Di Glaucia Campregher*
Il libro di Antonio Scurati aiuta a comprendere le somiglianze e le differenze tra il fascismo italiano e il bolsonarismo brasiliano
Molto si è già detto del favoloso libro che Antonio Scurati scrisse, raccontando passo dopo passo i primi passi del fascismo italiano (1919-1925) dal punto di vista del suo personaggio centrale, Benito Mussolini. Nonostante il successo editoriale in tutto il mondo, che indica che centinaia di migliaia di lettori erano disposti a leggere il libro, credo che la maggior parte dei brasiliani non avrà i soldi, o anche più tempo, per leggerlo tutto (ci sono più di 800 pagine ). . Pertanto, e impressionato dalle somiglianze ma anche, e soprattutto, dalle differenze tra il fascismo italiano e il bolsonarismo brasiliano, ho pensato di fare una selezione di paragrafi che potessero trasmettere il punto principale del lavoro, che è, a mio avviso, riescono a metterci nello stato d'animo di quella tragedia nel momento in cui veniva annunciata. Penso che entrando nell'atmosfera di quel fatidico momento possiamo diventare più consapevoli di ciò che sta accadendo nel nostro. A tal fine, continuo con citazioni dal libro (che si evolvono nel tempo) divise in 4 blocchi articolati da alcuni commenti che faccio solo per aiutare a situare il lettore. Ho messo diverse lettere per facilitare la lettura e in grassetto quello che mi sembra il più cruciale.
1) Base – quelli senza un posto nella società, che sono anche quelli senza paura.
Nel 1919 Mussolini (M) fonda l'associazione nazionalista Fasci di Combattimento che reclutava veterani di guerra brutalizzati e impoveriti. Molti di questi, come lui, erano lavoratori poveri, molti provenienti dai quadri sindacali o socialisti. Avevano rotto o erano stati espulsi (come M) da socialisti che non volevano la partecipazione dell'Italia alla guerra. Andavano e tornavano per essere la base del Fasci. Nella voce letteraria di M:
“Ci avviciniamo a Piazza San Sepolcro. Un centinaio di persone, tutti uomini senza importanza. Siamo pochi e siamo morti”.
“Siamo un popolo di veterani, un'umanità di sopravvissuti, di resti. Nelle notti dello sterminio, rannicchiati nei crateri, ci agitava una sensazione simile all'estasi dell'epilettico. Abbiamo parlato brevemente, laconici, assertivi, in un impeto violento. Mitragliamo le idee che non abbiamo e poi ricadiamo nel silenzio. Siamo come i fantasmi degli insepolti che hanno lasciato la parola tra la gente nelle retrovie”.
“Ho davanti a me solo la trincea, la feccia dei giorni, la zona dei combattenti, l'arena dei pazzi, i solchi dei campi arati dal fuoco dei cannoni, i criminali, gli sfollati, i delinquenti, i geni, gli sfaccendati, i playboy piccolo-borghesi, gli schizofrenici, i negletti, gli scomparsi, gli erratici, i nottambuli, gli ex carcerati, i recidivi, gli anarchici, gli incendiari i sindacalisti, gli imbroglioni disperati, una boemia politica di reduci, ufficiali e sottufficiali, uomini abili nel maneggiare armi da fuoco o taglienti, quelli che si riscoprono violenti di fronte alla normalità del ritorno, i fanatici incapaci di vedere la propria idee chiare, i sopravvissuti che, credendosi eroi votati alla morte, scambiano una sifilide mal curata per un segno del destino. "
“Li desidero come il maschio desidera la femmina, e allo stesso tempo li disprezzo. Sì, li disprezzo, ma non importa: un'era è finita e un'altra è iniziata. I detriti si accumulano, i detriti si connettono tra loro. Io sono l'uomo "dopo". E insisto per esserlo. È con questa materia in decomposizione - con questa residua umanità - che si fa la storia.. "
“Non era così, per caso, che si facevano sempre le rivoluzioni: armare di fucili e granate tutta la malavita sociale?”
“Date lo splendore della violenza a questi cittadini di una imperscrutabile metropoli moderna con la sua densa e fitta oscurità, a questi uomini soggiogati da un'esistenza che non comprendono, dai un faro al loro maledetto desiderio di luce, dai loro una meta e loro ti seguiranno."
M prima redattore del giornale socialista Avanti al ritorno della guerra dirige il giornale fascista Il Popolo d'Italia, il suo primo pubblico è lo zoccolo duro di fasci, os ardite:
“Quei temerari combattenti, che nei loro giorni di gloria venivano umiliati dall'Alto Comando con lunghe marce senza obiettivi militari sulla pianura veneta (...), il cui scopo era quello di utilizzare guerrieri che, da un giorno all'altro, erano diventati ingombranti e inutili. (...) Mussolini, odiato e odiatore di professione, lo sapeva il loro rancore crebbe, che presto sarebbero diventati veterani scontenti. Sapeva che di notte, sotto le tende, maledicevano i politici, gli Alti Comandi, i socialisti, la borghesia. Nell'aria c'era la “spagnola” e, in pianura, verso il mare, la malaria. Siccome erano emarginati, mentre si logoravano per le febbri e la morte spudorata si allontanava dalla loro memoria, gli Arditi condividevano borracce di grappa e leggevano ad alta voce le parole di quell'uomo che, dal suo studio di Milano, in loro lodava “vita senza abbattimento, morte senza vergogna”. Da tre anni erano un'aristocrazia di guerrieri, una falange decantata sulle copertine delle riviste per bambini: baveri al vento, granate in mano e coltello tra i denti. Nel giro di poche settimane, dopo il ritorno alla vita civile, sarebbero una folla di disadattati. Ci sarebbero 10mila mine vaganti. "
2) Opportunità: la paura borghese del socialismo e la paura dell'azione dei socialisti.
I socialisti erano forti allora, nelle campagne e nelle città, nelle strade e nelle istituzioni. Ma per i fascisti non erano proprio "uomini", non erano la guerra.
“Mussolini e quelli che la pensavano come lui rimasero particolarmente colpiti dal fatto che i socialisti sfilassero in testa al corteo donne e bambini. L'odio politico urlato dalle bocche sensuali di donne e uomini senza barba spaventava, sconcertava e lasciava perplessi il tipo di uomo adulto che aveva voluto la guerra. Il motivo era molto semplice. Il grido antimilitarista e antipatriottico di donne e bambini ha permesso a quell'uomo meschino, autoritario, patriarcale e misogino di far presagire qualcosa di terrificante e inaudito: un futuro senza di lui."
I loro scioperi si fanno più forti, ma anche più fortemente temuti e repressi dalla polizia di stato, e i loro movimenti di piazza cominciano ad essere affrontati dai fascisti.
“40 lavoratori in sciopero hanno sfilato all'Arena al suono di trenta bande musicali, sventolando migliaia di bandiere rosse e alzando cartelli che maledicevano la vittoriosa guerra appena conclusa. Una sadica frenesia in cui i mutilati venivano esibiti come orribile prova vivente della lotta voluta dai padroni. I socialisti sputarono in faccia agli ufficiali in divisa che, fino al giorno prima, erano stati i loro comandanti d'attacco, chiesero la ridistribuzione delle terre e l'amnistia per i disertori. All'altra Milano, nazionalista, patriottica, piccolo-borghese, che nel 1915 aveva dato 10 volontari alla guerra in favore dell'Italia di Benito Mussolini, sembrava che, in quel corteo, "rivivessero i mostri della decadenza", il nuovo pacificato “stava cedendo a una malattia”.
“Per un istante le due fazioni si fronteggiarono ai lati del cordone di carabinieri che sbarrava l'uscita da via dei Mercanti. In testa alla colonna socialista ci sono ancora una volta le donne, che portano in alto il ritratto di Lenin e la bandiera rossa. Sfrenati, gioiosi, cantano i loro canti di liberazione. Chiedono una vita migliore per i propri figli. Credono ancora di essere lì per le loro sfilate, i loro minuetti di rivoluzione. A capo dell'altro corteo, molto meno numeroso, ci sono uomini che, negli ultimi quattro anni, hanno convissuto con la strage ogni giorno. La sproporzione è grottesca. È il diverso rapporto che i due gruppi hanno con la morte che crea un abisso tra di loro.
“Al di là del cordone militare contro il quale si è lanciato il corteo socialista, un uomo esorta la piccola folla di borghesi, ufficiali, universitari, arditi e fascisti (...) è un poeta. Si chiama Filippo Tommaso Marinetti e, nel 1909, fondò la prima avanguardia storica del Novecento Italiano. Il suo manifesto per un movimento poetico futurista ha risuonato in tutta Europa, da Parigi a Mosca. In esso, proponi distruggere musei, biblioteche, accademie di ogni tipo, assassinare il chiaro di luna e lodare le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla rivolta, glorificare la guerra - "l'unica igiene del mondo"."
Marinetti non è l'unico poeta al servizio del fascismo. Il più importante di tutti fu Gabriele D'Annunzio che contese con Mussolini la leadership fascista nei primi anni, in particolare perché fu lui a prendere e occupare Fiume (città di confine che l'Italia aveva perso negli accordi del dopoguerra) e fece è un esperimento fascista.
“La gioventù del secolo, dopo essere sfuggita alla morte per quattro anni nelle trincee di tutta Europa, invece di tornare all'economia, alla famiglia, alla religione, agli antenati, alle virtù, ai giorni, sembra essere scivolata a Fiume, trascinata da una baldoria , per porre fine a quella vita stupida e inutile”.
“Per il problema politico vogliamo: politica estera non sottomessa, riforma della legge elettorale, abolizione del Senato. Per il problema sociale, noi vogliamo: giornata lavorativa di otto ore, salario minimo, rappresentanze sindacali nei consigli di amministrazione, gestione operaia delle industrie, assicurazioni per l'invalidità e la pensione, distribuzione ai contadini delle terre incolte, l'efficiente riforma della burocrazia, scuola laica finanziata dallo Stato. Per il problema finanziario vogliamo: imposta straordinaria sui capitali a carattere progressivo, espropriazione parziale di tutti i beni, confisca dell'85% dei profitti di guerra, confisca di tutti i beni delle congregazioni religiose. Per il problema militare vogliamo: una nazione armata. Fasci di Combattimento rilasciato nel 2019)
A cui il movimento è destinato senza maggiore coerenza perché quella è la sua essenza
“Il fascismo non è una chiesa, è una palestra; non è una festa, è un movimento; non è un programma, è una passione.”
“Chi sono i fascisti? Quali sono? Benito Mussolini, il suo ideatore, considera oziosa la questione. Sì, certo... sono qualcosa di nuovo... qualcosa di inaudito... un antipartito. Ecco... i fascisti sono un antipartito! Fanno antipolitica. Molto bene. Ma poi, la ricerca dell'identità deve fermarsi qui. L'importante è essere qualcosa che ti permetta di evitare gli ostacoli della coerenza, l'ostacolo dei principi. Benito lascia volentieri le teorie, e la loro conseguente paralisi, ai socialisti».
Una volta che i non morti sono irreggimentati, guidati dal “destino” che M fa loro cenno, che D'Annunzio illustra, e che i proprietari finanziano, i fascisti cominciano ad espandersi nella piccola borghesia, ea crescere in audacia. Iniziano gli episodi di violenza contro i socialisti.
“Piccoli borghesi che odiano: queste sono le persone che formeranno il loro esercito. I ceti medi degradati a causa delle speculazioni bellicose del grande capitale, gli ufficiali che non possono accettare di perdere un comando per tornare alla mediocrità della vita quotidiana, i burocrati di basso rango che, soprattutto, si sentono insultati dalle scarpe nuove dei contadini figlia, i mezzadri che hanno comprato un pezzo di terra dopo Caporetto e ora sono disposti a uccidere pur di tenerselo, tutta brava gente presa dal panico, consumata dall'ansia. Persone scosse nel profondo da un desiderio incontenibile di sottomettersi a un uomo forte e, allo stesso tempo, di dominare gli indifesi. Sono pronti a baciare i panni di qualsiasi nuovo capo purché gli sia permesso anche di calpestare qualcuno”.
“Prendono un socialista indomabile, gli mettono un imbuto in bocca, lo costringono a bere 1 litro di lassativo. Lo legano al cofano dell'auto e girano per il villaggio mentre scoreggia, strilla, si caga addosso. Medicina a buon mercato, niente spargimento di sangue, nessuna minaccia di arresto. Impossibile non ridere. E la tragicommedia ha anche altri vantaggi. Impedisce alla vittima di diventare martire perché la vergogna scaccia il dolore: non si può dedicare un culto a un uomo che si caga addosso. Il ridicolo, infine, ha un alto valore pedagogico. E, per di più, dura a lungo, influenza il carattere. La merda, più del sangue, si estende sul futuro di una nazione. L'idea della vendetta, se macchiata di escrementi, si trasmette da decenni, di generazione in generazione. Per essere cancellata, la vergogna del purgante, vista o subita, richiede niente di meno che un'apocalisse.
I socialisti, già ben radicati nella società urbana e rurale, compirono scioperi e ebbero successo elettorale, ma questi non sembravano preparare oggettivamente la rivoluzione.
“Lo sciopero del 20 luglio 1919 ha un carattere dimostrativo, non rivoluzionario. Prepara, ma non realizza, di fatto, lo sciopero degli espropri. La rivoluzione, inoltre, è imminente. Una necessità storica. Sarà spontaneamente determinato dal mutare delle condizioni economiche e politiche. Abbi ancora un po' di pazienza. La folla si rilassa, i nervi si rilassano, come dopo un paio di bicchieri di grappa. L'incontro finale non è per oggi, sarà per domani".
“Le elezioni del 16 novembre 1919 furono “rosse”. I socialisti hanno ricevuto 1.834.792 voti, corrispondenti a 156 parlamentari eletti. Un risultato trionfante, un presagio di rivoluzione. Il fallimento della tessera fascista fu, invece, totale: su circa 270 elettori del collegio elettorale di Milano, i fascisti ottennero solo 4.657 voti. Mussolini ottenne solo 2.427 voti di preferenza. Nessuno dei candidati fascisti fu eletto. Nessuno. Nemmeno lui. È stato un completo fiasco”.
“Migliaia di scioperi industriali, milioni di lavoratori coinvolti, prezzi all'ingrosso quintuplicati. Alla Fiat di Torino, a fine marzo, è scoppiato un putiferio durato poche ore. Il Consiglio dei ministri prorogò ancora una volta l'ora legale, già adottata durante la guerra. Gli operai, dal canto loro, decisero che, da quel momento, sarebbero stati loro, e non il senatore Agnelli, i padroni del proprio tempo. Gli industriali hanno risposto con una serrata. Il risultato fu uno sciopero generale di dieci giorni che, solo a Torino e provincia, coinvolse 120 lavoratori. Di loro, 60 hanno occupato le fabbriche contro lo spostamento dell'orologio avanti di un'ora. La questione, ovviamente, non è una questione di indicatori: non si tratta dell'ora legale, ma dell'ora suprema. L'ora della rivoluzione. I direttori del partito, tuttavia, hanno rinviato ancora una volta. Molti di loro hanno condannato apertamente lo "sciopero dei puntatori". Come aveva previsto Mussolini, il trionfo elettorale del socialismo ne scatenò la crisi interna., accentuando la divisione in fazioni: il massimalismo non vuole partecipare al potere e il riformismo non osa la conquista totale del potere. Anche il socialismo è in un vicolo cieco”.
“Lo Stato liberale, per fermare l'avanzata dei “rossi”, si schiera con i fascisti, e questi ultimi, per la prima volta, si opporranno allo sciopero delle masse popolari”.
Per Mussolini “il successo dei socialisti li schiaccerà sotto il peso delle loro promesse. Si sono impegnati troppo in campagna elettorale, hanno gridato troppo “Viva Lenin!” e ora devono muoversi per fare la rivoluzione. Nel ciclo delle metamorfosi, chi non agisce muore, e non agirà perché non ha alcuna capacità rivoluzionaria”.
Dopo le elezioni, un attacco alla luce del giorno.
“Una bomba vale più di 100 comizi. (...) Un uomo è in piedi sul Ponte delle Sirenette, nel centro di Milano, oltre a un pugnale con manico di madreperla, porta alla cintola due bombe Thévenot. Sebbene nessuno stia guardando nella sua direzione, sporge il petto e alza il mento come se posasse per un fotografo. Nessuno si accorge di lui, ma da mezz'ora osserva il corteo dei socialisti che, in via San Damiano, poco più avanti e poco più giù, festeggiano la loro vittoria elettorale. Su quella sponda del canale migliaia di persone cantano, sventolano bandiere, festeggiano. Uomini, donne, bambini”.
La violenza degli scioperi socialisti aumenta ma non sembra voler finire; la violenza contro i socialisti, il cui scopo è di porre fine a loro, è raddoppiata.
“Bologna è sottosopra. In città, le due Camere del lavoro si sono persino sfidate nell'estremismo rivoluzionario. Anche il sindaco socialista Zanardi, che per scelta sarebbe un moderato, per non perdere terreno incoraggia l'invasione dei palazzi signorili, invitando gli inquilini a proclamarsi proprietari degli appartamenti. Le “mani callose” comandano ed esigono. Negano anche il pane a chi non ha la tessera sindacale, la borghesia è tra l'incudine e il martello, molti padroni preferirebbero vendere le loro proprietà piuttosto che restare così, tra la vita e la morte. Non c'è freno. E in città va ancora tutto bene. Il campo è perduto. Nessun villaggio è esente dall'influenza del Partito Socialista. In ogni municipio c'è un sindacato contadino, una Casa do Povo, una cooperativa, una cellula. Le leghe “rosse” possiedono la situazione. Riescono a imporre condizioni di lavoro ai proprietari terrieri rurali che li privano quasi completamente del diritto di possedere la terra. I proprietari che violano le regole imposte dalle leghe sono soggetti a pesanti sanzioni a favore dei cassieri degli scioperanti. L'avversione è particolarmente tenace nei confronti degli affittuari e dei piccoli proprietari. Per tali pari, i precari riservano l'odio più spietato».
“La guerra per l'affare agricolo è appena cominciata e ha già lasciato sul terreno decine di corpi. La strage avvenne a Decima di San Giovanni in Persiceto, una piccola, insignificante contrada sperduta nelle campagne. Si stava svolgendo un comizio sul patto dei coloni, il cui relatore era Sigismondo Campagnoli, inviato della Camera del Lavoro a Bologna. Pochi accenni alla questione agraria e, all'improvviso, i soliti affronti a capitalisti, preti, carabinieri e, infine, l'incitamento alla folla, la solita parola magica: rivoluzione.
Un colpo imprudente dei carabinieri ne provoca altri e uccide una decina di persone.
“Da quel momento, su quei morti, il destino. La Camera del Lavoro proclama uno sciopero generale di tre giorni in tutta la provincia. Per 72 ore sono sospesi tutti i servizi pubblici e privati, c'è l'astensione totale dal lavoro in tutte le categorie. Per la borghesia, grande e piccola, è la proverbiale ultima goccia. Agricoltori, industriali, commercianti, liberi professionisti, dipendenti pubblici e proprietari terrieri decidono di organizzarsi. L'8 aprile, in un convegno promosso dalla Camera di Commercio, si è costituita l'Associazione bolognese per la difesa sociale”.
Chiede a un leader fascista:
“È vero che questa borghesia bolognese – e dico bolognese nel senso di apatica e vile – si è mossa solo quando si è sentita, con l'ultimo sciopero, minacciata la propria sicurezza e la propria tasca; Ma non dovremmo, quindi, accettare l'arma del denaro così necessaria alla nostra battaglia che questa borghesia, anche se per paura, ci offre in questo momento?
Seguirono nuove vittorie elettorali socialiste, una significativa occupazione di fabbriche per un mese, che però...
“Questi sono i giorni della gloria della classe operaia, i giorni in cui ognuno raggiunge le vette del proprio destino. La produzione, infatti, passò nelle mani della classe operaia. Senza finanziamenti bancari, fornitura di materie prime e guida di tecnici e ingegneri, tornitori, fresatori, tubisti o semplici operai fanno funzionare da soli il processo industriale. Uomini robusti, semplici e brutali si disciplinano rigorosamente: si vietano il consumo di bevande alcoliche durante i turni in officina, istituiscono turni di sorveglianza per prevenire furti, proteggono scrupolosamente macchinari e materiali. Per trenta giorni memorabili, la classe operaia affronta il denaro, l'organizzazione, la tecnica, con una profusione di energia morale, una corsa verso forme superiori di attività umana. Da quattro settimane gli operai non sono più solo braccia e schiene stanche, non sono più appendici viventi delle macchine. Meritano la rivoluzione”.
“Ma lei, ancora una volta, non basta. I leader socialisti decisero, ancora una volta, di rinviarlo. I dirigenti operai torinesi temono che, portando la lotta da soli dagli ambienti chiusi delle fabbriche alle strade, vengano schiacciati. Sentono che la differenza è enorme. Sono armati, ma il loro arsenale non resisterebbe a dieci minuti di fuoco.
Seguono gli accordi:
“Giolitti riesce ad ottenere un accordo in cui Agnelli, De Benedetti e Pirelli, all'Hotel Bologna di Torino, garantiscono ai lavoratori aumenti salariali, miglioramenti normativi e persino il principio del controllo operaio e della partecipazione agli utili. Quest'ultima dovrebbe restare, nelle intenzioni di Giolitti, una mera promessa. In cambio i proletari si impegnano a restituire le fabbriche. Per i lavoratori si tratta di una significativa vittoria economica e di una vera e propria sconfitta politica. La rivoluzione in cambio di un piatto di lenticchie”.
M è tranquillo...
“In mezzo a tutta questa confusione, Mussolini non si è mosso. Si agitava, gesticolava, camminava avanti e indietro, scriveva pro e contro, ma non si muoveva. Guadagnare tempo: a volte non c'è nient'altro da fare. Quando il mondo intero crolla intorno a te, rimani fermo. “
"Diamo tempo al tempo. Scoppierà la rivincita dei dominanti. Per quelli come Agnelli, anche dopo aver ripreso il comando, le officine restano abitate da spiriti maligni. Ci vorrà un gigantesco esorcismo”.
I nuovi sindaci socialisti cominciano ad essere contestati, si annunciano vere guerre:
“Domenica, donne e bambini restano a casa. Se vuoi essere degno del paese, esponi il Tricolore nelle tue finestre. Per le strade di Bologna, domenica, devono esserci solo fascisti e bolscevichi. Sarà una prova. La grande prova per conto dell'Italia”.
“A Bologna, il governatore provinciale e il questore sanno bene che basta una scintilla per accendere il fuoco. Circolano voci sulla cassa di bombe che i socialisti tengono a Palazzo d'Accursio per la festa di insediamento della giunta, si inviano lettere anonime, si negozia sui simboli. Il questore si recò personalmente alla sede fascista di via Marsala per negoziare le regole di partecipazione. Dopo lunghi incontri segreti delle due parti, si raggiunge un accordo degno di un protocollo imperiale: i fascisti non attaccheranno, a condizione che non suoni la “campana grande” e non venga esposta la bandiera rossa, se non nel momento in cui, al termine della seduta, il nuovo sindaco si presenta in piazza per ringraziare gli elettori. Solo allora può essere tollerato come bandiera del partito. Il capo della polizia, intanto, ha chiesto al governatore della provincia di inviare altri 1.200 soldati e 800 carabinieri per rinforzare le 400 guardie reali già disponibili. La mattina del 21 novembre, secondo quanto riferisce Visconti, governatore della provincia, 900 fanti, 200 a cavallo, 800 carabinieri, 600 guardie reali circolavano per le vie del centro. Bologna è una città sotto assedio”.
Al termine di molta tensione, i fascisti riescono a rompere l'assedio, i socialisti si sparano per errore, un deputato muore e...
“È certo che ci sono dieci morti e cinquanta feriti. La credibilità dell'organizzazione militare socialista è distrutta, così come la reputazione del partito. Il Consiglio comunale democraticamente eletto, scosso dagli arresti e dallo scandalo, si è dimesso in blocco. Bologna sarà governata da un commissario nominato dall'amministrazione provinciale. Un'altra stagione è iniziata".
Il successo dell'azione fascista a Bologna si ripete in altre regioni. In breve tempo i fascisti iniziarono a terrorizzare gli omicidi seriali di dirigenti e militanti ordinari, fino agli incendi seriali di sedi sindacali, centri di lavoro e giornali. Fanno guerra reale e psicologica.
“Il corteo patriottico sfila per le strade tra un tumulto di bandiere al vento e rintocchi di campane. Lungo la strada, le persone guardano stupite, le mani in tasca, la maggior parte con il cappello in testa. È da tanto che la madrepatria non si mette in mostra, e non sanno più come comportarsi. I fascisti insegnano - "via il cappello, saluta la bandiera" - e distribuiscono schiaffi. Quando ciò non basta, entrano in gioco anche alcuni bastoni da cowboy presi dai fascisti per ogni evenienza. Nel frattempo, in piazza, vengono fermati anche i tram e sventolate bandiere, picchiati gli automobilisti che si oppongono, mentre la polizia vigila. Gli autisti - tutti socialisti - lasciano il servizio per protesta. I fascisti, divenuti i proprietari del locale, iniziano allora a girare per la città in un folle carosello di tram tricolori. Ruotano per tutta la città fino al calar della notte. Si fermano solo quando il governatore della provincia ordina di togliere la corrente elettrica. Ormai la piazza, ad eccezione dei fascisti, è deserta, ma in città non dorme nessuno».
“La violenza trionfale si diffuse lungo tutta la via Emilia con velocità contagiosa: nel rodigino, sostenuti dai latifondisti, i Fasci di Combattimento si propagarono lungo l'asse Cavarzere-Cona-Correzzola-Bovolenta; ad Adria le squadriglie avevano espulso le cooperative di precari che avevano occupato il grande podere di Oca; a Modena hanno attaccato i consiglieri comunali; a Carpi, la Camera del Lavoro; di là le azioni penetrarono per infiltrazione a Reggio ea Mantova; a Bra, nel cuneese, guidati da De Vecchi, i fascisti inseguirono con i bastoni le “guardie rosse” fino a quando non entrarono negli uffici comunali. L'effetto è stato come una valanga, si passava dall'autodifesa alla controffensiva; il fascismo fiorì inarrestabile in tutte le province d'Italia. Un'aria di battaglia aleggiava sui campi.
Mentre i socialisti, pur essendo ancora una forza nell'esecutivo e nel legislativo, sono perduti – proclamano uno sciopero generale al momento di articolare un fronte antifascista (che alla fine annullano), non si auto- si organizzano nelle regioni (salvo rare eccezioni), fanno discorsi di pace (tutti “alzino le mani” dice un grande leader in plenaria per deridere M) e, peggio, si dividono -; i fascisti si stanno rafforzando insieme alla società.
“Nelle elezioni politiche del novembre 1919, il Partito socialista, in provincia di Ferrara, ottenne 43 voti: tre quarti dei ferraresi votarono a favore della rivoluzione. L'anno successivo, nelle elezioni amministrative del 1920, il blocco dei partiti antirivoluzionari ottenne, in tutta la provincia, meno di 7mila voti. Ma appena un mese dopo, il 22 dicembre, a Ferrara, 14 persone hanno assistito ai funerali dei 3 fascisti uccisi negli scontri con i socialisti davanti al Castello degli Este. I rapporti di forza si stanno invertendo, la verifica dei poteri va aggiornata giorno per giorno”.
“Per poter restare nell'Internazionale, i socialisti italiani devono cambiare nome al partito e ripudiare come controrivoluzionari tutti i compagni di lotta che credono nel socialismo ma non nella rivoluzione. Il problema è che in Italia, dopo il fallimento dell'occupazione delle fabbriche», le credono in pochi.
“Nelle elezioni di novembre il partito ha ottenuto un successo clamoroso, conquistando la maggioranza in 2.162 comuni. Inoltre, conta 156 parlamentari e 216 iscritti suddivisi in 4.300 sezioni, il triplo di 3 anni prima, e Avanti! supera la tiratura giornaliera di 300mila copie. Fuori il proletariato italiano è ancora pronto a uno sforzo eroico, ma dentro, al Teatro Goldoni di Livorno, la discordia morde. Qui dentro è guerra tra bande. (…) La polemica è proseguita in un clima turbolento tra riformisti e rivoluzionari, unitari e divisionisti, intransigenti di destra e di sinistra, politici e sindacalisti”.
Impedisce l'unitàodi di fazione, schiavitù delle formule, cecità ideologica, il linguaggio che si scaglia contro questioni formali di pura logica, l'eterna ruota delle rivalità personali, la sordità di fronte al fragore del mondo. "
Il deputato Matteotti lascia anzitempo il congresso del partito, dove l'unità si sta sgretolando e i fascisti di Ferrara organizzano militarmente il primo spedizioni o squadre punitive più un benvenuto a lui che...
“Si rifiuta di usare l'auto e va a piedi alla Camera del lavoro, avvolto in una pattuglia della polizia che lo protegge dal linciaggio della folla. Il percorso si trasforma in una via crucis dal tono più morbido. Sputate, verdure lanciate, colpi alla nuca e alle orecchie. I carabinieri giunti a rinforzare le fila hanno circondato la vittima, disperso i manifestanti, si sono allontanati e si sono ricomposti. Un colpo oltrepassa il cordone e colpisce Matteotti alla tempia. Risponde gridando più volte agli aggressori: “Scumbags! Furfanti!» . Ed è solo l'inizio. Il giorno dopo, il fornaio socialista Ettore Borghetti è stato ucciso con un colpo di pistola mentre usciva da un comizio alla Camera del Lavoro”.
Peggio ancora, la “spedizione punitiva che parte da Ferrara il 23 gennaio verso i borghi rurali della regione è la prima concepita con metodi militari. L'incontro è scandito da decine di uomini, tutti ben armati e organizzati per raggiungere più obiettivi contemporaneamente. Per distruggere le leghe contadine di San Martino, Aguscello, Cona, Fossanova San Biagio, Denore e Fossanova San Marco si affidano alla determinazione della violenza premeditata, alle tecniche di attacco a sorpresa e ai camion messi a disposizione da Agrária. Pertanto, devono essere molti. Probabilmente i 'rossi' li stanno aspettando e la sottomissione non dovrebbe lasciare spazio all'incertezza nel confronto”.
“All'incrocio di Stellata i camion si separano. Due gruppi sono diretti a Cona e Fossanova, gli altri ad Aguscello e Denore. All'ingresso di Aguscello, un'auto di proprietari terrieri della regione accoglie i fascisti e li accompagna per le poche vie del paese. La resistenza dei socialisti è mite. Qualcuno spara con un fucile usato per cacciare le quaglie. I pellet penetrano a malapena nella fitta trama dei cappotti. La sede della lega contadina viene facilmente invasa, le finestre vengono sfondate, i mobili rimossi e sfondati nella piazza. I carabinieri arrestano i socialisti che si sono difesi con pistole a pallini. "
Discorso di Matteotti:
“Ma oggi, in Italia, c'è un'organizzazione pubblicamente nota i cui affiliati, dirigenti, quartier generali, in bande armate, dichiarano apertamente di preparare atti di violenza, rappresaglie, minacce, incendi, e li compiono appena accadono, oppure fingere di accadere. , un'azione svolta dai lavoratori che è dannosa per i padroni o la classe borghese. È una perfetta organizzazione della giustizia privata. Questo è indiscutibile.
“Questo è il momento in cui la classe borghese, che detiene ricchezze, esercito, magistratura, polizia, esce dalla legalità e si arma contro il proletariato per mantenere il proprio privilegio. Lo stato democratico che si basa sul principio che “la legge è uguale per tutti” è una presa in giro. “I semi della violenza daranno frutti; sì, generosamente daranno frutto.” in cui la classe borghese, che detiene ricchezze, esercito, magistratura, polizia, esce dalla legalità e si arma contro il proletariato per mantenere il proprio privilegio. Lo stato democratico che si basa sul principio che “la legge è uguale per tutti” è una presa in giro. “I semi della violenza daranno frutti; sì, porteranno generosamente frutto”.
3) Mezzi: controllare la paura di alcuni e la violenza di altri.
I fascisti fondarono un partito, M si candidò e fu eletto, e poté quindi condurre con maggiore facilità l'azione culturale e mediatica (che già si svolgeva attraverso il giornale e la guerra simbolica nelle piazze), con l'azione sociale violenta (che si giocava già con lo stimolo o il contenimento di squadristi fascisti assassini), e con l'azione di palazzo (di giochi di scena, congiure, minacce e bluff). Tutti questi fronti sono ciò che rende l'improbabilmente vittorioso marcia su roma il suo ponte verso la carica di Primo Ministro.
“La strategia di Mussolini è sempre la stessa: aspetta, aspetta, aspetta... Tuttavia, il morto è già entrato dalla porta, il cadavere della democrazia liberale giace tra la polvere e gli acari sul divano da così tanto tempo che nessuno se ne accorge più. No, non c'è dilemma, la violenza non ha aperture. La tattica di Mussolini è sempre la stessa: dosare, diluire, dilatare e, infine, negoziare da una posizione di forza. Ed è per questo che siamo condannati a sbirciare sempre l'orizzonte sopra le cime degli alberi inceneriti per scorgere il fuoco del prossimo incendio. L'unica vera differenza tra il Duce ei suoi squadristi è che, per lui, la violenza è un semplice arnese affilato, mentre per i violenti è un desiderio sanguinario di luce, una sete, un appetito; per lui la lotta è una piccola realtà della vita, per loro lo scontro tra gruppi armati è un mito. Non c'è partenza».
Tutti sanno che le Camicie Nere non sono un esercito ben armato e disciplinato e che:
"Al primo incendio, tutto il fascismo crollerà.E' quanto avrebbe detto il generale Badoglio in un comizio a Roma, alla presenza di banchieri, giornalisti e anche del generale Diaz. La frase pronunciata in qualsiasi salotto di Roma, città pestilenziale per eccellenza, aleggia come una pistola puntata alle tempie degli uomini che si radunano a Milano, in segreto, presso la sede del Fascio di Combattimento. (...) Tra loro ci sono anche quattro generali dell'Esercito, e tutti sanno che Badoglio ha ragione. L'unico a non saperlo sembra essere Italo Balbo. Il 6 ottobre, convocato dal Duce a Milano, Balbo fece in modo che la militarizzazione delle squadriglie procedesse efficientemente. Quando fosse giunto il momento, i ragazzi della provincia sarebbero stati pronti. Al termine del colloquio, contrariamente alle sue abitudini, Mussolini lo invitò con cameratismo a mangiare qualcosa al Campari. La conversazione tra i due nel caffè fu cordiale; l'atmosfera, rilassata. Mussolini deve però sapere che i bastonatori di Balbo non sono soldati, che il coraggio delle risse è diverso da quello della battaglia, che l'aggressione spietata contro uomini impreparati e materiali infiammabili con l'obiettivo di terrorizzare un villaggio ostile è un'azione spettacolare, ma non è guerra. Opporre i camion alle biciclette, l'offensiva alla passività, l'attacco sfrenato delle squadriglie motorizzate alla mite fiducia democratica nelle manifestazioni di massa socialiste è entusiasmante, ma non è guerra. Il nuovo regolamento della Milizia per la Sicurezza nazionale, redatto da De Bono e De Vecchi a metà settembre, imponeva la disciplina militare ai membri della squadriglia, prevedeva gerarchie e gradi militari, aboliva i comandanti elettivi; ma la verità, nonostante i nomi e gli aggettivi, è che non esiste una vera forza militare del fascismo. Tutte le squadre padane hanno solo qualche migliaio di fucili e nessuno sta addestrando i propri compagni a usarli».
“Il Duce fascista prende la parola e spiega perché sono lì. Sono lì perché uno Stato che non sa più difendersi non ha il diritto di esistere. Se in Italia ci fosse un vero governo, le guardie reali entrerebbero in quel momento da quella porta, disperderebbero la riunione, occuperebbero il quartier generale e li arresterebbero tutti. Un'organizzazione armata di capi e regolamenti è inconcepibile in uno Stato che ha il suo esercito e la sua polizia».
"Il fascismo si riversa ovunque; ora vuole assumere anche le sembianze di un'organizzazione militare. L'antifascismo non è più in grado di opporre una resistenza definitiva; basterà sorvegliare poche zone isolate e pochi uomini. Carabinieri e guardie reali, ancor più in provincia, sono evidentemente con noi. I vertici dell'Esercito ci sostengono perché sentono che siamo l'Italia uscita dalle trincee; per lo meno, rimarrà passivo. Il governo Facta non ci sparerà. I monarchici sono stati rassicurati dal mio intervento a Udine, ea Napoli sarò ancora più esplicito. Le classi parlamentari, dopo il fallimento di tutte le loro manovre, pensano solo a mettersi d'accordo con noi. Non sono altro che una manciata di voluttuosi suicidi... Industriali, borghesi, proprietari terrieri, tutti vogliono portarci al governo. Anche i liberali come Albertini adesso sostengono che questa è la priorità, costi quel che costi».
"No, quelli che mi preoccupano di più sono i fascisti [dice M]. Come il materiale umano, per un'azione su larga scala, sono materiale a buon mercato. Feudi personali, oligarchie regionali, piccoli campanilismi... Bisognerà domarli... "
"I giornali liberali posti davanti all'attacco fascista ne sono lì a riprova: balbettano, simpatizzano, poi si ritirano, prosa pedantesca, intricata, tremante.. UN prosa di democrazia arretrata, priva di idee, di volontà, che si guarda attorno con timore, accumula nei suoi scritti un avvertimento dopo l'altro, traducendo dall'inglese, una lingua che non è la loro, che, a sua volta, riecheggia il greco antico, un passato straniero. L'Italia non sa cosa sia la democrazia. Né la Russia, ma lì, almeno, per giustificare l'ignoranza, hanno dato al mondo il comunismo».
Nel frattempo, i socialisti rimangono perplessi...
“I bolscevichi russi premono per la fusione per poter contrastare il fascismo in un fronte compatto di tutto il proletariato, ma Bordiga resiste. Dal suo punto di vista la democrazia è già fascismo, la controrivoluzione capitalista ha già vinto, che differenza potrebbe fare se i fascisti salissero al potere?"
“Quando la delegazione dei comunisti italiani – sconfitta dai fascisti, separata dai socialisti e divisa anche al suo interno – arriva in Russia alla fine di ottobre, lì il comunismo è all'apice del suo trionfo. Lev Trotsky, a cui Bordiga non bada, che prima della rivoluzione era un letterato soprannominato "Pietà", si alzò dalla scrivania e, in pochi mesi, organizzò l'Armata Rossa - il più grande esercito popolare della storia, milioni di popolo, operai armati e contadini, una nuova concezione della guerra di movimento su scala planetaria —, alla testa della quale, in quattro anni di sanguinosa guerra civile, ha schiacciato, su due continenti e decine di fronti, tutti i nemici di la rivoluzione. I comunisti dell'Est, dopo aver scacciato i nemici interni ed esterni, sono sul punto di fondare l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e inaugurare una nuova era nella storia mondiale. I comunisti d'Occidente, da parte loro, registrando una sconfitta dopo l'altra, si ritirano su tutti i fronti. All'interno del Comintern, l'internazionale di tutti i partiti comunisti del mondo, si delinea l'egemonia assoluta dei compagni russi. Gli altri, con Bordiga per capo, in qualunque tana si nascondano, non possono che difendere come meglio possono la conquista dei Russi dal fondo della loro stessa sconfitta.
“Bordiga, obbediente, espone i fatti, ripete analisi e opinioni già espresse. All'improvviso, l'omone lo ferma e chiede cosa pensano gli operai ei contadini di questi eventi. Bordiga, il capo dei comunisti italiani, è paralizzato, come uno studente colto alla sprovvista da una domanda inaspettata. Intanto, in Italia, decine di migliaia di camicie nere cantano “A Roma! A Roma!" in Piazza del Plebiscito a Napoli; a Milano, i principali dirigenti del Partito socialista, accettando di non prendere sul serio quella risoluzione e ritenendo irrealistica quella minaccia, accompagnata dall'assoluta certezza che non stia accadendo nulla di importante, prendono il treno per Mosca.
M orchestra la minaccia fascista (la stimola e la assicura) in modo da emergere come l'unico capace di pacificare il Paese.
“Per i miserabili vicoli si alza un'ondata di incitamento: “Roma! Melograno!" Gli uomini dei commissariati scandiscono l'ora di quel tardo pomeriggio scandendo senza interruzione le due sillabe. Dice poi Mussolini: “Camicie nere di Napoli e di tutta Italia, oggi, senza battere ciglio, conquistiamo l'anima vibrante di Napoli, l'anima ardente di tutto il Mezzogiorno. La manifestazione non ha altro scopo e non può essere tramutata in battaglia, ma io dico con tutta la solennità che il momento esige: o ci danno il governo o lo prendiamo noi andando a Roma! A quel punto, è questione di giorni o forse ore”. Il breve intervento si conclude con un invito alla folla ad acclamare l'Esercito sotto le finestre del comando militare. Dalla piazza grida di “Viva o fascismo! Viva l'Esercito! Viva l'Italia! Lunga vita al Re!".
I fascisti, pur minacciando di marciare su Roma, compirono numerose azioni violente (incendi e morti) e occuparono sedi del governo provinciale e vari edifici pubblici.
“Per ore osserva in silenzio, nel buio della notte, il lampeggiare delle luci dei telefoni che collegano la sede delle province al ministero. Per ore (...) osserva l'accumularsi di fonogrammi e dispacci urgenti sui tavoli e annota i nomi delle province occupate, degli enti telegrafici invasi, dei contingenti militari che fraternizzavano con i fascisti, dei treni requisiti che partono carico di armi verso la capitale. Il grandioso spettacolo dello smantellamento di uno Stato dura fino all'alba».
“Il quadrunvirato segreto d'azione dichiara deposto l'attuale governo, scioglie la Camera e chiude il Senato. L'esercito deve restare in caserma. Non devi partecipare alla lotta. Mussolini lo sa bene, e le notizie da Cremona sono la prova che, se c'è di mezzo l'esercito, non si combatterà».
“Il giornalista di grande valore, tralasciando la strage di Cremona, racconta ai suoi collaboratori il titolo di quella che potrebbe essere l'ultima edizione del suo giornale: “La storia d'Italia prende una svolta decisiva — La mobilitazione dei fascisti è già avvenuta in Toscana — Tutte le caserme di Siena occupate dai fascisti — Il verde militare fraternizza con le camicie nere”. Allora il censore fascista convoca Cesare Rossi e gli ordina di fare un giro delle redazioni milanesi con Aldo Finzi per imporre una stampa alleata.
“Giovanni Amendola, ministro per le Colonie, picchiato dai fascisti alla vigilia di Natale, fondatore del Pd e del quotidiano liberale Il Mondo, la cui sede napoletana è stata bruciata dalla polizia, ha finalmente un significativo momento di rara felicità. "I fascisti non passeranno: abbiamo deciso di ordinare lo stato d'assedio e, domani, questi farabutti saranno messi al loro posto", esulta il sincero democratico quando il decreto viene rilasciato.
“Signori, vi consiglio di riflettere sul carattere del nostro movimento. Non c'è niente che non approvi,” dice e bluffa. “In ogni caso la tua resistenza sarebbe vana: tutta l'Italia, anche Roma, è caduta nelle nostre mani. Informatevi”. Le parole – ancora parole – prevalgono sulla realtà, tenendo questo in disparte. Piccole cause, grandi effetti. Il commissario Perna è d'accordo, il maggiore esita. Lo spargimento di sangue è rinviato.
“Vince il fondatore del fascismo, superata la minaccia dello stato d'assedio, non resta che quella delle squadriglie fasciste che si ammassano alle porte di Roma (…) Alle 19 riceve, per la seconda volta in due giorni, A delegazione di industriali: Da Capitani D'Arzago, Pirelli, Benni, Crespi, Ettore Conti, che hanno già imparato la strada. "
“Arrivano, e tutti si prostrano, ammaccati, per un'attesa convulsa. Non c'è acqua potabile, cibo, soldi. Soprattutto, non ci sono ordini. Si sa solo che Balbo passò in motocicletta per intimare loro di non muoversi per non compromettere il gioco politico. Poi nient'altro, per ore, per giorni. Nessuna azione, nessuna comunicazione, nessuna notizia, nessuna istruzione se non quella che impone tutti i divieti: non uscire per nessun motivo dai propri accampamenti, non fare del male, non sparare, non rubare uccelli ai contadini”.
"Bisogna riconoscere che le divisioni degli altri ci hanno aiutato molto... OH! Tutti quei candidati al governo: Bonomi, De Nicola, Orlando, Giolitti, De Nava, Fera, Meda, Nitti… Sembrava l'appello disperato degli agonizzanti boss del parlamentarismo.” (…) “Certo, se Giolitti fosse stato al governo, le cose non sarebbero andate così bene… Nelle nostre regioni ci sarebbero state forti resistenze, ma, di fatto, non ci saremmo riusciti. Quando uno Stato vuole, può sempre difendersiR; poi lo stato vince. La verità è che lo Stato in Italia non esisteva più…”
“Alle ore 11 del 05 ottobre 30, mentre salivo le scale del Quirinale per ricevere dal Re d'Italia l'incarico di governarlo, Benito Mussolini, di origine popolare, nomade politico, autodidatta al potere, è stato, a soli 39 anni, il più giovane Presidente del Consiglio del suo Paese, il più giovane dei governanti di tutto il mondo al momento dell'adesione; senza alcuna esperienza di governo o di pubblica amministrazione, era entrato alla Camera dei Deputati appena 16 mesi prima e indossava la camicia nera, la divisa di un partito armato senza precedenti nella storia."
“Il giorno dopo, era inevitabile farli entrare in città. Non c'era altro da fare. Il re stesso, ora che Benito Mussolini aveva ciò che voleva, gli chiese di rimandarli indietro, preservando la capitale. Ma Mussolini ribatté che se non avesse dato loro la soddisfazione di sfilare, non avrebbe potuto rispondere della loro reazione:
“Un'aura di eroismo e violenza era indispensabile. Servì, in quel nuovo secolo, a consacrare il potere del figlio prediletto. L'insurrezione militare sarebbe fallita, certo, ma la commedia si era avverata e il coltello doveva essere tenuto puntato alla gola.. "
“Sfiniti dallo sfinimento seguito alla tensione nervosa, cacciati come cani da una chiesa, dopo aver percorso tanti chilometri per le vie della capitale acclamati per la codardia dei romani – i quali, superata la paura, salutarono ai margini delle strade -, i partecipanti alle squadriglie fasciste, protagonisti carnali di una storia di fantasmi, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovarono ancora una volta all'interno dei treni, a sgranocchiare i succhi gastrici della loro vittoria.
4) Al potere
“La plenaria è gremita. La sede del Parlamento italiano ha un “aspetto fantastico” che nemmeno i cronisti più anziani — osserva L'illustrazione Italiana — ricordano di aver visto prima in trent'anni di lavoro lì. Le tribune di senatori, diplomatici, ex deputati straripano di signori eleganti e dame in pelliccia, le tribune pubbliche sono gremite di spettatori, le navate laterali sono state intasate di gente comune accorsa a salutare il nuovo governo”.
“I tribuni pubblici si uniscono all'ovazione. L'Italia, da qualunque punto di vista, è in luna di miele con quest'uomo, che entra in Parlamento con passo trionfale, così alto da terra che, anche camminando, sembra di entrare a cavallo.
"I primi a intravedere una promessa di pace nel Duce fascista sono, paradossalmente, i liberali. Benedetto Croce continua ad applaudire, Giolitti spera che Mussolini tiri fuori il Paese "dal baratro in cui stava per marcire", Nitti promette "nessuna opposizione", Salvemini lo esorta a eliminare queste "vecchie mummie e farabutti" dal deterioramento classe politica, anche Amendola, il cui giornale è stato bruciato dai membri delle squadriglie, attende che il Duce ripristini la legalità. Nel suo governo, oltre ai fascisti, entrarono i popolari, i nazionalisti, i democratici ei liberali. Il famoso filosofo europeo Giovanni Gentile accettò l'invito al Ministero della Pubblica Istruzione, il Generale Armando Diaz e l'Ammiraglio Paolo Thaon de Revel, vincitori del conflitto mondiale, rimasero ai Ministeri della Guerra e della Marina. L'Italia non sopporta più di fare gli stessi giochi, ascoltare le voci dai corridoi, i sospiri sciupati, le trame di palazzo incruente e inconcludenti, la gente è stufa di veder rappresentati i propri difetti in Parlamento.
Discorso:
"Quello che è successo è che il popolo italiano, nel migliore dei casi, ha smantellato un ministero e si è dato un governo che è fuori, al di sopra e contro ogni designazione del Parlamento... Affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Sono qui per difendere e massimizzare la rivoluzione delle camicie nere”.
““Con trecentomila giovani impeccabilmente armati, pronti a tutto e in attesa quasi mistica di un mio ordine, potevo punire tutti coloro che calunniavano e cercavano di gettare nel fango il fascismo. Potrei trasformare questo sordo e grigio plenum in un accampamento angusto.
“Mentre i membri delle squadriglie si esaltano sulle tribune, l'impressione suscitata dall'indignazione di Mussolini è, per tutti i non fascisti, dolorosa, profonda. Tuttavia, solo Francesco Saverio Nitti, indignato, ha lasciato la plenaria in silenzio, solo Modigliani e Matteotti si sono improvvisamente alzati in piedi sul banco dei socialisti. Un solo grido: "Lunga vita al Parlamento!" - si alza in tutto il Parlamento umiliato. Gli altri, quasi tutti, sembrano ritenere di meritare l'umiliazione. Il suo silenzio è un atto di contrizione servile. Quando Mussolini parlò di nuovo, si rivolse a un'assemblea di colpevoli: “Potrei chiudere il parlamento e formare un governo solo fascista. "
“La Camera dei Deputati, nonostante il Partito Nazionale Fascista abbia solo 35 deputati, vota a favore della piena fiducia al governo Mussolini, lo stesso governo che lo ha demoralizzato. I voti favorevoli sono 306, i contrari 116 e gli astenuti 7. Gli concederà anche pieni poteri. Anche i critici, gli indignati, come Gasparotto e Albertini, votarono a favore. Un irremovibile desiderio di capitolazione”.
“Eccoli, tutti in fila, non ne manca nessuno. Grandi economisti, grandi filosofi, i generali vincitori della guerra mondiale. Tutti i membri del suo governo sono accorsi in corteo per augurare buon anno al presidente del Consiglio, il giovane, formidabile statista che i giornali americani salutano come “l'uomo più interessante e potente d'Italia”. Tutti ora non vedono l'ora di rendere omaggio all'avventura. Il colpo di stato fascista è stato effettuato e il mondo non è finito. "
"Non si ingannino i nemici: lo Stato fascista non li tollera; li combatte e li distrugge. Questa è la sua caratteristica principale. E lo Stato fascista non può restare a lungo in balia del Parlamento — un Parlamento che dovrà essere quotidianamente umiliato, pubblicamente disprezzato — perché il fascismo rappresenta già l'Italia. Chi è fuori dal fascismo o è nemico o è morto”.
Ma ci sono problemi...
“Quelli che dovrebbero essere i tuoi collaboratori più riconoscenti e fidati. Guarda chi è insoddisfatto, chi è disilluso, chi non si sottomette. Sono loro il principale ostacolo alla velocità mussoliniana, la palla di ferro ai piedi del secondo momento di questa rivoluzione. E sono tutti fascisti».
“Per lo più sono uomini mediocri, avidi, meschini, elevati ai loro incarichi dalla corrente ascensionale sollevata nei cieli d'Italia dal ciclone Mussolini e nominati direttamente da lui, Capo Supremo. Ma invece della gratitudine, i lucidi specchi del Grand Hotel riflettono gli sguardi obliqui, accigliati, funebri del malcontento.
“Come sempre, la tua manovra è duplice, onnicomprensiva. I membri delle squadriglie, dopo averlo elevato al potere, tornato nelle città natale dove si rifiutano di disarmarsi, stanno diventando un problema cruciale. Devono quindi essere tolti ai capi locali, che potrebbero usarli contro di lui. D'altra parte, deve ancora usarli per mantenere la pressione sul Parlamento e sulla monarchia. La velata minaccia di guerra civile rimane la principale garanzia del suo potere”.
“Mussolini ha fatto la sua scelta: è tornato al gioco duro, all'azione della forza. Così scriveva in tutte le lettere del numero di marzo di Gerarchia: in questo nuovo secolo, di cui è figlio, forza e consenso sono una cosa sola. La libertà è un mezzo, non un fine. Come mezzo, deve essere controllato. Per controllarlo, ci vuole forza. "
Alle nuove elezionimentre il genio politico del Duce costringe quasi tutti ad aderire ad un'unica lista fascista, l'opposizione presenterà 21 liste. Neppure le formazioni più simili riuscirono a formare un blocco. Morale: tante opposizioni, nessuna opposizione. "
“”Questa è l'ultima volta che saranno indette le elezioni. La prossima volta voterò per tutti.“”
M ordina il silenzio al deputato Matteotti, che per la prima volta farà tremare il suo governo. Taglia fino all'osso consegnando lui stesso i mandati al crimine. I fascisti ti spingono a difendere i tuoi membri come metodi. Le forze politiche vogliono sbarazzarsi di lui, ma lui si volta..
“Il tumulto del paese si trasforma in un incubo. L'Italia urla nel sonno, oppressa da spettri che soffocano ogni senso di liberazione, come in un brutto sogno. In queste settimane, anche l'esistenza di Benito Mussolini – lui, che è un giunto tra il suo corpo e la materia ferrea da cui, secondo la gente, sarebbe stato forgiato – diventa uno spettro. “Ci sono due morti”, scrive il giornalista Ugo Ojetti, “Matteotti e Mussolini“.”
“”Il governo ha una sola preoccupazione: non finire. Un solo timore: le sanzioni della giustizia. Un senso di incertezza e inquietudine si diffonde nel Paese senza possibilità di essere fermato o rimediato”.
“I giornali liberali chiedono le dimissioni di Mussolini, i socialisti chiedono la sua testa, i fascisti del cartello estremista lo minacciano apertamente. Nella prima edizione del nuovo anno, Farinacci dichiara nella sua Cremona Nuova che il manganello, per il momento tenuto in soffitta, “va spolverato e lasciato a portata di mano”. Nella sua La Conquista dello Stato, Curzio Malaparte, partecipante al secondo scaglione delle squadriglie, osa ammonirlo: “Chi non è con noi è contro di noi”; il motto fascista per eccellenza vale anche per chi l'ha coniato, per Benito Mussolini in persona, sostiene Malaparte.
Ma M ottiene un ritorno
“Grazie a una semplice riforma del sistema elettorale, Mussolini è tornato in gioco. La destra liberale, fino a ieri pronta a disfarsi di lui, si sta avvicinando, attratta dalla prospettiva della rielezione. Minacciati dal rischio di non essere rieletti, i fascisti moderati, fino a ieri sedotti dalla corrente di opposizione del partito, si affrettano a riallinearsi. La palude si chiude così sulla melma stessa.
“Più che un voto pro o contro il regime fascista, le prossime elezioni sono annunciate come un plebiscito pro o contro di esso. Un anno dopo la marcia su Roma, il fascismo si è indebolito, ma lui, Benito Mussolini, al contrario, si è rafforzato. Sembra grande.
Riuscì a “firmare un accordo con la Jugoslavia che restituisse Fiume all'Italia, chiudendo una ferita che sanguinava dal 1919. poteva riuscire in un compito così arduo”. Si chiuse così la disputa che aveva tenuto aperte per anni le ferite planetarie della prima guerra mondiale, e fu lui, Benito Mussolini, a chiuderla con un'abile mossa diplomatica, non con la presuntuosa avventura di un poeta.
“Benito Mussolini è il conquistatore che, se va a Londra in visita di Stato, viene accolto alla stazione Victoria da una folla in delirio; è il pensatore a cui Giuseppe Ungaretti, allo stesso tempo, chiede di scrivere la prefazione al suo capolavoro poetico O porto sepulto; è il leader carismatico che industriali, politici esperti, vescovi e militanti attendono per ore, con trepidazione, di incontrare nell'anticamera del suo ufficio nella Sala das Vitórias”.
“Demistificate le malevole leggende degli oppositori interni [fascisti], passa alla strategia per le prossime elezioni politiche: il fascismo non si allea con nessun partito. Tuttavia, accetta di includere nelle liste uomini di tutti i partiti o di qualsiasi partito, purché utili alla nazione. La strategia è chiara: disidratare gli altri partiti e trasferire i loro iscritti al Partito Nazionale Fascista. "
"Il fascismo trionferà alle elezioni seguendo “la via legalista”. Ma occorre anche porre fine alle lamentele dell'opposizione sulle libertà calpestate: “La rivoluzione fascista non è arrivata con sacrifici di vite umane; non ha ancora creato tribunali speciali; non ci sono state raffiche di plotoni di esecuzione; non esercitava il terrore; leggi di eccezione non sono state emanate”.
“Nonostante i pubblici proclami sulla “via legalista”, il 10 gennaio lui, Giunta, Marinelli e De Bono si sono riuniti a casa di Mussolini in via Rasella, gestita da Cesira Carocci, e lì, dopo aver giocato un po' con il leoncino, hanno deciso costruire un organismo segreto che dipendesse direttamente da loro per prendere di mira i nemici del fascismo. Il Duce lo ritiene indispensabile: in questa fase transitoria, in cui le leggi risentono ancora dello spirito liberale, non è possibile farlo con mezzi legali. Il vuoto va colmato».
Alla fine il discorso in cui allude ai crimini di cui è accusato con la stessa ambiguità e bluff che affermano la sua forza e mettono in luce la debolezza del nemico.
““L'articolo 47 dello Statuto dice: 'La Camera dei Deputati ha il diritto di mettere sotto accusa i ministri del re e di deferirli all'Alta Corte di Giustizia'. Chiedo formalmente: in quest'Aula, o fuori di quest'Aula, c'è qualcuno che vuole avvalersi dell'articolo 47? È una mostra. Benito Mussolini tiene davanti ai parlamentari il libro delle regole democratiche come un prete che mostra ai fedeli la particella del corpo di nostro Signore Gesù Cristo. (...) Silenzio. Solo uno. Ne basta uno per parlare ed è perduto..” Nessuno si alzi.
“”Ebbene, signori, dichiaro qui, davanti a questa assemblea e davanti a tutto il popolo italiano, che mi assumo, da solo, la responsabilità politica, morale e storica di tutto quanto è accaduto. Se bastano le frasi più o meno distorte per impiccare un uomo, prendere la verga e prendere la corda! Se il fascismo era solo olio di ricino e manganello, non una superba passione della migliore gioventù italiana, colpa mia! Se il fascismo era un'organizzazione criminale, io sono il capo di questa organizzazione criminale!
“Alla fine si torna all'inizio. Nessuno voleva caricarsi sulle spalle la croce del potere. Lo prendo io stesso.
*Gláucia Campregher Professore di Economia all'UFRGS