Enrico Berlinguer, nel 40° anniversario della morte

Enrico Berlinguer
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da MARCO MONDAINI*

Il politico italiano aveva una fissa preoccupazione per la riforma del comunismo e si gettò con tutte le sue energie nella sfida di farlo.

In un’analisi della politica internazionale intrapresa dal Partito Comunista Italiano negli anni in cui fu guidato da Enrico Berlinguer, storico e docente all’Università di Roma”Tor Vergata”, Silvio Pons, difendeva la tesi secondo cui “la personalità e l’azione di Enrico Berlinguer devono essere comprese alla luce del suo tentativo di riformare il comunismo e di custodire, allo stesso tempo, i confini dell’identità comunista”, tentativo preso a caporale “con caparbietà e coraggio, rivelando una capacità di cambiamento e una vitalità che nessun altro partito comunista europeo possedeva”, un tentativo che, però, “si rivelò irrealizzabile e destinato al fallimento” (PONS, 2004, p. X).

Enrico Berlinguer aveva come fissa preoccupazione la riforma del comunismo e si gettò con tutte le sue energie nella sfida di farlo, nonostante l'esistenza di una serie di ostacoli accumulati durante più di cinquant'anni di dispotismo sovietico. Ma all’epoca, negli anni ’1970, il mondo comunista non era più una realtà riformabile.

Tuttavia, i limiti dell’obiettivo berlingueriano di riformare il comunismo non si scontravano solo con la realtà oggettiva del “socialismo realmente esistente” nell’Europa orientale. È vero che il PCI berlingueriano non era più quello dei tempi dei “legami di ferro” con il PCUS e l’Unione Sovietica, ma non arrivò mai a considerare una rottura esplicita con il mondo comunista, nemmeno nell’episodio estremo critica al colpo di Stato in Polonia, nel dicembre 1981. Questo perché Enrico Berlinguer era un riformatore che non poteva fare a meno di garantire il mantenimento dell'identità comunista.

E, per garantire il mantenimento dell’identità comunista, pur difendendo una politica riformista molto vicina ai socialisti e ai socialdemocratici come lo svedese Olof Palme e il tedesco Willy Brandt, Enrico Berlinguer ha assunto una retorica fortemente contraria alla socialdemocrazia, caratterizzandola come essere sostenitore di un riformismo che aveva rinunciato al suo scopo anticapitalista.

Così, l'importanza di riconoscere l'inscindibilità tra socialismo e democrazia (segno distintivo del pensiero politico di Enrico Berlinguer e tradizione creata da Palmiro Togliatti sulla base del lavoro carcerario di Antonio Gramsci) è rimasta valida a prescindere dal fatto indiscutibile di non aver preso la decisione finale passo di rottura formale con il comunismo sovietico.

Due politici italiani che, in gioventù, hanno prestato servizio nella Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) quando Enrico Berlinguer era segretario generale del PCI, ciascuno a suo modo, ha dato interessanti suggerimenti circa la “chiave di lettura” più appropriata per il ruolo di riformatore e di tutela allo stesso tempo dell’identità comunista svolto dal leader del PCI.

Una “chiave di lettura” che offre la possibilità di osservare in Enrico Berlinguer il grande responsabile dell’affermazione dei valori universali della democrazia politica e del pluralismo ideologico all’interno del PCI, senza ignorare l’esistenza dei limiti che gli impedirono di compiere il salto decisivo verso la rottura con Mosca, anche se, nel profondo, aveva la sensazione che il socialismo fosse insostenibile.

Già segretario della FGCI ed ex deputato per cinque legislature, Pietro Folena ha definito Enrico Berlinguer un “uomo di transizione”: “Da questa indagine personale nasce, per chi scrive, la convinzione di trovarsi di fronte ad una uomo di transizione. Berlinguer, quasi dilaniato nello spirito e nella personalità, tra due epoche, due culture, due secoli, addirittura due millenni – con tutto ciò che di profetico e millenario a volte era presente nelle sue parole. Conservatore e rivoluzionario, per dirlo con la sua stessa espressione controversa. Un uomo di transizione, troppo avanti in molte idee rispetto al tempo specifico in cui operò, troppo figlio di una cultura politica che già si stava esaurendo” (FOLENA, 1997, p. 25).

Da parte sua, l’ex attivista della FGCI, ex sindaco di Roma per due mandati ed ex candidato alla presidenza del Consiglio italiano, Walter Veltroni, ha voluto sottolineare la “tensione innovativa” che la “politica” di Berlinguer ha promosso nel “popolo comunista” e in cittadini in generale, e che era parte costitutiva del suo stesso pensiero politico: “C’è un dono, nella politica, che più di ogni altro ho imparato ad amare. È il coraggio, che spesso è buon compagno della solitudine. E non è solo questo che si manifesta nello sfidare gli avversari. Il “coraggio più coraggioso” è quello che spinge, seguendo un filo invisibile, figlio delle convinzioni e dell’etica, a porre il mondo stesso, la coscienza del proprio popolo, in una tensione innovativa. Non è stato facile per Berlinguer rompere con l’Urss, proporre un compromesso storico, indicare l’austerità come modello di sviluppo, dire che la Nato stava meglio che con il Patto di Varsavia. Non era facile dirlo al vostro popolo e, allo stesso tempo, tenerlo unito, mentre si metteva in marcia” (VELTRONI, 2014, p.5).

Enrico Berlinguer è stato forse proprio questo: un “uomo di transizione” che ha vissuto una “tensione innovativa” in un momento storico in cui si credeva ancora nella possibilità di riformare il comunismo in senso democratico.

La sua morte prematura, l'11 giugno 1984, all'età di 62 anni, – colpita da un ictus mentre interveniva ad un comizio nella città di Padova, durante la campagna elettorale per il rinnovo dei seggi del Parlamento Europeo, che finì per guidare il superamento della Democrazia Cristiana da parte del PCI, per la prima e unica volta nella sua storia – rappresentò per molti comunisti italiani la “fine di un percorso”.

Per chi, come l’autore di questo testo, non ha vissuto quei tempi, la tradizione del “comunismo democratico italiano” e il pensiero politico di quell’“eretico comunista” chiamato Enrico Berlinguer continuano ad essere riferimenti fondamentali per la continuazione di un altro cammino , anche se in un mondo molto diverso da quello in cui viveva, un mondo in cui la sua Italia è governata dal neofascismo e la Francia rischia di diventare presto la stessa.

Non più il viaggio idealizzato di riforma di un sistema che non esiste più, ma piuttosto il viaggio di resistenza all’estrema destra che è autoritaria in politica, conservatrice nei costumi e ultra-neoliberista nell’economia. Il viaggio utopico per costruire una società libera dallo sfruttamento capitalista e dalle varie forme di oppressione che ci affliggono – una società socialmente egualitaria, ideologicamente plurale, culturalmente diversa e dove la democrazia è sempre ricercata come valore universale.

*Marco Mondaini, storico, è professore presso il Dipartimento di Servizi Sociali dell'UFPE e presentatore del programma Trilhas da Democracia. Autore, tra gli altri libri, di L'invenzione della democrazia come valore universale (Viale). [https://amzn.to/3KCQcZt]

Riferimenti


FOLENA, Pietro. I ragazzi di Berlinguer. Il viaggio nella cultura politica regala una generazione. Milano: Baldini & Castoldi, 1997.

PONS, Silvio. Berlinguer e la fine del comunismo. Torino: Einaudi, 2006.

VELTRONI, Walter. Quando era Berlinguer. Milano: Rizzoli, 2014.


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