da RICARDO FABBRININI*
Commento al libro di Artur Kon
Combinando la riflessione estetica e l'azione politico-culturale, i gruppi teatrali di San Paolo si sono uniti nel 1998 nel movimento “Arte contro la barbarie”. Questo movimento ha portato alla creazione della Legge di Promozione del Teatro per la Città di San Paolo, nel 2002, che è diventata una pietra miliare per la riflessione sulle politiche pubbliche rivolte alle arti dello spettacolo in Brasile. Questo periodo, che va dalla fine degli anni '1990 agli anni 2000, è considerato dalla critica come la fase di rinascita del teatro di gruppo marcatamente politico, perché secondo il “modello etico-dialettico” di Berthold Brecht, è ripreso da Artur Kon dentro On Theatercracy: estetica e politica del teatro contemporaneo a San Paolo[I] come terzo ciclo di teatro politico a San Paolo.
Il primo ciclo del teatro politico è quello degli anni Venti e Trenta, “più letterario che scenico”, e non per deficienza della drammaturgia di Oswald de Andrade (Il re della vela, L'uomo e il cavallo e a morta) o Mário de Andrade (l'opera Il caffè), ma per “l'incapacità del teatro professionale del tempo”.[Ii] Il secondo ciclo del teatro politico di gruppo a San Paolo è quello del progetto nazional-popolare, durato dal 1961 al 1964; cioè dal Teatro de Arena al Centro Popular de Cultura dell'União Nacional dos Estudantes (CPC-UNE), che incorporava tecniche brechtiane.
nel centro di teatrocrazia di Artur Kon è l'analisi di una scissione all'interno del terzo ciclo di politicizzazione del teatro a San Paolo. Un primo gruppo, come mostra l'autore, assumendo una posizione marxista e brechtiana che risale agli studi sulla poetica di Brecht alla Companhia do Latão nel 1997, difendeva "un realismo critico", "avverso alla sperimentazione formale" stigmatizzato come "borghese, conservatore, e acritico”.[Iii]
Reagendo a questa posizione, un secondo gruppo, ritenendo che la poetica brechtiana non “permettesse più di avanzare nel pensiero delle proprie contraddizioni”,[Iv] era aperto ad altre concezioni sceniche come quelle presentate nel libro teatro postdrammatico, di Hans-Thies Lehmann, pubblicato in Germania nel 1999 e in Brasile nel 2007[V] – un libro che ha permesso, è bene notare, a diversi autori di situare concettualmente la propria produzione scenica già in atto. Tra le cause di questa scissione nel movimento teatrale, non si può ignorare, come fa notare Kon, la disputa tra questi gruppi per le scarse risorse delle politiche pubbliche appena vinte all'epoca, che trasformò precocemente la Legge Sviluppo in Legge del Tormento, nel ritrovamento acido di Paulo Arantes.[Vi]
Questo libro esamina in prosa chiara e rigorosa, articolando padronanza del mestiere teatrale con abilità nel tessuto concettuale, opere che hanno reagito al predominio della forma epica di Brecht autorizzato da studiosi marxisti e critici brechtiani. Tra la copiosa produzione del terzo ciclo del teatro di San Paolo, Kon ha scelto spettacoli in cui i temi migravano dai processi e dalla ricerca dei gruppi alla forma scenica, come: (vedi[ ]ter), dal 2012 e Laboratorio Permanente di Plagio, del 2013, di Cia Les Commediens Tropicales; lotteria, dal 2012 e Coloro che non sanno più chi sono, cosa sono e dove sono hanno bisogno di trasferirsi, 2009, di Cia São Jorge de Variedades; olio, da 2012, dal Tablado de Arruar; È Il faro, dal 2013, del collettivo OPOVOEMPÉ.
Queste opere sono considerate da Kon come le più significative del periodo, perché avrebbero incorporato radicalmente, nella materialità del fare teatrale, i problemi e le impasse del presente, potenziando così il pensiero scenico. Sono spettacoli di “gruppi non gerarchici” – perché hanno rinunciato al “regista estetico” a favore di un “regista collettivo” – che hanno sviluppato una ricerca sui temi e sui linguaggi, informata da un campo allargato di riferimenti teorici, sotto forma di intervento urbano –, ad eccezione di Petrolio, eseguita su un palcoscenico convenzionale.
L'analisi di queste opere non assume però un tono elogiativo, perché Kon non manca di evidenziare ciò che vi è in esse proprio di inconsistenza nella forma, assumendo tale fragilità come sintomo dell'altrettanto problematica precarietà della realtà sociale e politica di il periodo. Tra l'altro, uno dei grandi meriti del libro è il primato dato dall'autore all'oggetto, allo sviluppo della drammaturgia in ciascuna delle commedie scelte, o, come direbbe Adorno, alla sua “singolare verità”. È notevole l'abilità con cui ha indagato, concretamente, come ciascun gruppo affrontava la disponibilità di materiale teatrale, verificando le possibilità formative aperte dalla storicità dei suoi usi. Questi pezzi di teatro politico post-brechtiano di San Paolo sarebbero quindi veramente contemporanei, in quanto fanno “avanzare i problemi attuali del materiale scenico”.
Sono pezzi postdrammatici, o “non testuali” – il che significa che non eliminano il testo, ma lo assumono come uno degli elementi, tra gli altri, della configurazione scenica –, che escono dallo spazio chiuso della l'edificio teatrale verso lo spazio pubblico; o che occupano sia il palcoscenico che le strade, come in Chi non sa più chi è, cosa è e dove è ha bisogno di muoversi. L'essenziale non sarebbe l'abbandono di ogni forma di rappresentazione a favore di un intervento direttamente inscritto nella realtà, ma “la riconfigurazione del campo visibile, rappresentabile”, in scena o per strada.
Em (vedi[ ]ter) di Cia Les Commediens Tropicales, una “creazione scenografica di carattere interventista”, nella caratterizzazione della compagnia stessa, composta da gruppi autonomi, i gesto teatrale non consiste nella rivendicazione di un accesso immediato al reale detto in contrapposizione alla rappresentazione e all'autonomia della forma artistica, ma nella “esposizione di un'interruzione”, in senso brechtiano – o in una “immagine dialettica”, nel senso di Benjamin – in opposizione alle immagini egemoniche (come le forme stereotipate di rappresentazione drammatica).
È possibile prendere questo pezzo nella chiave del mimesi, se le attribuiamo il significato che le dà Adorno, e cioè: quello di perdersi nell'alterità invece di imporsi attivamente ad essa; un senso che Kon approssima alla visione freudiano-lacaniana della pulsione di morte, come “insistenza (traumatica) nell'incontro con il vuoto di un Reale impossibile”.[Vii] In questo modo, la “ripetizione di gesti e immagini autodistruttivi” in (vedi[ ]ter) integrerebbe il trauma nell'economia psichica, che è di ordine simbolico. Lasciandosi costituire dall'alterità (horror contemporaneo), lo spettacolo incorporerebbe “nel proprio ambiente la logica di ciò che gli è esterno, trasformando l'esterno nell'ambiente della propria logica”.[Viii]
Si può dire, quindi, che l'intervento urbano in (vedi[ ]ter) non è così vicino a detta realtà esistente fino a sprofondare in essa, poiché c'è un'elaborazione di questo mancato incontro con il Reale nell'immanenza della forma teatrale. Se questo pezzo post-traumatico permette a “un luogo di mostrarsi sotto una nuova luce”,[Ix] nell'espressione di Lehmann, "far vedere ciò che non era degno di essere visto",[X] ora nell'espressione di Rancière, è perché conserva l'autonomia della forma artistica (cioè una certa “ri-teatralizzazione”), sia pure in forma problematica, dopo successivi tentativi delle avanguardie artistiche di superarla.
lotteria, di Cia São Jorge de Variedades, inizia con una rappresentazione mitica o fittizia piuttosto che storica o fattuale delle origini del quartiere Barra Funda. Continuando però a produrre un “cortocircuito tra il passato mitico e il presente problematico”, lo spettacolo, rivelandosi autoriflessivo, critica la propria nostalgia di un'origine idilliaca mostrando che alla base dell'“unico e stabile l'insieme sociale” è “l'esclusione violenta”, “la parte del senza parte”.[Xi] Ed è nell'affermazione di questo “dissenso” che è all'origine della politica, secondo Jacques Rancière, che risiederebbe la forza di resistenza dello spettacolo, in quanto indicherebbe la possibilità di una nuova “condivisione del sensibile”, cioè nei “modi di essere, vedere, dire, fare” di una comunità.[Xii]
L'occupazione delle strade di Barra Funda risveglierebbe, in altre parole, nuove possibilità collettive di soggettivazione contro le “certezze del luogo”. Il ritorno al passato non sarebbe, quindi, “nostalgia del passato accaduto”, in senso conservativo, ma opera attiva di ricordo di una promessa di un futuro dimenticato in un passato che non ci è stato ancora raccontato – un “passato di sogni, rivoluzioni e utopie”.[Xiii] Em lotteria, in sintesi, la negazione di una comunità originaria non implica il cinismo che ribadisce l'impossibilità dei cambiamenti, poiché consentirebbe di sperimentare qualcosa di una desiderabile comunità che deve ancora venire.
lotteria elabora anche il teatro politico del passato nella sua forma teatrale nel presente, o, più precisamente, indaga le ragioni del fallimento non solo del teatro politico rivoluzionario, ma, più in generale, della speranza stessa di costruire una realtà del tutto diversa da quelle avanguardie storiche: “Come personaggio di Barafonda: Prima di continuare, dobbiamo ammettere che abbiamo fallito”.[Xiv] Questo fallimento del tentativo delle avanguardie di confondere arte e vita non può essere dissociato – come mostra Kon da Christoph Menke – dalle “esperienze storiche delle successive sconfitte dei progetti comunisti”,[Xv] in cui si inserisce il teatro politico brechtiano: lotteria, in questa direzione, mirerebbe, secondo l'autore, a mettere in scena questa esperienza di fallimento, non per riaffermare la sconfitta come inesorabile, ma per, nel suo riconoscimento, lavorare sulle ragioni di questa sconfitta.
L'analisi di olio, con testo di Alexandre Del Farra e scenografia e drammaturgia di Clayton Machado, è esemplare. Kon mostra con insolita raffinatezza come la caratterizzazione dell'élite brasiliana come violenta, predatoria, "dedita al kitsch e alla cultura declassata",[Xvi] in un sistema politico ed economico perverso che riafferma incessantemente le differenze di classe, si è incastrato mimeticamente alla materialità stessa della commedia, rifiutando l'effetto distanziante del teatro politico tradizionale. olio è un'indagine sulle possibilità di un teatro politico postdrammatico che non ritorni alle regole del teatro epico brechtiano, o alla struttura melodrammatica che oppone, in modo manicheo, carnefici a vittime.
Mettendo in discussione gli stereotipi del teatro politico, lo spettacolo confuta “la drammaturgia della vittima dell'ingiustizia sociale”: “Sì! Siamo stanchi di queste opinioni messe in scena o al cinema, che servono a farci sentire dalla parte giusta”[Xvii] - esclama il personaggio Jane. Evitando il teatro della denuncia volto a reclamare polizze risarcitorie, olio esamina il fallimento della critica da parte della sinistra che è finita paralizzata, come commenta Kon, dal cinismo o dalla disperazione.
Nel cinismo, nella misura in cui la presa di coscienza critica della debacle della società brasiliana finì per diventare una coscienza priva di ogni potere, e quindi priva di effetto reale, come indicano i continui discorsi circolari dei personaggi della pièce; o nella disperazione, in relazione all'impotenza di coloro che, essendo scartati nella nostra società, percepiscono l'innocuità delle “loro decisioni, giudizi o discorsi”, come si manifesta materialmente nel dramma, “nelle urla, nelle parolacce, o nelle crude argomenti che dominano le discussioni”.[Xviii]
La violenza insaziabile, reagendo al conformismo, si presenta come l'ultima risorsa in un mondo "in cui ogni argomentazione razionale si trasforma in cinismo immobilizzante".[Xix] “Il petrolio nasce dall'odio”, dice Jane: “Anche sotto i viali e le grandi città, e sotto i palazzi, e le linee della metropolitana, e sotto tutto ciò che è civilizzato si nasconde un lento e continuo processo di putrefazione e fermentazione, colpa, rimorso, dolore…”.[Xx]
olio è, insomma, una violenta forza sotterranea, una forza distruttrice, come quella che costituisce ogni utopia, nonostante le resistenze della sinistra ad ammetterla, soprattutto ad assumerla, poiché «per far emergere il nuovo occorre è necessario aprire uno spazio nel vecchio, è necessario distruggere ciò che c'è”: “Il piacere di distruggere è anche un piacere costruttivo. Se qualcosa che esiste viene distrutto, in queste rovine appare qualcosa di nuovo. Naturalmente, tutto questo all'interno di un processo dialettico”,[Xxi] come osserva acutamente Kon da Bakunin.
Al centro delle operazioni formali di olio è, dunque, la violenza come “mimesi del pietrificato”, nelle parole di Adorno[Xxii]. La sua potenza del negativo si manifesta nella disposizione delle “materie contrastanti”, in un attrito che, nell'intento di Dal Farra, “fa spazio all'imprevedibile”.[Xxiii] Attingendo ai commenti di Adorno a Beckett, Kon mostra che, in olio, abbiamo la parodia intesa come gioco tra tragedia e commedia, o più precisamente, un “uso delle forme al tempo dell'impossibilità” del loro uso,[Xxiv] in modo tale che questa impossibilità implichi cambiamenti nella forma stessa. In Dal Farra, come in Samuel Beckett, “le tre unità aristoteliche restano, ma il dramma stesso perisce” in modo tale che “le sue componenti drammatiche (esposizione, trama, avventura e catastrofe) riappaiono nelle sue commedie dopo la sua morte”.[Xxv]
Nell'atto finale, soprattutto, olio è anche critica di fronte al ripiegamento paralizzante della critica, non perché creda nel potere del teatro di trasformare la realtà, ma perché prende “una posizione di fronte a questa impossibilità”, ovvero perché scopre “la possibilità di dire qualcosa”[Xxvi] su questa stessa realtà sfregando e stravolgendo il linguaggio scenico già reificato, scoprendo che, attraverso queste operazioni, effettivamente “qualcosa si dice”.
olio mostra così, secondo Kon, che è possibile lavorare dalle rovine dell'edificio moderno, appropriandosi, ad esempio, delle drammaturgie di Brecht e di Beckett, che in questa pièce si correggeranno a vicenda, procedendo a una riflessione ravvicinata su “ vita post-mortem della drammaturgia stessa”; perché, “così come l'olio nasce dalla decomposizione della materia viva, la potenzialità di dire qualcosa” si alimenta, nel parallelo dell'autore, dal “consumo della materia scenica”.[Xxvii]
L'impegno e le lotte rivoluzionarie del teatro politico sono i temi centrali di Chi non sa più chi è, cosa è e dove è ha bisogno di muoversi, di Cia São Jorge de Variedades, che ha riscosso un grande successo di pubblico e critica. Lo spettacolo inizia con un manifesto affisso su un muro con il distico “La rivoluzione inizia come una passeggiata”, seguito da un giro intorno a un isolato da parte di un “gruppo insolito” che, con slogan urlati a pieni polmoni, “simula un'azione rivoluzionaria” ,[Xxviii] per poi rientrare nel luogo di presentazione, sul palco dove si concentrerà la messa in scena fino al suo termine quando poi il gruppo tornerà in piazza.
È interessante notare che Kon, così come Cia São Jorge, il cui spettacolo si svolge sia in strada che in scena, non attribuiscono una “differenza ontologica”, tanto meno gerarchica, tra il teatro di intervento nello spazio urbano e quello che si sviluppa in un edificio teatrale. Non c'è differenza, perché in entrambi i casi, secondo l'autore, saremmo di fronte alla “stessa impossibilità di accedere al Reale”, fatalità che determina il teatro come campo di rappresentazione, anche se è possibile mettere in tensione questo campo, “sovvertirlo dall'interno” o addirittura estenderne i limiti – come nei pezzi esaminati nel libro. Ciò che non sarebbe possibile è superare la rappresentazione attraverso l'estetizzazione della vita, come intendevano le avanguardie artistiche. Inoltre, se in questo senso la strada viene equiparata al palcoscenico, è perché gli interventi teatrali nello spazio pubblico sono già istituzionalizzati, come è avvenuto con la eventi o performance che finirono per essere convertite in linguaggi artistici.
La messa in scena dell'azione rivoluzionaria in apertura di Chi non sa più chi è... – che rimanda, a prima vista, alla nostalgia di una comunità originaria in lotteria – è caratterizzato da Kon come “carnevalizzazione senza carnevale”, o addirittura, come “una presenza di fantasmi” che “viene semplicemente derisa”, forse perché questo è “l'unico modo accettabile per vederli tornare sulla scena”,[Xxix] data la mancanza di prospettiva di cambiamenti effettivi nel presente. Dopo la “tragedia del socialismo reale” (e la fine delle avanguardie artistiche), non si potranno che mettere in scena personaggi e azioni rivoluzionarie in modo istrionico, spettrale, mescolando luoghi comuni: “siamo ormai nella fase della farsa dopo la tragedia ; e non c'è più tragedia in corso; e non ce ne saranno altri”, sentenze Heiner Muller citate da Kon.[Xxx]
In termini di parodia, anche qui lo spettacolo satira sia la serie di errori commessi dai militanti rivoluzionari con la loro "intransigente sicurezza di sé" sia il discorso didascalico, se non autoritario, del teatro impegnato. Mettere in scena i tentativi frustrati come risultato di giudizi errati della militanza di sinistra, Chi non sa più chi è... mostra che il significato della storia non può essere teleologicamente determinato, poiché “le cose hanno un senso in modo molto irregolare”, o, come dice Alenka Zupancic, “il significato stesso è un errore, ha la struttura di un errore”.[Xxxi]
Em Chi non sa più chi è..., non è, però, solo una messa in scena del fallimento dell'impegno rivoluzionario nel passato, perché nel corso dello spettacolo si passa dalla “farsa della tragedia della rivoluzione” a “una commedia del soggetto rivoluzionario "[Xxxii] ora. A poco a poco, attraverso la reiterazione, lo spettacolo costruisce, in scena, l'idea del fallimento non come resa, ma come motivo dell'azione. Se la messa in scena di tentativi sempre rinnovati di continuare ad agire produce il passaggio dal genere eroico a quello comico, non è «perché si fallisce ancora e ancora, ma perché si insiste ancora e ancora».[Xxxiii]
E se c'è insistenza è perché non si sa “quante volte un'idea dovrà fallire prima di essere vittoriosa”,[Xxxiv] in modo tale che, mentre non è vittorioso, solo il fallimento può guidare nuovamente l'azione politica. In Chi non sa più chi è... si ha così la trasformazione del fallimento della poetica melodrammatica ed epica del teatro politico tradizionale in una “poetica del fallimento” del teatro postdrammatico, e non in una “poetica che fallisce”, anche perché si rivela l'insistenza sul fallimento “il fallimento del fallimento,[Xxxv] come insiste Kon.
Questa enfasi sull'azione come "tentativo ostinato" da parte di "attori rivoluzionari" è anche associata, dall'autore, all'impegno nel processo di produzione teatrale, in un'opera il cui significato e valore risiedono soprattutto nell'investimento nel mestiere stesso, in l'arte come scopo senza fine a scapito dell'“oggetto prodotto”. Questa distinzione, tuttavia, non funziona Chi non sa più chi è... del pensiero di sinistra, come ben avverte Kon, ricorrendo alla seguente affermazione di Antonio Candido: “Il socialismo è una meta senza fine. Devi comportarti ogni giorno come se fosse possibile andare in paradiso, ma non lo farai. Ma se non fai questa lotta, cadi all'inferno”.[Xxxvi]
Em Il faro, parte della trilogia La macchina del tempo (o ormai da tempo) del collettivo OPOVOEMPÉ, abbiamo, secondo Kon, un'indagine sui limiti della forma teatrale o della nozione stessa di opera d'arte. Questo “gioco” consiste in uno spostamento di uno o due soli spettatori, ad ogni rappresentazione, lungo un determinato percorso nella città di San Paolo. Il percorso inizia alla reception dello Sheraton WTC Hotel, in Av. delle Nazioni Unite, dove gli spettatori, dopo aver fatto il loro il check-in, dirigiti verso Shopping D&D, nelle vicinanze, dirigendoti verso una stazione ferroviaria per imbarcarti infine verso la periferia.
È un cammino estetico che rimanda, a prima vista, al passeggiare Baudelaire tra le rovine delle riforme urbanistiche di Haussmann; le visite-escursioni antiartistiche in luoghi banali del gruppo Dada; a vagabondaggi surrealisti nella parte inconscia della città moderna, oa derive situazioniste che miravano ad abitare la città in modi alternativi. Le differenze tra questi spostamenti, tuttavia, non tardano ad imporsi al lettore, il quale, guidato dalla mano sicura di Kon, scopre che lo spettatore Il faro, non vagare senza meta, Ho perso come i surrealisti alla ricerca della sensazione del meraviglioso, né occupa la città con l'intenzione di sostituire il tempo utile con il tempo ludico-costruttivo, nel senso dei situazionisti.
Il faro è un teatro senza attori, che “non fa scena”, spettacolo. Gli attori sono sostituiti da discrete guide, conduttori-interpreti che mirano a facilitare l'esperienza degli spettatori durante questo nostra sede metropolitana anti-turistica. Se c'è una scena, risiede, nella congettura di Kon, negli “sguardi, vissuti o ricordi” dei viaggiatori che osservano, selezionano, interpretano o confrontano ciò che vedono lungo il percorso con ciò che è già stato visto prima. Come in Chi non sa più chi è... ex spotter, ora un partecipante – come si caratterizza la fruizione in certa arte contemporanea – vive l'esperienza di uno scopo infinito, dato che non si muove strumentalmente per la città per raggiungere una data destinazione come di solito accade, ma abita lo spostamento stesso, anche se lasciati guidare dalle guide.
Kon esamina ulteriormente se questa enfasi su Il faro nell'esperienza soggettiva del destinatario, a scapito dell'oggettività della scena teatrale, non comporterebbe, secondo l'espressione di Adorno, una "disartizzazione" (Entkunstung) dell'arte, poiché metterebbe a repentaglio la sua stessa esistenza come realtà autonoma. La sua conclusione è che, a differenza dei pezzi Lo specchio e Una Festa che compongono la trilogia di OPOVOEMPÉ, i criteri oggettivi della forma teatrale in Il faro impediscono il soggettivismo sfrenato dello spettatore; o che la loro esperienza finisca per ridursi a “pseudo-lirismo” o mero consumismo culturale.
Nella fruizione di questo spettacolo, il momento soggettivo del libero svolgimento delle associazioni dello spettatore verrebbe corretto dal momento oggettivo della vicenda teatrale, cioè dal fermo contegno esercitato dalle guide che alternano il ritmo delle loro attese e spostamenti . Così che, se in un primo momento lo spettacolo sembra suggerire una “disartizzazione”, dovuta all'eliminazione degli attori o della scena, nel suo percorso finisce per imporsi agli occhi dello spettatore. concorrente come forma teatrale dotata di “potenza espressiva”.
La “forma disart” di Il faro, conclude Kon – sempre attento all'unicità di ciascuno modo di teatro politico postdrammatico – è quello di un unico “teatro di intervento urbano”, poiché lo spettacolo non è teatro tradizionale, non avendo scena né attori; né intervento, perché non mira a interferire nella vita della città, come in a accadendo, perfomance o in un'occupazione edilizia abbandonata; né urbano, ma “post-urbano”, perché troneggia “spazi spazzatura” (spazi spazzatura, nell'espressione di Rem Koolhaas), come le torri commerciali o i centri commerciali nella regione di Avenida Berrini – un'area che ha subito un processo di gentrificazione simile a quello che è avvenuto in altre città globali nell'attuale fase del capitalismo finanziario.
Questa passeggiata attraverso i non-luoghi della città, sia attraverso gli spazi anodini delle torri per uffici sia attraverso le aree degradate della periferia – due facce dello stesso processo di gentrificazione – non mira, come suggerivamo, a produrre la sensazione di meraviglie, dall'improvvisa irruzione della poesia nella quotidianità, come intendevano certe avanguardie artistiche, ma permettendo al viaggiatore di “scoprire e interrogarsi sul suo posto nella città fratturata”.[Xxxvii]
Estetizzare non significa, qui, addolcire la città o fornire al viaggiatore incontri o situazioni che gli restituiscano in modo riparativo la convivenza perduta, ma, al contrario, produrre un'esperienza analoga a quella del horror vacui, di pura desolazione, “rendere le cose [come dice Kon di Boris Groys] non migliori, ma peggiori — e non relativamente peggiori, ma radicalmente peggiori: trasformare cose funzionali in cose disfunzionali, tradire le aspettative, rivelare la presenza invisibile della morte dove noi avrebbe solo la vita”.[Xxxviii] Il faro investe anche sul fallimento dello spettatore di fronte all'impossibilità di gerarchizzare lungo il percorso gli innumerevoli materiali della “scena non allestita”: attore-guida, passeggeri del treno, atrio di albergo; questionari; linee guida su MP3, stazioni di graffiti, Singapore.
non solo dentro Il faro, ma negli altri brani scelti da Kon come i più rilevanti del nuovo teatro politico di San Paolo c'è “un certo carattere neobarocco”: una molteplicità di materiali eterogenei, dell'ordine dell'eccesso, come attestano le quattro ore Di lotteria; la “sovrapposizione di innumerevoli strati drammaturgici in olio",[Xxxix] i vari quadri indipendenti di (Vedi[ ]Ter); e il miscuglio di testi, attori o gruppi teatrali in Il Laboratorio Antiplagio Permanente di Cia Les Commidiens Tropicales, come vedremo.
A questi brani, infatti, non si può attribuire una struttura nel senso della composizione sintagmatica, per subordinazione delle parti al tutto, come nell'arte “organica” o “simbolica”; né vi è una disposizione paratattica, per giustapposizione di elementi (con l'eccezione, forse, di (Vedi[ ]Ter), nel senso di una certa arte d'avanguardia, in opposizione a Peter Bürger.[Xl] Questi pezzi teatrali, in altre parole, sono opere “non organiche”, caratterizzate da Kon non per “montaggio a distanza”, ma per compenetrazione o porosità tra materiali di diversa provenienza; o, secondo l'espressione stessa dell'autore, da un "attraversamento, come passaggio dall'interno di un materiale all'altro, in modo tale che i confini tra loro perdano ogni chiarezza",[Xli] a discapito dell'unità della forma — intesa come relazione tra le parti, o per ipotassi o per paratassi, come dicevamo —, che si traduce nell'effetto di “inconsistenza della totalità”[Xlii] della forma, sottolineato da Kon.
Em Laboratorio Antiplagio Permanente, Cia Les Commediens Tropicales, radicalizzando il carattere collaborativo di questo nuovo teatro politico, ha creato, nel 2013, un proposta teatrale destinato alla “imitazione” dei pezzi corri come un coniglio, da Cia dos outros; Petrolio; e Coloro che non sanno più chi sono, cosa sono e dove sono hanno bisogno di trasferirsi, con il coinvolgimento di autori e attori delle compagnie originali che hanno partecipato alle prove, oltre a prestare scenografie e costumi. Questo lavoro di laboratorio, vicino a quello di critica e curatela, spiegherebbe, secondo Kon, “i rapporti di produzione e autorialità”[Xliii] del teatro di gruppo, in un momento in cui, però, lo spirito cooperativo proveniente dal movimento Arte contro la barbarie era già in declino.
Questa proposta di “plagio”, che rafforza la dimensione autoriflessiva di questo nuovo teatro, è caratterizzata dall'autore come contraddittoria, ovvero segnata da una tensione tra la stretta “imitazione” dei modelli e la loro trasformazione in una nuova opera. A parere di Kon, questa "imitazione" sarebbe piuttosto una "transcreazione", poiché l'apertura all'alterità dei membri della Cia Les Commediens Tropicales avrebbe consentito, da un lato, che la poetica dei brani imitati trasformasse le procedure del Cia LCT, e, dall'altro, un altro, che la stessa poetica di Cia LCT introduceva “modifiche formali” nei brani imitati.
Questa transcreazione non è solo il risultato dell'impossibilità di una piena fedeltà all'originale, un tentativo che era già noto per essere destinato al fallimento - ma anche i cambiamenti storici avvenuti in Brasile tra il 2009 e il 2013, come: le proteste contro l'aumento delle tariffe degli autobus, la repressione poliziesca delle manifestazioni per il pass gratuito, fino ai cosiddetti Viaggi di giugno, ispirati alla Primavera Araba, in IL Occupare e negli Indignados spagnoli, che hanno imposto a Cia LCT la necessità di a aggiornamento delle parti originali. Questa appropriazione da parte di Les Commediens Tropicales dell'occupazione dello spazio urbano, Chi non sa più chi è... 2009, ha consentito, ad esempio, di rivelarlo, retroattivamente, come anticipatorio di queste manifestazioni. Infatti, come mostra Kon, questo nuovo teatro politico di intervento urbano di San Paolo non intendeva costituirsi come teatro di strada nel senso di piantare il palcoscenico nell'asfalto, senza però “infiltrarsi nella città”, ma, in consonanza con le manifestazioni sociali del periodo, “ripensando i modi di occuparla”.
Se nelle prove di Laboratorio Permanente di Plagio la “condivisione immaginata” non ha avuto luogo, ciò non significherebbe, nella valutazione di Kon, il fallimento di questo progetto come opera, se lo prendiamo come sintomo di un nuovo momento nel teatro di San Paolo, in cui un ciclo è in fase di completamento. L'autore si chiede, in questa direzione, se non sarebbe lo stesso progetto LCT a produrre retroattivamente – come la civetta di Minerva che decolla all'imbrunire – l'illusione della fine del terzo ciclo del teatro politico. Questa elaborazione del recente passato del teatro di San Paolo da parte del laboratorio ebbe comunque il merito – sempre secondo Kon – di assumere l'autore come produttore, facendo in modo che il gruppo si concentrasse non solo sul prodotto come spettacolo, ma anche sui mezzi della produzione teatrale. Così, Cia Les Commidiens avrebbe realizzato il “modo di produzione brechtiano” trasformando la funzione (Funzionalità) di “materia prima preesistente”, mentre annullava il primato del testo.
Questi cinque pezzi che configurano, in teatrocrazia, un teatro postdrammatico politico e autoriflessivo, lontano sia dal dramma borghese sia dal teatro epico, visto da questi gruppi come ugualmente “reificato”, avrebbe assunto l'urgente compito di ripensare il fallimento di cui essi stessi sarebbero stati eredi, intraprendendo un “dialogo con i morti”, nell'espressione di Heiner Muller, che, insieme a Bürger e Lehmann, è un riferimento decisivo nell'estetica di Kon.
Reagendo ai militanti del teatro politico brechtiano, “diffidenti ammiratori di Muller” che auspicavano un pronto ritorno a Brecht rifiutando la messa in atto della “perdita di senso del processo rivoluzionario”,[Xliv] Kon si rivolge a Muller, in particolare al suo esperimento Mauser, del 1970, messo in scena in parte da Chi non sa più chi è, cosa e dove è, ha bisogno di trasferirsi — pensare alla caduta dell'arte rivoluzionaria e dei regimi socialisti, senza “cinismo o conformismo”.
La poetica post-brechtiana di questo teatro politico di San Paolo dopo la suddetta inflessione non implicherebbe però l'abbandono di Brecht – come abbiamo suggerito sopra – ma la sua rivalutazione, o più precisamente la sua elaborazione (Lavorando), intesa qui come la reiscrizione di quanto in essa è rimasto attivo nel campo aperto delle attuali possibilità sceniche. Questa elaborazione della tradizione moderna, e, in particolare, del “modello brechtiano” effettuata in questi pezzi avrebbe prodotto una “svolta nel nucleo stesso di questo modello” – come hanno già proposto Fredric Jameson e Jacques Rancière, ciascuno in a modo loro – piuttosto che sostituirli con un altro modello.[Xlv]
Questi drammi avrebbero trasformato, dunque, “il nome di Brecht” in “un campo di battaglia”, non solo perché si opponevano alla sua strumentalizzazione da parte del teatro politico tradizionale, ma anche perché disponevano in tal modo i procedimenti della scena epica e dialettica che se loro “si rivoltassero contro la scena stessa”, consentendo anche la “reciproca correzione dialettica” tra la teoria di Brecht ei suoi stessi drammi. Kon esamina se non avremmo nemmeno “una difesa di Brecht contro i suoi ammiratori”, dato che “la gioia nel superare il fallimento del teatro brechtiano” nelle commedie analizzate in questo libro, sarebbe “più brechtiana della fissazione malinconica dei brechtiani da San Paolo su una posizione passata.[Xlvi]
Al fine di confermare la fedeltà di questi gruppi a Brecht, Kon ricorda anche che, per l'autore, “la disillusione nei confronti del socialismo reale” significava che l'effetto del teatro dialettico non si rivolgeva più alla “rivoluzione da fare”, sebbene non è stato il risultato di una “rivoluzione fatta”. "La rivoluzione non si fa più e non si è fatta",[Xlvii] disse Brecht. E ancora: volendo restringere questa vicinanza, ricorda anche, ricorrendo a Rancière, che “Brecht non ha mai smesso di fallire”: “L'opera da tre soldi incantava quelli che voleva punire e La decisione fu rifiutato dal partito che esaltava”,[Xlviii] tra gli altri esempi.
Sulla scia di questi fallimenti, la poetica post-brechtiana, evidenziata nelle parti del libro, ha investito, secondo Kon, nell'“opacità di un'immagine non comunicativa”, cioè nell'“inutilità del lavoro autonomo per prassi politica immediata”, sempre mosso da “insistenza nonostante tutto”.[Xlix] In questa poetica dell'insistenza del nuovo teatro di San Paolo – che si manifesta anche nella sempre reiterata volontà di lavoro di gruppo – avremmo qualcosa di analogo alla convergenza tra “la logica agonica del non poter vincere e la logica di non riuscire a finire”,[L] nella caratterizzazione di Menke del tentativo di Clov di liberarsi da Hamm, in fine del giocoa, da Beckett.
In “Final Remarks”, Kon esamina anche pezzi più recenti come la trilogia Abnegazione, dal Tablado de Arruar, e Guerra senza battaglia, o ora e per molto tempo non ci saranno più vincitori in questo mondo, solo vinti, di Cia Les Commediens Tropicales, con i musicisti del Quarteto à Deriva, del 2015. Nel Abnegazione, nonostante la raffinata drammaturgia di Alexandre Dal Farra e Clayton Mariano (già sottolineata in relazione a olio), che getta uno “sguardo rinnovato sull'attuale situazione politica nazionale”, quello che abbiamo, secondo l'autore, è un “conservatorismo formale”, frutto della sua “limitazione al linguaggio realistico” – a un “discorso troppo esplicito, troppo consapevole, e allo stesso tempo assolutamente violento”, come se la nostra società fosse solo “psicotica”; il che implica vedere nel “comportamento dei politici non la manifestazione di una struttura corrotta, ma un difetto individuale” che sarebbe la “causa unilaterale dei mali e dell'ingiustizia del Paese” – lanciando il dramma, così, nel “moralizzare il buon senso ”.[Li] Em guerra senza battaglia, del 2015, in senso opposto, “dalla sperimentazione portata ai limiti della forma scenica”, sarebbe risultata, nonostante l'intento di Cia LCT, pura casualità, privando la forma di ogni “coerenza interna”.
La valutazione di questa produzione più recente – anche se lo sottolinea L'ultimo è il penultimo 2.0 messo in scena dal Teatro da Vertigem nel 2014, in un sottopassaggio di Rua Xavier de Toledo, nel centro di San Paolo, ha superato l'antica impasse tra “il potere delle immagini in specifico del sito” e la “debolezza della drammaturgia esplicativa” con la sua “enfasi sui contenuti rappresentati”[Lii] – porta Kon a rafforzare l'idea che il terzo ciclo di teatro politico a San Paolo sarebbe finito. Approvando questa diagnosi, afferma anche che "gli spettacolari effetti video e di luce" del pezzo Faust, dal 2014, da Ciao São Jorge, che aveva già messo in scena lotteria e Chi non sa più chi è... come abbiamo visto, “nascondeva a malapena la mancanza di scopo degli artisti in scena”, vista l'assenza di “un'efficace messa in discussione del materiale”.[Liii]
Va infine sottolineato che i drammi commentati in queste ultime considerazioni indicherebbero, secondo l'autore, un movimento contrario ai drammi analizzati nei capitoli precedenti, poiché avremmo, in questi drammi più recenti, un ritorno dal via al palco; e anche quelli che ancora si rivolgevano all'occupazione della città nel presupposto che la strada avrebbe garantito “la qualità critica e sperimentale delle opere in essa realizzate”,[Liv] non sfuggirebbero a “feticismo e banalità”.
Queste osservazioni non trasmettono la ricchezza di sfumature del libro. La bella prosa, oltre ad essere informativa, indica il respiro teorico dell'autore che non si propone di interpretare testi di Adorno o Lehmann, ma di operare con essi, costruendo una critica teatrale di raro vigore. Le geniali analisi dei brani non postulano una misura esterna di valutazione per sussungerli a tale misura, ma colgono, da una valutazione immanente a ciascuno di essi, la propria legge interna.
Nel senso di Adorno, abbiamo qui una critica teatrale immanente, poiché i commenti su ogni opera teatrale non si traducono nella "riconciliazione di contraddizioni oggettive nel richiamo dell'armonia" del materiale teatrale, ma nella "espressione negativa dell'idea di armonia da parte di evidenziando nella struttura più intima di ciascuno di essi, le loro contraddizioni” o “incongruenze della totalità”,[Lv] come preferisce Kon. Questo rispetto per l'unicità di ogni spettacolo non gli ha impedito, tuttavia, di raggrupparli secondo la loro coerenza esterna in un ciclo di teatro politico a San Paolo, basato su elementi comuni, quali: l'enfasi data al lavoro di gruppo, il loro rapporto con lo spazio pubblico, e la natura riflessiva dei percorsi del teatro politico contemporaneo.
A proposito del potere di negazione della forma artistica, l'autore conclude, vicino a Bürger, che sarebbe un errore “aspettarsi dall'arte teatrale un'efficacia rivoluzionaria e un'ingerenza nel campo della prassi a cui essa non può corrispondere”.[Lvi] Un altro aspetto importante di questo libro è il fatto che Kon mobilita, nell'esame delle opere teatrali di San Paolo, le questioni centrali del dibattito estetico contemporaneo. Posizionandosi all'interno di questo dibattito, l'autore difende, ad esempio, la necessità di salvaguardare l'autonomia dell'arte in opposizione all'idea di superamento postulata dai sostenitori del “teatro del reale” o dell'“estetica relazionale”; poiché sarebbe proprio nella “distanza che separa l'arte dalla prassi vitale” che risiede “il margine di libertà entro il quale diventerebbero pensabili alternative all'esistente”.[Lvii]
Se le commedie scelte erano le più significative della scena teatrale paulista del periodo, secondo Kon, è perché valorizzavano “la tecnica consapevole della non comprensione” (l'effetto Non verstehen) mettendo in primo piano la necessità di discutere tutte le opinioni e le azioni da loro sollevate. Questo libro è quindi, con rara perizia, una riflessione indispensabile sulla direzione del teatro politico contemporaneo a San Paolo, sulla possibilità della stessa rappresentazione teatrale, o anche, sull'insistenza su un'arte politica di resistenza, in un'epoca di estetizzazione generalizzata .
*Ricardo Fabbrini È professore presso il Dipartimento di Filosofia dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di L'arte dopo le avanguardie (Unicamp).
Versione parzialmente modificata della Prefazione “Another Left Aesthetics”, originariamente pubblicata nel libro On Theatercracy: estetica e politica del teatro contemporaneo a San Paolo, di Artur Sartori Kon. San Paolo: Annablume, 2017.
note:
[I] Con, A. On Theatercracy: estetica e politica del teatro contemporaneo a San Paolo. San Paolo: Annablume; Fapesp, 2017 (https://amzn.to/3OMwpZw).
[Ii] Kon, Arthur. On Theatercracy: estetica e politica del teatro contemporaneo a San Paolo. Tesi di laurea. Graduate Program in Philosophy, Department of Philosophy, Faculty of Philosophy, Letters and Human Sciences, University of São Paulo, São Paulo, 2015, p. 13.
[Iii] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 25.
[Iv] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 28.
[V] Lehmann, H.T Il Teatro Postdrammatico. San Paolo: Cosac Naify, 2007.
[Vi] Arantes, P. La legge del tormento. In: Desgranges, F.; Lepique, M. (org). Teatro e vita pubblica: i collettivi di promozione e teatro di San Paolo. San Paolo: Cooperativa Teatrale di San Paolo; Hucitec, 2012, pag. 200-210 (https://amzn.to/3OHUP6j).
[Vii] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 127.
[Viii] Ibidem, pag. 80.
[Ix] Ibidem, pag. 98.
[X] Ibid.
[Xi] Ibidem, pag. 103.
[Xii] Ranciere, J. La condivisione del sensibile: estetica e politica. San Paolo: Ed. 34, 2005, p. 55 (https://amzn.to/3siTifp).
[Xiii] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 118.
[Xiv] Ibidem, pag. 45.
[Xv] Ibidem, pag. 86.
[Xvi] Ibidem, pag. 135.
[Xvii] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 142.
[Xviii] Ibidem, pag. 143.
[Xix] Ibid.
[Xx] Ibidem, pag. 156.
[Xxi] Ibidem, pag. 157.
[Xxii] Theodor Adorno apud Burger, P. Teoria dell'avanguardia. San Paolo, Cosac Naify, 2008, p. 127 (https://amzn.to/3QQBOky)
[Xxiii] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 148.
[Xxiv] Ibidem, pag. 165.
[Xxv] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit.
[Xxvi] Ibidem, pag. 167.
[Xxvii] Ibidem, pag. 168.
[Xxviii] Ibidem, pag. 175.
[Xxix] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 179.
[Xxx] Heiner Müller apud Kon, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 183.
[Xxxi] Alenka Zupancic Apud Kon, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 196.
[Xxxii] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 198.
[Xxxiii] Alenka Zupančič apud Kon, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 197.
[Xxxiv] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 197.
[Xxxv] Ibidem, pag. 200.
[Xxxvi] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 205.
[Xxxvii] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 240.
[Xxxviii] Ibidem, pag. 242.
[Xxxix] Ibidem, pag. 180.
[Xl] Cfr. Burger, p. teoria dell'avanguardia, operazione. cit., pag. 117-163.
[Xli] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 203, corsivo dell'autore.
[Xlii] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 43.
[Xliii] Ibidem, pag. 246.
[Xliv] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 296.
[Xlv] Cfr. A proposito, Fredric Jameson. Brecht e la questione del metodo. San Paolo: Cosac & Naify, 2013 (https://amzn.to/3ODJYua); e Jacques Rancière. lo spettatore emancipato, San Paolo: WMF Martins Fontes, 2012 (https://amzn.to/3qF4yCc).
[Xlvi] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 306.
[Xlvii] Berthold Brecht apud Kon, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 304.
[Xlviii] Jacques Rancière apud Kon, A. della teatrocrazia, operazione. cit., nota 255. Cfr. Ranciere, J. lo spettatore emancipato, operazione. cit.
[Xlix] Jacques Rancière apud Kon, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 308.
[L] Samuel Beckett apud Kon, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 164.
[Li] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 310.
[Lii] Ibidem, pag. 311.
[Liii] Ibidem, pag. 312.
[Liv] Ibidem, pag. 310.
[Lv] Con, A. della teatrocrazia, operazione. cit., pag. 43 e 202.
[Lvi] Ibidem, pag. 268.
[Lvii] Ibid.