da GYÖRGY LUKÁCS*
Estratto dal libro recentemente pubblicato
Marx e Goethe
Cari signore e signori!
Parlando qui, la prima cosa che mi viene in mente è questa: il rapporto con Goethe, con la sua opera, con la sua condotta di vita e la sua visione del mondo, ha acquisito per me, per il mio lavoro e per il mio rapporto con il mondo. Quindi per me il riconoscimento del Premio Goethe ha un peso moltiplicato. Cercherò di esprimere nel modo più appropriato possibile la mia gratitudine per questa alta onorificenza.
Vi prego di comprendere che inizio in termini autobiografici, ricordando la mia giovinezza, molto tempo fa. Il primo mio saggio che si possa prendere sul serio, datato 1907, trattava, è vero, innanzitutto di Novalis;[I] Tuttavia, poiché la filosofia della vita di questo autore costituisce il contenuto centrale di questo saggio, si parla già – si potrebbe anche dire: principalmente – di Goethe come parametro dell'esistenza umana di quei tempi. E posso tranquillamente dire che la condotta di vita di Goethe e la sua configurazione del mondo di cui mi occupavo hanno sempre avuto la stessa importanza per il mio pensiero e il mio lavoro. Per dimostrare questo punto, è sufficiente citare il mio libro La teoria del romanticismo,[Ii] che seguì la mia prima prova.
Dal punto di vista letterario e morale mi sento autorizzato a ricevere questo alto riconoscimento, nella misura in cui l'intenso impegno con l'opera di Goethe determina fino ad oggi la mia discussione con la realtà sociale nel presente, nel passato e nel futuro.
Tuttavia, anche nel mio caso, ci sono stati cambiamenti fondamentali nella mia posizione nei confronti del tempo e del mondo in questo lungo intervallo di transizione sociale ricco di crisi intellettuali. Soprattutto perché è passato più di mezzo secolo da quando sono diventato marxista. Ciò solleva la questione di come si comporta un marxista in relazione all'opera di una vita di Goethe.
Non voglio qui affrontare questioni filologiche. Chi fosse interessato può consultare le memorie di Lafargue, genero di Marx, e quelle di Wilhelm Liebknecht,[Iii] lo studente a volte problematico di Marx. Lì si scoprirà che occuparsi permanentemente di Goethe rappresentava per Marx un fattore importante nella sua vita intellettuale.
Quando si mettono subito in primo piano i motivi effettivi, cosa che generalmente fa la filologia, è facile contrapporre Goethe come glorificatore unilaterale degli sviluppi cosiddetti “organici” e Marx come il rivoluzionario “ad ogni costo”, eliminando ogni ponte tra loro. Tuttavia è dimostrato che questa interpretazione corrisponde più all'interpretazione di Goethe data da Börne – che ebbe una lunga influenza – che alla fisionomia storico-mondiale globale di Goethe. (Il fatto che un uomo della statura di Sándor Petȍfi, poeta nazionale ungherese, abbia sottoscritto questa interpretazione unilateralmente falsificatrice non cambia nulla in questa discussione.)
Di fronte a contrasti così grandi, il contenuto essenziale può facilmente sfumare fino a scomparire, senza in realtà essere nascosto. Nell’avanguardia intellettuale del popolo tedesco che si è risvegliato all’autocoscienza esiste – già prima di Goethe – la tendenza a evidenziare tra le lotte intellettuali dell’Illuminismo e della Grande Rivoluzione ciò che poi è emerso – non sempre in modo adeguatamente cosciente – come una nuova fase di generosità [Gattungsmäßigkeit] umano.
Il merito imperituro dello sviluppo francese è che, proprio perché ha contribuito a preparare ideologicamente una vera rivoluzione e, poi, a realizzarla, ha ripetutamente smascherato con incisiva autocritica anche la nuova problematica della generalità, che in quel momento stava ancora emergendo. ed è emerso in modo sempre più puro. Ricorda solo i dialoghi di Ramo, scritto da Diderot, che Goethe non a caso tradusse dal manoscritto[Iv] e che costituiscono, non a caso, l’unica opera belletristica su cui Hegel fu costretto ad approfondire Fenomenologia.[V] Tuttavia, in questo contesto, non bisogna dimenticare che, con il suo Nathan,[Vi] Lessing mirava – senza conoscere l'opera di Diderot – a offrire una soluzione positiva alla dialettica profondamente negativa di questa fase di sviluppo, che però non si è verificata nell'immediato mondo attuale, ma certamente nella storia universale del genere umano.
Il popolo tedesco, profondamente ostacolato dalla “povertà tedesca”, non fu in grado di seguire concretamente l’Illuminismo, come forza intellettuale di natura politica e di mobilitazione fattuale, né di unirsi successivamente alla Grande Rivoluzione. In compenso, però, il centro intellettuale della sua avanguardia intellettuale mirava a impiantare la novità storico-mondiale dell'Illuminismo e della Rivoluzione, le sue possibilità decisive, sia poetiche che riflessive, nell'immagine mondiale di una generalità cosciente divenuta storica. Ciò significa, da un lato, una concretizzazione di queste tendenze ad ancorarlo in un’immagine del mondo individuale, non più trascendente, e, dall’altro, in seguito al grande shock storico di questi eventi, una storicizzazione di ciò che prima poteva solo essere contrastato come astrazione postulata della ragione con la vita quotidiana del circolo feudale o semifeudale.
Queste osservazioni, necessariamente succinte, non possono nemmeno abbozzare un'esposizione esaustiva di complessi problemi così importanti. In questa direzione operano la filosofia della storia tedesca da Herder a Hegel e la filosofia della natura da Goethe e dai suoi grandi contemporanei. Sarebbe un atteggiamento volgarizzante e semplificatore ignorare i grandi meriti che vanno a Goethe – in un certo senso come importante precursore di Darwin – per aver superato l’astratto statalismo della natura, indissolubilmente legato alla trascendenza, e per averlo elevato a rango condizione di un problema di sviluppo storico – come genesi dell’umano.
Fortunatamente, però, la svolta metodologica qui intrapresa può essere chiarita anche sulla base di alcune formulazioni di Goethe. Si riferiscono alla teoria rivoluzionaria di Spinoza riguardo “l'amore ha dato intellettualismi [amore intellettuale per Dio]”. Le vecchie teorie sul rapporto metafisico dell'etica come ricompensa e punizione vengono vigorosamente contrastate – in definitiva, nell'interesse di una prassi umana terrena, divenuta generica, che, accantonando ormai ricompensa e punizione come non reali, identifica come le uniche reali criterio del suo valore personale è il contenuto umano (di natura generica). L'influenza di Spinoza su Goethe è nota. Si pensi, ad esempio, alla frase che Goethe mise in bocca al suo Filine (che, dal punto di vista medio borghese, non era particolarmente virtuoso): “E se ti amo, cosa puoi fare?”[Vii]
Qui c’è più in gioco di quanto sembri. Nella cultura di polis diventata problematica, il saggio e la sua atarassia sono modelli confrontati con la realtà rovinata. Già gli inizi del cristianesimo mostrano la tendenza a generalizzare questo tratto in senso democratizzante e ad impegnare tutti gli uomini in questo atteggiamento. Nelle Chiese di Stato ciò è necessariamente diventato un’autentica caricatura dell’etica.
Non solo trasformare l'atarassia dell'uomo saggio in generalità sociale, ma anche fare del suo carattere originariamente contemplativo il fondamento della prassi umana nella sua generalità – ciò non poteva che diventare un'esigenza universale di sviluppo nella grande rivoluzione morale-intellettuale caratterizzata dalla crescente socializzazione [socializzazione] della società e l'emergere dell'individualità, svolta che, secondo Marx, nasce dal fatto che, nei rapporti dell'individuo con la società, i resti storico-naturali vengono scartati. Più precisamente: il dilemma immediatamente proposto dall'azione nella società borghese è la scelta tra l'egoismo immediato e quindi astratto e l'altruismo postulato e, quindi, altrettanto astratto.
Solo l'uomo che, nelle sue azioni, aspira a realizzarsi – anche contro la propria particolarità – come essere generico può essere motivato dal profondo di se stesso, senza sottomettersi a norme astratte convenzionali. Quindi solo quest’uomo è capace di avvicinarsi alla sua generalità. Questo era ciò che Spinoza voleva, ma in modo astratto e universale. Ciò ha preso corpo e forma in modo concreto e pratico, interiorizzato ed etico, in definitiva sociale e generico, nel personaggio filino di Goethe.
L'impatto di questa presa di posizione sulla personalità di Goethe e sulle sue affermazioni non è da sottovalutare. Una volta completata la prima parte del Spettacolo sfarzoso, dice a Riemer: “Non ci sono individui. Anche tutti gli individui lo sono generi [generi]: cioè questo o quell’individuo, qualunque si voglia, è rappresentativo di un intero genere”.[Viii] E decenni dopo, in una delle sue ultime conversazioni, analizza questo problema in vista della sua produzione artistica.
“Ma nel profondo siamo tutti esseri collettivi, non importa come ci poniamo al riguardo. Quanto poco di ciò che abbiamo e siamo possiamo chiamarlo proprietà nel senso più puro della parola! Dobbiamo tutti ricevere e imparare sia da coloro che ci hanno preceduto sia da coloro che sono con noi. Anche il più grande genio non andrebbe molto lontano se dovesse tutto alla propria interiorità. Ma molte brave persone non lo capiscono e trascorrono metà della loro vita brancolando nel buio con i loro sogni di originalità”.[Ix]
Senza rivelare neppure il minimo accenno di falsa modestia riguardo a ciò che lui stesso aveva prodotto, prosegue: «Ma, a dire il vero, cosa era veramente mio se non la capacità e l'inclinazione a vedere e ascoltare, a discernere e scegliere, a vivificare? il visto e l'udito con un po' di spirito, e riprodurlo con una certa abilità? Non devo in alcun modo le mie opere alla mia saggezza, ma a migliaia di cose e persone fuori di me…”.[X]
Poi riassume la sua posizione: «In definitiva, è del tutto insensato chiedersi se qualcuno ha qualcosa per sé o se lo riceve dagli altri; sia che si agisca da sé o attraverso gli altri”.[Xi]
Così il vecchio Goethe guarda retrospettivamente ai principi della propria condotta di vita. E proprio questa apparente ambiguità, che appare, da un lato, come uno scetticismo profondamente giustificato rispetto a tutta la cosiddetta originalità che costituirebbe la personalità dell'uomo e, dall'altro, nel riconoscimento che solo in genere possediamo parametro fermo per le decisioni della nostra interiorità, che diventano feconde nella pratica – e, in questo senso, sono indispensabili per una vita veramente umana –, questa ambiguità determina i disegni umani in tutte le opere significative di Goethe; il suo principio strutturante della configurazione del mondo si basa su queste formulazioni dei problemi della vita. Ciò vale anche per il Spettacolo sfarzoso.[Xii]
Sottolineo un motivo ben noto. Il patto con Mefistofele è già siglato dal giovane Faust, che ricerca la propria realizzazione umana individuale:
Se mi fai piacere,
E lusinghe false e sonore,
In modo che il Sé apprezzi e accetti:
Che sia l'ultimo minuto![Xiii]
Il senso di “Oh! Finalmente"[Xiv] Ciò che segue è bloccato in quella sfera della vita. Faust qui parla ancora come un uomo prevalentemente privato, che cerca una realizzazione puramente personale (e, quindi, de facto inseparabile dalla particolarità) e che, proprio per questo, deve giustamente respingere ogni autocompiacimento come apostasia da sé stessi.
Tuttavia, il messaggio “Oh! finalmente” appare anche nell'ultimo monologo.[Xv] Ma ciò che Faust nel frattempo aveva vissuto lo fece gradualmente scomparire nel mero particolare. Inutile dire che le azioni attraverso le quali iniziò a ricercare la realizzazione divennero sempre più sociali. Non è quindi un caso che la realizzazione personale di “Oh! finalmente” può diventare reale solo a determinate condizioni:
La libertà e la vita sono giuste
Chi li deve conquistare quotidianamente.
E così passano nella lotta e nel coraggio,
Bambino, adulto e anziano, i loro anni di lavoro.
Vorrei poter vedere un nuovo insediamento,
E su un suolo libero, vedo me stesso tra un popolo libero.[Xvi]
E poi, da questo cambiamento rivoluzionario delle circostanze della vita, che qui appare come una trasformazione radicale di tutti gli atteggiamenti nei confronti della vita, deriva il cambiamento decisivo nel significato di “Oh! finalmente”: “Sì, in questo momento direi/ Oh! Finalmente sei così bella”[Xvii]. La parola “direbbe”[Xviii], qui inserito, esprime questi fatti qualitativi: non è più solo il mero io privato che desidera o sperimenta la realizzazione per sé, ma l'uomo ha vissuto così, ha collaborato alla genesi di questi modi di vivere in modo tale che già ha il diritto generico di desiderare la durata non solo per sé ma proprio anche per questi modi di vivere (e solo in essi per sé). Ciò non era menzionato nel precedente patto con Mefistofele. La felicità puramente personale e privata nella vita non ha nulla in comune con l'affermazione della generosità realizzata degli uomini.
Di chi mi ha accompagnato fin qui, forse c'è chi vuole dire: tutto questo è molto buono e bello, può anche essere in linea con la caratterizzazione di Goethe – ma cosa c'entra con Marx?
Ora, non ho mai affermato che Goethe fosse un precursore – nemmeno inconscio – del marxismo. È chiaro che il Goethe da me abbozzato non poteva avere alcun rapporto interiore con i problemi, per lo più economici e politici, per i quali in generale la gente si rivolge a Marx.
Ma Marx è anche teorico e difensore di quel “regno della libertà”, rispetto al quale considera tutto il nostro sviluppo passato solo come la preistoria dell’umanità. Ciò ha avuto inizio con il lavoro, con quei pori teleologici coscienti che separano qualitativamente il processo di riproduzione dell'umanità da quello di qualunque altro essere vivente. Marx traccia molto chiaramente la divisione più importante per noi, contrapponendo la muta generalità degli altri esseri viventi alla generalità umana, che non è più muta.
Pertanto, l'adattamento attivo all'ambiente nel processo di riproduzione dell'umanità stabilisce anche, in contrasto con l'adattamento passivo degli altri esseri viventi, la nostra generalità, che ha smesso di essere muta già nella preistoria dell'umanità, nel periodo in cui avvenivano gli alienamenti dell'uomo in relazione a se stesso. Come sempre accade nella teoria della storia di Marx, l'autoriproduzione materiale e, quindi, economica costituisce la determinazione fondamentale dell'essere in termini pratici.
Il passaggio dalla preistoria alla storia reale potrebbe dunque aver luogo solo quando questo processo economico di riproduzione diventi la semplice base di una generalità superiore, che si eleva al di sopra di questo “regno della necessità” come “regno della libertà”, e questa vecchia base continua per mantenere il suo bisogno (proprio come base). In questa linea Marx definisce la libertà come “sviluppo delle forze umane”, “considerato fine a se stesso”.[Xix] E questo significa per Marx che la personalità umana è capace di espandersi fino alla sua vera generalità.
Senza poter analizzare più in dettaglio questa determinazione decisiva per l’intera concezione marxiana della storia, è necessario notare che, nonostante questa prospettiva estrema, Marx rifiuta rigorosamente ogni utopismo in modo metodologicamente radicale.
Ciò si riferisce naturalmente in primo luogo alla base economica, che deve aver raggiunto un certo stadio, sia quantitativo che qualitativo, per non servire più come campo principale delle attività umane, ma come semplice base materiale per il libero dispiegamento delle attività propriamente umane. forza.
Il rifiuto dell’utopismo da parte di Marx si estende anche ai presupposti umani soggettivi del “regno della libertà”.
Se durante tutta la preistoria il genere umano rimanesse tutto invischiato nei suoi pensieri e nei suoi sentimenti concentrati sulla preparazione immediata della propria prassi, una inflessione come questa non sarebbe nemmeno concepibile.
Come sappiamo, è stato lo sviluppo dell'economia come forma immediata di riproduzione della vita a determinare di fatto il percorso fino ad oggi. Ma sappiamo anche che le rivoluzioni che nascono in questo contesto presuppongono sempre l'attività degli uomini stessi come fattore soggettivo. E l’esperienza storica mostra che, in alcune grandi rivoluzioni, questo fattore soggettivo mirava ad andare oltre ciò che, in ciascuna situazione, era realizzabile nella pratica: che alcuni progressi erano dovuti proprio a questo desiderio di andare oltre – che, visto isolatamente, fallì.
Ma in questo modo il campo designato da Marx come ideologico è lungi dall’essere esaurito. L’ideologia non è ciò che oggi la scienza borghese generalmente afferma: semplicemente una concezione più o meno falsa della realtà. Secondo Marx è piuttosto la personificazione dei mezzi intellettuali, con l'aiuto dei quali le persone diventano consapevoli dei conflitti sociali nella loro vita e sono dotate delle condizioni per affrontarli.
Naturalmente queste forme di coscienza possono corrispondere alla realtà o divergere da essa. Tuttavia, anche in quest'ultimo caso, essi possono, da un lato, restare estremamente astratti e, dall'altro, possono contenere scoperte profonde, relative ad autentici problemi del genere umano. Possono anche tentare di rispondere direttamente a questioni attuali che sono all'ordine del giorno o sollevare domande attualmente irrealizzabili ma significative riguardo allo sviluppo del genere.
È proprio questo che qui ci interessa. Anche senza Marx non sarebbe difficile capire che proprio queste domande e posizioni sono rimaste vive per secoli nella coscienza dell’umanità, mentre le risposte pratiche più efficaci sono cadute da tempo nell’oblio. In questo processo, la maggior parte delle risposte ideologiche a questioni reali sono, nella pratica, allo stesso tempo forme di espressione di formazioni sociali più ampie (Stato, partito), mentre dietro le rivelazioni puramente ideologiche a cui pensiamo si celano di solito solo i loro autori. Molto spesso si tratta di modalità di espressione della grande arte e di una filosofia significativa.
Sul mio estetica,[Xx] la grande arte era chiamata memoria dell'umanità del suo percorso. Senza generalizzare teoricamente la questione fino a questo punto, Marx, che ha cercato di comprendere storicamente, soprattutto in questo campo, il modo specifico in cui questa ideologia è emersa attraverso il presupposto di uno sviluppo ineguale, ha cercato di chiarire anche in questo senso i singoli fenomeni.
Quindi, per Marx, l'influenza di Omero, che si estende fino al presente, si basa sul fatto che ha trovato un'espressione adeguata per l'essenza dell'“infanzia normale” dell'umanità. Credo – con Marx – che quest’infanzia susciti anche un interesse attuale, perché la realizzazione dell’umanità dell’umanità consiste in un complesso di problemi, la cui soluzione comprende anche molte cose apparentemente fallite come elemento dello sviluppo stesso: che il “regno” della libertà” è un prodotto della storia dell'attività propria degli uomini, così come la sperimentiamo ininterrottamente in relazione al “regno della necessità”. Se questo sviluppo non potesse approfondirsi ed espandersi fino a diventare un fattore soggettivo del “regno della libertà”, rimarrebbe un’utopia astratta.
Credo quindi non solo di essere sulla strada giusta per comprendere Goethe, ma anche di averla ricercata attraverso una via tracciata da Marx, in quanto vedo Goethe come uno di quegli ideologi che hanno individuato e portato alla coscienza un certo stadio di sviluppo del genere umano nelle sue determinazioni essenziali e normali. Pertanto, l’interpretazione marxiana di Omero è stata per me un’indicazione della direzione da seguire per l’interpretazione di Goethe.
*György Lukács (1885-1971) è stato un attivista politico, filosofo e teorico marxista. Autore, tra gli altri libri, di Storia e coscienza di classe (WMF Martins Fontes).
Riferimento
György Lukács. Studi su Faust. Traduzione: Nelio Schneider. Recensione della traduzione: Ronaldo Vielmi Fortes. San Paolo, Boitempo, 2024, 236 pagine. [https://amzn.to/4cYrUWw]

note:
[I] Idem, “Zur romanticischen Lebensphilosophie: Novalis”, in Die Seele e die Formen (Berlino, Egon Fleischel, 1911), p. 91-118.
[Ii] Stesso, La teoria dei romani. Ein geschichtsphilosophischer Versuch über die Formen der großen Epik (Stoccarda, Ferdinand Enke, 1916) [ed. reggiseni.: La teoria del romanticismo, trad. José Marcos Mariani de Macedo, San Paolo, Duas Cidades/Editora 34, 2000].
[Iii] Sia il testo di Lafargue che quello di Liebknecht sono disponibili in portoghese presso André Albert (org.), Marx dai marxisti (San Paolo, Boitempo, 2019).
[Iv] Johann Wolfgang von Goethe, “Rameaus Neffe”, in Sämtliche Werke, v. 7 (Monaco di Baviera, Müller, 1991), pag. 567-714.
[V] Georg W.F. Hegel, fenomenologia dello spirito (trad. Paulo Menezes, Petrópolis/Bragança Paulista, Vozes/Editora Universidade São Francisco, 2002), p. 340 e segg.
[Vi] Gotthold Ephraim Lessing, Nathan, der Weise. Ein dramatisches Gedicht, in fünf Aufzügen (Berlino, 1779) [ed. reggiseni.: Nathan il saggio, trad. Marco Antonio Casanova, Rio de Janeiro, Via Verità, 2016].
[Vii] Johann Wolfgang von Goethe, Gli anni di apprendimento di Wilhelm Meister (trad. Nicolino Simone Neto, São Paulo, Ensaio, 1994), libro IV, cap. IX.
[Viii] Friedrich W. Riemer, Mitteilungen über Goethe (Lipsia, Isola, 1921), p. 261.
[Ix] Johann Peter Eckermann, Gespräche mit Goethe in den letzten Jahren seines Lebens (Francoforte sul Meno, Isola, 1981), 17 febbraio 1832 [ed. reggiseni.: Conversazioni con Goethe, cit., pag. 713-4].
[X] Ibid.
[Xi] Ibid.
[Xii] Johann Wolfgang von Goethe, Faust. Eine TragödieSu Faust-Dichtungen. Faust, Erster Theil. Faust, zweyter Theil. Frühere Fassung (“Urfaust”). Paralipomeni (a cura di e commento Ulrich Gaier, Stoccarda, Reclam, 2010) [ed. reggiseni.: Faust: una tragedia – prima parte, trad. Jenny Klabin Segall, San Paolo, Editora 34, 2011; Faust: una tragedia – seconda parte, trad. Jenny Klabin Segall, San Paolo, Editora 34, 2011.
[Xiii] Faust I, versetti 1.694-7, p. 141.
[Xiv] Faust I, versetto 1.700, p. 142.
[Xv] Faust II, versetto 11.582, p. 601.
[Xvi] Faust II, versetti 11.575-80, p. 601.
[Xvii] Faust II, versetti 11.581-2, p. 601.
[Xviii] La differenza tra la prima formulazione e la seconda nel testo poetico tedesco è il condizionale “lattina [avere il permesso di]". Nella scommessa Fausto dice: “se lo dico io”; alla fine della sua vita dice: “allora direi [potrei dire]”.
[Xix] Tutte le citazioni in questo paragrafo sono di Karl Marx, Capitale: critica dell'economia politica, Libro III: Il processo globale della produzione capitalistica (trad. Rubens Enderle, San Paolo, Boitempo, 2017), p. 882-3.
[Xx] György Lukács, Estetica in molte parti (Darmstadt, Luchterhand, 1972) [ed. reggiseni.: estetica,
v.1: La particolarità dell'estetica, trad. Nélio Schneider, San Paolo, Boitempo, 2023].
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