da EDSON BALESTRIN*
Oggi i pronipoti degli immigrati italiani vivono bene, ma molti lo fanno sfruttando i bisognosi.
Noi, nati, cresciuti e residenti nella regione della Serra Gaúcha, abbiamo bisogno di fermarci, guardare alle nostre origini e ripensare a cosa siamo, cosa facciamo e cosa vogliamo. Fatta eccezione, per ora, per la cancellazione della traiettoria indigena, la nostra regione è sul punto di compiere 150 anni a causa dell'arrivo degli immigrati italiani. E cerchiamo di essere obiettivi riguardo alle nostre bisnonne.
Molti di noi hanno già avuto l'opportunità di visitare la casa in cui sono nati i nostri antenati, immancabilmente una magione malsana in cui diverse famiglie condividevano gli spazi comuni nei pochi momenti in cui non lavoravano la terra di un signore per ricevere il martedì, e guardare lì. Analfabeti, ma senza colpe, ebbero poco da difendersi in un momento di intenso riassetto politico, economico e sociale che stava attraversando non solo l'Italia, ma praticamente tutta l'Europa investita dalla seconda Rivoluzione Industriale.
Alcuni potevano anche permettersi di decidere di emigrare in 'Mérica, ma molti furono espulsi perché erano un peso per la nazione che si stava costituendo. Inoltre, risulta che alcuni siano stati espatriati per reati commessi. Ma da Romai ero così brava gente.
Gli italiani che andarono a San Paolo sostituirono gli schiavi neri quasi nelle stesse orrende condizioni, mentre gli italiani che arrivarono a Rio Grande do Sul ebbero la fortuna di poter fare la propria fortuna. Ma questo significava abbattere una foresta, affrontare animali, epidemie, tra mille altre paure. Con molto sparagnate e tanto disprezzo per l'educazione, capitali via via accumulati, ma anche discriminazione, razzismo, xenofobia. La regione divenne una potenza di ricchezza e falso moralismo.
L'orgoglio di una superiorità etnica e morale abbaglia i pronipoti. Non mancano i gringos che si lodano per la narrazione del superamento dei loro bisnonni. Pochi di questi bravi cittadini sono interessati a ricercare che il bisnonno ha dovuto bruciarsi i polmoni lavorando in una miniera di carbone per pochi dollari che gli avrebbero permesso di iniziare a coltivare nella colonia, che ha nonno doveva essere aggiunto entro martedì nella colonia tedesca per pagare le bollette, che l'altro nonno pregò di poter aiutare all'installazione della ferrovia in cambio di qualche pillola che gli avrebbe dato un po' di sicurezza oltre al baratto quotidiano.
Ma chi conosce la storia oltre lo stereotipo sa trasporre la comprensione delle precarie condizioni del passato in un esercizio di empatia per chi vive la stessa situazione contemporaneamente – e con l'aggiunta di scosse elettriche e spray al peperoncino in caso di logoramento. E c'è chi pensa che sia un male non aver spazzato le baracche e aver cercato sollievo nell'alcool.
Oggi i pronipoti degli immigrati italiani vivono bene, ma molti lo fanno sfruttando i bisognosi proprio come un giorno accadde ai loro bisnonnos. Ruttano polifenoli dicendo che la politica assistenziale è per i barboni, quando in realtà sono qui solo perché il bisnonnos I senza terra hanno avuto aiuto dal governo – e molto –, sia per ottenere molto, per acquisire strumenti, per avere diritto a rate e anche a condoni.
Decantano note agrumate per dire che il baiano da queste parti non va bene, come se 150 anni fa non fossero stati nostri bisnonnos che si sono sottomessi a condizioni brutali per sopravvivere, proprio come fanno adesso i bahiani, proprio come quelli dell'ovest di Santa Catarina, quelli del confine meridionale, tutti quelli che vengono qui, perché sono sempre i poveri che si sottomettono, sono sempre i poveri che non hanno scelta e devono sottomettersi al gringo che li disprezza, i poveri che sono persone piene di incertezze, che scommettono tutto per ricominciare la propria vita, abbandonando i familiari e partendo per un luogo lontano, sconosciuto, inospitale.
Una comunità con una storia di precarietà come la nostra, votare per una politica di oppressione, puntare il dito, giudicare senza prove, respingere chi la pensa diversamente e umiliare chi dipende dall'aiuto può solo mietere perdite. E il danno di questo pregiudizio esacerbato arriverà, nella difficoltà a vendere il nostro vino, nella scomparsa dei turisti. Siamo già titoli Folha de S. Paul, riceviamo infiniti minuti di riflettori su Giornale Nazionale, abbiamo petizioni e dichiarazioni di non responsabilità provenienti da tutto il paese.
Se Serra Gaúcha non è in grado di comprendere il suo passato difficile e riconvertirlo in una cultura del rispetto per gli altri, se non riflette sull'immagine che sta consolidando in Brasile, il danno arriverà. E non ci sarà vino per affogare i dolori.
*Edson Balestrin è un giudice in pensione.
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