Saggi sulla solidarietà

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da ANTONINO INFRANCA*

Considerazioni sui saggi di Enrique Dussel e Jacques Derrida

Il breve saggio di Enrique Dussel, Dalla fraternità alla solidarietà, è dedicata all'analisi di un'opera di Jacques Derrida, politiche di amicizia, appare, dunque, poco meno di trent'anni fa. Il problema della solidarietà è più che mai attuale in tempi di immigrazione, cioè l'ondata di ritorno dopo l'aggressione colonialista europea dei secoli precedenti. C'è un acceso dibattito nell'Europa civile sull'opportunità o meno di accogliere gli immigrati che, in fondo, sono la conseguenza del colonialismo europeo, cioè sono le vittime – per usare un termine del lessico di Enrique Dussel – di quel colonialismo europeo che tragicamente ha turbato l'ordine mondiale europeo fin da cinque secoli fa e che, con quel sanguinario capovolgimento, ha costituito l'inizio della Modernità, conferendole però una connotazione di sfruttamento selvaggio e di esclusione violenta che continua ancora oggi.

Italia, Grecia e Spagna sono le nazioni con il primo impatto di questa immigrazione; infatti, la maggior parte degli immigrati, però, non vuole restare in Italia o in Grecia – nazioni che attualmente hanno notevoli problemi di sostenibilità economica – ma proseguire verso le nazioni più ricche del nord Europa, che, nel caso di Francia e Inghilterra, sono appunto le ex potenze coloniali, la cui lingua è condivisa in particolare dagli immigrati. La Spagna riceve immigrati dall'America Latina per evidenti affinità linguistiche e culturali. Questo saggio, quindi, è, direi, di drammatica attualità, visto che queste vittime dell'ex colonialismo continuano ad essere vittime del rifiuto di accoglierle da parte dei civili europei. La politica eurocentrica riproduce ancora oggi vittime.

Jacques Derrida è stato un prestigioso esponente della filosofia francese e della filosofia eurocentrica in generale. È innegabile che la filosofia francese sia stata all'origine della nascita della cultura moderna al tempo dell'Illuminismo e uno dei valori fondamentali di questo Illuminismo e della cultura moderna è la “fraternità”, insieme alla libertà e all'uguaglianza. A dire il vero, solo nei Paesi del Centro vi è ampia, ma non completa, libertà ed uguaglianza, tuttavia la fraternità è ancora lontana dall'essere realizzata, anche all'interno dei vari Paesi che fanno parte del Centro del mondo. C'è una fraternità apprezzabile nei rapporti tra i Paesi del Centro, ma nei rapporti tra i Paesi del Centro ei Paesi della Periferia la fraternità è quasi assente e la questione dell'immigrazione lo dimostra in modo chiaro e quotidiano.

I valori dell'Illuminismo e delle conseguenti rivoluzioni, come quella americana e quella francese, furono imposti perché ritenuti valori universali. L'imposizione è avvenuta anche con la violenza, negando sostanzialmente il valore emancipatorio di questi valori. In realtà, il valore dell'universale era limitato al mondo europeo oa coloro che si consideravano europei anche senza essere nati nel continente. Pensa ai creoli latinoamericani o ai coloni nordamericani.

Infatti, se si considera la cosiddetta Rivoluzione americana, i valori universali di libertà, uguaglianza e fraternità non sono stati estesi ai non europei, cioè agli indigeni e agli africani. I primi furono quasi completamente sterminati e i secondi resi schiavi per novant'anni dopo l'indipendenza dall'Inghilterra e la segregazione continuò per un altro secolo dopo la fine della Guerra Civile, o sarebbe meglio chiamarla Guerra di Liberazione dalla Schiavitù. . Ancora oggi, tuttavia, negli Stati Uniti non esiste una fratellanza diffusa tra bianchi, neri e marroni. Il movimento Black Lives Matter lo dimostra ancora oggi.

La Francia non era meno contraddittoria prassi fuori dall'Europa: la schiavitù non è stata abolita nelle colonie. Ad Haiti, nel 1804, gli schiavi africani, in nome dei principi di libertà, uguaglianza e fraternità, si ribellarono alla Francia e ottennero l'indipendenza. Nacque così il primo Paese veramente libero, uguale e fraterno della storia: la condizione di tale completa libertà, uguaglianza e fraternità era il fatto che tutti i bianchi fossero massacrati. Rimaneva solo la disparità di status tra uomo e donna. Era però significativo che la libertà, l'uguaglianza e la fraternità potessero essere raggiunte in larga misura solo liberandosi dal controllo dell'Europa, cioè dal centro e allontanandosi da esso.

Enrique Dussel analizza la questione della fraternità sulla base della sua lettura dell'opera di Derrida e della sua origine nietzschiana. Jacques Derrida, infatti, partendo dalla ripresa del tema amico/nemico affrontato da Friedrich Nietzsche, propone una lettura della fraternità come amicizia. Enrique Dussel ritiene che Derrida abbia cercato di superare l'astrazione dei principi fondamentali dell'Illuminismo per sostituirli con l'amicizia, che è un legame affettivo, da cui scaturisce la condizione politica materiale delle relazioni umane; avverte però che l'amicizia può nascere anche in una banda di ladri, quindi è un valore relativo, mentre la fraternità è un valore totale, vale cioè in qualsiasi complesso sociale. Avverte però che la fraternità ha un complemento: l'ostilità. Non c'è fraternità senza ostilità: riconoscersi fratelli significa vedere come ostili, come nemici coloro che non sono fratelli.

Strettamente legato al tema dell'amicizia è quello della vita. La citazione nietzscheana mette già insieme amicizia e inimicizia, follia e saggezza, vita e morte, e Jacques Derrida continua su questa strada. Ma poiché la morte è l'assoluto, che non ammette sequenza e continuazione, rimane solo l'ambito della vita in cui può svilupparsi un discorso o un'azione sull'amicizia e la fraternità. Tuttavia, per Enrique Dussel la vita è sempre e soprattutto una vita materiale, senza vita materiale c'è la morte, l'assoluto e, dalla vita materiale, si sviluppa la sua analisi critica dell'opera di Derrida. Enrique Dussel comincia così a contrapporre l'essere per la vita all'essere per la morte caro a Heidegger, Schmitt e Derrida. Limite, dunque, all'inimicizia e, di conseguenza, all'amicizia, è l'aumento della vita materiale: un'amicizia che non accresce la vita materiale dell'amico è inimicizia mascherata, cioè è apertura all'assoluto, che è morte . .

L'analisi di Enrique Dussel evidenzia il fatto paradossale che è più l'inimicizia che unisce gli esseri umani che l'amicizia: ci si allea e si unisce contro qualcuno, è più la paura che la simpatia che unisce e spinge ad agire. Dussel critica Nietzsche, Schmitt e Derrida per aver pensato che la politica nasca come volontà di potenza, cioè come dominio. Questa è la storia fin qui: amicizia e inimicizia sono complementari, infatti, formano un tutto inscindibile. Questa è la legge dell'ontologia greca e moderna, che sta alla base dell'eurocentrismo, divenuto concezione globale del mondo con la conquista dell'America, cioè con la nascita della Modernità.

Contro questa dicotomia fraternità/inimicizia, Dussel pone la solidarietà, che deriva dal termine latino solido, che indicava denaro. Infatti, nel diritto romano si trova l'espressione in solidum obbligari, che indicava l'obbligo di restituire qualsiasi importo preso in prestito in contanti. Ma voglio soffermarmi principalmente sul termine solido da cui deriva il termine italiano “solido”, cioè qualcosa di corporeo, tangibile, concreto. Non si tratta più della fraternità, che è condizione dell'essere, ma dell'essere nella sua concretezza, nella sua solidità, quindi la solidarietà è la categoria della solidità. Quando si compie un'azione concreta per aiutare un altro essere, si compie in modo pratico, concreto.

Per questo la solidarietà è diventata la categoria morale del movimento operaio, cioè dell'organizzazione politica delle vittime del sistema capitalista dominante. Il sistema capitalista dominante ha sempre lottato per rompere i vincoli di solidarietà che sostenevano il movimento operaio. La lotta di classe non era per la fratellanza universale, ma per la solidarietà universale. Il motto che finisce O il manifesto comunista, “Lavoratori di tutto il mondo, unitevi”, era un invito all'unità solidale dei lavoratori. Solo questa unità degli sfruttati del sistema dominante, degli esclusi dai vantaggi che essi stessi hanno prodotto, potrà rovesciare l'ingiustizia esistente nel sistema dominante.

Ma se davvero la paura fosse il fondamento della comunità, allora la comunità, cioè la vita in comune, sarebbe un fatto naturale, una necessità o un'abitudine, come pensavano i Greci. Al contrario, la comunità nasce dalla volontà di stare insieme e, di fatto, dà origine alla giustizia, al “rispetto dell'altro”, al “conoscere l'essere delle cose” come i Greci intendevano il significato di giustizia, che è sapere che cosa è l'Altro nella sua alterità, cioè riconosce la corporeità dell'altro ei bisogni legati a questa corporeità.

Su questa base è possibile stabilire un'equa distribuzione dei beni comuni ai membri della comunità, ma anche un giusto riconoscimento dell'Altro nella sua particolarità, nei suoi bisogni e desideri, che sono, ovviamente, bisogni e desideri che creano comunità e non divisione o esclusione, se non addirittura, che producono vittime. La riproduzione della vita è, quindi, la condizione fondamentale per la costituzione di una comunità, quindi, è la condizione della politica materiale. La soddisfazione dei bisogni e dei desideri e il raggiungimento della felicità – per ricordare i valori illuministici, fondamento della Modernità – sono gli obiettivi della comunità politica e della sua azione pratica, cioè della giustizia.

Questa “conoscenza dell'essere delle cose” è completata dalla “follia del saggio morente”, come afferma Nietzsche. “Conoscere l'essere delle cose” è conoscere la totalità, il passato che si riproduce nel presente, conoscere la storia. È anche conoscenza critica, è follia rispetto al sistema dominante, perché è sapere che esiste una legge universale della vita che è superiore alla legge del sistema, quindi, in quanto conoscenza critica, è liberazione dalla legge del sistema. È una conoscenza che deriva dall'esperienza dell'esteriorità del sistema, in quanto gli esclusi sono al di fuori del sistema dominante. Enrique Dussel assume la posizione di Karl Marx che, pur essendo figlio della borghesia tedesca, parteggiava per le vittime del sistema capitalista, i lavoratori, la cui forza lavoro era integrata nel sistema, ma i cui bisogni vitali erano esclusi dalla soddisfazione che il sistema garantito a loro.i tuoi amici. L'escluso è sempre il nemico del sistema.

Enrique Dussel cita personaggi chiave della cultura e della storia latinoamericana, allora poco conosciuti dal sistema eurocentrico: Bartolomeu de las Casas e Miguel Hidalgo. Il primo metteva in dubbio l'autorità del re di Spagna, perché non ha impedito l'olocausto degli indios in America, il secondo che, da prete, quindi esponente del sistema dominante, si è posizionato a favore della liberazione di Messico dal dominio coloniale spagnolo. Las Casas antepone il consenso dei popoli all'autorità reale, che è la vera fonte di legittimità di ogni autorità. Miguel Hidalgo riconosce che la giustizia dell'autentico Gesù lo ha spinto a sostenere la causa delle vittime del dominio spagnolo.

La relazione che Enrique Dussel propone è una relazione corporea, una relazione “faccia a faccia”, quindi, uno sguardo diretto negli occhi dell'Altro, il nemico “antagonista”, il nemico interno del popolo stesso. Non si tratta del nemico a morte, di cui invece parla Schmitt, ma di un nemico costitutivo dell'inimicizia. Si tratta, allora, di prossimità, nemico stretto, prossimo, una sorta di limite invalicabile e, quindi, costitutivo di un'identità. È un nemico che si schiera a favore della vita dell'Altro.

Enrique Dussel racconta una narrazione critica e quindi rivoluzionaria: la storia del buon samaritano. Il samaritano è il nemico “antagonista”, il limite invalicabile per ogni ebreo. Tutti gli occidentali ricordano questa narrazione evangelica, che è, come evangelica all'origine della cultura occidentale, ma è raro, sostiene Enrique Dussel, che venga analizzata dalla filosofia politica, nemmeno dalla filosofia rivoluzionaria. Infatti la vittima dei banditi non viene soccorsa né dall'uomo della stessa legge della vittima, né dal sacerdote della religione a cui appartiene la vittima, è una vittima che è fuori dal sistema. Solo chi è fuori dal sistema si ferma e aiuta, il samaritano, il nemico “antagonista”, l'unico che sente la responsabilità della sofferenza della vittima e gli offre un aiuto concreto, solido. Questo è il gesto fondante di una vera e autentica fraternità universale, cioè il superamento del limite ontologico e costitutivo con il riconoscimento dell'alterità sofferente dell'Altro, della vittima del sistema.

Enrique Dussel riprende la storia di Abramo che, secondo una tradizione ricordata anche da Gesù davanti al tribunale del Sinedrio, sostituì suo figlio Isacco a un animale, ribellandosi alla Legge che uccideva, ottenendo così da Dio il riconoscimento della correttezza della sua azione. Gesù è accusato di essere un “samaritano”, proprio perché si appella a questa tradizione. Gesù fa appello a una legge di vita contro la legge di morte. Ora è il “pazzo saggio”, non il pazzo invocato da Nietzsche, praticamente inesistente, ma il pazzo liberatore come narrato in Don Chisciotte, che libera i detenuti dalla legge del sistema.

Da questa follia nasce un contro-ordine del sistema, una legge che riconosce l'alterità come superiore alla legge del sistema, superiore perché la supera e non è più la legge del sistema, di un sistema, ma la diritto universale. È la legge della solidarietà universale e, direi, eterna, perché è antichissima, una legge che risale alle prime forme di vita comune degli uomini - Enrique Dussel risale al Il codice di Hammurabi –, alla prima vita civile, dunque, a una fonte antichissima, che è il fondamento della stessa narrazione evangelica.

Enrique Dussel, in questo modo, va oltre San Paolo, ritorna alla fonte originaria del messaggio evangelico, alla stessa Vangelo e lì scopre il carattere rivoluzionario o, se si preferisce, il rovescio dell'azione di Gesù. A questo punto, vado oltre ciò che ha scritto Enrique Dussel: il Vangelo è stato storicamente il testo rivoluzionario che ha sfidato l'autorità della Chiesa, che pretende di essere, come autorità, pari all'autore del Vangelo, più precisamente al protagonista del Vangelo. La Chiesa, quindi, intende interpretare il testo evangelico, il testo della legge, dall'interno. Gesù, invece, indica in chi è nell'esteriorità del sistema colui che agisce praticamente con giustizia, secondo una legge effettivamente universale, non rispettando la legge del sistema e realizzando in questo atto la propria liberazione. Per Enrique Dussel è lo stesso metodo adottato da Marx, profondo conoscitore della tradizione evangelica, indicando nell'operaio sfruttato dal sistema capitalista la vittima, ma anche il giusto, colui che, agendo secondo la propria legge, libera stesso dalla sua condizione di oppresso dal sistema capitalista.

A questo punto vale la pena ricordarlo Dalla fraternità alla solidarietà è stato scritto dopo etica della liberazione (1998) e prima del primo volume di Politica di liberazione (2007), dunque, prima della svolta politica basata sulla sua riflessione etica. Da quel momento il pensiero di Enrique Dussel divenne sempre più pratico nel senso marxista del termine, cioè con la prassi si scende nella realtà sociale, economica e politica dalla prospettiva dell'Altro che, per Enrique Dussel, è l'escluso, gli sfruttati e gli oppressi, che diventano praticamente il nero, il bruno, l'indiano, la donna, il giovane, cioè tutti coloro che vivono al di fuori del sistema dominante, il sistema capitalista.

Non troviamo una lettura altrettanto radicale nell'opera di Jacques Derrida, soprattutto per le diverse prospettive: Derrida è un accademico del Centro, un critico che però non mette in discussione i fondamenti costitutivi del sistema dominante. Enrique Dussel è, sì, un accademico, ma soprattutto è un intellettuale militante della Periferia, in costante lotta per l'emancipazione dell'Altro. Per quale emancipazione stava combattendo Jacques Derrida? Ovviamente non era obbligato a combattere per niente e per nessuno, ma la domanda serve solo a misurare la differenza di condizione intellettuale, morale e culturale tra i due filosofi.

L'intellettuale del Centro deve mettere radicalmente in discussione la sua appartenenza al Centro stesso, alla cultura che lo ha formato e alla cultura che lui stesso riproduce. L'intellettuale della periferia deve compiere la stessa azione dell'intellettuale del centro, ma con la consapevolezza di esserne sostanzialmente escluso. Se l'intellettuale di periferia non critica aspramente la cultura eurocentrica, finisce per essere un escluso che accetta la propria esclusione, anche se il sistema culturale gli dà l'impressione di accettarlo su un piano di parità. Ma una parità effettiva, una reale uguaglianza tra Centro e Periferia non è possibile, perché non c'è mai uguaglianza tra dominatori e dominati, tra propagandisti di un'egemonia e destinatari di tale egemonia.

Il lettore di Dalla fraternità alla solidarietà non bisogna dimenticare questa differenza di prospettiva.

*Antonino Infranca Ha conseguito un dottorato in filosofia presso l'Accademia delle scienze ungherese. Autore, tra gli altri libri, di Lavoro, individuo, storia: il concetto di lavoro in Lukács (Boitempo).

Traduzione: Giuliana Hass.

 

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