Tra imperialismo e diversismo

Immagine: Pavel Danilyuk
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da JOÃO GASPAR*

La questione venezuelana è evidenziata da una miriade di interessi, in misura maggiore o minore contrastanti tra loro, di segmenti della grande classe capitalista globale e delle élite dominanti nazionali.

Affrontare la “questione venezuelana” è complesso, da un lato, per la vicinanza storica degli eventi rispetto allo studio, il che fa sì che si abbia sempre la sensazione di essere superati rispetto ai “fatti”; e, dall’altro – a maggior ragione se si vuole farlo in modo critico –, dalla molteplicità di espressioni di impresa capitalistica che operano nello scenario venezuelano, spesso in competizione tra loro, attraverso schemi ancora non molto chiari. È necessario, tuttavia, nonostante tali difficoltà, continuare con tale ricerca, per espandere il dibattito pubblico brasiliano sull’argomento, al di là delle “analisi” narrative standardizzate dei principali media brasiliani e di quei pamphlet ideologici delle cosiddette alternative canali e indipendenti, che sono più propensi a ostacolare le discussioni per l’incantesimo che esercitano sull’intellighenzia nazionale che a incoraggiarle davvero.

In questo brevissimo saggio, quindi, intendo esplorare materialmente l’azione del Brasile rispetto a questo tema, tenendo conto sia degli interessi che dei meccanismi politico-economici che vengono a informare e vincolare le azioni dei vari attori “statali” considerati, qui, come quelli coinvolti nella “questione Venezuela”, vale a dire USA/UE (centro occidentale del capitalismo), lo Stato venezuelano (élite PSUVista) e Brasile, per valutare come si è comportata la nostra politica estera. In questo senso ringrazio coloro che direttamente o indirettamente mi hanno aiutato nella costruzione del testo, in particolare i cari dipendenti di Itamaraty che sono stati disponibili a discutere con me alcuni punti dell'attuale PEB.

Bene allora. Con “questione venezuelana” mi riferisco al problema, evidenziato nelle elezioni post-venezuelane del 2024, che attualmente si trovano ad affrontare gli ideatori della nostra politica estera quando si tratta di affrontare il dramma venezuelano, che risale all’ascesa al potere di Hugo Chávez, all’inizio di questo secolo, quando cominciò l’“onda rosa” latinoamericana e lo shock causato dai cambiamenti che essa introdusse in quel paese di fronte agli interessi del centro capitalista occidentale, cioè gli Stati Uniti e l’Unione Europea, in particolare per quanto riguarda il regime di proprietà delle imprese legate al petrolio, nonché, e soprattutto, i prossimi sviluppi della storia venezuelana e le sue relazioni con le potenze occidentali.

L’ostacolo, in questo senso, alla costruzione del cosiddetto “socialismo del 21° secolo” (caratterizzato dall’attuazione di politiche di sviluppo nazionale, redistributive, revisioniste/educative, antimperialiste e panamericaniste), da parte dell’Euro -La pressione americana sull’economia e sull’immagine venezuelana-bolivariana, da un lato, che impone dure sanzioni alla nazione sotto il governo PSUVista e che lotta aggressivamente per la sua delegittimazione e caduta, e, dall’altro, dalla cristallizzazione della rivoluzione nella figura erratico-caricaturale di Nicolás Maduro, dopo la morte di Chávez, forse un punto di svolta per la trasformazione del Venezuela in un vero nucleo di instabilità alla periferia americana – piuttosto in la sensazione di mostrarsi come un fallimento per la politica regionale come attore de facto contro-egemonico, destabilizzante il potere imperiale (che è così che si presenta ufficialmente).

In questo senso, senza il carisma e la sensibilità politica del suo padrino politico, Maduro ha finito per condurre il bolivarismo verso un conservatorismo che, avendo dotato le istituzioni statali, ha fatto di tutto (e continua a fare) per mantenerle, strumentalizzando l’autoritarismo, all’interno piano, e guerrafondaio, all’esterno, in un diversismo che tenta disperatamente di modellare il sostegno della popolazione e degli Stati periferici e/o non allineati [al centro occidentale del Sistema Internazionale] al Il blocco PSUVista, come testimoniano le violenze inflitte al dissenso, in aumento negli ultimi anni, e la recente mobilitazione degli strumenti venezuelani di democrazia partecipativa e del discorso ufficiale a favore dell’annessione del territorio di Essequibo, il tutto a favore del partito venezuelano classe dominante e dei loro interessi materiali, per il capitale e il potere politico.

Esistono, quindi, una miriade di interessi, in maggiore o minore misura contrastanti tra loro, da parte di segmenti della grande classe capitalista globale e delle élite dirigenti nazionali dei vari attori coinvolti, che modellano l’ambiente regionale in cui i decisori brasiliani operare, nella sua tradizione nazionalista-borghese, salvata da Lula III, alla ricerca di una migliore posizione nella gerarchia del Sistema Internazionale.

In questo contesto, valuto che, tenendo conto di quanto mi hanno detto, in condizione di anonimato, i diplomatici brasiliani con cui ho parlato, il Brasile non sta “chiudendo il tavolo” per incoerenze tra pratica e discorso, né tanto meno per evidenti violazioni dei diritti umani universalmente riconosciuto nell'ambito delle Nazioni Unite - vedi comunicati stampa di Itamaraty, che esprimono preoccupazione, disapprovazione, ecc., sia riguardo alle azioni e omissioni dello Stato venezuelano, sia riguardo alle sanzioni Euro-americani contro lo stesso -, ha lavorato instancabilmente per preservare i canali di dialogo interstatale, come dimostra la non ritorsione del Ministero degli Affari Esteri contro le critiche mosse dagli organi e dalle autorità venezuelane contro i suoi dipendenti in generale e alcuni dei suoi nomi più importanti, come ad esempio Celso Amorim, Mauro Vieira e Eduardo Paes Saboia (come se il PEB non passasse attraverso il Presidente della Repubblica, cioè attraverso Lula!), così come nel pacifismo[quasi al limite dell’ingenuità] di cui, ufficialmente, il Paese attende ancora la pubblicazione ufficiale dei tanto chiacchierati documenti elettorali, nella misura in cui ha ben capito che la nostra diplomazia si è rivelata “controproducente”, sia sentendosi offesa dagli attentati (e una ritorsione, a maggior ragione, per la quale esprimiamo solo la nostra “sorpresa”), sia il rifiuto diretto del risultato annunciato dal Consiglio Elettorale Nazionale del Venezuela, mentre le azioni con alto potenziale per fermare il nostro dialogo.

E questo, alla luce dello sforzo deliberato della nostra diplomazia di presentare il Paese alla comunità delle nazioni come dotato di sufficiente indipendenza, stabilità, continuità istituzionale, credibilità e parsimonia affinché, ad esempio, possiamo agire come mediatori in eventuali controversie, così che possiamo definire, in misura maggiore, le agende politiche internazionali nell’ambito delle istituzioni internazionali, ecc., in breve, avvicinarci ai centri del potere globale, con l’obiettivo, in ultima analisi, di attrarre investimenti diretti (che, paradossalmente , vedono le nostre élite positivamente, nel suo progetto) e la conquista di quote maggiori di mercati esteri (paradossalmente preferiti dalle nostre élite a quello nazionale, interno), secondo l'attuale progetto classista a base primaria di esportazione (che la nostra tradizione giuridico-multilateralista del PE serve).

Inoltre, nella misura in cui ritengo che il pragmatismo sia una caratteristica centrale di modo operante del PEB (in linea con quanto accennato in precedenza) – il che si capisce, ad esempio, dall’apparente contraddizione tra, in primo luogo, l’accoglienza da parte dell’attuale governo brasiliano di Nicolás Maduro, nel 2023, in un evento tenutosi a Brasilia, come capo di Stato come qualsiasi altro, e, l’anno successivo, lo stesso governo verrebbe respinto se invitasse il Venezuela a sedersi con i BRICS+, tenendo conto della situazione attuale e della visione di tale gruppo, cioè la riforma degli strumenti politici e dell’inserimento economico globale –, mi diventa chiaro l’errore che costituisce il discorso madurista, riprodotto da varie parti della sinistra brasiliana.

E un simile errore può essere temuto, ad esempio, per quanto riguarda la connessione segnalata dal discorso ufficiale venezuelano che il nostro MRE avrebbe con il Partito Democratico degli Stati Uniti, come una mera costruzione ideologico-diversista, che mira a screditare l’obiettivo, legalistico e sovrano azione brasiliana (i cui interessi, sebbene informati dalla componente borghese dell’élite dominante nazionale, che gestisce lo Stato brasiliano in contatto con i centri del potere mondiale, a causa del meccanismo dell’imperialismo, non sono, però, materialmente gli stessi, con in evidenza le differenze tra le nostre élite e quelle del centro), così come la legittimazione del regime del PSUV come presunto baluardo antimperialista e forza antiegemonica, che, di fatto, dal Ha cessato di esistere da tempo.

Pertanto, vedo che l’attuale politica estera brasiliana è ben bilanciata tra l’imperialismo straniero ed europeo, da un lato – che cerca in ogni momento di forzare l’occidentalizzazione del Venezuela, imponendo sanzioni condizionate all’azione in conformità con i suoi valori e l’adozione di politiche economiche in linea con questo blocco e ad esso favorevoli, per ottenere maggiori profitti -, e il diversismo venezuelano, dall’altro - che rifiuta anche il magro consenso in materia di istituzioni, diritti e Il diritto, ottenuto nell’ambito di organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite e il Mercosur, rappresentandoli in modo distorto tra le loro popolazioni e altri Stati, per ottenere vantaggi economico-politici non ancora molto chiari – non abbandonando la loro tradizione di PE e non perdendo di vista i propri “interessi nazionali” (informati da una borghesia il cui discutibile nazionalismo qui, in termini semplificati, si intende esistere perché, ad esempio, lo scopo è quello di ottenere una migliore posizione per il Brasile nella relativa gerarchia del SI, cioè perché l’empowerment della “nazione” è un elemento importante del progetto di questa classe), per qualunque ragione di affinità ideologico-volgare/cameratismo politico o di cooptazione del retroterra imperiale, restando fermo, anche sotto sparatoria da parte di forze diverse e di fronte alle difficoltà create dalle parti coinvolte, nella ricerca del dialogo con le parti in causa, un dialogo in cui capisco, così come, mi sembra, i nostri leader, ci sono ancora rimedi per la crisi che affligge i venezuelani tanto dolore e, per noi, tanto disagio.

Resta da discutere in futuro come interagiscono gli interessi delle masse e il progetto di classe che serve essenzialmente la diplomazia brasiliana. A pensare a…

*Joao Gaspar Si sta specializzando in Relazioni Internazionali presso l'Università Federale di Santa Catarina (UFSC).


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