaria e il neoliberismo”.

La crisi dei primi anni ’1970 presentava diversi elementi che saranno significativi per il successivo sviluppo del capitalismo centrale, quattro importanti meritano di essere evidenziati: (a) la rottura del cosiddetto “dollaro-oro standard” stabilito a Bretton Woods. Il suddetto standard stabiliva la possibilità di convertibilità del dollaro in oro, subordinando il mantenimento della stabilità finanziaria alla copertura aurea. Con la fine di questo standard si stabilisce un puro standard del dollaro, che costituisce un’enorme capacità di guadagno di “signoria"al Tesoro degli Stati Uniti.

(b) L’istituzione del tasso di interesse variabile e, successivamente, alla fine degli anni ’1970, uno shock dovuto all’aumento dei tassi di interesse internazionali (Volker Shock), reindirizzando i flussi di capitale verso gli Stati Uniti e sconvolgendo le economie periferiche con l’esplosione del debito pubblico estero nelle economie periferiche, compreso il Brasile.

(c) Una politica economica ora basata sull’austerità fiscale e sullo svuotamento del bilancio pubblico destinato alle politiche pubbliche; (d) ampio processo di privatizzazione delle imprese pubbliche. Pertanto, questo processo porta ad una crescente internazionalizzazione finanziaria e all’aumento del potere dell’imperialismo statunitense.

Il capitalismo brasiliano si adatterà a questa configurazione imperialista in un conformismo completamente passivo. L'autore farà ampio uso di Celso Furtado per mostrare “l'irrealizzabilità di qualsiasi progetto nazionale”. L'autore osserva che sia Celso Furtado, Florestan Fernandes che Caio Prado Júnior capirono che “non si poteva creare un'industrializzazione autodeterminata”. Furtado definisce questa fase del capitalismo brasiliano come una “nuova dipendenza”, con tre sviluppi chiave: (i) la crisi del debito estero; (ii) la riproduzione di un modello culturale che “imita” le classi medie e dominanti americane ed europee; (iii) neoliberalismo e austerità fiscale come standard economici imposti.

Il testo sistematizza l’insieme delle politiche stabilite dall’ultimo governo dittatoriale che adattano l’economia brasiliana a questa nuova fase neoliberista del capitalismo, con tre processi che sono molto rilevanti e devono essere affrontati a causa delle loro ripercussioni durature: (a) il debito pubblico e la sua logica espansivo; (b) la privatizzazione delle imprese pubbliche e; (c) austerità fiscale basata sui tagli alla spesa primaria.

L’espansione del debito pubblico avviene attraverso due importanti meccanismi: con la Legge 4.131 e con la Risoluzione 63. In entrambi i casi, come mostra l’autore, ciò ha consentito sia un aumento del debito estero, sia un aumento del debito pubblico interno, sia la nazionalizzazione del debito, portando alla il ricorso ai prestiti da parte delle imprese statali e il rafforzamento del processo di nazionalizzazione del debito estero brasiliano. Durante questo periodo si era già osservato un aumento dei trasferimenti e degli oneri sulle passività esterne, raggiungendo la cifra di 1982 miliardi di dollari nel 18,3, mentre nel 1985 la spesa per interessi per pagare i creditori del debito estero era superiore del 130% rispetto agli interessi pagato nel 1979.

La crescita dei titoli di debito nazionali è stata esponenziale, accompagnando la crescita esplosiva dei tassi di interesse applicati dall’autorità monetaria, ad esempio, i tassi di finanziamento per per una notte in termini reali hanno raggiunto un tasso del 1985% nel 150,3. La crescita espansiva del debito pubblico si presenta già in questo periodo come una forza centrifuga sul bilancio pubblico, in quanto la sua crescita avviene come un automatismo indipendente dall’effettivo utilizzo delle risorse raccolte, quindi un debito che cresce solo per pagare interessi crescenti tariffe, siano esse esterne o interne.

La privatizzazione delle imprese statali inaugura, nella percezione dell'autore, il centro del neoliberismo brasiliano, e a questo scopo è stato creato il Segretariato per il controllo delle imprese statali (SEST), che secondo l'autore “ha un rapporto diretto con la crisi del modo di produzione capitalistico e della crescente finanziarizzazione delle imprese multinazionali”.

Il SEST anticipa, anche nella sua veste organizzativa, le grandi direttrici di trasferimento di capitale statale verso fondi privati, e già da quel periodo (1979) si instaura un discorso basato sulla presunta ideologia dell'efficienza privata e del contenimento della spesa pubblica. Un aspetto segnalato dall'autore si riferisce a come i rapporti SEST presentano la “cessione di un'azienda statale (…) [come] un bene per il saldo fiscale”. È importante sottolineare che la logica del Public Sector Financing Need (NFSP) fu introdotta in questo periodo a causa delle pressioni iniziali del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e del consolidamento dell’austerità fiscale come principio organizzativo del bilancio pubblico, privilegiando i finanziamenti spesa a scapito delle primarie.[Iii]. Infine, si osserva che la strategia adottata alla fine della dittatura militare è stata la rottamazione e l'indebitamento delle imprese statali, un processo che anticipa l'ondata di privatizzazioni che caratterizzerà l'ondata neoliberista di FHC.

Neoliberalismo e sovranità ristretta

Ci troviamo nell’attuale fase di crisi dell’“imperialismo totale”. Per quanto il lavoro di Carlos Rodrigues ci collochi di fronte al periodo che va dall'inizio della Nuova Repubblica (1986) alla fine del primo governo FHC (1998), una parte considerevole della logica stabilita dal cosiddetto Washington Consensus rimane fino ad oggi, attraversando i tre governi del PT. Come sottolinea l'autore, “l'imperialismo statunitense si è accentuato con l'internazionalizzazione finanziaria” e ha portato all'instaurazione di un regime di intensificazione della speculazione finanziaria “con l'obiettivo di valorizzare il proprio capitale nel più breve tempo possibile”.

Questa logica può affermarsi solo di fronte al crescente trasferimento di valori dalla periferia capitalista al centro, in cui i dettami del Washington Consensus diventano la chiave dell’apertura commerciale, produttiva e finanziaria, insieme ad una logica statale basata su una politica fiscale regime che nel corso di due decenni è diventato sempre più austero, evolvendo dalle leggi sulla responsabilità (LRF) agli standard di costituzionalizzazione per le regole di spesa non primaria (Fiscal Framework).

La privatizzazione di quasi tutte le aziende statali è stata il principale segno distintivo del governo FHC, ma senza alcun ritorno in termini di entrate per le casse del Tesoro, quindi “la media annua del suo primo mandato è stata una raccolta dello 0,93% del PIL con vendite delle imprese statali”, che ha come unica o maggiore conseguenza la quasi totale denazionalizzazione dell’economia brasiliana e l’instaurazione di uno Stato nazionale a sovranità ristretta e con un capitalismo dipendente, caratterizzato dal supersfruttamento del suo popolo e dal continuo trasferimento di risorse ricchezza al capitalismo centrale.

Vale infine la pena di richiamare l’attenzione sulla ricchezza di dati e di analisi che il lavoro qui presentato rende possibile, richiedendo il necessario “riesame della storia economica brasiliana” e il ritorno alle argomentazioni critiche e costruttive di pensatori come Florestan Fernandes, Caio Prado Júnior e Celso Furtado .

*José Raimundo Trinidad È professore presso l'Institute of Applied Social Sciences dell'UFPA. Autore, tra gli altri libri, di Agenda di dibattiti e sfide teoriche: la traiettoria della dipendenza e i limiti del capitalismo periferico brasiliano e dei suoi vincoli regionali (Paka-Tatu).

Riferimento


Carlos Henrique Lopes Rodrigues. Imperialismo e impresa statale nel capitalismo dipendente brasiliano (1956-1998). San Paolo: Alameda, 2023, 364 pagine. [https://amzn.to/40FfAqI]

Bibliografia

TRINDADE, José Raimundo Barreto. La disputa delle idee nella situazione attuale: neoliberismo, resistenza e reti sociali. Belém: ICSA Editore, 2022.

MOFFITT, M. Il denaro del mondo: da Bretton Woods all'orlo dell'insolvenza. Rio de Janeiro: pace e terra, 1984.

note:


[I] Nell'articolo sul lavoro di Samir Amin “Solo le persone fanno la loro storia” che ho pubblicato qui su questo sito (https://aterraeredonda.com.br/somente-os-povos-fazem-sua-historia/) Chiarisco che l'endogenismo è la nozione secondo cui “i capitalismi sarebbero tutti locali e non ci sarebbero influenze esterne centrali, oltre alle relazioni commerciali già tipizzate”.

[Ii] L’accordo firmato nella città americana di Bretton Woods ancor prima della fine della Seconda Guerra Mondiale ha stabilito una parte considerevole del quadro istituzionale del mondo capitalista negli ultimi ottant’anni, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, oltre a al già citato “dollaro-oro standard”, oggi tutti sono in crisi o in pre-morte. Per un’interessante discussione sulla fine dell’accordo di “Bretton Woods” vedere Moffitt (1984).

[Iii] Consulta l’articolo pubblicato su questo sito: “La Spesa dello Stato” (https://aterraeredonda.com.br/gastos-estatais/) e Trindade (2022).


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