da FERNANDO NOGUEIRA DA COSTA*
Il lavoro digitale e l’automazione hanno riconfigurato le relazioni capitaliste, ma il sistema in definitiva dipende ancora dallo sfruttamento del lavoro umano, sia esso digitale, manuale o intermediario.
Karl Marx sosteneva, forse inadeguatamente data la successiva evoluzione del sistema capitalista, che il lavoro improduttivo – assunto dal capitale improduttivo in attività senza generare beni materiali e, di conseguenza, senza partecipare al processo di produzione di plusvalore –, in contrapposizione al lavoro produttivo, non generare vera ricchezza per la società. Estrarrebbe ricchezza dalla “vera” classe operaia.
Vedeva questa distinzione come parte dello sfruttamento inerente al sistema capitalista. In esso, la classe dominante si approprierebbe del surplus di lavoro dei lavoratori produttivi attraverso varie attività considerate improduttive.
Naturalmente mi è venuta in mente la seguente domanda: come regge la vostra teoria del valore-lavoro rispetto alla 4a? Rivoluzione tecnologica? Ora, robot, automazione e piattaforme non stanno forse dicendo addio al proletariato industriale?
Per rispondere Luiz Gonzaga Belluzzo, docente del mio master a Unicamp, mi ha suggerito di rileggere il planimetrie attraverso l'Appendice 2, “La conoscenza, la tecnologia e il general intelletto nel suo frammento sulle macchine”, dal libro Leggere Marx nell'era dell'informazione. Esplora la rilevanza delle idee di Marx nell'era digitale.
Lo studioso marxista Christian Fuchs aiuta i lettori a capire se il lavoro di Karl Marx è adatto all'era dell'informazione. Per lui, il “Frammento sulle macchine” anticipava il ruolo cruciale della conoscenza, della scienza e della tecnologia nella produzione, in particolare nell’era digitale, dove piattaforme come Google, Facebook, YouTube, ecc. dipendono dal lavoro digitale degli utenti.
L'autore utilizza il concetto di lavoro produttivo di Marx, perché il lavoro degli utenti su queste piattaforme, sebbene non retribuito, contribuisce all'accumulazione di capitale. Gli utenti generano dati venduti come merce agli inserzionisti, diventando parte del lavoro produttivo nell’economia digitale.
Christian Fuchs spiega come i costi di trasporto, compreso il trasporto di ideologie commercializzate attraverso i media, siano parte del processo di produzione. I media commerciali “trasportano” le ideologie ai consumatori e, nei social media, il lavoro degli utenti supporta la distribuzione mirata di annunci pubblicitari.
Analizza la sezione “Il capitale e lo sviluppo delle forze produttive della società” del planimetrie. In questa sezione, Marx descrive la tecnologia come capitale fisso costante, che rappresenta il “general intellect” della società. Avrebbe quindi anticipato la crescente importanza della scienza e della conoscenza nella produzione, in seguito chiamata la “rivoluzione scientifica e tecnologica” dell’era digitale.
Una divisione digitale internazionale del lavoro coinvolge lavoratori in diverse parti del mondo. La produzione di dispositivi digitali, la creazione di contenuti e la raccolta di dati fanno parte di questa divisione internazionale del lavoro digitale.
Completa il planimetrie di Marx sono fondamentali per comprendere il lavoro digitale e il capitalismo digitale. Evidenzia il ruolo del lavoro degli utenti nell'economia digitale, il concetto di "intelletto generale" e l'importanza della teoria del valore di Marx.
La questione se la teoria del valore-lavoro di Marx sia ancora applicabile nell’era digitale, soprattutto considerando il lavoro digitale non retribuito svolto da lavoratori autonomi, è complessa e centrale nel dibattito sul lavoro marxista. Sebbene Christian Fuchs sostenga la sua continua attualità, la risposta non è un “sì” categorico. Ci sono sfumature in questa relazione.
Questo autore sostiene che il lavoro digitale, anche non retribuito, è produttivo nel senso marxista, poiché contribuisce all’accumulazione di capitale da parte di aziende come Facebook e Google. La creazione di dati e contenuti da parte degli utenti diventa una merce venduta agli inserzionisti, generando valore e profitto per queste piattaforme.
Ciò suggerisce che la logica dello sfruttamento del lavoro come fonte di valore continua a funzionare, anche in contesti digitali e con forme di lavoro non tradizionali. Nonostante ciò, l’autore stesso riconosce l’importanza del dibattito sulla validità della teoria del valore-lavoro nell’era digitale, poiché autori con argomentazioni razionali ne mettono in dubbio l’applicabilità.
Tra questi vi è la difficoltà nel misurare il valore delle attività immateriali e la crescente importanza del lavoro cooperativo, di natura collaborativa, e della conoscenza sociale. Problematizzano la centralità del tempo di lavoro individuale come misura di valore. Questo contrasto evidenzia la necessità di un dibattito approfondito su come (e se) la teoria del valore del lavoro possa essere adattata o reinterpretata per comprendere le complessità del lavoro digitale.
Il concetto di lavoro immateriale è stato oggetto di critiche, soprattutto da parte dei seguaci della tradizione marxista. Una delle critiche principali risiede nell'accusa che questo concetto implichi l'idealismo filosofico.
Opponendosi a un’ontologia dualista che separa il mondo in sostanze materiali e immateriali, i critici sostengono che tutto il lavoro, compreso il lavoro digitale, ha una base materiale facendo affidamento su corpi, infrastrutture fisiche e consumo di energia. Un’enfasi sull’immaterialità oscurerebbe la materialità dei rapporti di lavoro e di produzione.
Un'altra critica punta al rischio di determinismo tecnologico presente nella nozione di lavoro immateriale. Sottolineando l’importanza del general intellect e della tecnologia, il concetto porterebbe a una visione sopravvalutata del ruolo delle forze produttive nel superare il capitalismo con una rievoluzione sistemica e trascurerebbe l’importanza dell’azione politica consapevole e delle lotte sociali.
La critica dogmatica marxista difende la transizione utopica al comunismo non come risultato automatico dello sviluppo tecnologico, ma piuttosto come richiesta dell’organizzazione e della lotta dei lavoratori. Inoltre, i marxisti criticano la nozione di lavoro immateriale perché si concentra sui lavoratori privilegiati nel settore high-tech e ignora lo sfruttamento dei lavoratori in condizioni precarie, come i lavoratori domestici e persino i lavoratori ridotti in schiavitù.
Immaginano che la rivoluzione venga dal supersfruttamento piuttosto che dall’organizzazione politica. La critica mira ad ampliare la comprensione del lavoro nell’era digitale oltre una prospettiva limitata ai paesi sviluppati e al lavoro intellettualizzato.
La domanda iniziale era se la legge del valore diventa inapplicabile di fronte al lavoro immateriale. I marxisti sostengono che la difficoltà nel misurare il valore del lavoro immateriale non implica la sua non esistenza o irrilevanza. La logica dell’esplorazione, dell’estrazione di valore dal lavoro, resta operativa, anche quando occorre ripensare i meccanismi di misurazione.
Christian Fuchs riconosce l'importanza di queste critiche. Difende una concezione materialista del lavoro culturale e digitale, capace di riconoscere la necessità di infrastrutture e lavoro fisico, lo sfruttamento presente in diversi settori della produzione digitale e l'importanza della lotta politica per superare lo sfruttamento.
La proposta di Christian Fuchs cerca di integrare la dimensione materiale e immateriale del lavoro nell'era digitale, senza trascurare i rapporti di potere e di sfruttamento che ancora permeano la produzione e la circolazione delle informazioni. Tuttavia, non sfugge alla critica il fatto che nell'opera di Marx vi sia un determinismo storico.
Il determinismo appare attraverso un argomento negativo: la massima alienazione, miseria e degrado si concentrano nel proletariato. Fare quindi la rivoluzione sarebbe l’unica via d’uscita possibile, per chi non ha nulla da perdere. È così oggi?
Ma appare anche attraverso un argomento di tipo positivo. Solo il proletariato era, per Marx, interamente legato all'organizzazione della produzione moderna. Pertanto, era l'unico organizzato per avviare una possibile società futura. Nessun sindacato?
Dopotutto, non c’è stato un “addio al proletariato” nei complessi rapporti tra lavoro, tecnologia e capitale nel 21° secolo?
L’idea di “addio al proletariato”, resa popolare da André Gorz, si riferisce alla tesi secondo cui le trasformazioni tecnologiche, in particolare l’automazione e la digitalizzazione, riducono o eliminano il ruolo centrale della classe operaia (proletariato) nella produzione capitalista. Tuttavia, nel XXI secolo, l’analisi dei rapporti tra lavoro digitale, tecnologia e capitale rivela che questo “addio” non è ancora pienamente avvenuto. Il proletariato non è scomparso, ma ha subito profonde trasformazioni.
Il lavoro digitale e l’automazione hanno riconfigurato le relazioni capitaliste, ma il sistema in definitiva dipende ancora dallo sfruttamento del lavoro umano, sia esso digitale, manuale o intermediario. Chi vivrà vedrà per quanto tempo...
*Fernando Nogueira da Costa È professore ordinario presso l'Institute of Economics di Unicamp. Autore, tra gli altri libri, di Brasile delle banche (EDUSP). [https://amzn.to/4dvKtBb]
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