Struttura e dinamiche della scena internazionale

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da TADEU VALADARES*

Considerazioni sui mutamenti del campo geopolitico e geoeconomico planetario

"Il est difficile de dire la verité car il n'y en a qu'une, mais elle est vivante, et a par following un visage changeant(Franz Kafka, Lettere a Milena).

Oggi, tra i macro cambiamenti che sta attraversando il mondo, appare evidente che, nonostante tutti gli sforzi dell'Alleanza atlantica, non c'è modo di sconfiggere la Russia in Ucraina, se pensiamo in termini bilaterali, strettamente militari. D'altra parte, se si tengono conto delle altre cronache dell'intricato quadro geopolitico e geoeconomico in cui si inserisce la guerra, è altrettanto chiaro: il vero significato “metamilitare” della vittoria russa resterà alquanto nascosto ancora per qualche anno .

Ma una cosa è indiscutibile: per sostenere a lungo termine questa prevedibile vittoria militare, la Russia sotto la guida di Vladimir Putin è ora obbligata a creare o rafforzare basi economiche in grado di garantire la propria sopravvivenza come grande potenza in aperto e permanente conflitto – economico - commerciale e scientifico-tecnologico – con il cosiddetto Occidente. Questo processo di rifondazione viene da più lontano. Lanciato da Vladimir Putin all'inizio del secolo, è stato accelerato quest'anno in risposta alle sfide poste dalla guerra economica imposta a Mosca. In questo scenario recente, la Russia ha iniziato a promuovere profonde riforme interne alla specifica variante del capitalismo che ha cominciato a prendere forma dieci anni dopo la dissoluzione dell'URSS, cioè dopo la successione di Boris Eltsin a Vladimir Putin.

Il progetto di rifacimento del Paese implica, sin dal suo avvio, la completa ristrutturazione dello Stato e della società, dall'alto verso il basso. Tra l'andirivieni inerente al susseguirsi delle congiunture, gli ambienti di governo fedeli a Vladimir Putin e la sua mobilitata base di appoggio sociale sono strategicamente impegnati in questo.

Sembra sempre più evidente, soprattutto o addirittura in conseguenza della decisione che ha portato alla guerra in Ucraina: lo sforzo di aggiornamento del capitalismo in Russia accentuerà la lotta ideologica interno-esterno che, nella sua singolare dinamica, pone la Russia come un certo altro 'vis-à-vis' del modello, altrettanto ideologico e occasionalmente mobilitante, di Stato e società prevalente nell'Europa occidentale.

In Russia, gli sforzi dello Stato e della società vanno ben oltre le questioni economiche. Favorisce il nazionalismo di stampo russo, esacerba il conservatorismo in fatto di costumi e utilizza sempre di più una risorsa facile, l'ostentata strumentalizzazione della religiosità popolare russo-ortodossa, uno dei principali cementi di questo – se usiamo il gergo sociologico convenzionale – audace tentativo alla “modernizzazione conservativa”. O reazionario.

Il tentativo di Put di costruire una Russia molto più potente non può limitarsi alla semplice, per quanto complessa, ottimizzazione dell'economia. Cioè non è possibile, nel piano geoeconomico, mantenere il Paese solo come esportatore di materie prime e, sul piano geopolitico, come grande potenza militare dotata di armi nucleari. Il progetto Putin, la cui parziale realizzazione ha già compiuto un ventennio, non può basarsi solo sulla creatività scientifica russa e sulle sue svariate applicazioni tecnologiche.

La sopravvivenza del Paese come grande potenza esige necessariamente l'iscrizione in grassetto, nella complessa e problematica equazione modernizzante, di altri fattori, idee e aspirazioni di natura extra-economica.

Attraverso gli apparati ideologici dello Stato e la psicologia di massa, questo insieme di azioni e proposte accresce la dimensione e il peso della tradizione, rafforzando contemporaneamente le affinità elettive tra progetto di Stato ed economia che definiscono il capitalismo in Russia, da un lato, e, dall'altro dall'altro, i desideri di restaurata grandezza con il benessere sociale prevalenti nell'immaginario popolare.

Va aggiunto: una tale articolazione è profondamente ancorata a idee regressive, anti-illuministe in senso lato, anticomuniste in senso stretto. Si intreccierebbero così, come si vede, fattori materiali e 'spirituali' che, interagendo funzionalmente, saranno fondamentali per la riproduzione perfezionata ed allargata del sistema oggi sottoposto all'imperio della riforma permanente in condizioni di massima pressione esterna.

In contrasto con le sfide interne, nel campo di Realpolitik qualcosa di essenziale è già diventato ovvio: il consolidamento accelerato del polo geopolitico eurasiatico, l'unico che può opporsi, ancora per decenni e decenni, forse per il resto del secolo, all'egemonismo occidentale oggi sotto il predominio circostanziatamente intensificato degli Stati Uniti e la ritrovata NATO. Questa sovralimentata resurrezione della NATO è una delle principali conseguenze immediate dello scoppio della più grande guerra europea, anche se camuffata da conflitto bilaterale, dall'aggressione nazista del 1939.

In questo disegno la NATO ha confermato anche, anche dottrinalmente, il ruolo che si è assegnata con validità di lungo periodo: quello di più importante strumento coercitivo degli USA, con un'azione intensificata su scala mondiale.

Così vedo la scena internazionale, la sua struttura e le sue dinamiche. È in questa cornice che cerco di capire il significato più grande della guerra tra Mosca e Kiev. Non sono strettamente interessato al conflitto in sé. Cerco soprattutto ciò che esso manifesta come evento annunziatore, sul campo di battaglia finora ristretto all'Ucraina, del cambiamento cruciale che si sta instaurando nel campo geopolitico e geoeconomico planetario. Questo perché la guerra genera conseguenze previste e impreviste che vanno ben oltre gli scontri militari tra contendenti diretti e indiretti. Questo perché la guerra, contribuendo in maniera decisiva alla ristrutturazione del gioco del potere in Europa, incide sul corso del mondo.

Do per scontato che il conflitto si protrarrà oltre quest'anno, tanto importante quanto lo è il vettore finale della battaglia in corso nel Donbass. Ad un certo punto del prossimo anno, tuttavia, rischio di speculare, se la logica geopolitica e la storia dei conflitti localizzati scoppiati dagli anni '50 sono una guida, arriverà il momento tanto atteso in cui tutte le parti direttamente interessate - Russia, L'Ucraina, gli USA, la NATO, l'Unione Europea, il Segretario Generale dell'ONU, la Cina eventualmente – tenendo conto della situazione prevalente sul terreno e del grado di esaurimento dei contendenti, saranno disposti a elaborare varie proposte per un cessate il fuoco.

Se uno di essi si consolida, si aprirà per noi la prima vera occasione per passare dai generosi “voti del cuore” alla fredda ed efficace realtà della “direzione del mondo”. Qualcosa di provvisorio, il futuro cessate il fuoco. Qualcosa di temporaneo che potrebbe diventare permanente, nello stile della striscia smilitarizzata della penisola coreana.

Se ciò accadrà, il risultato più ovvio della "operazione militare speciale" sarà, come minimo, il controllo della Russia su molto di più della Crimea e del Donbass. Sarà facile per Mosca proclamare che gli obiettivi sono stati raggiunti almeno sul piano militare.

Per l'Ucraina territorialmente diminuita, e industrialmente, economicamente, politicamente, demograficamente e socialmente debilitata, non resterà che, come linea d'orizzonte segnata dalla storica frustrazione, la sottomissione totale all'Unione Europea e alla NATO, ma in modo particolarmente lacunoso nell'assetto istituzionale registrare. In altre parole: entrata a pieno titolo in entrambe le alleanze, cosa praticamente impossibile, a meno che non si ottenga rinunce di difficile elaborazione giuridico-diplomatica e di ben più improbabile adozione politica.

Nel mondo della realtà effettiva in cui ci sono solo capitalismi, ognuno dei principali ancorato nel rispettivo stato nonostante il potere delle grandi multinazionali, la versione atlantista si indebolirà. In questo percorso verso l'accentuato decadimento, quello dell'impero americano sarà spinto soprattutto dai conflitti interni, quelli che tutto sembra indicare non si possa tornare indietro.

Il processo sarà completato e accelerato, a livello internazionale, dai percorsi avversi all'egemonia americana che si sono già accumulati dall'inizio del secolo, che sono già parte strutturante della storia mondiale in fieri. Un imperialismo diminuirà, mentre aumenteranno le varianti eurasiatiche del capitalismo, tra cui russo, cinese e indiano. La domanda che rimane: ci aspettano nuovi tipi di imperialismo come stadio supremo, nella seconda metà del secolo?

L'illimitata alleanza sino-russa, principale motore geopolitico di tutte le grandi trasformazioni da tempo annunciate, diventerà, nel lungo tempo dell'astuzia della storia, il fratello nemico del “capitalismo occidentale”, il suo altro, il suo avversario, il suo nemico e il tuo concorrente.

Rispetto a oggi, sembra che il mondo sarà inesorabilmente più pericoloso tra 30 anni. Nessuna illusione persiste in me sulla quasi inevitabilità di questo tragico percorso. Niente illusioni, soprattutto, quando nelle analisi – “scientifiche” o speculative che siano – si evidenziano alcune delle principali minacce che oggi si esprimono come crisi manifeste o chiare tendenze disgregative globali: quelle ecologiche o ambientali, generate dal capitalocene ; i rischi delle grandi guerre convenzionali e, in esse, il probabile uso di armi nucleari tattiche; l'esaurimento dell'ideologia liberal-democratica originata dall'Illuminismo; il fallimento simmetrico e complementare di tutte le grandi rivoluzioni sociali, da quella messicana a quella cinese; l'assurda concentrazione di reddito, ricchezza, proprietà aziendale e potere aziendale e statale su scala planetaria; la sottile forza tecnologica dei meccanismi di controllo sociale e di repressione a disposizione degli Stati quanto più “avanzati” diventano; È, ultimo ma non meno importante, l'inesistenza di soluzioni reali di carattere progressista, effettivamente capaci, al di là della retorica, di inglobare la totalità di noi tutti, gli 8 miliardi, nel genericamente umano.

Quello, da un lato. Dall'altro, questo regime scandaloso, immorale e immorale di crescenti carenze di ogni tipo in mezzo all'abbondanza del consumismo superfluo. La sua azione incessante colpisce la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, specialmente le classi subalterne o popolari, e tutti i periferici, l'eternamente sacrificabile, l'eternamente sacrificato. La patologia è planetaria, omnidirezionale. Inoltre, congiunturalmente e strutturalmente aggravato dal brulicare di reazionari di ogni genere. Tutti barbari, anche se analiticamente differenziati o differenziabili.

Tutto sembra convergere, dunque e in modo stupefacente, non ancora compiuto il terzo decennio del secolo, per lo scoppio di un grande disastro più avanti. All'orizzonte, sempre più fitta, la più cupa delle grandi nubi temporalesche che è il progresso: quella che indica, nell'effetto congiuntivo di tante crisi, la minacciata continuità del homo sapiens sul pianeta blu. Ciò che, due generazioni fa, era impossibile pensare, ha iniziato a presentarsi, con il passare degli anni, come surrealmente probabile.

Opporsi a tutto ciò che emerge sotto le sembianze dell'inevitabile è diventato obbligatorio. E concludo: a questo proposito è fondamentale non dimenticare il poemetto di Brecht.

Lettura di un tardo poeta greco

Nel tempo in cui la loro caduta era certa\ Sui bastioni era cominciato il lamento per i morti\ I Troiani aggiustarono pezzettini, pezzetti\ Nelle triple porte di legno, pezzettini.\ E cominciarono a prendere coraggio, a sperare.\ Il Anche i troiani, quindi.

* Tadeu Valadares è un ambasciatore in pensione.

 

 

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